Con la Esortazione apostolica Evangelii gaudium, divulgata il 24 novembre, papa Francesco offre, come appare da una lettura diretta, pur se parziale e riduttiva, delle sue parole, un quadro di riferimento teologico al suo”fare” che in nove mesi ha segnato una significativa svolta nel governo della Chiesa cattolica. Un’Esortazione non è un’Enciclica indirizzata ai vescovi e ai fedeli, ma un documento che il Papa elabora, quasi ad uso interno alla Comunità ecclesiale, a partire dalle Proposizioni che il Sinodo dei vescovi produce come frutto dei suoi lavori. Questa è frutto dell’ultima sua sessione dell’ottobre 2012 su La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana. Costituisce, però, anche un segno di valorizzazione della Istituzione Sinodo, per la coincidenza con la convocazione della sessione del prossimo autunno sulla famiglia, eccezionalmente integrata dalla diffusione del Questionario di 38 domande sui temi, che essa sarà chiamata ad affrontare, indirizzato ai vescovi di tutto il mondo con l’invito a coinvolgere i fedeli nella ricerca delle risposte. Scrive, infatti, il papa: «Ho accettato con piacere l’invito dei Padri sinodali di redigere questa Esortazione. Nel farlo, raccolgo la ricchezza dei lavori del Sinodo – aggiungendo, però, che in essa desidera indirizzarsi a tutti i fedeli cristiani, – per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni». Si tratta di un vero e proprio programma di governo nel quale intende coinvolgere tutta la Chiesa nelle sue diverse componenti perché anche i laici siano considerati responsabilmente coinvolti nella missione evangelizzatrice della Chiesa.
In tale prospettiva l’Esortazione costituisce un segno di discontinuità rispetto ai suoi predecessori, pur se non ci sono novità nei confronti di due temi considerati essenziali da molti cattolici conciliari: sacerdozio alle donne e celibato, ai quali dedica, insieme all’aborto e al divorzio, ben poca attenzione. Centrale è la Trasformazione missionaria della Chiesa. È una Chiesa in uscita quella che il papa intende presentare dichiarandola bisognosa di improrogabile rinnovamento perché «tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria. … La Chiesa “in uscita” è una Chiesa con le porte aperte. … Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze … Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione». In questa idea di Chiesa, che emerge dalle parole del papa, non c’è il consueto trionfalismo ma, piuttosto, il richiamo ad una Chiesa missionaria impegnata nel proclamare l’annuncio della salvezza e non ad imporre con insistenza le verità che le sono state affidate. In questa Chiesa non si deve «attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare decentralizzazione». Fondamentale è quindi la valorizzazione delle Conferenze episcopali, concepite come espressioni delle Chiese locali e non solo come rappresentanze territoriali della Chiesa universale, quasi corpo intermedio di una collegialità di tutti i vescovi uniti intorno al papa. «Il Concilio Vaticano II ha affermato che, in modo analogo alle antiche Chiese patriarcali, le Conferenze episcopali possono “portare un molteplice e fecondo contributo, acciocché il senso di collegialità si realizzi concretamente”. Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale».
Questo ritardo denunciato nel documento è frutto di una concezione centralistica del papato piuttosto ispirata al Concilio Vaticano I che aveva sancito l’infallibilità del papa. Francesco non la condivide e afferma: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato. A me spetta, come Vescovo di Roma, rimanere aperto ai suggerimenti orientati ad un esercizio del mio ministero che lo renda più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli e alle necessità attuali dell’evangelizzazione … Anche il papato e le strutture centrali della Chiesa universale hanno bisogno di ascoltare l’appello ad una conversione pastorale. … Un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria».
Spetta infatti a ogni Chiesa particolare, porzione della Chiesa Cattolica sotto la guida del suo Vescovo farsi soggetto dell’evangelizzazione, in quanto è la manifestazione concreta dell’unica Chiesa in un luogo del mondo, e in essa «è veramente presente e opera la Chiesa di Cristo, una, santa, cattolica e apostolica».Poiché la Chiesa incarnata in uno spazio determinato è la più adatta ad integrarsi con le culture locali. L’evangelizzazione è fondata sul dialogo che non può essere efficace se non ci si pone in condizione di attenzione alle culture locali e alla pari con l’interlocutore, senza ovviamente rinunciare alla propria dottrina, accettando senza timore la sfida dell’inculturazione della fede. Il cristianesimo infatti non ha un suo modello culturale ma, fin dalle sue origini, si è incarnato nelle culture dei popoli che non solo sono diverse ma soggette nel tempo a enormi e rapidi cambiamenti; questi richiedono che prestiamo una costante attenzione per cercare di esprimere le verità di sempre in un linguaggio che consenta di riconoscere la sua permanente novità, poiché, nel deposito della dottrina cristiana «una cosa è la sostanza […] e un’altra la maniera di formulare la sua espressione».
