di Maria Sirago
Massa Lubrense
La città regia di Massa Lubrense, i cui numerosi casali erano adagiati su un incantevole promontorio prospiciente l’isola di Capri, produceva cospicue e deliziose derrate alimentari trasportate con feluche a Napoli per il suo approvvigionamento annonario e scaricate in una delle porte detta appunto di Massa. Il commercio era controllato da un portulanoto nominato dal Mastro Portolano di Napoli: l’ufficio era poco importante rispetto a quelli degli altri approdi campani perché qui si praticava solo commercio di cabotaggio, per cui nel Cinquecento e Seicento l’ufficiale non percepiva uno stipendio fisso ma solo “emolumenti” (guadagni esatti dai marinai a seconda dei trasporti) (Sirago, 2004).
Il diritto di approdo, o falangaggio, con bitte o falanghe, nella marina della Lobra e in altri piccoli approdi era stato venduto dalla città alla famiglia de Ponte per 6.000 ducati insieme alle gabelle della mercatura (commercio), dell’olio, della carne, del pesce e della bagliva; poi era stato acquistato dalla famiglia de Burgueda insieme a quelli sulla pesca [1]. L’approdo di marina della Lobra era anche un importante caricatoio per il grano ammesso nel 1647 tra i dieci stabiliti dal governo spagnolo durante i moti masanelliani [2]. In una descrizione del 1644 si nota che «“anticamente [vi] era un bello Molo» di cui si vedevano ancora «alcuni … pilastri»…[capace di] 60 Navilij … per il traffico delle mercanzie delli Cittadini massesi, prima che si ritirassero ad habitare a Napoli» (Persico, 1644: 38). Esso doveva essere continuamente riparato per la furia dei marosi. Agli inizi del Settecento vi era una «banchina molto rudimentale», ma i massesi continuavano a trasportare i loro prodotti a Napoli (Filangieri, 1910: 34-35). Solo nel 1842 il Decurionato comunale dette incarico all’architetto Camillo Ranieri di stilare un progetto per il nuovo molo, necessario per incrementare il commercio. Nel 1844 fu realizzata una scogliera, distrutta pochi mesi dopo. Perciò l’architetto Ercole Lauria venne incaricato di esaminare i danni ma i problemi rimasero irrisolti. Dopo l’Unità si riprese l’idea di costruire una banchina più resistente, detta banchina Fontanella, progettata nel 1876, ancor oggi esistente (Ruocco, 2000: 192ss.).
A Massa, come a Sorrento, era molto sviluppata l’attività peschereccia: la città nel Cinquecento riscuoteva la terza parte del pescato dai pescatori che pescavano nel suo mare “per uso e grassa”, cioè per l’approvvigionamento annonario. Ma aveva dovuto vendere alla famiglia de Ponte la “gabella del pesce” e lo “ius piscandi” per potersi mantenere in demanio, diritti acquistati poi dalla famiglia de Burgueda [3]. La marina di Crapolla (famosa per i suoi gamberetti) era «popolata da’ pescatori del Casale di Torca e Sant’Agata». Nella «marina del Cantone, o Nerano, … larga, allegra, esposta a mezzo giorno, senza montagne che gli fanno ombra … [nell’800 vi erano] molte case ed anche un vasto edificio per uso della Tonnara, … una taverna ed una Chiesa dedicata a Sant’Antonio di Padova eretta nel 1646». Qui la pesca era «abbondante e come questi mari [erano] pieni di scogli e senza fango il pesce [era] tutto di squisito gusto» (Maldacea, 1840). La marina della Lobra era quella dove i pescatori ormeggiavano le barche e conservavano il pescato in magazzini, la cui presenza è documentata fin dai primi del Cinquecento (Esposito, 2000: 249).
Un terzo della popolazione si dedicava alle attività marinare, gli altri all’agricoltura: nel 1727 si contavano 20 pescatori e 21 padroni di tartane da traffico, usate anche per la pesca, con 210 marinai (Di Vittorio, 2000); nel 1742, secondo i dati del Catasto Onciario, su circa 2100 abitanti si contavano 409 marinai e 10 padroni di barche, “filuche, gozzi e sciabicielli”, quasi tutti abitanti nei dintorni di Marina della Lobra[4].
Dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità (1806) si ebbe un miglioramento della marineria in tutto il regno, visto che non era più soggetta alle angherie feudali. Ma per i massesi i primi due anni del Decennio Francese (1806-1815) furono terribili: l’isola di Capri, che si erge di fronte al territorio massese, era stata occupata dagli inglesi per cui i francesi trasformarono tutto il territorio in avamposto militare: il porto di Marina della Lobra divenne porto militare e fu proibita ogni attività peschereccia, mentre i francesi controllavano i commerci, visto che l’isola veniva spesso approvvigionata dai massesi.
Dopo un fallito tentativo del re Giuseppe Bonaparte, nel 1807, l’anno seguente Murat, appena arrivato, riorganizzò le truppe raggiungendo il casale dell’Annunziata, dove pose stanza nel Palazzo Rossi, di fronte a Capri (oggi detto Palazzo Murat). Da qui con una ardita manovra il 4 ottobre le navi francesi arrivarono sul lato inaccessibile dell’isola, riuscendo a salire grazie a lunghissime scale usate per allestire le luminarie delle feste popolari. Perciò il generale inglese Hudson Lowe dové arrendersi (Sirago, 2008; Barra, 2011).
Pian piano la situazione tornò alla normalità, per cui i massesi poterono tornare alle loro consuete attività marittime e agricole. Perciò nella statistica murattiana del 1811 si contavano già 373 marinai, che aumentarono dopo la Restaurazione (1815). Anche il numero delle imbarcazioni aumentò, grazie alle leggi emanate per favorire l’incremento della marina mercantile: nel 1833 si contavano 5 piccole imbarcazioni da pesca e ne erano state costruite in loco sei; ma nel 1838 si era avuto un notevole aumento, 133, quasi tutte barche da pesca (12 barche, 21 barchette, 3 feluche, 5 feluconi, 83 gozzi, 3 mistici, 4 paranzelli, 2 trabaccoli) per un totale di 518 tonnellate, di cui 27 costruite in loco (Sirago, 2004, 2024).
Un importante tipo di pesca “protoindustriale” era quello effettuato con la Tonnara delle Mortelle, alla Marina del Cantone, a Nerano. L’unica testimonianza visiva si trova a Nerano in una chiesetta dedicata a Sant’Antonio fondata nel 1646: in un medaglione sono disegnati alcuni pesci tipici della pesca con la tonnara, mentre il pavimento in “riggiole” (mattonelle) risulta decorato con ornati e disegni che alludono all’antica tonnara di Nerano.
Per “calare la tonnara” i marinai ponevano il “piede” sulla spiaggia trasportando con le barche la rete fino a formare al largo la camera della morte per la cattura dei tonni, un sistema diverso da quello siciliano, in cui la tonnara si calava in mezzo al mare (Sirago, 2003). La tonnara delle Mortelle, affittata nel 1793 per 40 ducati annui, ai primi dell’800 rendeva 501 ducati; poi nel 1810 venne affittata da Nicola de Curtis insieme a quella di Sorrento per 681 ducati annui. Ma il conduttore si lamentava di non poter calare le tonnare per la mancanza dei marinai, impegnati nella guerra in Calabria [5]. Anche questa tonnara rendeva a seconda delle varie congiunture, come quella di Sorrento; spesso le due tonnare erano affittate dallo stesso conduttore. La tonnara insieme a quelle di Sorrento e Capri è rimasta attiva fino a fine Ottocento (Pavesi, 1889; Sirago, 2003).
Il forte legame con la capitale partenopea si evince dal toponimo Porta di Massa, ancora in uso in una via napoletana, vicina all’approdo usato dai massesi per lo sbarco delle merci prodotte nel territorio. Molti massesi si trasferirono a Napoli aprendo case commerciali (Ruocco, 2000: 259). Una prima raffigurazione cartografica della Porta di Massa, della metà del Settecento, è raffigurata in un disegno conservato presso l’Archivio di Stato di Napoli (Ruocco, 2000: 265).
Nel 1558 gli agiati massesi avevano creato un “Pio Monte dei Poveri di Massa” per sostenere i concittadini bisognosi, sia a Massa che nella Capitale. Il Pio Monte si occupava anche di raccogliere il denaro necessario per il riscatto di concittadini catturati da turchi e barbareschi (Filangieri, 1910: 202-203). Il Monte o Confraternita non era specifico per i lavoratori del mare, come a Sorrento e in altri centri marittimi partenopei (Sirago, 2022a), ma svolgeva simili funzioni per tutta la popolazione. Inoltre, nella chiesa dell’antica cattedrale di Massa, presso l’altare maggiore, sorgeva la Cappella dei Marinai, assegnata a questa potente corporazione nel XVI secolo (Ruocco, 2000: 265).
