Stampa Articolo

Hilma Granqvist (Suppu 1890 – Helsinki 1972) e le donne di Artas in Palestina

Hilma ilma Granqvist (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Hilma Granqvist (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

di Vanessa Maher, Bianca Tarozzi

La vita e il lavoro di un’antropologa finlandese, Hilma Granqvist, sono al centro di questo saggio. Granqvist nacque nel 1890, primogenita di una famiglia agiata di Suppu, trasferitasi a Helsinki e parte della minoranza finlandese di lingua svedese, allora circa il 15% e adesso circa il 5% della popolazione in Finlandia. Il movimento nazionalista finlandese promuoveva gli interessi della popolazione contadina e la lingua finlandese come veicoli di emancipazione dal controllo svedese e tendeva a mettere in cattiva luce chi ancora parlava svedese, una élite con caratteristiche borghesi.

Possiamo immaginare che Hilma Granqvist, nata alla fine dell’Ottocento, oltre al fatto di far parte di una minoranza non benvista in patria, incontrasse anche alcuni ostacoli di genere sulla strada dell’emancipazione. A quei tempi una ragazza istruita poteva solo fare la maestra. In conformità con questa aspettativa, dopo aver completato la scuola superiore, Granqvist si iscrisse ad una scuola per la formazione di maestre di scuola primaria e insegnò per alcuni anni. Secondo la sua biografa Sofia Ha”ggeman (2023) era stata un’adolescente “brooding” che vuol dire sia “pensierosa” sia ”malinconica”, ma era anche incuriosita dalle persone. Fra le sue compagne di corso si trovava Helena Westermarck, più anziana di alcuni anni, e divennero amiche. Con Helena per tutta la vita scambiò delle lettere settimanali. Conobbe anche suo fratello, l’antropologo Edvard Westermarck (1862-1939), anche lui di lingua svedese. A causa delle sue posizioni filosofiche più affini a John Stuart Mill e Herbert Spencer che agli idealisti tedeschi, emigrò a Londra, dove diventò docente presso la London School of Economics e contribuì con Leonard Trelawney Hobhouse (1864-1929) alla fondazione della scuola londinese di sociologia. Westermarck insegnò anche filosofia all’Università di Helsinki, e più tardi presso l’Università Abo Akademi di Turku.

Granqvist si iscrisse all’Università di Helsinki dove, sempre mantenendosi con l’insegnamento, studiò “filosofia pratica” con Gunnar Landtmann, docente impegnato in ricerche nella Nuova Guinea. Propose invece a Granqvist di svolgere una tesi di dottorato sulle donne nel Vecchio Testamento, tema che Hilma commentò più tardi con ironia. La ricerca biblica la portò a Berlino dove segui un corso di teologia e archeologia. Qui incontrò Leonard Jost, un teologo con il quale iniziò una relazione piuttosto tormentata [1].

Nel 1925 con una missione archeologica berlinese partì per la Palestina dove non trovò tracce delle donne della Bibbia. Su consiglio di Bertha Vesta Stafford, missionaria della colonia americana di Gerusalemme, e di Signe Elkade, direttrice della Scuola svedese, istituto laico, interclassista e interculturale, visitò il villaggio di Artas, abitato da arabi per lo più musulmani, e ne rimase affascinata. Artas si trovava poco fuori Gerusalemme e a quattro chilometri da Betlemme. Oggi il villaggio sarebbe compreso nella Cisgiordania. Granqvist fu accolta calorosamente da Luisa Baldensperger, figlia di missionari alsaziani, nata ad Artas e amata dalla popolazione. Sitt Luisa, come era chiamata nel villaggio, le presentò due donne del luogo, Alya e Hamdiya che divennero preziose interlocutrici. Insieme e con l’aiuto di Sitt Luisa, che parlava il dialetto del villaggio ma non conosceva l’arabo classico o scritto, ricostruivano i testi delle poesie e canzoni con le quali le donne di Artas erano solite accompagnare le loro vite difficili. All’inizio Sitt Luisa aiutava Granqvist come interprete e più tardi traduceva in lettere latine i testi che questa raccoglieva. Il linguaggio fu controllato da Elias Haddad, insegnante e etnologo, recando un contributo importante alle conoscenze delle lingue locali (Serignano 1999). Queste ricerche, svolte soprattutto fra donne e bambini, formarono la base della tesi di dottorato e di diverse pubblicazioni successive di Hilma Granqvist (1931,1935, 1947,1950, 1965). «The character of my treatise is largely due to the fact that it was women who gave me my material» (Granqvist: 1931).

