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Voci dal mare. Un mosaico di vite nell’opera di Evelina Santangelo

immagine1di Grazia Aiello 

Evelina Santangelo è una scrittrice e giornalista nota per la sua prosa densa e fortemente evocativa, capace di esplorare tematiche sociali e politiche di stringente attualità, come la migrazione, la tutela ambientale e le complesse dinamiche delle identità culturali. Nei suoi romanzi, tra cui La lucertola color smeraldo (2003) e Da un altro mondo (2018), emerge una peculiare abilità nell’intrecciare la dimensione intima del vissuto personale con una riflessione più ampia e collettiva, che offre al lettore un racconto costantemente in movimento tra il particolare e l’universale.

Fortemente legata a Palermo, la città in cui è nata e cresciuta, Santangelo partecipa attivamente alla vita culturale e accademica del capoluogo siciliano, consolidando il suo ruolo di intellettuale impegnata e attenta osservatrice della realtà sociale contemporanea. La sua scrittura non si limita ai confini geografici o nazionali, ma si apre a una prospettiva globale, riflettendo l’interesse per le molteplici esistenze che popolano il mondo odierno. L’invito a una riflessione critica sulla complessità e le contraddizioni del nostro tempo è particolarmente incisivo, perché si serve della narrazione come strumento per interrogare il presente e immaginare nuove possibilità per il futuro.

Grazie al legame della scrittrice con l’Università degli Studi di Palermo, il Dipartimento di Scienze Umanistiche ha organizzato, nella primavera del 2024, un incontro con Evelina Santangelo, che ha avuto l’opportunità di dialogare con docenti, studenti e un pubblico attento e partecipe, presentando il suo ultimo libro, Il sentimento del mare, pubblicato da Einaudi nel 2023. Le riflessioni nate dalla lettura del testo e dall’ascolto diretto della viva voce dell’autrice, arricchite dal vivace scambio di idee che si è sviluppato durante la discussione, hanno reso l’incontro un momento prezioso per riflettere sul ruolo della letteratura nell’interpretare e trasformare la realtà.

In questo libro Evelina Santangelo si avventura in un territorio stilistico e tematico inedito rispetto alle sue precedenti opere. Grazie a un sapiente uso del linguaggio, che alterna descrizioni liriche, riflessioni filosofiche, testimonianze dirette e dialoghi interiori, Santangelo elabora un impianto polifonico che permette di affrontare il tema del mare in modo olistico, coinvolgendo sia la sfera emotiva che quella intellettuale del lettore. Pensato e scritto dopo la fine della pandemia da COVID-19 – un periodo che ha profondamente influenzato l’approccio alla scrittura dell’autrice, colta in un momento di deriva che aveva a che vedere con l’esistenza, col significato della vita e con un senso di profondo disagio rispetto alle sorti dell’umanità – il libro risponde a un «desiderio impellente: tornare al mare» [1].

Chi ha seguito la sua produzione letteraria sa che la scrittrice svolge spesso un lavoro di ricerca e attraverso il testo punta ad arrivare a qualcosa che permetta di attingere a un senso possibile della vita. È con questi sentimenti che la voce narrante del libro, ferita e sfinita come dopo un naufragio, decide di raccogliere i suoi venti favorevoli e mettersi in cammino, alla ricerca di storie che racconta con uno sguardo intimo, espressivo, quasi da investigatrice. Santangelo elabora un’opera complessa e stratificata, abbraccia diverse modalità narrative, spaziando dal memoir al reportage, dal romanzo alla riflessione politica. Questa ibridazione di generi e registri conferisce al testo un carattere unico, profondamente legato ai grandi temi della contemporaneità come la crisi ambientale, la migrazione e il ruolo della donna nella società. L’approccio che fonde narrazione personale e testimonianze esterne rende il testo molto originale nel panorama della letteratura italiana contemporanea.

