di Rosy Candiani
Conoscere da vicino un artista non è soltanto occasione per trarre dalle sue opere sollecitazioni di idee, immaginazioni e suggestioni ma diventa anche un varco verso le impareggiabili meraviglie della conversazione che colma sovente le distanze, offre scorci della vita e della ricchezza emotiva di persone memorabili, sia pure attraverso il filtro della riservatezza discreta.
In un’epoca dominata dai social media, di cui si depreca la perdita del contatto umano e l’isolamento in una solitudine “altra” dalla vita, devo spendere un grazie per questi mezzi di comunicazione, che per me sono stati spesso occasione di contatti che da virtuali si sono poi concretamente affacciati alla realtà, aprendo orizzonti nuovi alla mia curiosità artistico-esistenziale. E un ringraziamento a Tunisi dove mi ha portato l’azzardo del caso e che da anni ormai offre, come una scatola magica inesauribile, incontri, scoperte, suggestioni e intrecci culturali impensati.
L’incontro con il pittore scozzese David Bond vive grazie alla casualità di alcune immagini di sue opere, condivise su Facebook da amici comuni: una immediata consonanza di visione, di luoghi del cuore, allusioni a persone e momenti culturali radicati nella personale scoperta e concezione della città; e la curiosità di approfondire la conoscenza oltre la pagina social, assecondata dalla notizia di una sua mostra personale in una galleria di Carthage.
Allo spazio “Imagin” a Carthage sono esposti una trentina tra acquerelli, disegni e collages che “raccontano” la Tunisi di David Bond, la sua visione della città: una cartografia antropomorfica, una cronaca attenta e ironica che si racconta attraverso il disegno e l’acquerello, con didascalie-commenti plurilingue affidate a una grafia regolare e minuta.
Nella presentazione della mostra Bond cita la poetessa palestinese Salma Khadra al-Jayyusi (1925-2023): «ogni città ha la sua ora magica di purezza», l’ora incantatrice e maliarda che possiede ogni città, per chi la sa cogliere, osservandola, e che ha accompagnato, dal 2006, anno della prima esposizione, ogni allestimento delle sue opere nello spazio di Carthage. Il titolo scelto quest’anno, “La règle du jeu”, si presta a diversi piani di lettura e a rinvii allusivi verso una pluralità di riferimenti; è la grande ricchezza di esperienze, letture, suggestioni, conoscenze che Bond ha assorbito, assimilato nel suo percorso intellettuale: emergono in un rapido schizzo di un particolare, come in una semplice allusione che nelle sue risposte, nell’intervista a distanza, apre su nuovi mondi culturali affascinanti. “La regola del gioco”: riferimento all’aspetto ludico del suo lavoro e al gioco al Casinꝺ di Hammam Lif (alla periferia sud di Tunisi, ormai in abbandono), che figura sulla locandina; riferimento al “gioco, alla sfida” nella frase del poeta scozzese John Burnside, deceduto quest’anno, «il trucco è creare un mondo dal niente»: Bond se ne appropria nella presentazione per esprimere la sua lontananza fisica da Carthage che gli fa seguire l’allestimento dalla Scozia natale, a Galston, piccola città a sud di Glasgow; mi invia uno schizzo “dove mi trovo” che mostra la enorme diversità di luce rispetto alla Tunisia: i toni scuri del blu avvolgono gli edifici lasciando il punto di luce artificiale da una piccola finestra e più in basso i colori di una bandiera della Palestina. Burnside gli suggerisce che “the trick”, la sfida, è nel fare, non nel già fatto; nel reinventare una città con sguardo artistico, più che riprodurla fotograficamente.
Dunque David Bond è scozzese (anche se invia un autoritratto in jebba e chechia) ed è importante ricostruire i passi del viaggio che lo ha portato a Tunisi, perché le sue opere si basano sull’esplorazione diretta del paesaggio urbano; è lui stesso a ricordarne i passaggi:
«Sono venuto per la prima volta nel 1981. Stavo per iniziare lo studio della lingua araba all’Università di Oxford e allora ho conosciuto alcuni tunisini che mi aiutavano nell’insegnamento del francese in una scuola superiore nell’est della Scozia. Ho deciso di visitare la Tunisia. Poi ho preso il treno da Tunisi ad Algeri, passando per il Marocco per ritornare in Scozia in treno da Marsiglia. [Notiamo di sfuggita che le frontiere allora erano più aperte di oggi]. Ho vissuto a Tunisi dal 1995 al 2010 e poi sono potuto ritornare in questa città più volte, l’ultima nell’estate 2023».