Il territorio, per la sua conformazione, era di difficile accesso, per cui quasi sconosciuto. Nel 1632 un viaggiatore ardimentoso, il francese Jean Jaques Bouchard, forse una spia (Sirago, 2017a), che soggiornò circa otto mesi a Napoli, basandosi sulle sue solide conoscenze del mondo classico, in settembre decise di visitare la “terra abitata dalle Sirene”, nome con cui gli antichi designavano il territorio massese e sorrentino. Egli notava la bellezza del territorio, delizioso per i suoi uliveti, limoneti, aranceti, quasi un paese incantato, in cui la marina formava un bel seno (Bouchard, 1977: 428ss.).
Un altro viaggiatore intraprendente, Henry Swinburne, amico dell’ambasciatore inglese William Hamilton, un erudito e attento studioso dei classici antichi, prima di cominciare il viaggio alla scoperta del Sud, decise di visitare il territorio massese, dove sapeva che vi erano antichi resti, descritti da lui accuratamente. Con una barca raggiunse la marina di Puolo, da cui si scorgevano folti uliveti, arrivando nell’approdo. Da qui visitò il territorio, una «diocesi senza città perché tutte le abitazioni erano diffuse a grappolo lungo i verdeggianti clivi», meravigliato per la bellezza del luogo (Swinburne, 1777-1780, I vol.:137 ss.).
A partire dai primi dell’Ottocento arrivarono altri viaggiatori stranieri che cominciarono a far conoscere questo territorio incantevole (Ruocco, 2000: 171ss.). Ma per tutto l’Ottocento non furono costruiti o sistemati alloggi per turisti (Starke, 1820: 496; Pellerano, 1884: 283). In quel periodo si stava diffondendo la moda della balneazione, in primis nella Capitale e a Sorrento, una moda poi diffusasi in tutto il golfo partenopeo (Sirago, 2013). Anche Massa, che a fine Ottocento contava 8185 abitanti (Pellerano, 1884: 283), venne “scoperta” dai turisti stranieri (Alvino, 1842: 45-50). Perciò si organizzarono delle “gite sugli asini” per ammirare gli incantevoli paesaggi, a cui fu aggiunto un servizio di escursioni in portantina per le persone più gracili (Merlo, 1857).
Una prima notizia sulla balneazione è in un documento conservato nell’Archivio Comunale di Massa del 1881 in cui si davano norme per coloro che si bagnavano: i maschi nelle ore antimeridiane potevano bagnarsi alla marina della Lobra, nel sito detto Fontanelle, e le donne alla Chaia, e viceversa nelle ore pomeridiane. Poi dai primi del 900, con l’arrivo della tramvia da Castellammare, si ebbe un notevole sviluppo turistico e le spiagge di Puolo, marina della Lobra e marina del Cantone cominciarono ad essere attrezzate con stabilimenti balneari. I primi “camerini” su palafitte furono costruiti alla Marina della Lobra dagli Astarita, che avevano lì vicino una salumeria. Poi se ne costruirono altre vicino alla scogliera. Cominciava così anche per Massa Lubrense e per i suoi “casali” una lenta trasformazione in città “di loisir” (Ruocco, 2000: 176ss.).
Sorrento. Le attività produttive
La città regia di Sorrento con i terzieri di Sant’Agnello Piano e Meta era gestita da un portulanoto nominato dal Mastro Portolano di Napoli residente a Piano che controllava i commerci, per lo più derrate alimentari prodotte nel fertile territorio spedite a Napoli con feluche per il suo approvvigionamento annonario. L’ufficio era poco importante rispetto a quelli degli altri approdi campani perché qui si praticava solo commercio di cabotaggio: perciò nel Cinquecento e Seicento l’ufficiale non percepiva uno stipendio fisso ma solo “emolumenti” (guadagni esatti dai marinai a seconda dei trasporti). Sorrento era in regio demanio e aveva ottenuto numerosi privilegi nel 1482, quello di falangaggio, approdo delle barche o feluche alle falanghe o bitte utilizzato per la riparazione delle mura; poi aveva rivenduto il diritto insieme a quello di dogana alla famiglia Guardato, che a metà Seicento esigeva 14 ducati annui [6]. Ma quando erano aumentate le imbarcazioni di maggior portata, come i vascelli a vele quadre e le tartane, provenienti dai vari porti del Tirreno come Livorno, Genova, Roma, la città aveva cominciato ad esigere il diritto di ancoraggio, approdo con le ancore, più cospicuo, con una rendita di 117 ducati annui, per cui a fine Seicento la Regia Corte aveva intentato dei processi [7]. Comunque la città, basandosi sui privilegi aragonesi, aveva continuato ad esigere questo diritto (Sirago, 2004).
A Sorrento vi era una “cospicua nobiltà”, come riferiva l’erudito francese Jean Jaques Bouchard, (Sirago, 2017a), che la visitò nel 1632: egli rimase affascinato dalla città, patria di Torquato Tasso, un luogo «gradevole e attraente, definito dagli antichi “terra delle Sirene”» (Bouchard, 1977). La nobiltà, spesso impiegata a Napoli nell’avvocatura, si riuniva nel “Sedile di Dominova”, in via San Cesareo (parallela al Corso Italia), parte del decumano maggiore in epoca romana, dove sorgevano le residenze patrizie di maggior prestigio. Il Sedile è l’unico rimasto, una testimonianza molto importante per la conoscenza di quelli napoletani, tutti distrutti (Russo, 2019).
La maggior parte della popolazione era dedita all’agricoltura. Ma vi era anche un fiorente ceto di pescatori e padroni di barca che usavano le loro feluche, tipica imbarcazione sorrentina, utilizzate sia per la pesca che per il commercio di cabotaggio con Napoli (Sirago, 2021 e 2024a).
La città aveva ottenuto dai re aragonesi dei privilegi sulla pesca, esatti anche nel territorio dei terzieri del Piano e di Meta. I privilegi erano stati, ampliati nel 1520 da Carlo V con la concessione di poter calare una tonnara dal giorno di San Giorgio per tutto il mese di giugno, ratificata nel 1521 (Martinez Ferrando, 1943: 244, Reg. 3932, f. 296, Worms, 1 mayo 1521), tra le prime calate nel golfo campano: il “piede” o “pedale” della “tonnarella alla napoletana”, detta di “Diomella”, di cui resta il toponimo, era poggiato sulla spiaggia vicino alla Marina Grande e la “bocca” (camera della morte) era trasportata dalle barche a trecento metri dalla costa. Qui vi erano anche due magazzini usati per ricoverare le due lunghe barche (luntri) e le attrezzature. I branchi dei tonni venivano avvistati dalla torre di guardia, ora non più visibile, che serviva anche per avvistare navi nemiche. Il privilegio regio fu riconfermato nel 1599 e 1630 e la concessione fu prorogata fino alla fine di agosto [8] (Parisi, 1889; Centola, 1999; Sirago, 2018).
L’attività peschereccia era molto fiorente a Sorrento dove fin dal 1520 era stata creata una Confraternita di “Marinai e pescatori di palamiti” e di “pescatori di canna lenza volantini esca bianca e nel 1557 una Confraternita di “pescatori della tonnara”; poi nel 1742 era stata creata una “Congregazione” di marinai e pescatori “della marina grande e marina piccola” nella Cappella di San Giovanni in Fontibus, sita nella chiesa di Sant’Anna alla Marina Grandes, simile a quelle napoletane e dei paesi marini del golfo partenopeo, costruita a spese dei pescatori. Secondo la regola del 1742, rinnovata nel 1778, i marinai e pescatori della Marina Grande dovevano dare una parte del guadagno ricavato dalla pesca e quelli della Marina Piccola dovevano ogni quattro mesi una parte dal guadagno ricavato dai loro viaggi. La confraternita, come le altre del regno, era una società di mutuo soccorso per i marinai e le loro famiglie che raccoglievano anche i fondi per il riscatto dei cittadini catturati dai barbareschi (Sirago, 2022a).
Il commercio di cabotaggio era molto sviluppato con la Capitale. I prodotti sorrentini erano richiesti anche nei porti europei, soprattutto in Inghilterra e Francia, che a metà Settecento avevano nominato dei viceconsoli a Sorrento, caricando i prodotti sulle navi di Piano e Meta (Sirago, 2004: 87).