Hilma Granqvist (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Hilma Granqvist ad Artas (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Per tre anni fra il 1925 e il 1931 Hilma Granqvist si impegnò in ricerche etnografiche ad Artas e poi, seguì le sue vicende attraverso la sua corrispondenza con amici e amiche. L’antropologa Willy Jansen sostiene che Hilma Granqvist sia solo una delle donne dimenticate che compirono ricerche di valore nel Medio Oriente nei primi decenni del Novecento (Jansen 2010). I lavori di Granqvist sulla Palestina e di Westermarck, suo mentore, non figurano nei manuali di antropologia e appartengono, è ovvio, a tempi e scuole passati. Chi scrive li lesse negli anni Settanta cercando una chiave interpretativa per le mie ricerche nel Medio Atlante del Marocco. L’antropologo, Ali Qleibo, tuttavia, ci mette in guardia contro i facili confronti e nota quanto sia stata importante per il lavoro di Granqvist la serendipità, una convergenza unica di fattori contingenti e storici: 

«on the one hand, Occidental discourses in the field of Oriental studies, Christian eschatology, colonialism and anthropology and, on the other, a period in local Palestinian historical development beginning with Napoleon’s siege of Acre and Ibrahim Pasha’s occupation of Greater Syria and culminating with the British mandate and the Balfour Declaration» (2023: 18). 

L’arrivo di missionari cristiani accelerò dopo l’apertura dell’impero ottomano alla modernizzazione (epoca Tanzimat 1839-76, specie sotto Abdul Aziz 1861-76) dando nuovo impulso all’istruzione nei millet cristiani prima e all’attività delle missioni europee e americane protestanti, spesso in concorrenza fra di loro in Terra Santa [2]. Per avere accesso all’istruzione, necessaria per la modernizzazione dello Stato, molti musulmani ed ebrei in questo periodo si convertirono a qualche denominazione cristiana (Tibawi:1961). Ricordiamo gli antenati di Edward Said (1935-2003), Amin Makhlouf (1949- ) e del medico ed etnologo Tawfik Canaan (1882-1964). D’altra parte ad Artas «nel 1921 the kind example of the Christian missionaries for almost eighty years had heightened the Artesis’sense of identity as Muslims» (Qleibo: 2023: 18). Questo spiega, secondo lui, sia l’elaborazione dei riti di passaggio sia la familiarità delle interlocutrici di Granqvist, Hamdiya e Alya, donne analfabete, con il Corano e il Sunna.

La presenza diffusa dei missionari, soprattutto protestanti, indusse Tawfiq Canaan medico e etnologo (1882-1964) a fondare negli anni Quaranta il movimento folclorico palestinese. Canaan, cristiano ed educato in istituzioni tedesche, era ostile alle politiche dell’amministrazione britannica e all’immigrazione di ebrei sionisti. Collocava i fellahin (contadini) prima del 1948 al centro dell’identità palestinese. Sembra che Hilma Granqvist l’abbia visitato un paio di volte. Negli anni 1970 Sharif Kanaana, antropologo e folclorista, sviluppò l’attenzione al patrimonio culturale palestinese (Naïli 2008:10).