Con leggerezza e la nonchalance di un racconto biografico paratattico Bond elenca le tappe del suo avvicinamento a Tunisi, glissando con discrezione sui momenti importanti e prestigiosi della carriera, che in parte emergono nella breve nota distribuita all’inaugurazione della mostra: la vicinanza alla missione dei Padri Bianchi; la presenza, dal 1995, all’Institut des Belles Lettres arabes a Tunisi e il coordinamento editoriale della prestigiosa rivista “Ibla”, dettagli che appaiono in controluce in uno dei suoi disegni raccontati; poi, la laurea in Lettere arabe alla Facoltà di scienze umane e sociali a Tunisi, il dottorato negli Stati Uniti, all’Ohio State University nel 2017, con una tesi sulla storia e la nostalgia in Tunisia; e l’insegnamento dell’arabo all’università di Saint Andrews in Scozia. Bond privilegia un resoconto dalle coordinate personali sulla mappa della sua presenza:
«Nel 2018-2019 ho potuto assaporare la vita in periferia, al Kram, nel quartiere dell’ “Oiseau bleu”. La mia esperienza è stata principalmente un’esperienza tunisina. Abitavo vicino alla Facoltà “9 Aprile” dove ho potuto conseguire la laurea in Lingua e Letteratura Araba, trasferendomi poi a Bab el Khadra. Detto questo, nei miei soggiorni ho potuto viaggiare fuori Tunisi. Le ricerche sulla storia dei Padri Bianchi mi hanno portato a visitare Thibar, nel nord-ovest della Tunisia, e di tanto in tanto accompagnavo il rappresentante a Tunisi della Commonwealth War Graves Commission durante le sue visite sul campo. I cimiteri militari della Seconda Guerra Mondiale sono sparsi in tutta la Tunisia, spesso in zone rurali tra cui Oued Zarga, a ovest di Tunisi, o Thibar. Tra le altre cose, un’azienda di Gabes mi ha chiesto di disegnare scene quotidiane nella loro fabbrica. Ma è vero che il mondo dei miei disegni e collages si trova da qualche parte tra lo “Chalet Vert” a Hammam Lif e l’ “Oiseau bleu” al Kram (due noti ristoranti di tradizione)».
Forse il segreto dell’opera di Bond sta in una citazione da lui catturata da Jack Kerouac: «the only people for me are the mad ones …desirous of everything at the same time, the ones who never yawn or say a commonplace thing, but burn, burn, burn like faboulous yellow roman candles exploding like spiders across the stars and in the middle you see the blue centerlight pop and everybody goes ‘Awww»”. Le sue opere, nelle diverse tecniche, sono la rappresentazione visuale della “simultaneità”, della semplicità che non è banalità o luogo comune: possiamo racchiuderle con il termine cronaca, intendendo una simultaneità di presenze in un luogo della città, accostate anche malgrado la distanza diacronica: suggestioni richiamate dall’ora o dal luogo, che diventano epifania e poi presenza, cioè tratto sul foglio. La definizione di cronaca non va però letta nel senso della registrazione distaccata: ci troviamo in presenza di angoli della città che sono i luoghi del cuore dell’artista, accomunati nella loro natura popolare, anima pulsante di una Tunisi viva, caotica ma accogliente: interni di locali, mappe di percorsi mentali, di vie perlustrate in diversi momenti.