Per la vendita del pescato la città possedeva la gabella del pesce i cui affittatori riscuotevano dai pescatori che calavano le reti «dal capo di Scutolo sino alla Cocumella (nel terziere di Piano, a Sant’Agnello) … il 3° del pesce … [pescato] dalle sciaviche [reti sciabiche] e ordegni piccoli» e la gabella del “quartuccio”, sulla vendita del pesce, concessa nel 1482 da Ferrante d’ Aragona (Sirago, 1993). Inoltre, la famiglia Guardato possedeva la “gabella del pesce”, cioè il diritto di «esitura [vendita] del pesce fresco ossia decino», il cui ricavato nel 1734 faceva vivere ben trenta persone [9]. Nel 1727 vi erano 60 marinai pescatori di pesci, 2 padroni di tartane con 26 marinai, un padrone di un pinco con 13 marinai,18 padroni di “feluche di traffico” con 135 marinai (Di Vittorio, 2000): questi dati testimoniano che la pesca e le attività commerciali di cabotaggio erano equamente distribuite.
A metà Settecento secondo i dati del Catasto Onciario si contavano circa 4100 abitanti tra cui 64 pescatori e 113 marinai e venivano dichiarati 17 gozzi da pesca usati anche per il commercio di cabotaggio [10]. Le imbarcazioni erano però di piccola stazza, diversamente da quelle dei terzieri di Piano e Meta, dove si costruivano pinchi e polacche che commerciavano anche nelle Americhe (Sirago, 2021).
Nel periodo francese, dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità, la situazione cominciò lentamente a cambiare: difatti nella Statistica murattiana del 1811 si contavano 385 marinai.
Quanto alle imbarcazioni, nel 1833 vi erano 13 gozzi e 3 feluche da pesca, per 176.6 tonnellate,13 delle quali costruite in loco; e 1838 se ne contavano 81, per 232 tonnellate, quasi tutte utilizzate per la pesca, di cui 40 costruite in loco, il che testimonia anche una certa attività cantieristica. Ma era una piccola attività, non paragonabile a quella di Piano e Meta, divenuti comuni autonomi dai primi dell’Ottocento, dove si costruivano brigantini, usati per il trasporto delle derrate agricole, soprattutto gli agrumi, fin nelle Americhe (Sirago, 2021).
Altra attività importante era quella della pesca con la tonnara, da cui il Comune tra il Settecento e l’Ottocento ricavava un cospicuo introito: agli inizi dell’Ottocento era stata fittata per 1498 ducati annui e nel 1806 per 1800 ducati. Durante il decennio francese, dato il continuo stato di guerra, l’affitto ebbe un andamento non molto costante per vari motivi, soprattutto il banditismo, specie durante l’occupazione inglese di Capri (1806-1808), quando si sviluppò un intenso contrabbando, per cui venne proibita anche la pesca notturna. Inoltre, il comune era spesso in lite con i fittuari, anche per la penuria di pesce.
Dopo la Restaurazione nel 1817 l’ingegnere Giuliano De Fazio, il principale esponente degli studi in ambito portuale in quel periodo, soprattutto per Pozzuoli, fu incaricato di redigere una pianta dei confini in cui si doveva calare la tonnara, poiché essa era stata ostruita dal terreno caduto a causa di una indiscriminata messa a coltura [11]. Inoltre, i pescatori di Sorrento si lamentavano per i soprusi commessi dai fittuari, in particolare il mantenimento della tonnara anche dopo la data stabilita (giorno di tutti i santi), quando le funi della tonnara dovevano essere tagliate ed era consentita la pesca a tutti i pescatori. La tonnara di Diomella a fine ‘800 era comunque compresa tra le nove attive del Regno meridionale, insieme a quella di Massa (Pavesi, 1889, Sirago, 2003).
Dai primi dell’Ottocento si cominciò a praticare la coltivazione intensiva degli agrumi, diffusa in tutto il territorio sorrentino e in quello massese, un settore che favorì un notevole sviluppo “industriale” in cui furono coinvolti contadini, marinai e artigiani. Le coltivazioni erano diffuse nel territorio da secoli, con “terrazzamenti” il cui sistema era stato diffuso dagli arabi nelle coste sorrentine e amalfitane e in quelle liguri (Sereni, 1961). Ma nel corso dell’Ottocento l’agrumicoltura venne intensificata, creando il tipico paesaggio che ancor’oggi si può ammirare, per cui si ebbe una maggiore richiesta sia a Napoli che in altri paesi. Gli artigiani cominciarono a costruire cassette di legno adatte al trasporto, che avveniva sui veloci brigantini di Piano e Meta fin nelle Americhe (De Angelis, 1996).
Il turismo
Pochi avventurosi stranieri, come Jean Jaques Bouchard nel 1632 (Bouchard, 1977: 428ss.) e Henry Swinburne nel 1777 (Swinburne, 1777-1780, I vol.: 137 ss.)., si avventuravano alla scoperta del territorio sorrentino col suo piano (Sant’Agnello, Piano e Meta), un’area che suscitava meraviglia per l’abbondanza di agrumeti, frutteti e vigneti. Ma nel corso dell’Ottocento, con lo sviluppo della moda della villeggiatura e della balneazione cominciò a svilupparsi una notevole attività turistica. La città, con i suoi dintorni era a detta di Francesco Alvino (1842) “il paradiso dell’Europa” ed era ormai visitata da molti stranieri (Jezzi, 1989).
Mariana Starke, una curiosa e attenta viaggiatrice nel 1797 era venuta a Napoli e aveva voluto visitare i dintorni, lasciando ai posteri una serie di lettere utili ai viaggiatori a cui dava preziosi consigli per gli alloggi: rimarcava che ve ne erano pochi decenti per cui consigliava alcuni alloggi a Sant’Agnello e Meta (Starke, 1800, II vol., lettera XXI: 100ss. e 344). Nel 1820 vi era tornata, raccogliendo preziosi appunti per i viaggiatori pubblicati in una più approfondita “guida”: aveva sottolineato che molte famiglie napoletane vi si recavano nella stagione estiva per la sua aria deliziosa e per i bagni che si potevano praticare alle “Grotte dele Sirene”. Ma la situazione degli alloggi era quasi immutata, poiché erano poco accoglienti, tanto che i viaggiatori dovevano provvedere da loro a vino e pranzo. Nella sua disamina riferiva che gli uomini potevano essere accolti nel Convento dei Cappuccini, vicino alla città, mentre le coppie o le viaggiatrici dovevano recarsi nella vicina Sant’Agnello al Cocumella (Starke, 1820: 492ss.).
Una testimonianza importante è quella del pittore russo Sil’vestr F. Ščedrin, venuto a Napoli una prima volta tra il 1819 e il 1820; cinque anni dopo vi tornava, girovagando nei suoi ameni dintorni, Ischia, Pozzuoli, Capri, Vico e Sorrento, la più amata, dove visse a lungo, beneficiando della sua aria salutare. E qui sepolto quando morì nel 1830, a soli trentanove anni. Ha lasciato numerosi dipinti che raffigurano gli scorci più pittoreschi della costa sorrentina, scene di vita dei pescatori e di marinai che caricavano le merci sulle loro feluche. Inoltre, ha lasciato una serie di lettere pubblicate da Michail Evsev’ev, in parte tradotte nel 2023 da Marina Moretti, in cui descriveva con entusiasmo ai genitori le bellezze dei luoghi divenuti per lui una seconda patria. In una lettera del 13 luglio 1826 raccontava all’amico Samuel Gal’berg che durante il suo soggiorno sorrentino faceva ogni giorno il bagno nel mare, imparando a nuotare, per poi tornare a dipingere. Ma nella lettera successiva di fine settembre si lamentava di dover prendere la barca per dipingere le vedute marine, visto che le “calate” a mare erano tutte chiuse (Evsev’ev , 2023: 68-69).
In quel periodo fu introdotta la navigazione a vapore, gestita in un primo tempo da una compagnia privata per la rotta Napoli-Palermo. Quando i “pacchetti a vapore” (paqueboats) erano nel porto della Capitale venivano organizzate le prime “gite di piacere” nel Golfo di Napoli, con sosta a Capri, Ischia e Sorrento o a Castellammare per assistere al varo delle navi, durante le quali i turisti potevano usufruire di un lauto pasto servito a bordo (Sirago, 2014).
Dato l’incremento della balneazione al 1837 fu chiesta l’apertura delle “calate a mare” che si potevano raggiungere dalle ville dei duchi di Laurito Monforte, “Villa Lofa”, “Villa Guardati”, “Villa Sirena”, che ospitavano i turisti stranieri, specie inglesi, già dediti alla pratica dei bagni di mare [12] . Nel 1847, la scrittrice irlandese Julia Kavanagh nei suoi “appunti di viaggio” notava che la città, popolata da 6000 abitanti, era «il più delizioso centro turistico e balneare del Mezzogiorno … e … del mondo intero» (Kavanagh, 1858, I vol.: 2 e 60ss.).