Sebbene sia vero che alcune culture sono state strettamente legate alla predicazione del Vangelo e allo sviluppo di un pensiero cristiano, il messaggio rivelato non si identifica con nessuna di esse e possiede un contenuto transculturale. Il papa non riconosce con ciò che tutte le idee e le opinioni hanno lo stesso valore, si propone solo di assumere, come criterio del dialogo, il pieno rispetto della coscienza dell’altro senza pretendere che sia ben informata, secondo la formula con cui, in passato ma anche al presente, si neutralizza il valore delle coscienze individuali. Per realizzare una evangelizzazione così intesa non ci si deve preoccupare di trasmettere «una moltitudine di dottrine che si tenta di imporre a forza di insistere», ma piuttosto, concentrarsi «sull’essenziale, su ciò che è più bello, più grande, più attraente e allo stesso tempo più necessario. La proposta si semplifica, senza perdere per questo profondità e verità, e così diventa più convincente e radiosa». Il suo annuncio non tende alla conversione, ma costituisce, attraverso il coinvolgimento di coloro che ne sono portatori, un contributo allo sforzo comune di costruire la storia degli uomini a partire dal superamento delle disparità e delle ingiustizie che la caratterizzano. Centrali, infatti, nell’annuncio della Buona novella sono i suoi destinatari: i poveri. Essi hanno un posto preferenziale nel cuore di Dio, «tanto che Egli stesso “si fece povero” (2 Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri. Questa salvezza è giunta a noi attraverso il “sì” di una umile ragazza di un piccolo paese sperduto nella periferia di un grande impero. Il Salvatore è nato in un presepe, tra gli animali, come accadeva per i figli dei più poveri; è stato presentato al Tempio con due piccioni, l’offerta di coloro che non potevano permettersi di pagare un agnello (cfr Lc 2,24; Lv 5,7); è cresciuto in una casa di semplici lavoratori e ha lavorato con le sue mani per guadagnarsi il pane. … Per la Chiesa l’opzione per i poveri è una categoria teologica prima che culturale, sociologica, politica o filosofica. Ispirata da essa, la Chiesa ha fatto una opzione per i poveri intesa come una forma speciale di primazia nell’esercizio della carità cristiana, della quale dà testimonianza tutta la tradizione della Chiesa … Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri». A partire da questa realtà, riaffermata con forza, papa Francesco affronta quelle che chiama le sfide del mondo attuale che, sulla base «dell’idolatria del denaro che governa invece di servire, producono l’economia dell’esclusione e l’iniquità che provoca violenza».
Nel testo l‘analisi dei meccanismi, attraverso i quali si produce e si conserva tale sistema, è puntuale e concreta ma non assume la pretesa di dare lezioni di economia, rivela piuttosto l’intento di richiamarne gli effetti sull’evangelizzazione.«Prima di parlare di alcune questioni fondamentali relative all’azione evangelizzatrice, conviene ricordare brevemente qual è il contesto nel quale ci tocca vivere ed operare. …. Non è compito del Papa offrire un’analisi dettagliata e completa sulla realtà contemporanea, ma esorto tutte le comunità ad avere una sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi». A tale scopo richiama con forza i cattolici al loro dovere di non essere complici della sua costruzione e della sua conservazione per gli effetti negativi che produce senza, però, misconoscerne quelli positivi. «L’umanità vive in questo momento una svolta storica che possiamo vedere nei progressi che si producono in diversi campi. Si devono lodare i successi che contribuiscono al benessere delle persone, per esempio nell’ambito della salute, dell’educazione e della comunicazione. Non possiamo tuttavia dimenticare che la maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo vivono una quotidiana precarietà, con conseguenze funeste . Per questo : oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della iniquità”… Questa economia uccide. Non è possibile che non faccia notizia il fatto che muoia assiderato un anziano ridotto a vivere per strada, mentre lo sia il ribasso di due punti in borsa. … Alcuni ancora difendono le teorie della “ricaduta favorevole”, che presuppongono che ogni crescita economica, favorita dal libero mercato, riesce a produrre di per sé una maggiore equità e inclusione sociale nel mondo. Questa opinione, che non è mai stata confermata dai fatti, esprime una fiducia grossolana e ingenua nella bontà di coloro che detengono il potere economico e nei meccanismi sacralizzati del sistema economico imperante». Purtroppo, riconosce il papa, nella Chiesa fedeli e pastori si lasciano tentare e partecipano del sistema godendone i privilegi, precludendosi, ovviamente, il diritto di denunciarli. «Non condividere i propri beni con i poveri significa derubarli e privarli della vita. I beni che possediamo non sono nostri, ma loro» (Giovanni Crisostomo). Nei loro confronti dura e circostanziata è la condanna del papa che, ridimensionando le stesse opere assistenziali alle quali singoli e associazioni si dedicano con zelo, esorta tutti a coinvolgersi direttamente nell’azione volta a combattere l’ingiustizia e la diseguaglianza insieme a chi s’impegna per il bene della società. «Vi esorto alla solidarietà disinteressata e ad un ritorno dell’economia e della finanza ad un’etica in favore dell’essere umano. I piani assistenziali, che fanno fronte ad alcune urgenze, si dovrebbero considerare solo come risposte provvisorie. Finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali della iniquità non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’iniquità è la radice dei mali sociali… Non possiamo più confidare nelle forze cieche e nella mano invisibile del mercato… Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri!»
Dialoghi Mediterranei, n.5, gennaio 2014