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La scuola al Sud tra passato, presente, ricerca e impegno

9788855225823_0_536_0_75di Salvina Chetta 

Nell’aprile di quest’anno sono stati pubblicati due libri di grande rilevanza sociologica sul tema della scuola nel Meridione del nostro Paese: Fare scuola al Sud, della casa editrice Donzelli e a cura di Pancrazio Toscano, raccoglie alcuni scritti di Rocco Scotellaro e Manlio Rossi-Doria su divario educativo, disuguaglianza e democrazia; per la casa editrice Mondadori è andato in stampa Domani c’è scuola di Antonella Di Bartolo, dirigente scolastica dell’Istituto Sperone-Pertini di Palermo. C’è, a nostro avviso, una relazione dialogica tra le due pubblicazioni: nella linea della diacronia gli scritti di Scotellaro e Rossi-Doria, riferibili ai primi tempi dell’Italia repubblicana, e la testimonianza appassionata della Di Bartolo evidenziano un continuum tra l’ieri e l’oggi nel dibattito su povertà e analfabetismo e sul tema più ampio della questione meridionale; ma c’è anche una relazione sincronica non solo perché il luogo focus è il Mezzogiorno, ma anche perché Fare scuola al Sud raccoglie testi attualissimi e per molti versi lungimiranti. Dalla lettura di entrambi i libri scaturisce un’unica fondamentale riflessione che vuole essere il centro del nostro discorso: c’è una strettissima interdipendenza tra analfabetismo, povertà, devianza e democrazia: il problema della democrazia è prima di tutto un problema di istruzione.

Negli anni in cui Don Lorenzo Milani pubblicava Esperienze Pastorali, opera ritenuta sovversiva dal Sant’Uffizio e subito ritirata dal commercio, contenente fra i tanti dati “scomodi” quelli sull’analfabetismo in un piccolo comune della Toscana, Rocco Scotellaro consegnava alla rivista “Nord e Sud” un’importante inchiesta sullo stesso argomento dal titolo “Scuole di Basilicata”, poi ripresa nel volume omonimo pubblicato nel 1999 presso Rce edizioni di Napoli.

11Fare scuola al Sud è la collettanea di tale inchiesta e di tre saggi di Manlio Rossi-Doria: il primo saggio, “L’educazione dei contadini”, pubblicato sulla rivista “Nord e Sud” nel settembre del 1955, nasce come intervento al Congresso nazionale della cultura popolare, dello stesso anno e avvenuto a Bari, con il titolo “Considerazioni di un economista agrario sul problema dell’educazione dei contadini”; il secondo saggio, “La scuola e lo sviluppo del Mezzogiorno”, scaturisce da un discorso pronunciato dall’autore nel 1958 al Congresso pedagogico nazionale di Lecce; il terzo saggio, “Altre considerazioni sul tema”, nasce da un intervento pronunciato a Napoli nel 1959 su invito dell’Associazione pedagogica nazionale.

Rocco Scotellaro, poeta, ricercatore, scrittore, politico, divenuto sindaco di Tricarico, usò per amministrare “la pedagogia civile”: ogni scelta politica era negoziata con tutti i cittadini, bene pensando che l’alfabetizzazione delle classi subalterne fosse l’unico mezzo per sottrarle all’egemonia dei notabili e avvicinarle alla cosa pubblica. Intuiva pure Scotellaro il destino di spopolamento a cui fosse inesorabilmente destinata la sua terra: moriva la civiltà contadina, molti lasciavano le case e le terre per emigrare verso il Nord dell’Italia, le città della Mitteleuropa o l’America: «Il paese mio si va spopolando, imbarcano senza canzoni/con i nuovi corredi di camicie e mutande i paesani» [1].

Il 50 per cento di chi emigrava era analfabeta: Michele Gesualdi, mandato da Don Milani a Stoccarda per apprendere meglio il tedesco, in una lettera a Barbiana racconta con amara ironia il disorientamento di alcuni emigranti meridionali analfabeti incontrati in treno [2]. Scotellaro si pone la questione del come si parte: fare in modo che i contadini emigrassero con dignità era una delle priorità della cosiddetta “pedagogia civile”. Egli tenne aperto e operante per i lavoratori analfabeti il Centro di educazione popolare istituito dall’Unione Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo; si preoccupò di aumentare la frequenza dei bambini nella scuola pubblica, migliorò le condizioni e le dotazioni degli edifici scolastici nel territorio, convinto giustamente che l’analfabetismo e l’abbandono scolastico traessero origine anche dall’inefficienza della scuola.