Nel libro emerge fortemente la dimensione creaturale del mare, un universo pieno di vite, raccontato attraverso le molteplici storie di uomini e donne che lo popolano e per esso vivono e muoiono. Sin dalle prime pagine si avverte come il mare sia molto più di un semplice sfondo naturale o di un simbolo universale: esso rappresenta l’immutabilità dei sentimenti umani, con una mutevolezza enfatizzata dalle vite intrecciate delle persone che ne fanno esperienza: pescatori, padri, madri, mediatori culturali, migranti, biologi marini. Il mare è un protagonista e un interlocutore, non semplicemente un luogo d’incontro con l’altro, ma uno spazio di frontiera, un confine mobile che, pur essendo esterno, si riflette nelle emozioni e nelle vite di chi lo attraversa o lo vive. Il romanzo diventa quasi un pamphlet politico, richiamando la dimensione sociale della letteratura italiana recente, che affronta temi simili, e ponendosi come un’opera originale e potente, capace di combinare lirismo e politica, personale e universale. Il testo, con il suo stile ibrido, offre al lettore non solo una riflessione sull’elemento naturale, ma anche un’indagine profonda sulle condizioni umane contemporanee, dove il mare si erge a simbolo di un mondo in crisi, e assume una voce che risuona nella psiche: le onde che vanno e vengono sono metafora delle emozioni che si infrangono contro la battigia della nostra coscienza.

9788806193775_0_200_0_75Nell’affrontare temi come il potere, il dominio degli uomini sulla natura e le conseguenze delle politiche migratorie, Santangelo non si limita a raccontare storie individuali, ma – adottando un approccio più lirico e intimista, benché non meno incisivo sul piano della denuncia sociale – identifica apertamente le responsabilità collettive che hanno portato il mare a diventare un cimitero per migliaia di migranti, un luogo che sottrae identità a coloro che, partendo dalle coste dell’Africa, tentano di giungere in Europa. Allo stesso modo che in Senzaterra (2010), la migrazione viene rappresentata come un’esperienza umana universale, e il mare diventa uno spazio ambivalente: luogo di vita e morte, di miraggio e disperazione. L’umanità che lo attraversa è accomunata da speranze e aspirazioni, distacchi e dolore, un’umanità che troppo spesso deve fare i conti con la violenza della realtà che disegna un mondo fatto di privilegio e marginalità.

Il mare di Ulisse, quello delle grandi civiltà, delle navigazioni e delle scoperte, ormai troppo spesso consegna all’oblio vite che pur avendo possibilità di essere raccolte, riconosciute e ricordate, spariscono per sempre. Il mare diventa una forza cieca che devasta e distrugge con un’energia incontenibile; tuttavia esso da tomba si fa culla e riesce a reimmettere nella vita una vita mancata. Così, infine, il mare non ha colpe, non sa quando uccide e non sa quando salva: esso, perennemente fluido e costante, accoglie nel profondo della sua immensità ciò che trova e restituisce alla terra quello che il mondo non vorrebbe vedere: corpi, detriti, oggetti di ogni tipo, che appartenevano a uomini e donne e che arrivano sulla terra come segni memoriali per chi di memoria non ne ha più. Il Mediterraneo che viene raccontato ha a che fare con la pietas, che per gli antichi era la fiamma che arde, senza mai estinguersi, nel tempio segreto dell’anima, dove l’eco della storia richiama il dovere di custodire ciò che è sacro. È il gesto che accarezza, ma non chiede nulla in cambio, come una radice che si immerge nelle profondità del tempo. La pietas tiene saldi nell’intreccio, in una trama di doveri e amore verso ciò che ci ha creati e che ci supera.

Figura di Ama giapponese intenta a raccogliere un abalone, 1954.

Figura di Ama giapponese intenta a raccogliere un abalone, 1954 (ph. Fosco Maraini)

Plastico e inafferrabile, il mare viene descritto come una forza che riflette metaforicamente il caos e la fragilità dell’esistenza umana. In questo senso, Santangelo raccoglie una lunga tradizione letteraria che va da Omero a Hemingway, ma al tempo stesso cerca di sovvertirla, imprimendo alla narrazione una dimensione più personale e intima. Il fluire delle onde riproduce il movimento della vita, dove gli esseri umani cercano di trovare un equilibrio, spesso fallendo. Come in Ossi di seppia di Eugenio Montale, il mare diventa una metafora dell’esistenza, al contempo vasto e fisso, come l’essere umano che cerca di liberarsi dalle “macerie” del proprio abisso interiore.