Il tema ufficiale delle ricerche di Granqvist fu «le donne del Vecchio Testamento», ma nelle introduzioni ai suoi libri su Artas, Hilma criticava i suoi colleghi per avere ceduto al «pericolo biblico». Dichiarava di aver incontrato una popolazione araba viva, non tracce di chi abitava nella valle 3000 anni prima, anche se in qualche nota le mette a confronto. Oggi, l’atteggiamento di Granqvist sarebbe considerato positivamente in quanto non orientalista (Qleibo 2023), ma non era condiviso dai suoi docenti e mentori archeologi e teologi a Helsinki e a Berlino. Questi respinsero la sua tesi di dottorato obiettando che fosse basata su una ricerca in un solo villaggio. Erano abituati ad un approccio comparativo e speculativo – «la raccolta delle farfalle» come lo chiamò Edmund Leach – dal quale sarebbero emerse delle ipotesi sull’evoluzione delle istituzioni umane, come il matrimonio oppure la religione. Quest’approccio, evidente per esempio nei volumi del Ramo d’Oro di James Fraser, era stato abbandonato da gran parte degli antropologi europei e americani contemporanei di Granqvist. Malinowski aveva dedicato la sua attenzione agli abitanti delle isole Trobriand, un piccolo arcipelago melanesiano. «The ethnographer in the field must study everything and the connections between them and to this end he should make an intensive study in a limited space, avoiding comparative studies and generalisations» (Granqvist 1931: 4). Granqvist sostenne di essere arrivata prima di Malinowski a questa conclusione (Granqvist 1947).

Artas, scorcio (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Artas, scorcio (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Quando la tesi di Granqvist fu respinta ad Helsinki, si rivolse al suo amico Edvard Westermarck, nel frattempo diventato professore di antropologia alla Abo Akademi di Turku, anche se passava parte di ogni anno a Londra. Granqvist si trasferì per alcuni mesi a Londra dove ascoltò le lezioni di Westermarck ma anche quelle di Malinowski e di Raymond Firth. I suoi lavori furono recensiti da Margaret Mead ed Evans-Pritchard. Concluse di avere più in comune con questi che chiamava The New School che con i docenti di Helsinki, The Old School. Presentando il primo volume sul matrimonio ad Artas, Granqvist riuscì alla fine a conseguire il dottorato in filosofia pratica, prima donna in Finlandia, non a Helsinki, ma alla Abo Academi di Turku, dove insegnava Westermarck. Costui, autore di un volume su The Human Marriage, era vicino ai comparativisti ed evoluzionisti, the Old School, ma, reduce di anni di ricerche svolte nel Marocco settentrionale, soprattutto su rituale e magia, apprezzava l’etnografia empirica di Granqvist.

Alcuni anni dopo, Granqvist si presentò candidata per un posto di docente a Helsinki, suscitando polemiche e critiche al suo lavoro. Alla fine, ottenne soltanto una menzione di idoneità. Consapevole degli ostacoli che avrebbe affrontato per ottenere un lavoro presso l’università, fece domanda per un posto di preside di una scuola di formazione per insegnanti, anche qui senza esito. Dopo il successo di un suo lavoro divulgativo sulla famiglia araba, decise di dedicarsi a questo genere per guadagnarsi da vivere e di continuare con le sue ricerche, sostenuta dai fondi privati di associazioni di donne americane e svedesi e da suo fratello Walter.

L’etnografia e lo stile di scrittura di Granqvist – piena di tabelle, genealogie e descrizioni di casi – sono certamente di stampo positivista. Tuttavia, nei suoi libri sui bambini, citò Boas: 