9788804786054_0_536_0_75Domani c’è scuola è il racconto di un’esperienza vissuta, è il resoconto di un decennio di lavoro e di lotta dell’autrice per dare dignità a una scuola e al suo quartiere: quando nel 2013 Antonella Di Bartolo firmò il contratto da dirigente scolastica della scuola Sperone-Pertini il tasso di dispersione degli alunni era del 27 per cento, in poco più di un anno è passato all’1 per cento. Il quartiere dello Sperone si trova nella periferia degradata di Palermo nota per l’omicidio di padre Puglisi, lo conosceva bene quel quartiere Antonella Di Bartolo e lo scelse per il suo incarico da dirigente scolastica: «Non arrivi per caso allo Sperone […] E nemmeno io ci sono arrivata per caso. Mi ci ha condotto la mia storia, il fatto di essere stata ventenne a Palermo in quel 1992 devastato dalle stragi di Capaci e di via D’Amelio. E anche il 15 settembre 1993, giorno del martirio di padre Puglisi a Brancaccio» [3]. E ancora: «fra tutte le scuole disponibili ho fatto una scelta di territorio, di quartiere, di impegno, d’amore. L’Istituto comprensivo statale Sperone-Pertini si trovava lì, nei pressi dei luoghi di don Pino. E io non sarei potuta andare oltre» [4]. Certo l’impegno si mostra subito gravoso: il 30 agosto 2013, al suo primo ingresso nell’edificio scolastico, Antonella Di Bartolo si rende conto del degrado: il terreno intorno alla scuola era una discarica, lavagne erano state messe al posto delle porte dei bagni: «Di alcune porte non erano rimasti neanche gli stipi. Le plafoniere dei neon al soffitto incendiate, la plastica deformata dal fuoco. Armadietti, sedie e banchi sfasciati, in un’aula erano accatastate strane assi di ferro, gli infissi non avevano i vetri, e nel corridoio e in qualche classe si vedevano resti di falò. Ovunque avanzi di cibo, qualche coperta e tante bottiglie di birra, molte delle quali rotte» [5]. Nei pressi della scuola vi era la struttura fatiscente di quello che sarebbe dovuto essere un asilo nido. L’edificio era stato consegnato all’amministrazione comunale nel 1977, ma non era mai stato attivato il servizio, così negli anni era stato degradato e utilizzato come luogo di spaccio e prostituzione.

L’impegno di Antonella Di Bartolo è divenuto nel giro di poco tempo memorabile non solo per la scuola, ma per tutto il quartiere. A lei, all’Istituto Comprensivo Sperone-Pertini e al quartiere dove la scuola è ubicata Franco Lorenzoni, in Educare controvento, dedica il paragrafo “La scuola è piazza dove piazza non c’è”: allo Sperone «la scuola è stata in grado di reagire aggregando diverse energie del quartiere attorno a sé. È riuscita ad avviare un percorso di riqualificazione urbana, che ha portato all’abbattimento di quel nido mai terminato ed a una sua riprogettazione partecipata, che ha coinvolto genitori, architetti e associazioni della società civile» [6].

Una storia simile a quella della Di Bartolo ce la racconta Vincenzo Consolo ne L’olivo e l’olivastro, ovvero quella della scrittrice di Caltagirone Maria Attanasio che, divenuta preside in un istituto magistrale di Gela, trova l’edificio in condizioni disastrose: 

«privo di riscaldamento, porte e finestre sfondate, la palestra occupata da un privato che vi tiene corsi di karaté, bidelli fantasma, giovinastri che scorazzano per la scuola, s’acquattano nei gabinetti, spaventano le alunne: e scritte oscene sui muri, siringhe a terra, preservativi… Maria scrive alla provincia che non risponde, tace. Manda per mesi esposti, denunzie, fax, appelli al Provveditorato, all’Ufficio di Igiene, ai Carabinieri, al Prefetto, alla procura della Repubblica. E la Provincia è sempre muta, lontana e immobile come un dio aristotelico. – Chi glielo fa fare? Lei è una donna, viaggia sola in macchina… – le dicono.  (…) Il giudice prese infine la decisione di sequestrare la scuola: arrivarono così gli operai e sistemarono porte e finestre; arrivò l’impresa di pulizia, comparvero i bidelli, fu liberata la palestra» [7]. 

61do29dqy2l-_ac_uf10001000_ql80_Storie emblematiche di speranza in contesti di degrado, luoghi violati, dove la scuola può e deve fare di tutto per essere spiraglio di luce nella notte. E ricordiamo a proposito l’impegno di un’altra donna, Carla Melazzini, che nella periferia di Napoli assieme ad altri insegnanti, educatori e alle mamme dei quartieri, istituisce l’associazione Onlus Maestri di Strada per aiutare i giovani che hanno abbandonato la scuola a svolgere il programma previsto per la licenza di terza media. L’esperienza è raccontata dalla stessa Melazzini in Insegnare al principe di Danimarca (Sellerio, 2011) [8]. Storie emblematiche di quotidiano impegno civile di singoli cittadini che diventa eroico nei luoghi dove lo Stato si fa assente.

Il tempo presente è segnato da sfide molto diverse rispetto a quelle dell’Italia del dopoguerra, è chiarissimo che la civiltà contadina di allora non può essere paragonata minimamente a quella delle periferie urbane delle città odierne, ma la riflessione sul passato degli autori di Fare scuola al Sud coinvolge e dialoga con l’oggi. Si intitola proprio “Il passato che può insegnare” la postfazione di Marco Rossi-Doria al libro pubblicato da Donzelli, in essa leggiamo: 

«Le tantissime persone che oggi sono impegnate nei cantieri sociali ed educativi, nel nostro Sud e ovunque in Italia, sentono sempre più spesso l’urgenza di ritrovare una riflessione longitudinale, lungo i decenni, di assumere uno sguardo che sia sapiente, per poter rispondere al perdurare di inaccettabili ineguaglianze e alle nuove crisi» [9]. 

