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La vita sociale delle cose nel Medio Campidano

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CIP

di Felice Tiragallo

Dal 7 giugno al 15 luglio 2024 si è tenuta a Sardara (provincia del Sud Sardegna) una esposizione dal titolo: “La rivolta nell’oggetto. Passato, presente e futuro nella cultura materiale contadina: la collezione Garau-Atzori”, allestita nella casa Pilloni.

Il curatore, Nicolò Atzori, chiarisce nella locandina il suo proposito di cercare una convergenza fra linguaggi demologici, concettuali e modi di comunicazione digitale capaci di restituire una sia pure limitata provvisoria interpretazione della quotidianità moderna del mondo contadino campidanese, di cui Sardara è uno dei centri più importanti.

Come nota Marco Cazzaniga in “Sardington Post”, 8 giugno 2024:

«Caratteristica di La rivolta nell’oggetto, non è tanto la ricchezza o l’originalità del materiale esposto, preziose testimonianze della cultura contadina provenienti dalla collezione privata Garau-Atzori, ma la formula propositiva, capace di mettere in relazione/contrapposizione oggetti del passato e della contemporaneità, inducendo in contraddizione anche il visitatore, stimolato a rapportarsi in modo critico alle categorie concettuali evocata dagli oggetti».

da "La rivolta nell'oggetto", mostra a Sardara

da “La rivolta nell’oggetto”, mostra a Sardara

Si tratta di un terreno espositivo volto a generare riflessioni più vaste. Esse abbracciano il tema del tempo, quello della vita effimera degli oggetti nel contemporaneo e il tema di fondo della sostenibilità e della tutela ecologia.

Quindi gli oggetti sono disseminati e disposti nello spazio espositivo come gli indizi di un’indagine e chiedono al visitatore un ruolo attivo, una disponibilità da parte sua ed essere provocato e sollecitato, alla sua capacità di accogliere gli spiazzamenti delle esposizioni, e, talvolta, il voluto minimalismo degli interventi e il loro giocare sulla loro stessa labile visibilità. L’esposizione si articola anche nella presenza fisica di alcuni volumi che hanno trattato in antropologia culturale il tema del mutamento e della crisi demografica di questi paesi in tutto il sud Europa.

da "La rivolta nell'oggetto", mostra a Sardara

da “La rivolta nell’oggetto”, mostra a Sardara

Ma la sfida è quella soprattutto di creare nei visitatori delle domande e degli imbarazzi, perché le connessioni continuamente proposte sono quelle fra oggetti “tradizionali”, che siamo automaticamente abituati a connotare dalla loro storia e dalla loro biografia di oggetti esemplari di mondi contadini, ad altri oggetti, a volte di plastica, a volte di materiali ancora più labili e anonimi, oggetti che hanno di fatto sostituito in modo inesorabile i precedenti e che ci sfidano proprio sul terreno di riconoscere in essi le tracce della stessa vita e  della stessa memoria sociale.

da "La rivolta nell'oggetto", mostra a Sardara

da “La rivolta nell’oggetto”, mostra a Sardara

Si tratta, con ogni evidenza di percorsi e di riflessioni che ormai hanno una notevole tradizione negli studi di antropologia culturale, dall’Arjun Appadurai della vita sociale delle cose, alle riflessioni di Daniel Miller e della sua scuola sugli oggetti del quotidiano nella modernità, a quelle di Jean-Pierre Warnier sui sistemi di approvvigionamento e sui saperi nella cultura materiale che si collegano all’uso dei prodotti in serie, che entrano in modo effimero nelle nostre case ma che vi tracciano, in ogni caso una presenza e sono comunque capaci di generare un affiatamento e una memoria precisa in chi li adopera e in chi convive con loro per un certo periodo.

Il trasferire questo discorso sulla cultura materiale contadina campidanese consente a Nicolò Atzori di far avanzare il discorso museale etnografico in una direzione senz’altro feconda e di collocare criticamente queste nuove famiglie di oggetti, dall’utensileria domestica, ai telefonini, considerati nella loro velocissima obsolescenza, nel quadro di una attualità complessa, vista in modo lucido, e in fondo, speranzoso.

Casa Pillon,  Sardara, sede della mostra

Casa Pillon, Sardara, sede della mostra

Gli spazi di Casa Pilloni son0 quindi utilizzati per un percorso indiziario, sono gli accostamenti fisici, le messe in evidenza di manufatti appesi ai muri o disposti sui tavoli, senza troppa enfasi e senza troppe sottolineature grafiche o nella illuminazione, a suggerire connessioni a chi visita. Il grumo di interrogativi di fondo riguarda sia la dimensione pubblica della percezione di che cosa sono oggi i paesi dell’isola, di qual è il loro futuro nella prospettiva apparentemente già scritta dell’indebolimento demografico.

Ma si tratta anche di quesiti sul nostro rapporto con le cose, sul tema della sostituibilità e del rapporto con beni che ci accompagnano nella vita in modo più affollato e più effimero rispetto al patrimonio materiale della tradizione agricola. Qui si avverte la consapevolezza del curatore, che ha letto e assimilato in profondità la lezione di antropologi come Giulio Angioni e di chi con lui ha ragionato sul mutamento sociale di questi mondi contadini.

In uno dei pannelli espositivi della mostra si legge: “Cosa resta di quel mondo? Restiamo noi”.

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024

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Felice Tiragallo è professore associato di discipline demo-etnoantropologiche presso l’Università degli Studi di Cagliari. Si occupa di mutamento culturale, di antropologia visuale e di cultura materiale. Dirige, presso l’Ateneo di Cagliari, il Laboratorio di Etnografia Visiva. Fra i suoi testi: Restare paese (2005), Visioni intenzionali (2013) e Max Leopold Wagner fotografo. La Sardegna oltre il linguaggio (2018).

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