Carlo Merlo, autore di una prima guida, pubblicata a metà Ottocento, ricordava che la cittadina, popolata da circa 7.000 abitanti, quasi tutti gli anni «nella state [era frequentata] dai forestieri» che vi si fermavano a lungo, frequentando i numerosi alberghi: i più eleganti erano l’albergo “Bellevue” e l’albergo Rispoli, il cui proprietario nella spiaggia sottostante aveva costruito «un casottino per bagnarsi». Invece sotto “Villa Nardi” vi erano delle «grotte per ricovero dei bagnanti» ed anche la “Locanda del Tasso” e l’”Albergo della Sirena” avevano una «discesa a mare coverta …[con] un casottino di legno per prendervi i bagni». Anche la Villa del Conte Correale e la Villa San Severino, affittate d’estate ai “villeggianti”, avevano delle comode “discese in mare”. Inoltre alla fine del giardino della Villa San Severino vi era la calata di 55 gradini in mare per coloro che «desidera[va]no di prendere i bagni trovando delle grotte di ricovero per vestirsi», il che mostra come la pratica della balneazione si stava diffondendo anche fra i ceti meno abbienti (Merlo, 1857).
Un incremento al turismo si ebbe con la costruzione della strada da Castellammare a Meta iniziata nel 1834 e completata quattro anni dopo (Sirago, 2013). Pochi anni dopo fu costruita anche la linea ferroviaria Napoli – Portici, aperta nel 1839, prolungata nel 1842 fino a Castellammare, che permetteva di accelerare il viaggio utilizzando la nuova strada (Pagnini, 2019: 179-181). Un viaggiatore “curioso”, lo scrittore e fotografo francese Maxim du Camp, venuto a Napoli nel 1862 decise di visitare l’isola di Capri, anch’essa quasi sconosciuta (Sirago, 2004b). Seguendo i consigli delle varie “Guide” turistiche che si stavano pubblicando in quegli anni (Pelizzari, 2001) partì dalla capitale partenopea a metà maggio raggiungendo col treno Castellammare; da qui si recò a Sorrento, il punto più vicino per l’imbarco verso l’isola, dove restò ammirato dalle ampie distese di agrumeti che sprigionavano un delizioso profumo. A Sorrento pranzò con un delizioso piatto di “macaroni”, il tipico pranzo partenopeo, visitando la deliziosa città, per poi imbarcarsi alla Marina Grande alla vota dell’isola (du Camp, 1862).
Nel secondo Ottocento si ebbe un notevole incremento turistico sia d’estate, per villeggiatura, che in primavera e autunno, per l’aria deliziosa e profumata di zagare (fiori d’arancio), un salvifico balsamo per gli stranieri. Sorrento, in cui nel 1884 si contavano 7896 abitanti, si dotò di alberghi prestigiosi, come l’“Hotel Tramontano”, l “Hotel delle Sirene”, l’“Hotel del Tasso”, frequentati soprattutto dagli inglesi, che aprirono della discesa a mare e costruirono cabine di legno lungo la spiaggia del porto.
Ma vi erano anche hotel più economici, Bristol. D’Angleterre, Grande Bretagne, Vittoria, Hotel Pension Loreley. Ed erano stati aperti molti restaurant e trattorie. Queste numerose strutture accoglievano d’estate i villeggianti, che praticavano la balneazione o facevano lunghe passeggiate sui colli di Fontanelle a dorso d’asino (Pellerano, 1884).
Ma i bagni di mare erano l’attrattiva più allettante. Friedrich Nietzsche nei ricordi del suo soggiorno tra la fine del 1876 e gli inizi del 1877 nella “Pensione Allemande – Villa Rubinacci” descriveva, tra le varie attrattive sorrentine, quella dei bagni di mare (Iezzi, 1989: 109-110). Ed anche Heinrik Ibsen, in una lettera dell’agosto del 1881, ricordava che la moglie soffriva particolarmente il caldo ma che trovava un benefico sollievo nel bagnarsi ogni giorno nelle acque cristalline della ridente cittadina (Ibsen, 1970: 170).
Per migliorare i trasporti nel 1893 fu costruita una banchina alla Marina Grande in modo da permettere un migliore attracco alle imbarcazioni di linea che ormai facevano un regolare servizio di linea collegando Napoli, Castellammare e Sorrento. Poi nel 1903 si costituì la società per Azioni delle Tramvie Sorrentine che costruì la tramvia tra Castellammare e Sorrento, il che permise anche uno sviluppo del turismo “borghese” (Sirago, 2013). Nel 1895 la cittadina, ormai meta di numerosi turisti nordeuropei, avvertiva la necessità di presentarsi come healt resort per cui fu pubblicata una guida, in francese ed inglese, finanziata dalle inserzioni pubblicitarie delle molte imprese commerciali sorrentine” (Gargiulo, 1895).
Proprio per incrementare la balneazione, uno dei punti di forza di Sorrento, venne sostenuta la costruzione di eleganti lidi balneari, non solo nelle spiagge sottostanti gli hotel, ma anche pubblici come il Leonelli, ancora in uso, fondato a fine Ottocento dalla famiglia Lionelli [http://www.leonellisbeach.com/english/lastoria.htm].
Manfredi Fasulo ai primi del Novecento sottolineava che l’“esercizio degli alberghi” e l’Industria del turismo si erano sviluppati al punto che proprio qui fu organizzato un “Congresso degli Albergatori”. Inoltre dava anche notizia dei numerosi viaggiatori nordeuropei venuti a Sorrento, tra cui molti aristocratici, come Luigi di Baviera ospite nel 1853 con Massimiliano, futuro imperatore d’Austria dell’“Hotel Vittoria”, l’imperatrice delle Russie Maria Alexandrowna a Sorrento nel 1871 per tre mesi, la regina d’Italia Margherita, ospite nel 1883 dell’“Hotel Vittoria” (Fasulo, 1906).
La giornalista Matilde Serao, che aveva fondato il quotidiano Il Mattino nel 1892 con il marito Edoardo Scarfoglio, autrice di deliziosi bozzetti sulla balneazione (Sirago, 2010), amava molto villeggiare a Sorrento dove prendeva spunto per i suoi “Mosconi”. Ne Il Mattino del 4-5 luglio 1895 e in quello del 15-16 agosto dello stesso anno scriveva brevi note sull’«incantevole villeggiatura» sorrentina sottolineando che «La stagione si annuncia[va] brillantissima”, coi “bagni, il golf, le gite sul mare», i balli. Ancora Poi nel 1901 annotava:
«La penisola sorrentina, antico asilo delle sirene leggendarie, già risuona delle giocondità dei primi villeggianti”; e fra poche settimane “nessun sito del mondo gareggerà con essa, per rianimazione, per eleganza, per vivacità della colonia internazionale che vi si recherà … Sorrento vince tutti gli altri siti di villeggiatura per clima, salubrità perfetta, per ricchezza e originalità di paesaggio, per amenità dei dintorni» (Serao, 1901).
Dopo la separazione dal marito la giornalista fondò un suo giornale, Il Giorno, in cui continuava a pubblicare i suoi bozzetti, creando proprio un “saper vivere marino” che, insieme alla pubblicità, le permetteva di coprire le spese della pubblicazione (Sirago, 2010). Tra i tanti “spazi pubblicitari” si sottolinea quello pubblicato il 5-6 luglio 1910, in cui promuoveva l’“Hotel Lorelei et Londres” che si era dotato di un moderno ascensore per una comoda discesa alla spiaggia, fornendo un più gradevole soggiorno ai villeggianti.
In quegli anni la città veniva visitata da circa 40 mila turisti, di cui 10 mila soggiornavano per un certo periodo in buoni alberghi, regolati da sistemi moderni. Ma tale “industria” doveva essere ulteriormente incrementata, in modo da far divenire la cittadina «una sede linda e tranquilla di riposo e salute». Perciò si auspicava un migliore sfruttamento di Sorrento come “stazione climatica”, per attirare un numero sempre maggiore di visitatori (Guidi, 1910).
Una piacevole descrizione è quella del Silvio Salvatore Gargiulo, detto Saltovar:
«[…] in un’incantevole e splendida posizione [vi é] l’antica e affascinante città di Sorrento, chiamata la “Perla del Golfo di Napoli”. Dal lato settentrionale si affaccia sul mare elevandosi sulle enormi rocce che corrono precipitosamente alla fine del mare, formando molte pittoresche e belle baie e misteriose caverne lungo la costa. Sontuosi hotels, splendide ville e graziosi cottages sono dispersi qui e là tra le rocce, e somigliano ad una doccia di rose in un giardino di fiori. Nella parte posteriore, è circondata da belle e verdeggianti colline, villaggi e borghi […]. Sorrento è circondata da giardini lussureggianti e da una ricca vegetazione. […] Molto frequentemente ci sono bagni a mare, l’acqua è sempre così limpida e chiara come cristallo. […] La maggior parte della popolazione è impiegata nella coltivazione di aranceti, limoneti, uliveti, vigneti etc. Molto interessanti e meritevoli di visita sono i dintorni di Sorrento, dai quali si gode un bel panorama. […] Ma il più incantevole scenario si gode visitando la costa, dove quasi sulla riva del mare, si incontrano le rovine di templi ed edifici risalenti al tempo dei Romani» (Gargiulo, 1907: 16ss.).