Spesso la conoscenza della città risulta più dettagliata di quella di un tunisino: si sa che agli abitanti di una città sfuggono dettagli e segreti emozionali o artistici, per l’abitudine a percorrerne o usarne luoghi, vie, edifici, che colpiscono invece l’attenzione di un viaggiatore esterno e desideroso di “vedere”. Si affacciano, per esempio un suonatore di Oud in un locale, il particolare di un grammofono che intona (le note si librano, come in partitura, nell’aria) “Ordouni zouz beia”, una popolarissima canzone degli anni Venti, molto nota nella colorita e variegata molteplicità sociale, italo-tuniso-ebraica, della medina di Tunisi; o il profilo di Fathia Khayri, giustamente ritratta con il suo Oud, poiché – dettaglio colto – era l’unica cantante della Belle Époque a suonare questo strumento; la cantante Saliha e il poeta Mahmoud Bourgiba, e accanto il giornalista e intellettuale della Tunisi di oggi Hatem Bourial; o ancora tutti i piccoli ristoranti e caffè del centro città, compreso l’amato “Oiseau bleu”, adagiato, con il suo patio coperto di canneti, in riva al mare del sobborgo popolare del Kram a ovest della città.
Sollecitato a raccontare le fonti, le esperienze, le curiosità e gli azzardi che hanno accumulato e stratificato tutti questi dettagli eruditi, curiosi, affascinanti e che hanno creato una geografia di luoghi del cuore privilegiati, David Bond ricorre, come per la sua vicenda biografica, alla rifrazione, filtrando i dati della realtà attraverso la citazione letteraria, che a sua volta ci apre una finestra sulla sua biblioteca di riferimento, autori che rivelano vissuti e interessi di impegno sociale:
«Patrick Modiano, nel suo romanzo Nel caffè della giovinezza perduta evidenzia la dimensione effimera dei luoghi della socialità. Evoca un grande registro dove ogni giorno uno degli avventori annotava l’andirivieni dei clienti, salvando così dall’oblio “ces papillons qui tournent quelques instants autour d’une lampe” (“farfalle che volteggiano per qualche istante attorno a una lampada”). Le città, per loro natura, cambiano forma e disegnare a Tunisi può essere un modo per catturare in prima persona questa realtà cangiante e in evoluzione. Inoltre, attorno ai luoghi della socialità spesso si cristallizzano ricordi ed evocazioni nostalgiche del passato. Le mie ricerche sul terreno della memoria e della nostalgia mi hanno reso consapevole delle pratiche personali che ci portano a realizzare l’appropriazione personale dello spazio. Può darsi che il mio lavoro artistico porti l’impronta di tutti questi elementi. È stato attraverso le conversazioni e i contatti con le persone incontrate durante i miei “vagaBONDages” che ho appreso a conoscere la città. Nativi di Tunisi e persone di altre origini che hanno vissuto a Tunisi. Per circa dieci anni ho collaborato alle attività dell’Istituto di Belle Lettere Arabe di Tunisi. La biblioteca dell’Istituto è stata per me una risorsa preziosa».
Un altro rutilante accostamento di riferimenti e suggestioni di ispirazione, dietro cui sembra modestamente defilare la sua vena artistica originale, accoglie la domanda sulla tecnica, la definizione dei suoi lavori – dipinti, disegni, collages, storie disegnate? –; nello stesso tempo in cui si percepisce la distanza tra il pubblico / recensore, che nei suoi limiti cerca coordinate e assegna a categorie del suo pensiero, e la libera di-vagazione dell’artista, che sorvola verso una libera resa espressiva di sensazioni, ricordi, vissuto esperienziale e visione del reale, David Bond traccia nella risposta il suo percorso artistico che accoglie ispirazioni da altri autori e evolve verso uno stile sempre più personale, dove le diverse tecniche convivono e si arricchiscono reciprocamente: come la città di Tunisi.