Nell’ottica braudeliana della lunga durata, le prepotenti esclusioni sociali ed educative che hanno coinvolto i contadini della Basilicata sono in strettissima relazione con la deprivazione economica ed educativa degli abitanti della periferia palermitana: una condizione questa, sostiene Antonella Di Bartolo, «che è frutto di anni di colpevole e interessato disinteresse, di assenza di cure, di amore, di luce» [10]. Le cause e le conseguenze dell’analfabetismo e della dispersione scolastica, allora come oggi sono le stesse: come ha scritto Carlo Levi «L’analfabetismo nasce da una mancanza di democrazia e tende a perpetuare ed aggravare la mancanza di democrazia» [11].

Rocco Scotellaro e Manlio Rossi-Doria anticipano di quaranta anni il fine sostanziale dell’autonomia scolastica: «A situazioni diverse bisogna venire incontro con scuole diverse […] ora questo processo di adattamento non può essere, a mio avviso, lasciato all’intuito, alla sensibilità, alla buona volontà dei singoli insegnanti, ma deve essere affrontato in modo sistematico […]. A una politica scolastica sostanzialmente indifferenziata, occorre cioè sostituire una politica scolastica esplicitamente differenziata» [12]. Quaranta anni dopo il comma secondo dell’Articolo 1 del D.P.R. 275 del 1999, recante le norme in materia di autonomia delle istituzioni scolastiche, reciterà: 

«L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire il successo formativo». 

12Le radici dell’autonomia scolastica affondano nella Carta costituzionale: la scuola è aperta a tutti (Art. 34) ed «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (Art. 3). Spieghiamolo meglio così: il luogo dove si nasce non può e non deve essere ostacolo all’emancipazione umana. Tutte le scuole, si trovino esse nella periferia degradata di una metropoli siciliana, campana o nelle terre desolate, luogo di emigrazione e spopolamento, della Basilicata, devono avere come fine, utilizzando mezzi, metodi e risorse differenti, il pieno sviluppo della persona umana.

Sono stati pubblicati questi due libri preziosi su scuola e democrazia proprio nel bel mezzo del dibattitto politico che lo scorso giugno ha avuto seguito nell’approvazione alla Camera dei deputati del disegno di legge sull’autonomia differenziata. Non sappiamo ancora le ripercussioni del ddl sulla scuola, ma è di certo un colpo di scure sui principi di uguaglianza formale e sostanziale della nostra Costituzione: con l’autonomia differenziata viene sancita per legge la disuguaglianza territoriale dei cittadini, quindi l’ineguaglianza sociale ed educativa. È un duro colpo anche al principio di libertà: «l’uomo non può essere libero se non gli si garantisce un’educazione sufficiente per prendere coscienza di sé, per alzare la testa dalla terra e per intravedere, in un filo di luce che scende dall’alto in questa sua tenebra, fini più alti» (Piero Calamandrei, 2008: 27). 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
Note
[1] Cfr. la poesia “Salmo alla casa e agli emigranti” in Rocco Scotellaro, Tutte le poesie 1940-1953, Mondadori, Milano 2004: 140.
[2] Cfr. Michele Gesualdi, Don Lorenzo Milani. L’esilio di Barbiana. Con i contributi di Tomaso Montanari, Andrea Riccardi, don Luigi Ciotti, San Paolo Edizioni, Cinisello Balsamo (MI) 2023: 265 – 268.  
[3] Antonella Di Bartolo, Domani c’è scuola, Mondadori, Milano 2024: 15 e 16.
[4] Ivi: 18
[5] Ivi: 21
[6] Franco Lorenzoni, Educare controvento, Sellerio, Palermo 2023: 125
[7] Vincenzo Consolo, L’olivo e l’olivastro, Mondadori, Milano 2007:75 e 76.
[8] Carla Melazzini, Insegnare al Principe di Danimarca, Sellerio, Palermo 2011.
[9] Rocco Scotellaro e Manlio Rossi-Doria, Fare scuola al Sud. Scritti su divario educativo, disuguaglianze e democrazia, e cura di Pancrazio Toscano, Donzelli Editore, Roma 2024: 163
[10] Antonella Di Bartolo, Domani c’è scuola, op. cit.: 123.  
[11] Cfr. Carlo Levi, in “Scuola democratica”, 1949
[12] Rocco Scotellaro e Manlio Rossi-Doria, Fare scuola al Sud, op. cit,: 125 e 126

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Salvina Chetta, vive a Mezzojuso (PA). Si è laureata in Lettere moderne ed è insegnante di Sostegno nella scuola primaria. Ha fatto parte della Compagnia del Teatro del Baglio di Villafrati (PA). È appassionata di fotografia e ha pubblicato alcuni saggi sull’emigrazione siciliana in Tunisia. Per la rivista “Nuova Busambra” ha curato la rubrica “Nìvura simenza” sulle scritture popolari.

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