Secondo la normativa legislativa del 1910, a Sorrento, inserita tra le cittadine turistiche campane, si pagava la tassa di soggiorno. Poi nel 1926 fu costituita l’Azienda autonoma di cura, soggiorno e turismo (Berrino, 2004: 26). Lo stesso anno fu organizzato a Sorrento un altro convegno turistico. Nel 1927 l’ingegnere Mario Bonghi, figlio di Ruggero, azionista delle tramvie sorrentine insieme al fratello Luigi (Ciullo, 2007: 150-151), fervidi assertori di una ripresa della penisola sorrentina, pubblicò un articolo in cui disquisiva sulle modalità di sviluppo dell’“industria alberghiera” sia nella cittadina che in tutte le altre della costa sorrentina, dove già si contavano 900 stanze divise tra gli alberghi di lusso e quelle di tutte le altre categorie, proponendo un dettagliato programma di sviluppo, concludendo:
«Il formarsi e lo svilupparsi di stazioni climatiche, balneari e di cura, richiede un insieme di condizioni non sempre ben precisabili e precisate, né costanti [legate alla moda del momento. Ma] l’organizzazione della stazione climatica, balneare o di cura deve avere per bene tutto ciò che può occupare il tempo delle persone che vi affluiscono».
La marineria della costa sorrentina: Sant’Agnello, Piano, Meta e Vico Equense
Il territorio del Piano di Sorrento, che comprendeva i terzieri di Sant’Agnello e Meta, fino ai primi dell’Ottocento era compreso nel territorio della città regia di Sorrento.
Il Portulanoto, che controllava i commerci, risiedeva a Piano. La città esigeva i diritti sulla pesca e la famiglia Guardato quelli di approdo (falangaggio) e dogana, come a Sorrento. Ma in tutto il territorio, diversamente da Sorrento, vi era una spiccata vocazione marinara e armatoriale, testimoniata dal Monte di “Padroni e marinai di tartane e felluche”, istituito nel 1629 dalla famiglia Cafiero nella chiesa della SS Annunziata di Meta per riscattare i marinai presi prigionieri da turchi e barbareschi e per assicurare una dote alle figlie, riconfermato con Regio Assenso nel 1719. Anche piano nel 1712 ottenne il Regio Assenso per la fondazione di un simile “Monte di Marinai e pescatori” (Passaro, 2020, Sirago, 2022a).
Una testimonianza della vitalità dei padroni metesi è data dall’indice delle spese conservato nell’Archivio storico della parrocchia di Santa Maria del Lauro, in cui vi è l’elenco, a partire dal 1654, del quarto pagato per ogni viaggio alla chiesa «per assicurarsi la protezione divina»: in 120 anni vi è un aumento considerevole degli introiti, grazie all’incremento della marineria (Passaro, 2020).
Nell’inchiesta fatta fare dal governo austriaco nel 1727 sulla marina mercantile in tutto il territorio del Piano, in cui era compresa Meta, si contavano 86 imbarcazioni, 4 navi, legni con tre alberi e vele quadre, adatte per la navigazione oceanica 11 pinchi, 55 tartane, 16 feluche da traffico, tutte imbarcazioni dedite al commercio di gran cabotaggio nel Mediterraneo, diversamente da Sorrento, dove vi erano natanti più piccoli, usati per cabotaggio e pesca Nella costa sorrentina e a Procida, dove si contavano 102 imbarcazioni, per lo più tartane e marticane, si concentrava la maggior parte del naviglio mercantile meridionale (Di Vittorio, 2000). Le più numerose erano le tartane, come a Procida, imbarcazioni a vela con un unico albero a calcese con vela latina.
Con l’arrivo di Carlo di Borbone (1734) il regno ritrovò la sua indipendenza per cui i ministri che attorniavano il giovane re prestarono attenzione non solo alla flotta ma al ripristino del commercio e della marina mercantile, per cui il 18 agosto 1741 fu emanata una prammatica “De nautis et portubus” 18 agosto 1741, riconfermata il 19 agosto 1751, in cui si davano precise disposizioni: fu creata una Giunta della Navigazione mercantile che doveva esaminare la preparazione dei capitani e piloti, i quali ogni due anni dovevano ottenere un permesso per intraprendere i viaggi, con l’obbligo di armare le navi con quattro cannoni per la difesa da attacchi nemici. Nel 1742 fu emanato un regolamento, rinnovato negli anni seguenti per controllare l’operato dei capitani, che dovevano redigere il diario di bordo. Nel 1751 fu creata anche una Compagnia di Assicurazioni Marittime (Sirago, 2021).
Gli imprenditori e capitani di Piano e Meta, grazie alle franchigie concesse dal governo, cominciarono a costruire grossi pinchi e polacche, incrementando il commercio nel Mediterraneo, occupandosi dell’importazione del tabacco da Salonicco, spingendosi fino a Costantinopoli (Passaro, 2000), grazie alle agevolazioni ottenute col trattato di commercio stipulato con l’Impero Turco nel 1740 e con la reggenza di Tripoli l’anno seguente (ibidem). Altri trattati commerciali furono stipulati inoltre con i Paesi del Nord Europa, Olanda, Danimarca, Svezia. Poi sulla scia di questi trattati ne furono stipulati altri con alcune nazioni nordeuropee: nel 1742 con la Svezia, nel 1748 con la Danimarca e nel 1753 con l’Olanda, che permisero ai sorrentini di percorrere nuove rotte (Sirago, 2019a). In totale tra il 1752 ed il 1762 furono costruite 444 imbarcazioni, di cui 129 a Piano, tutte di grossa stazza, e 233 a Procida (tartane e marticane) (Sirago, 2004). Perciò in quel periodo si ebbe anche un incremento della popolazione marinara: secondo i dati del Catasto Onciario di Piano e Meta, del 1754, su 1096 famiglie (circa 9588 abitanti) si registravano 1223 marinai mentre il settore della pesca contava solo 4 pescatori con 5 barche e un guardiano della tonnara di Sorrento [13].
Proprio per la vivacità del ceto armatoriale sorrentino nel 1770. durante la “Reggenza Tanucci” il governo nel 1770 decise di aprire una scuola nautica a Meta e Carotto (Piano) insieme a quella di Napoli, ancora esistente, chiamata dopo l’Unità Nino Bixio (Sirago, 2022b).
Dagli anni Ottanta, quando fu nominato Ministro della Marina John Acton, la “Giunta di navigazione” da lui presieduta ebbe l’incarico di approvare la costruzione e il varo delle navi mercantili. Nel periodo compreso tra il 1782 e il 1799 vennero costruite numerose navi mercantili, soprattutto in quelli di Piano (Cassano) e Meta (Alimuri) e in quelli procidani e di Castellammare [14]. In quel periodo a Piano e Meta furono costruite 225 imbarcazioni, 175 bastimenti, 9 brigantini, 19 polacche, 16 pinchi e 6 tartane per conto di 303 armatori (su un totale 620, di cui 221 procidani). La stazza dei bastimenti nel corso degli anni aumentò da 5-6000 tomoli a 8000 tomoli (25 tomoli corrispondono a 1 tonnellata di stazza lorda), per cui fu creata la flotta mercantile più ragguardevole insieme a quella dell’isola di Procida.
Dopo il trattato di commercio stipulato con la Russia nel 1787 i capitani coraggiosi sorrentini insieme ai procidani cominciarono a commerciare in Mar Nero (Sirago, 2017b). Poi cominciarono anche i primi contatti con gli Stati Uniti (Sirago, 2019b). Giuseppe Maria Galanti nella sua “Inchiesta” del 1792 sottolineava che i marinai sorrentini erano i migliori del Regno e le loro polacche «le più riputate del Regno, … essendo costrutte come quelle del Nord» per cui viaggiavano più velocemente ed erano molto capienti, fino ad 8000 tomoli (Galanti, 1968, vol. II:187-188).
Ma a fine Settecento anche la marineria sorrentina e procidana furono travolte dalle guerre. Nella rada di Abukir il primo agosto 1798 durante la battaglia furono distrutte dalla flotta britannica al comando di Orazio Nelson le 200 navi noleggiate dai francesi per la spedizione di Napoleone in Egitto tra cui 26 polacche sorrentine. Inoltre, molti velieri mercantili erano assaliti dai corsari magrebini per tutto il periodo di guerra, fino al 1815.
Dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità 1806) anche la situazione della marineria, non più soggetta al pagamento dei diritti feudali riscossi da Sorrento, cominciò a migliorare, malgrado i problemi derivanti dal Blocco Continentale promulgato da Napoleone contro gli inglesi. In quel periodo aumentò il contrabbando, soprattutto durante l’occupazione inglese di Capri. Poi, al termine del blocco, la situazione cominciò lentamente a migliorare, anche se si sentivano gli effetti della guerra in corso. Lo stesso commercio col Mar Nero divenne appannaggio dei siciliani, grazie alla presenza sull’isola di re Ferdinando sotto la protezione inglese. Comunque, i numerosi marinai di Piano e Meta (2215 nella statistica murattiana del 1811) riuscivano a commerciare grazie alle loro “case commerciali” aperte in Sicilia, a Messina e Palermo (Sirago, 2019c), Nel 1808, durante il Decennio francese, re Giuseppe Bonaparte dichiarò Piano comune autonomo da Sorrento; poi nel 1819 esso fu separato da quello di Meta. Infine, Sant’Agnello, distinto da Piano nel 1808, fu dichiarato comune autonomo nel 1865 (Passaro, 2000). Dopo la Restaurazione (1815) venne riorganizzata la marina mercantile con alcune leggi volte a promuovere l’incremento della marina mercantile. Il Cantiere di Piano, Cassano, e quello di Meta, Alimuri, ripresero a costruire bastimenti.
Al posto delle antiche imbarcazioni, pinchi, polacche, tartane, venivano costruiti i brigantini armati prevalentemente con vele quadre, più moderni ed affidabili, in grado di navigare in Atlantico. Nel 1833, quindici anni dopo la promulgazione delle leggi emanate per incentivare la marina mercantile, i dati rilevati nello “Specchio della marineria” riportano un notevole incremento e un totale rinnovamento della flotta mercantile, tutta concentrata nei dintorni del golfo di Napoli. Si contavano 289 brigantini al di sopra di 200 tonnellate di cui 42 a Piano e 54 a Meta (Passaro, 2020). In totale a Piano vi erano 50 imbarcazioni per 10.985,18 tonnellate e 57 a Meta per 14688,30 tonnellate (di cui tre paranzelli da pesca). Quanto alle costruzioni, effettuate anche per gli armatori di Castellammare e Sorrento, a Piano furono costruite 81 navi e a Meta 54. Nella statistica del 1838 si registra un ulteriore aumento: a Piano vi erano 202 imbarcazioni per 11.130,16 tonnellate e a Meta 230 per 17196 t (su un totale di 491064 tonnellate censite per il comparto di Napoli): ed erano state varate 121 navi a Piano e 206 a Meta (Sirago, 2004, tabelle).
Uno dei più importanti armatori di Piano era Francesco Saverio Ciampa che tra il 1847 e il 1880 fece costruire 13 brigantini. Poi i figli ne fecero allestire 4 in acciaio, tre dai cantieri Ansaldo in Liguria e uno in Gran Bretagna Con queste navi venivano trasportati dalla penisola sorrentina arance, limoni, olio, soprattutto di Massa Lubrense, e grano in ogni parte del mondo; a loro volta le navi importavano le lattine di petrolio usate per illuminare le strade sorrentine (Maresca Passaro, 2011:58).
Lo stesso armatore fu un grande produttore ed esportatore di agrumi: nel 1864 aveva fondato la Ditta Sorrentina di Esportazione di Agrumi creando aziende anche a Rodi Garganico (Puglia) e Messina: in breve divenne uno dei principali fornitori di agrumi degli Stati Uniti esportando i suoi agrumi fin nelle Americhe. Eletto sindaco di Sant’Agnello nel 1865 per snellire le pratiche burocratiche inerenti le esportazioni all’estero fece nascere nel nuovo comune una sede del Consolato degli Stati Uniti d’America, come si legge in una targa apposta dal Comune nel 1992.
Numerosi armatori si dedicavano anche al commercio in Mar Nero: tra il 1840 ed il 1860 si ebbe un crescente numero di viaggi in cui i sorrentini caricavano merci, soprattutto grano, non solo per Napoli ma per tutti i porti del Mediterraneo. La famiglia Cafiero di Piano, altra potente famiglia di armatori, che aveva rapporti diretti con i porti russi di Odessa e della Crimea, aveva chiamato le loro navi con nomi russi, un brigantino Barone Stieglitz, di 312 tonnellate, varato nel 1842, in onore dell’imprenditore russo barone Alexander von Stieglitz, il brigantino Conte Nesselrode, di 274 tonnellate, varato lo stesso anno, in onore di KarlVasil’evic Nessel’rode, capo del governo della Russia dal 1845 al 1856, il bark Nicola, di 409 tonnellate, varato a Cassano nel 1849, in onore dello Zar Nicola I (Sirago, 2019c).
Anche a Meta vi erano importanti armatori come i Cafiero, i De Martino, i quali abitavano a Meta ma avevano una abitazione nella zona mercantile di Napoli, al Piliero. Dalla fine del Settecento trasportavano con le loro polacche e tartane grano da Barletta, dove Carlo, figlio del capostipite Giuseppe si era trasferito, ricoprendo la carica di viceconsole inglese. Altri componenti della famiglia, i cugini Renato e Saverio avevano ricoperto la carica di console a Tunisi nel 1811 e ad Algeri nel 1829. Ancora oggi i loro discendenti sono al servizio della diplomazia italiana (Passaro, 2000:53).
Nella prima metà dell’Ottocento la concentrazione di naviglio di altura a Meta, un paese di circa 5000 abitanti, era particolarmente accentuata: le navi percorrevano tutte le rotte mediterranee e quelle oceaniche, giungendo fin nelle Americhe meridionale e settentrionale. Nel 1816 l’antico Monte dei Marinai Schiavi e la Società di Padroni di Bastimenti si fuse in un’unica associazione, la Società dei Padroni di Bastimento e Monte dei Marinai Schiavi di Meta allo scopo di fornire ai marinai assistenza medica e sussidi in caso di inabilità. Poi nel 1898 fu istituita l’Associazione Sorrentina di Mutuo Soccorso tra Capitani e Macchinisti con le stesse finalità la cui sede, la Casina dei Capitani, fu inaugurata nel 1907 (Passaro, 2000: 50-51).
La fiorente attività degli armatori e capitani di Piano e Meta e marinai è testimoniata dalla numerosa collezione di ex voto marinari fatti dipingere per devozione dagli equipaggi che si erano salvati durante una tempesta, conservati nella Basilica Pontificia di Sant’Antonino Abate di Sorrento: vi sono raffigurate le varie tipologie di imbarcazioni, brigantini, brigantini a palo, brik (de Vito Puglia, 2009). Altri ex voto sono custoditi nella Basilica di Santa Maria del Lauro, a Meta (Imperato, 2019).
Per proteggere il loro capitale gli abitanti di Piano e Meta crearono tre società assicurative: nel 1825 la Compagnia di Assicurazioni e Cambi Marittimi del Piano di Sorrento, nel 1826 la Compagnia Metese di Assicurazioni e Cambi Marittimi, detta anche Prima Compagnia Metese di Assicurazioni e Cambi Marittimi e nel 1831 la Società Anonima di Assicurazioni e Cambi Marittimi, detta Seconda Compagnia Metese di Assicurazioni e Cambi Marittime, le uniche del Golfo partenopeo oltre quelle napoletane (Passaro, 2000: 52).
La navigazione a vapore venne introdotta lentamente, poiché si preferiva usare i velieri, con una capienza maggiore rispetto alle navi a vapore, che all’inizio avevano un motore ingombrante ed erano utilizzate solo per il trasporto di posta e passeggeri. Ma i capitani di Piano e Meta, che studiavano nelle scuole nautiche, vennero utilizzati per la loro perizia tecnica: al comando del Ferdinando I, il primo piroscafo del 1818, vi era un alfiere di vascello, sostituito poi dal metese Andrea De Martino, che aveva studiato nel collegio nautico napoletano. Lo stesso De Martino nel 1840 fondò a Napoli la Società di navigazione per traffico de’ battellli a vapore nel Mediterraneo (Passaro, 2000: 54). Nel secondo Ottocento la scuola nautica di Meta e Carotto, chiamata Nino Bixio, fu riorganizzata e negli anni Ottanta fu dotata di sale per macchinisti che dovevano imparare a manovrare le navi a vapore (Sirago, 2022).