«I have tried to describe the personal side and the behaviour of individuals, and not only general rules, prescriptions and customs». Criticava gli sforzi dei missionari di educare i bambini fuori del proprio ambiente: «Westerners living among people of other cultures should show genuine respectf for their traditions and look at the world with their eyes» (Granqvist 1947). 
Fortezza di Artas (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Fortezza di Artas (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Dai tempi di Granqvist il dibattito sul positivismo e sulla scrittura etnografica è stato vivace, e vi hanno preso parte negli anni Settanta e Ottanta molte antropologhe, mettendo in discussione la pretesa obiettività e autorialità dell’etnografia (Clifford e Marcus, 1986; Behar, R. 1995). Il volume Sentimenti velati. Onore e poesia in una società beduina (egiziana) (1° ed. 1989) dell’antropologa americana, Lila Abu-Lughod, descriveva le poesie, comprese da pochi intimi, che le donne e uomini giovani, che dovevano mostrare autocontrollo e pudore, componevano per esprimere sentimenti estremi. Le donne di Artas accompagnavano i riti di passaggio, come la circoncisione e il matrimonio, con delle belle canzoni. Di queste Granqvist, grazie alle sue interlocutrici, raccolse molti esemplari, ma senza commento, come se fossero opachi per lei. Si potrebbe sospettare che anche le poesie palestinesi di Artas comunicassero dei sentimenti illegittimi. Secondo Qleibo sentiamo nell’etnografia di Granqvist soprattutto le voci delle sue interlocutrici, meno la sua.

Nonostante Artas fosse presentato come un villaggio palestinese, in qualche modo tipico, la sua storia era particolare. La sua valle, fertile e ricca d’acqua, era indicata da viaggiatori musulmani come il Paradiso e da studiosi e missionari, come il luogo in cui re Salomone intonò i suoi inni e le lodi dell’amata. I suoi laghi portavano il nome di Solomon’s Pools. Ali Qleibo obietta che gli abitanti arabi avessero dato il nome di Salomone agli stagni in onore non del Salomone biblico ma di Suleiman il Magnifico che costruì gli acquedotti per Gerusalemme nel XVI secolo. A metà Ottocento la valle fu scelta da diversi gruppi missionari europei e di millenaristi americani, come il luogo in cui aspettare il Messia. Così i paesaggi immaginari competono nel sovrimporsi a quello “naturale”.

Quando Napoleone si ritirò dalla Palestina all’inizio dell’Ottocento la zona di Artas fu funestata da un periodo di caos. Il villaggio fu saccheggiato dai beduini e gli abitanti si rifugiarono nella guarnigione ottomana sovrastante la valle e lì vissero per vent’anni. Secondo Ali Qleibo ci sono alcune indicazioni che gli abitanti stessi di Artas, oggi contadini, siano di origini beduine [3]. Nel frattempo il console britannico James Finn e più tardi John Meshullam, ebreo britannico convertito al cristianesimo, pagò i debiti dei contadini verso i beduini in cambio di alcuni campi per i fellahin da lavorare come mezzadri. Meshullam vendette altri campi a stranieri, fra i quali i genitori di Louisa Baldensperger, missionari alsaziani che si prodigavano in opere di bene verso la popolazione, e un convento di suore. La generosa accoglienza dei residenti di Artas verso Sitt Halima, come chiamavano Granqvist, può in parte attribuirsi a questi precedenti positivi. Più tardi Granqvist compì delle ricerche sulla colonia di millenaristi americani, mai pubblicate.

Tessitura ad Artas (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Tessitura ad Artas (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Prima della fine della Grande Guerra, prevedendo la sconfitta dell’impero ottomano, le terre della Palestina erano state divise fra la Francia e la Gran Bretagna secondo l’accordo segreto Sykes Picot. Nel 1917 con la Dichiarazione Balfour si decise di fare della Palestina una national home non solo per gli ebrei già residenti nell’area ma anche per quelli che avrebbero voluto trasferirsi in quella che vedevano come la Terra Promessa. Nel 1922, quando la zona fu assegnata alla Gran Bretagna con mandato della Società delle Nazioni, durato fino al 1948, nelle terre di Israele e di Canaan vivevano circa 83 mila ebrei, 71 mila cristiani in gran parte arabi, 103 mila nomadi beduini e i rimanenti, circa 500 mila arabi musulmani. Alcune di queste persone, compresi alcuni missionari cristiani, compaiono nella corrispondenza che Granqvist mantenne in svedese, tedesco, francese oppure inglese, dopo il suo ritorno in Finlandia. Particolarmente interessanti sono le lettere di Bertha Stafford Vesta, un’americana cresciuta a Gerusalemme, l’unica corrispondente che descrive con crescente angoscia negli anni Trenta e Quaranta, sia il consolidarsi del Nazismo in Germania, sia i conflitti fra ebrei e arabi in Palestina, allora sotto mandato britannico. Granqvist sembra evitare questi temi nella sua etnografia come se Artas esistesse in un vuoto politico. Non dobbiamo dimenticare, da una parte, che la Finlandia era alleata della Germania e dall’altra che le sue simpatie erano con gli arabi di Artas.