Rileggendo la letteratura che indaga il rapporto tra l’umanità e il mare, l’autrice si accorge di come spesso non sia stata riconosciuta la vastità che esso accoglie e trasforma. Se nella tradizione letteraria l’elemento marino è stato spesso appannaggio degli uomini, che lo descrivono come un’onda travolgente e imponente, nella narrazione di Santangelo esso diventa anche una presenza fragile. Tale fragilità riveste per la scrittrice un significato profondo, perché lega il mare anche alla sfera del femminile. Centrale in questo discorso è il tema del corpo e dei molteplici ruoli delle donne. Nel testo trovano spazio figure come le Ama giapponesi, che con i loro corpi iridescenti si immergevano ripetutamente in acqua come sirene, anche in età avanzata. Così le pescatrici di Lipari degli anni ‘50, che partorivano mentre svolgevano le proprie attività, sfidando le convenzioni sociali e dimostrando come il mare non sia solo un simbolo maschile di forza e potenza, ma anche di cura e resistenza. Le figure delle eoliane di cui parla Santangelo sono quelle che in foto hanno la pelle cotta dal sole e un corpo asciutto, che sapevano orientarsi con le stelle, muoversi tra le coste siciliane per vendere il pescato. Erano donne che faticavano di giorno e di notte per saziare la fame dei propri figli cresciuti sulle spiagge e cullati nei sacchi appesi nelle barche.

Le voci che si possono ascoltare nel libro sono quelle delle studiose che guardano con gli occhi del ricercatore, con lo sguardo del viandante dell’ignoto, un esploratore dei confini invisibili del sapere. Questo è il mare studiato da chi, come l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, si fa custode di storie silenziose, una tessitrice di destini spezzati che, tra ossa e resti, ridona voce a chi l’ha persa nel silenzio della morte, facendo emergere dall’oblio volti senza nome. Le voci di chi, come la giornalista e ricercatrice Marta Bellingreri, con mani pazienti, sguardo attento e orecchie solerti, interroga le parole e i segni lasciati sul corpo – un vero e proprio archeologo del dolore – svelando segreti che solo la carne e le ossa possono custodire.

Carta nautica del Mare Mediterraneo e del Mar Nero in scala 1 4.200.000, Edizione 1997.

Carta nautica del Mare Mediterraneo e del Mar Nero in scala 1: 4.200.000, Edizione 1997

Il mare che Santangelo racconta è quello delle madri che da esso hanno avuto gioia e dolore, lacrime e sorrisi, che a causa di esso hanno perso mariti e figli. Si tratta di donne che non hanno paura di ricordare e anzi, come spesso succede nelle famiglie, si fanno memoria vivente di storie che le riguardano e che condividono con la comunità. Così è per Rosetta Ingargiola, una donna minuta che sembra non temere niente, una voce che raccontando, con parole che plasmano, la storia del figlio naufragato al largo delle coste tunisine, restituisce un’immagine del rapporto con il mare, che dona e strappa la vita, da spazio geografico si trasforma in luogo degli affetti, del ricordo e dell’appartenenza, punto di intersezione di infinite relazioni sociali sulle quali si giocano i rapporti di potere. A partire da queste riflessioni il lettore coglie il senso delle parole di Santangelo spinta dall’urgenza di raccontare un mare «sperimentato e vissuto» [2]. L’intento dell’autrice è quello di liberare questa creatura vivente dalla bianchezza a cui è relegata nelle carte nautiche e permetterle di acquisire pienezza, colorandola di corpi di animali, uomini e donne resilienti, che da essa traggono ricordi e a essa restituiscono la vita e la morte. Leggendo il testo è possibile guardare quel mare corale raccontato dall’allora vescovo di Mazara del Vallo, don Mimmo Mogavero, che con le sue parole riporta il fermento di un Nordafrica ricco di voci e vitalità, oltre che della realtà siciliana, fatta di rischi e fatica. La fatica dei pescatori di gambero rosso, per i quali il mare ha una sua antropologia precisa, fatta di scogli, approdi e fondali più o meno pescosi. Essi osservano, rispettano questa creatura e vivono in relazione a essa, sono profondamente legati ai cicli del cosmo, delle stagioni e dei pesci. Tuttavia, calati nel loro tempo, attraversano le stagioni e adattano il lavoro ai ritmi di un mondo che cambia, consuma risorse e interviene sul ciclo della natura.

Per la scrittrice il mare non è uno sfondo poetico, ma uno spazio che diventa paesaggio e sollecita la riflessione sull’ambiente e sull’impatto, spesso devastante, delle attività umane. Santangelo non si limita a descrivere il degrado, ma invita a riflettere su come le azioni di ciascuno abbiano ripercussioni sull’equilibrio naturale e, di conseguenza, sulle vite di tutti. Il mare è innocente e vittima di responsabilità politiche ed economiche che lo fagocitano. Pertanto, il concetto di “fragilità” del mare viene esteso all’intero pianeta, rappresentando l’urgenza di ripensare il rapporto tra uomo e ambiente.