Da fine Ottocento, quando fu dismessa la navigazione a vela, la fisionomia di Sant’Agnello, Piano e Meta cambiò. I due cantieri non erano più idonei per la costruzione delle nuove imbarcazioni, per cui la popolazione continuò ad esercitare le attività marinare su altre imbarcazioni grazie alla perizia acquisita nella scuola nautica, come accade tutt’ora. Poi lentamente incominciò anche un certo sviluppo turistico, come era avvenuto a Sorrento. Le tre cittadine nel corso dell’Ottocento avevano assunto un aspetto elegante grazie ai palazzi costruiti dai facoltosi armatori, in cui vi erano anche profumati giardini di agrumi. Perciò questi palazzi cominciarono ad essere fittati da stranieri e napoletani per la villeggiatura.
Un lungo soggiorno a Piano nel 1840 ispirò il poeta Robert Browning a comporre una poesia dedicata alla moglie Elisabeth Barret Browning sull’ameno territorio, punteggiato dalle floride coltivazioni di agrumi, noci e gelsi (Browning, 1876-1879). In quel periodo cominciarono ad apparire le prime Guide. Mariana Starke nei suoi appunti di viaggio del 1800 consigliava di alloggiare nella casa di don Raffaele Starace a Sant’Agnello o in quella di don Cristoforo Spinelli al Ponte Maggiore, presso Meta, rimarcando che a Sorrento e nei dintorni vi erano pochi alloggi decenti (Starke, 1800, II vol., lettera XXI: 100ss. e 344). Poi nella Guida del 1820, un po’ più dettagliata, specificava che a Sorrento mancavano ancora buoni alloggi per cui consigliava alle coppie o alle viaggiatrici di soggiornare a Sant’Agnello a Casa Cesare o al Cocumella, antico convalescenziario dei Gesuiti, poi Scuola Nautica, trasformato nel 1798 in albergo di lusso, con uno splendido giardino e una comoda discesa a mare, oggi Grand Hotel Cocumella (Starke, 1820: 492ss.). Inoltre, specificava che si potevano fittare anche le belle abitazioni dei capitani di Sant’Agnello, Piano e Meta. Anche Carlo Merlo a metà Ottocento nella sua “Guida” a consigliava il Cocumella, il più elegante (Merlo, 1857).
Anche Hans Christian Andersen, durante il suo soggiorno al Cocumella, nel maggio del 1846 descriveva il luogo pieno di fascino:
«Abito qui appartato sul mare, tra giardini e monti, tra i pini vedo il Vesuvio e ho tutto per uno scudo al giorno. È come se fossi dentro una cesta di frutta con uva e arance, da una parte vedo monti verdi e pietrosi, dall’altra il Golfo con Castellammare e il Vesuvio, dove il fumo sale dolcemente» (Andersen, 2021:162-3).
Il Cocumella, proprio per il suo comfort e la sua eleganza, fu scelto nel 1885 dallo scrittore statunitense Francis Marion Crawford, definito da Oscar Wilde «il giovane trascendentalista di Boston», per un soggiorno estivo con la giovane sposa. Durante il loro soggiorno i coniugi Crawford, ammaliati dallo splendido paesaggio, decisero di acquistare Villa Renzi, divenuta Villa Crawford, dove stabilirono la loro residenza e dove lo scrittore morì nel 1909 (dal 1997 sede del “Centro Studi e Ricerche Francis Marion Crawford). In questa villa scrisse numerosi romanzi, tra cui uno di ricordi e descrizioni dei magnifici paesaggi sorrentini, da lui tanto amati, Children of the King – A tale of southern Italy, pubblicato in inglese nel 1885 e poi in 57 puntate sul quotidiano Il Mattino dal 6 giugno all’8 agosto 1894 col titolo I Figli del Re – Romanzo dell’Italia meridionale (Crawford, 1894). Una prima parte del romanzo è stata ripubblicata a cura di Alessandra Contenti nel 2004 col titolo In barca a vela da Sorrento ad Amalfi ed altre storie.
Anche la sorellastra di Crawford, Margaret Terry Chanler, nelle sue Memorie narrava di un’estate trascorsa a Sorrento al Cocumella insieme a Marion ricordando:
«Non c’era niente di più eccitante che fare un bagno nelle acque di Sorrento tra le onde fresche e tranquille che lambivano le rocce, nel ridente profondo mare, dal colore di un azzurro indescrivibile».
Poi descriveva il veliero comandato da Marion, un’agile feluca, su cui veleggiavano lungo la costa, spingendosi fino a Capri, per vedere la famosa Grotta Azzurra, e aggiungeva:
«Fare il bagno alla Punta di Scutari [a Sorrento] … era una cosa indescrivibile. … Ci scatenavamo come … giovani delfini, tuffandoci dagli scogli, giocando a palla, eseguendo balli e quadriglie nell’acqua» (Chanler, 1935 e 1998-1999).
Ancora più interessante è la descrizione di Albert Robida del 1877 sul bagno delle donne a Meta di Sorrento, «un quadro davvero degno di Vernet!»:
«Una decina di donne prendono il bagno in costumi più o meno complicati; altre si spogliano tra gli scogli; tra di loro un finanziere, le mani in tasca e il fucile a tracolla, fuma tranquillamente la sua sigaretta: né importuno, né importunato. Una bella ragazza, semicoperta, si ravviva i capelli … e si staglia meravigliosamente sul fondo nero di una grotta scavata nella falesia. In questa grotta è accuratamente sistemata la flotta di Meta; non c’è che da attraversare il gruppo di bagnanti, fortunatamente non troppo intimidite, per andare a cercare, in fondo alla grotta, una barca … O Sorrento! Città delle Sirene … I figli dell’Inghilterra, … proprietari di queste ville senza pari … fuggendo le brume della madrepatria, qui si bagnano di sole e d’azzurro» (Robida, 1878, cap. III).
La moda per la balneazione spinse alcuni imprenditori ad aprire stabilimenti balneari. A Meta nella marina di Alimuri ai primi del Novecento furono inaugurati il Resegone e Giovinezza di Francesco Rispoli, il Vittoria di Catello Amato e Le Ondine [15]. Altri stabilimenti balneari furono costruiti nella marina di Piano, a Cassano. Ormai tutto l’antico territorio del Piano di Sorrento sia avviava a diventare un ambito ed elegante luogo di loisir, meta di numerosi stranieri, un aspetto mantenuto fino ai nostri giorni.
Vico Equense
La terra di Vico, che a metà Cinquecento contava circa 700 abitanti (Parascandolo 1858) era possesso feudale della famiglia Carafa che esigeva i diritti sulla pesca, cioè «il decino (decima parte) per le sarde salate ed altri pesci» [16]. Invece la famiglia Folliero aveva acquistato quelli inerenti il commercio, il diritto di falangaggio, o approdo, un grano per ogni feluca che approdava [17], e quello di dogana [18]. Il commercio era controllato da un portulanoto alle dipendenze del Mastro Portolano di Napoli: dal territorio venivano spediti a Napoli molti commestibili, soprattutto latticini trasportati con le feluche, Vi erano anche alcuni pescatori dediti alla pesca, come a Sorrento, poiché si calava una tonnara alla marina di Equa, in possesso del principe di Satriano Ettore Ravaschieri, che aveva acquistato Vico nel 1629, conservando il possesso fino al 1806, quando fu promulgata la legge eversiva della feudalità (Parascandolo 1858: 137). La tonnara a fine Settecento rendeva 200-400 ducati annui ma il principe Filippo Ravaschieri faceva istanza contro il governo borbonico poiché si lamentava per la mancanza di introiti a causa della tonnara calata dal re al Granatello, sito reale di pesca, che faceva diminuire la pesca dei tonni in quella di Vico [19]. Il principe faceva istanza perché aveva dovuto pagare una transazione di 700 ducati per poterla far calare [20] . Comunque, questa attività non fu più praticata nel corso dell’Ottocento (Sirago, 2003).
Gli abitanti di Vico, come quelli di Castellammare, Piano e Meta erano dediti soprattutto alla marineria, con numerose imbarcazioni “da traffico”. Nella “statistica” redatta” nel periodo austriaco (1727) si contavano 38 imbarcazioni, tre pinchi come quelli di Piano, tre “barconi da traffico”, 17 feluche “da taffico”, due gozzi grandi “da traffico”, 13 tartane (Di Vittorio, 2000). Pochi anni dopo, nel Catasto Onciario compilato per ordine di re Carlo, del 1753, si contavano solo otto gozzi. Ma nelle dichiarazioni dei cittadini spesso alcuni beni, come le barche, non venivano dichiarati per evadere le tasse dovute. Quanto alla popolazione marinara su 932 famiglie (circa 6600 abitanti) erano registrati 5 padroni di barca, 291 marinai e 10 pescatori [21].