Granqvist fu la prima donna a conseguire un Master all’Università di Helsinki, dove i suoi docenti erano tutti uomini. Questi rifiutarono la sua tesi di dottorato su Artas e la sua candidatura per un incarico accademico. Invece ottenne borse di studio dell’American Association of University Women e del fondo Elin Wägner, femminista e pacifista svedese. Nella sua biografia, tuttavia, non ci sono tracce di femminismo, anche se i suoi anni di gioventù coincidevano con le battaglie per il voto in Inghilterra e altrove. Forse ne ebbe sentore dalla sua amica Helena Westermarck, pittrice di una certa fama, una delle numerose artiste scandinave che studiavano a Parigi all’inizio del secolo vicine agli impressionisti. Si chiamarono Il Circolo delle sorelle e simpatizzarono per le suffragiste.

Un matrimonio ad Artas (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Un matrimonio ad Artas (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Granqvist coltivò delle amicizie importanti non solo con Helena Westermarck ma anche con Signe Elkade, direttrice della scuola svedese di Gerusalemme e con le insegnanti arabe della scuola. Legò con Louisa Baldensperger, più anziana di vent’anni che, insieme alle vedove Alya e Hamdiya di Artas, rese possibile la sua ricerca, offrendo informazioni e accoglienza. La scelta, evidente nei primi quattro libri, di lavorare con donne e bambini, fu in un certo modo obbligata, imposta non solo dai suoi docenti a Helsinki ma anche dal carattere della società di Artas, in cui ruoli e attività erano segregate per sesso. Granqvist si chiese se ad Artas il fatto di frequentarsi fra solo donne in ogni circostanza non portasse ad un forte sentimento di solidarietà.

Nel primo volume su Artas, Granqvist si soffermò sulla natura «combinata» del matrimonio sia delle donne sia degli uomini. Il padre poteva promettere una bimba in matrimonio fin dalla nascita (mai festeggiata quanto quella di un maschio) a chi gli faceva gli auguri, soprattutto se il padre aveva qualche debito verso costui. Questa è solo una delle tante indicazioni del minor valore delle donne, nonostante svolgessero ruoli importanti in quanto madri, domestiche, artigiane e braccianti agricole. Come in molte società del Medio Oriente e del Nord Africa, il cugino parallelo patrilaterale, figlio del fratello del padre, poteva pretendere di sposare la cugina. Non contenta delle generalizzazioni, Granqvist compilò delle tabelle statistiche elencando tutti i matrimoni che avevano avuto luogo in 100 anni ad Artas, con le loro modalità, e ne trasse la conclusione che il numero reale dei matrimoni fra cugini paralleli non superasse il 5 %.

Nascevano spesso dei conflitti fra le varie persone che avanzavano pretese alla mano della ragazza. L’interessata venne raramente interpellata. Infatti, chiarisce la Granqvist, la regola che voleva che la ragazza dovesse dare il suo consenso significava solo che doveva permettere al padre, fratello o altro parente maschio di decidere per lei. Poteva uscire dal matrimonio solo rifugiandosi presso il padre (hardane).