«Il dialogo tra testo e immagine che troviamo nel graphic novel mi ispira molto. Penso a “Palestine” di Joe Sacco, o “Fun Home” di Alison Bechdel. Detto questo, ho iniziato con gli acquerelli, incoraggiato dal signor Lotfi Essid, della View Gallery di Salammbô. Un padre bianco, Christian Chessel, che ho avuto il privilegio di conoscere ad Algeri e in Cabilia, ha attirato la mia attenzione sui disegni di Charles Brouty (1892-1984), in particolare le sue illustrazioni in “Jours de Kabylie” di Mouloud Feraoun. La mia vita itinerante nel Maghreb (Ghardaia, nel Sahara tra il 1993 e il 1995, ritorno in Scozia nel 2005, poi Tunisi, in vari quartieri) si sposa meglio con l’acquerello e il disegno eseguiti in loco, en plein air. In questi ultimi anni, allo spazio “Imagin”, a Carthage Dermech, in collaborazione con la direttrice Myriem Ben Rachid, mi sono messo a lavorare su una scala più grande, ispirato dalle prospettive vertiginose dell’Avenue Bourgiba e dell’Avenue della Liberté, che “fila”, corre, come ha scritto Colette Fellous, verso il Belvedere. Sarei in difficoltà a definire il mio approccio, ma accarezzo l’idea di un graphic novel, che comincia a rue Zarkoun o, forse, nella sinuosa, tortuosa rue della Verità, vicino all’Istitut des belles-lettres arabes. O ancora all’ingresso di un immobile ove risuonano ancora i passi di quelli che l’hanno varcato nelle diverse epoche. Si vedrà…».
La mostra di quest’anno raccoglie il percorso tecnico-artistico raccontato da Bond, e i suoi attuali punti d’arrivo, o di ripartenza: da un lato l’apertura sulle prospettive “vertiginose” delle due avenues, i due assi di irraggiamento del centro città: l’avenue Bourgiba, colta nel brulichìo del suo movimento di folla e di mezzi, nel turbinìo circolare dei metro verdi e dei taxi gialli all’ingresso di Port de France; e avenue de Paris, in un crepuscolo dove tutto –persone, taxi, alberi e uccelli nel cielo – “filano”, corrono verso il suo prolungamento di avenue de la Liberté, verso un infinito che tende al Belvedere e al cerchio rosso del sole al tramonto; dall’altro lato, la nuova sfida, il progetto di un graphic novel, che si affaccia tra le opere esposte, nei due quaderni deposti con discrezione su un tavolo e aperti, quasi timidamente, a ventaglio, per un visitatore non frettoloso, che voglia cogliere, seduto, con la calma di una osservazione assaporata se non di una lettura, i mille dettagli di una storia che assembla, a collage, disegni e “nuvole” di descrizioni, frasi, e persone, tra le quali si muove, sornione come i gatti della città, l’io dell’artista, osservatore attento all’interno dell’opera.
«Il collage è associato alla modernità e ai cambiamenti avvenuti in campo artistico all’inizio del XX secolo. La moderna città di Tunisi può essere vista come un collage di diversi elementi culturali che riflettono una città in costante fermento. Quella facciata porta, ad esempio, i nomi di architetti italiani, il “marchio a fuoco” di compagnie assicurative come le Assicurazioni Generali di Trieste, e alcune targhe, che riportano i nomi delle strade, risalgono all’inizio dell’ultimo secolo. Poi arrivano le insegne di oggi, le antenne paraboliche, i fili penzolanti…e il collage è completo. Quanto alla calligrafia, per l’arabo mi ispiro allo stile grafico delle targhe che portano i nomi delle vie nella Medina: lo trovo libero e avventuroso».
In fondo, “collage” racchiude con efficacia la cifra dell’artista David Bond, la ricchezza e molteplicità della sua esperienza biografica, intellettuale e artistica; e lo integra in una sintonia di sentire e di esprimersi con la città di Tunisi, collage di culture e di esperienze, molteplice e aperta nell’accoglienza del nuovo e del diverso. Collage di letture e di conoscenze, di autori che hanno segnato e guidato Bond nel suo percorso di artista, e credo anche di uomo: un tracciato di riferimenti e di nomi accomunati dalla strada dell’impegno, del percorso artistico che, anche con gli strumenti del graphic novel, del fumetto o del racconto, è denuncia o desiderio di dar voce a una umanità che la società tende a dimenticare o emarginare, scomoda perché non allineata ai dettami delle convenienze e delle regole: Joe Sacco, padre del fumetto reportage, con il suo Palestine, pubblicato negli States tra il 1993 e il 1995 a seguito del suo soggiorno nei territori occupati e a Gaza; Alison Bechdel, autrice americana nota per il suo fumetto autobiografico Fun home: a Family tragicomic e per il suo impegno per lo sviluppo del graphic novel LGBT; Colette Fellous, scrittrice in lingua francese, nata a Tunisi da una famiglia ebrea, costretta a lasciare Tunisi nel 1967, per il clima di repressione nei confronti degli ebrei a seguito della Guerra dei sei giorni, attrice di teatro e autrice di romanzi per lo più autobiografici; Patrick Modiano, anch’egli figlio di un ebreo italiano, avviato all’attività letteraria grazie all’incontro con Raymond Quenau, nel 2014 premio Nobel «per la sua arte della memoria attraverso la quale ha evocato i destini umani più sfuggenti e ha svelato il mondo dell’Occupazione»; Charles Brouty, pittore, giornalista e illustratore, per quarant’anni voce in immagini dell’Algeria nelle sue manifestazioni più prestigiose come nella vita più umile, ricordato da Bond come illustratore dei racconti di Mouloud Feraoun dedicati alla Kabilia; e, non ultimo, il padre bianco Christian Chessel, conosciuto da Bond in Algeria, morto assassinato nel 1994, martire beatificato dalla Chiesa nel 2018.