Nella marina di Equa si era sviluppata anche una certa attività cantieristica: tra il 1752 ed il 1762 erano state costruite otto imbarcazioni (Sirago, 2004: 86), aumentate a 24 nel periodo tra il 1782 ed il 1799, anche di grosso tonnellaggio: 19 bastimenti, un brigantino, 3 polacche e un pinco [22]. Anche a Vico nel periodo francese, dopo la promulgazione della legge eversiva della feudalità, la situazione per la marineria migliorò: nella statistica murattiana del 1811 si contavano infatti 530 marinai (Sirago, 2004). Dopo la Restaurazione (1815) la cittadina beneficiò delle leggi promulgate per favorire l’aumento della marina mercantile: nel 1833 si contavano 41 imbarcazioni, di cui 13 brigantini, per un totale di 2806,22 tonnellate e se ne costruirono 51 (Passaro, 2020); poi nel 1838 si registrò un sensibile aumento, 182 imbarcazioni per un totale di 2144 tonnellate, e se ne costruirono 65 (Sirago, 2004, tabelle). Ma la popolazione, secondo Parascandolo (1858), si era ridotta a 3000 abitanti.
In totale nel cantiere di Seiano alla Marina di Equa, nello spazio antistante la chiesetta di Sant’Antonio, tra il 1815 ed il 1878 furono costruiti 60 bastimenti, circa uno all’anno. Nel resto della spiaggia si costruivano feluche, paranzelli da pesca, gozzi e barche. Aniello e Antonio Gargiulo guidarono una serie di mastri d’ascia (falegnami) che impostavano e costruivano le imbarcazioni. Una testimonianza di questa attività è data dai numerosi ex voto marinari custoditi nel Santuario della Vergine delle Grazie detta Santa Maria Vecchia costruito nel XVI secolo. Le famiglie di Vico, i Savarese, i Monti, gli Ametrano, i Guida, gli Astarita di Montechiaro, avevano stretto rapporti matrimoniali con le famiglie degli armatori di Meta, Piano e Sant’Agnello ed avevano contatti con le ditte di forniture navali di Castellammare e le case commerciali napoletane. Tra questi la Ditta Starace & C, in società con i Lauro di Meta, i Savarese e la Casa Commerciale e Banca napoletana Meuricoffe & Sorvilllo gestirono per venti anni sessanta bastimenti. Nel 1842 Francesco Saverio Starace collegò per primo Pietroburgo a New York, facendo rotta a Nord della Scozia con il brigantino di 324 tonnellate Emilia e Celestina, i nomi delle sorelle Coltellini sposate ai fratelli George e Auguste Meuricoffe. Michele Starace, figlio di Francesco Saverio, aveva sposato Antonietta Meuricoffe, aggiungendo il nome Starace alla banca. La famiglia Meuricoffe soggiornava spesso nella villa degli Starace al Capo La Gala. Poi a fine secolo fu molto attivo l’armatore Clemente Savarese, che gestiva sedici bastimenti. Ai primi del Novecento il capitano Paolo Samengo aveva tre bastimenti di circa 2000 tonnellate, il barco Sant’Amalia in legno e due navi in ferro, la Santa Margherita e la San Celeste (Maresca Passaro, 2011: 62-64).
Col tramonto della marina a vela anche Vico Equense si avviava ad assumere l’aspetto di una città di loisir, accogliendo numerosi viaggiatori stranieri. Nel settembre del 1826 il pittore russo Sil’vestr F. Ščedrin soggiornò a Vico per circa un mese: nella lettera all’amico Samuel Gal’berg la descriveva come una terra «così disgustosa e insieme così meravigliosa»: aveva infatti preso alloggio in una “schifosa locanda”, con un “letto misero” e gli avevano cucinato “cibo immangiabile”. Ma aveva potuto dipingere splendidi paesaggi dove (Evsev’ev, 2023: 69-70).
Comunque, pian piano la situazione alberghiera migliorò. Nel 1840 Francesco Alvino segnalava l’apertura di alcuni alberghi (Alvino, 1842:38). Inoltre, Gaetano Parascandolo consigliava di alloggiare presso alcuni “comodi casini” delle famiglie Savarese, Palumbo, Buonocore, che si affittavano in estate ai villeggianti e annunciava l’apertura di una locanda nella villa Capozzi (Parascandolo, 1858: 258-260). Il Pellerano nella sua “Guida” del 1884 segnalava la Villa Capozzi come “Pensione Inglese” di Marianna Dawes; egli menzionava anche un Hotel Pension aperto a Villa Mattei consigliato sia ai turisti stranieri che ai villeggianti napoletani: la cittadina, che contava 11.608 abitanti, cominciava ad assumere un aspetto di località turistica (Pellerano, 1884: 229).
Un luogo famoso era lo Scrajo, uno stabilimento termo-minerale ancora in attività, che si poteva raggiungere con i battelli a vapore o la tramvia che collegava Castellammare a Sorrento. Lo stabilimento fu costruito nel 1889 dal dottor Andrea Scala, capostipite della famiglia cui ancor’oggi appartiene l’azienda. Il medico aveva scoperto una sorgente termale che si riversa nel mare, premiata nel 1897 dalla Società Italiana di Medicina Interna. Perciò aveva acquistato il fondo su cui si riversava la sorgente creando un attrezzato stabilimento termale frequentato non solo dai pazienti ma anche da numerosi villeggianti che univano le cure termali ai bagni di mare. Anche questo elegante stabilimento veniva pubblicizzato da Matilde Serao nei suoi frizzanti bozzetti (Sirago, 2013; www.scrajomare.it).
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Archivio di Stato, Napoli, d’ora in poi ASN, Sommaria, Partium, 147, ff. 36v.-38v., 27/6/1532 (De Ponte) e 2315, f. 238v.-239, 10/2/1640 (de Burgueda).
[2] ASN Sommaria, Consulte, 49, ff. 55v. ss., 1647.
[3] ASN, Sommaria, Partium, 147, ff. 36v.-37v., 27/6/1532 e 2315, ff. 238v.-239, 10/2/1640.
[4] ASN, Catasto Onciario, 171, 1742.
[5] ASN, Intendenza Borbonica, I s., 1625/153, 1815.
[6] ASN Sommaria, Partium, 2289, f. 276, 22/1/1636 esazione del falangaggio di Sorrento e del Piano da arte di Antonio Guardato.
[7] Biblioteca della Società di Storia Patria, Napoli, ms. XXVII A 16, ff. 106-123, esazione dei diritti di falangaggio e ancoraggio.
[8] Biblioteca della Società di Storia Patria, Napoli, ms. XXVII A 16, f. 121.
[9] ASN, Creditori dello Stato, 303/20 e 22 falangaggio di Cassano e Alimuri della famiglia Guardato.
[10] ASN, Catasto Onciario, 209, 1754, Sorrento.
[11] ASN, Intendenza Borbonica, I s., 1635/1854, 1817.
[12] ASN, Supremo Magistrato di Salute, 118/194, 10 maggio 1837.
[13] ASN, Catasto Onciario, 208, 1754.
[14] ASN, Ministero delle Finanze, vol. da 1355 a 1420 (1782-1799): i dati sono frammentari a causa dei bombardamenti subiti da Napoli durante la Seconda Guerra Mondiale.
[15] ASN. Disposizioni di massima. 27/488, 24/7/1922 e 29/5/1927
[16] ASN, Sommaria, Partium, vol. perso citato nell’Indice 5 II A, f. 95v., 1522-1523.
[17] ASN, Sommaria, Partium, 1424, f. 12v., 1597- 1599.
[18] ASN, Creditori dello Stato, 279/85.
[19] ASN, Sommaria, Consulte, 398, ff. 136t.144, 12 /9/1782.
[20] ASN, Finanze, 346, 20/9/1782.
[21] ASN, Catasto Onciario, 231, 1754.
[22] ASN, Ministero delle Finanze, vol. da 1355 a 1420 (1782-1799).
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Maria Sirago, dal 1988 è stata insegnante di italiano e latino presso il Liceo Classico Jacopo Sannazaro di Napoli. Dal primo settembre 2017 è in pensione. Affiliazione: Nav Lab (Laboratorio di Storia Marittima e Navale), Genova. Membro della Società Italiana degli Storici dell’Economia, della Società Italiana degli Storici, della Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, della Società Italiana di Storia Militare. Ha scritto alcuni saggi e numerosi lavori sulla storia marittima del regno meridionale in età moderna. Tra gli ultimi suoi studi si segnalano: La scoperta del mare. La nascita e lo sviluppo della balneazione a Napoli e nel suo golfo tra ‘800 e ‘900, edizioni Intra Moenia, Napoli, 2013; Gente di mare Storia della pesca sulle coste campane, edizioni Intra Moenia, Napoli, 2014; Il mare in festa Musica balli e cibi nella Napoli viceregnale (1503-1734), Kinetés edizioni, Benevento, 2022.
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