Granqvist commentò en passant, che ad Artas mancavano le donne. Non approfondì questa osservazione oltre a dire che forse era per questo che il matrimonio fosse così controllato: le donne erano poche perché vivevano male e morivano presto. La loro aspettativa di vita era molto più bassa di quella degli uomini, anche per i rischi ai quali andavano incontro negli anni della fertilità. Gli stessi dati risultano per alcuni luoghi del Marocco, per l’Algeria, per il Libano negli anni Settanta e certamente per la Palestina degli anni Trenta. Per evitare il divorzio o la poligamia, una donna doveva fare molti figli maschi, anche mettendo a rischio la propria salute. Il detto palestinese, raccolto da Granqvist dalle donne di Artas esprime una certa ambivalenza sulla loro sorte. «Every child throws down a pillar of the mother» (Granqvist 1950).

Incontro alla fonte con le greggi (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Incontro alla fonte con le greggi (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

L’archivio di Granqvist, già in gran parte catalogato da lei, consiste di cinque categorie, oltre alle pubblicazioni: corrispondenza, appunti di campo, diari palestinesi (che scrisse per sua madre), più di 1200 fotografie con le loro didascalie, e manoscritti inediti. Il materiale fu diviso, dopo sua morte, fra il British Palestine Exploration Fund e e il Abo Akademi University Library di Turku in Finlandia, dove aveva conseguito il dottorato. L’antropologa britannica Shelagh Weir, studiosa dello Yemen e allora dirigente del Museum of Mankind, organizzò la parte dell’archivio che finì a Londra. A partire da 2018 tutto il materiale lasciato da Hilma Granqvist fu inserito in un archivio digitale, accessibile in inglese e in svedese. Il website è del Society of Swedish Literature in Finland. L’archivio digitale comprende cinque pubblicazioni negli originali inglesi: Marriage Conditions in a Palestinian village in due volumi (1931, 1935), Birth and Childhood among the Arabs (1947), Child Problems among the Arabs (1950) e infine nel Muslim Death and Burial (1959).

Nel 1993, alcuni studiosi palestinesi, di cui l’antropologo Ali Qleibo che è protagonista di un video sull’archivio digitale degli scritti e delle fotografie di Granqvist, hanno cominciato a discutere del valore del suo lavoro come patrimonio culturale palestinese. Musa Sanad, nipote di Hamdiya, diventato insegnante ad Artas, raccolse fondi per la trasformazione della casa di Louise Baldensperger in un museo e per una serie di attività culturali basate sul lavoro di Sitt Halima e Sitt Luisa intese ad attrarre turisti stranieri e fornire sbocchi di lavoro alla popolazione. Naïli Filistin giudica problematica negli scritti di Sanad e di altri l’integrazione delle missionarie europee nella storia di Artas, come se il loro lascito equivalesse a quello di Granqvist e Baldensberger non solo in vista di progetti di collaborazione internazionale, ma anche per la resistenza palestinese alla “cultural disruption” (Said, 1994). Naïli ritiene preziosi gli studi di Granqvist e Baldensberger e anche il travaglio di documentazione e di conservazione svolto da Musa Sanad che morì nel 2005. Ali Qleibo, pur con riserve, dichiara che l’etnografia di Granqvist è l’unica nell’ orizzonte degli studi del Medio Oriente a fornire un ritratto cosi intimo e dettagliato di un villaggio palestinese, e di aver scelto di diventare antropologo dopo averlo letto (2023). 

Artas, madre e bambino (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Artas, madre e bambino (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