Autori di una biblioteca estremamente sensibile alla condizione umana, esperienze centrifughe che si avvicinano o si allontanano ma che si stratificano ed evolvono nella mente di questo artista, dando voce a una città a sua volta viva di accostamenti eterogenei, testimone di millenni di civiltà trascorse ma non annullate nella varietà plurale dell’oggi. Bond invita, con i suoi disegni e collages e con una allusiva strizzata dell’occhio a scoprire ricordi, segni, associazioni di idee: in una parola a vivere una immersione curiosa e partecipe nella città.
Qual è il messaggio della città di Tunisi che desidera trasmettere ad un pubblico-destinatario che non la conosce o che le si è avvicinato solo con l’occhio del turista e del passante?
«Domanda interessante, perché non ho cercato di trasmettere un messaggio particolare, essendo del parere che il lavoro sfugge all’artista e vive di vita propria. Tuttavia, spero che coloro che scoprono i miei disegni e collages possano percepire che il mio lavoro artistico è basato su un rapporto personale con la città, la sua storia e i suoi abitanti. Ho potuto circolare liberamente a Tunisi, guidato dalla mia curiosità. Se vogliamo ricordare la figura di Ali Douagi, questo scrittore, disegnatore, giornalista tunisino ha potuto fare un periplo del Mediterraneo. Senza essere un grande conoscitore dell’opera di Ali Douagi, sono sensibile alla dimensione tragica della sua vita e alla sua capacità di vedere gli aspetti ludici e burleschi di una società in via di cambiamento. Anche per questo è presente nei miei lavori la carta d’identità di Ali Douagi. Implicita, forse, nell’avventura dell’arte, è l’importanza dell’apertura della mente e dei confini».
Anche in questa risposta possiamo trovare un suggerimento e una riflessione su un tema molto dibattuto in questo periodo, ricordato anche da Silvia Finzi nel suo editoriale per il numero di Agosto- Settembre del “Corriere di Tunisi”: si parla di turismo di massa e di svago, e ormai anche di overtourism per le città soprattutto europee; di bisogni turistici nuovi che spingono paesi ricercati dal turista medio a “creare” falsi nuovi luoghi o tradizioni; la Tunisia ne è vittima / protagonista.
La frase di Bond «ho potuto circolare liberamente a Tunisi» può essere colta come un invito, per visitare o tornare nella città per un turismo di scoperta, con la curiosità e la predisposizione d’animo che hanno guidato questo artista nella sua “appropriazione” sentimentale di ogni angolo di Tunisi: un invito a ripercorrere i “suoi” luoghi magici e a trovarne sicuramente di nuovi che questa città è pronta ad alimentare e regalare a chi la percorre senza timori o pregiudizi.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
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Rosy Candiani, studiosa del teatro e del melodramma, ha pubblicato lavori su Gluck, Mozart e i loro librettisti, su Goldoni, Verdi, la Scapigliatura, sul teatro sacro e la commedia musicale napoletana. Da anni si dedica inoltre a lavori sui legami culturali tra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, sulle affinità e sulle identità peculiari delle forme artistiche performative. I suoi ultimi contributi riguardano i percorsi del mito, della musica e dei concetti di maternità e identità lungo i secoli e lungo le rotte tra la riva Sud del Mediterraneo e l’Occidente.
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