L’arte letteraria nell’opera di Hilma Granqvist 

Scrivere poesie e romanzi è un’attività che segue a uno studio delle dinamiche interpersonali e sociali, che sono la materia del romanzo, o alla pura contemplazione che è piuttosto il dominio della poesia. Si tratta di osservare, di studiare, di concentrare la propria attenzione. Forse un’attività “scientifica” quanto creativa. Elizabeth Bishop nella poesia “Anafora”, osserva il mendicante nel parco che contempla il tramonto e definisce uno “studio” quella contemplazione. Di questo “onesto studio” scrive il Petrarca nella “Canzone all’Italia” e la Bishop definisce “studi stupendi la contemplazione del mendicante”. Lo scandire poetico dei riti rende molto fascinosa la lettura del libro sul matrimonio di Hilma Granqvist: mi chiedo se esistano delle raccolte di quei canti rituali. Sembra impossibile che i riti siano rimasti gli stessi ma Granqvist li ha “cristallizzati” per noi. Mi pare che il libro sul matrimonio in due volumi sia il risultato di appunti presi quasi giornalmente, una specie di diario o quaderno di campo. Anche per questo è molto interessante, l’archivio con le carte di Granqvist e la sua corrispondenza con i suoi insegnanti.

Naturalmente queste mie idee sulle premesse della scrittura antropologica e letteraria possono essere discusse e contraddette: in ogni caso conviene dedicare loro una certa attenzione. Altrimenti non si capirebbe perché Malinowski leggesse con tanto entusiasmo Conrad e fosse “addicted” vale a dire “drogato” dalla lettura del Conte di Montecristo di Dumas padre, al punto di rimproverarsi aspramente, nel diario, per aver perso due giorni e mezzo nella lettura. Vorrei soffermarmi un momento sullo sguardo dello scrittore “antropologo” e prendere in considerazione un breve romanzo del genere autobiografico, ma scritto in terza persona, con uno sguardo che si potrebbe definire scientifico. Si tratta del libro di Franca Rovigatti (che è anche poeta e artista grafica) La bambina, (edizioni del Verri, Milano 2018). Il tema di questo libro è la formazione dell’identità, perché la bambina di cui qui si tratta ha due madri, e due famiglie che contraddittoriamente contribuiscono alla sua identità.

Ora questo confluire delle identità, il loro mischiarsi, è ciò che avviene in ogni formazione identitaria che inizia con due separate famiglie, quella paterna e quella materna, spesso in conflitto tra di loro. Ma naturalmente questo ci porta a vedere che perfino in una società così rigidamente strutturata come quella del villaggio palestinese studiato da Granqvist le due componenti familiari possono produrre dei contrasti e delle rotture delle alleanze. L’elemento economico risulta in ogni caso determinante e ci si chiede se esso dia la sola possibilità di evadere da condizioni costrittive. La condizione femminile in questo villaggio mi sembra spaventosa, pure se ci sono delle vie d’uscita, se la donna ritorna nella casa paterna (Granqvist 1931, 1935).

Mi è sembrato interessantissimo l’itinerario esistenziale di Granqvist (1890-1972): finlandese di lingua svedese (e infatti il nome è svedese più che finlandese), che, come racconta la studiosa danese, Kirsti Suolinna, studia alla università di Helsinki ma è allieva del sociologo Edward Westermarck (che insegnò anche alla London School of Economics) e a 30 anni finisce in Palestina, nel villaggio di Artas, vicino a Betlemme dove vive tra il 1925 e il 1931. Nel 1922 era uscito il libro di Malinowski Argonauts of the Western Pacific e Granqvist è consapevole del nuovo approccio antropologico che quel libro inaugurava. La formazione antropologica ricevuta tramite Westermarck e il fortunato incontro di Granqvist con Louise Baldensperger (1862-1939), erudita e amata nel villaggio, servono da spartiacque nella vita di questa antropologa.

Festa ad Artas (dall' archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

Festa ad Artas (dall’ archivio digitale di Hilma Granqvist. URN:NBN:fi:sls-1542959586)

A me sembra che una specie di spaccatura sia iniziale: infatti si tratta di una finlandese che scrive in svedese, e più tardi in inglese, che studia dapprima a Helsinki, ma si laurea alla Abo Akademia di Turku. Vedi in proposito “Swedish-speaking population in Finland” (Wikipedia/org.), poi studia a Lipsia e a Berlino partendo da una tesi di esegesi biblica sui personaggi femminili dell’Antico Testamento. In ogni caso la formazione è filosofica, teologica e archeologica. È interessante l’incontro e l’amicizia di una trentacinquenne (nel 1925) con una donna alsaziana, Luisa Baldensperger, molto più anziana in funzione materna e di maestra.

Una società così fortemente strutturata da mille regole è sicuramente poco accettabile nel 2024 (e anche prima). Una strutturazione simile avveniva e avviene ancora nei monasteri e nei conventi, ma non meraviglia che ora le vocazioni religiose siano rare: poche persone sono in grado di accettare delle regole così minuziose. Mi pare che la solitudine sia impossibile in un contesto sociale così definito e interconnesso.

Ma questa struttura così condizionante era forse dovuta all’isolamento della campagna? Al fatto di non esercitare il commercio ma l’agricoltura? Il lavoro serve ovunque a strutturare il tempo (e Simone Weil parla della “parcellizzazione del tempo”, per esempio in fabbrica, come una condanna). Eppure, questa strutturazione è necessaria: per esempio. chi ha disturbi psichici ha bisogno di una strutturazione del tempo per recuperare una normalità. Nel libro di Hampaté Ba (1901, Mali-1991 Abidjan, Costa d’Avorio) la guerra del 15-18 spezza i legami della tradizione. Altrove si tratta di una migrazione. E dopo il terremoto politico e storico degli anni successivi alla ricerca di Granqvist, gli anni del mandato britannico, la guerra civile, il Nakba, la formazione dello Stato d’Israele, le guerre contro Paesi confinanti, l’occupazione dei Territori, la guerra in corso, cosa è cambiato? 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
[*] Una prima versione di questo articolo fu presentata al seminario Il silenzio delle ragazze del dottorato di Scienze storiche e archeologiche. Memoria, civiltà e patrimonio dell’Università di Bologna, maggio 2022. Ringraziamo le docenti e studenti del dottorato e in particolare Zelda Franceschi per l’invito a confrontarci fra antropologhe e studiose di altre discipline. 
Note
[1] Più tardi Jost si offrì di tradurre in tedesco le opere di Hilma Granqvist ma quando, a lavoro quasi terminato, volle aggiungere il proprio nome come coautore, Hilma si infuriò e le opere furono pubblicate in inglese.
[2] Nel 1809 si istituì The London Society for Promoting Christianity among the Jews, (oggi The Church’s Ministry among Jewish People) che costruì nel 1849 The Apostolic Anglican Church, sede fino a 1914 del consolato britannico. Seguì un Anglo-Prussian Bishopric(1841-1886) per i cristiani in Siria, Mesopotamia Egitto e Etiopia. Gustav Dalman, archeologo e teologo (1855-1941) tedesco agiva a favore degli Svedesi che, fra l’altro, gestivano una scuola per studenti arabi (https://wikipedia.org).
[3] Emmanuel Marx, studioso dei Beduini del Negev, arrivò alla conclusione che oscillassero fra la vita nomade e quella contadina, non seguendo un “ costume”o una“ tradizione culturale” ma a secondo delle condizioni imposte dall’amministrazione militare israeliana e la disponibilità di pascoli (Marx 1967). 

 ________________________________________________________

Vanessa Maher, originaria di Kitale (Kenya), ha conseguito il dottorato a Cambridge (GB) ha poi insegnato antropologia culturale a Torino, Salerno e Verona. Ha svolte ricerche etnografiche e di storia sociale in Marocco, Inghilterra e Italia, pubblicando libri e saggi scientifici.
Bianca Tarozzi, vive a Venezia e a Milano. Ha insegnato letteratura inglese e anglo-americana a Venezia, Milano e Verona; ha tradotto poesie di Elizabeth Bishop, Emily Dickinson, A.E. Hausmann, Robert Wilbur, Louise Glück e i diari di Virginia Woolf. Ha scritto 10 raccolte di poesie vincendo prestigiosi premi letterari.

______________________________________________________________

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>