immagine4Di fronte a questa drammatica realtà, l’arte sembra rimasta indifferente e lo stesso vale per gli intellettuali, che forse hanno trascurato il tema della sopravvivenza umana minacciata dal cambiamento climatico. Su questi temi insiste uno scrittore impegnato come Amitav Ghosh, che ne La grande cecità (2018), il suo libro forse più noto, esplora le cause di questo silenzio, ma soprattutto ne evidenzia la gravità, dicendo che il ruolo insostituibile della narrativa è immaginare possibilità alternative. La crisi climatica ci sfida proprio in questo: immaginare nuove forme di esistenza, perché concentrarsi solo sul mondo attuale equivale a un suicidio comune. Per sperare di sopravvivere, dobbiamo concepire un futuro diverso. Indagando il silenzio della letteratura sulla questione cruciale del nostro tempo, Ghosh analizza le cause dell’impotenza collettiva nell’affrontarla [3].

Santangelo riesce a porre le basi per dare voce alle creature animali, alle correnti, all’acqua, alla terra, alla natura. Lo fa attraverso il racconto del biologo Carmelo Isgrò, che si assume il compito di un’impresa singolare, eppure dolorosa: dare una nuova vita a un capodoglio ucciso dall’incuria dell’uomo, un modo per riconsegnare alla natura quello che le è stato strappato, e che invece ha diritto di esistere e di farlo in tutta la sua maestosità, in tutta la sua sacralità. Trova spazio la riflessione sull’individualismo del pensiero politico, l’influenza del potere dominante sulla rappresentazione della realtà, che sfida profondamente la nostra morale, i modelli economici, gli stili di vita e la dimensione nazionale dei processi decisionali. L’attuale epoca geologica che chiamiamo Antropocene, caratterizzata dall’impatto significativo e predominante delle attività umane sugli ecosistemi e sui cicli naturali della Terra, ci mostra che l’unico vero potere che abbiamo sulla natura è quello di provare a non distruggere noi stessi, e che l’unica via per salvarci è fare un passo indietro, restituendo ad essa lo spazio vitale per la nostra sopravvivenza.

Il sentimento del mare pone al centro la visione secondo cui l’umanità deve ripensare il proprio ruolo sul pianeta, superando l’idea di sfruttamento illimitato delle risorse naturali. La scrittura diventa una forma di denuncia contro l’inquinamento, la pesca eccessiva e la devastazione degli ecosistemi. Per questo l’ultimo invito della scrittrice è quello di chinarci e accarezzare il mare, un sistema in pericolo, minacciato dalla presenza dell’umanità, che ogni giorno lo affronta, ne trae sostentamento, ne esplora gli abissi e lo depreda delle sue creature più belle, vi naviga dentro, lo mappa e lo rende vivo.

Infine, il mare che racconta Santangelo è un mare che si fa campagna, un luogo affascinante in cui si mescolano le due infanzie dell’autrice, quella vissuta insieme ai nonni e agli zii, caratterizzata da un’atmosfera di colore e tradizione e quella scapestrata tra i campi e le rocce, alla ricerca di avventure. Il continuo alternarsi dei ricordi che riguardano questa duplice esperienza permette di esplorare le tecniche di pesca e quelle di vendemmia, dove si mescolano il sale, l’uva, la terra e il sangue. Si tratta di attimi di vita effimeri e perpetui che mutano e conducono alla felicità, innalzano alla gioia e spingono nell’abisso del terrore che lascia alla deriva.

immagine5La capacità di intrecciare il personale con il collettivo, il poetico con il politico, fa de Il sentimento del mare un romanzo potente e necessario, capace di restituire al lettore la complessità dell’epoca che stiamo vivendo. Elementi come questi mettono in dialogo Evelina Santangelo con scrittrici come Annie Ernaux, con la quale l’autrice del libro condivide diversi aspetti della scrittura, pur provenendo da contesti culturali e letterari differenti. Entrambe, infatti, si avvicinano a una letteratura che esplora l’autobiografia non come fine a se stessa, ma come lente per comprendere un’intera società e un’epoca storica. Santangelo, proprio come Ernaux, non si limita a raccontare un’esperienza personale, ma ne fa una lettura globale e politica, mostrando come le esperienze individuali siano profondamente intrecciate con quelle collettive. Le due scrittrici incorporano nelle loro opere elementi della vita personale che dà voce non solo alla propria esperienza, ma anche a quella di una generazione o di un’intera società. Questo approccio è centrale nella produzione letteraria di Ernaux, come accade per esempio nel libro intitolato Gli anni (2015), dove l’esistenza individuale diventa una lente attraverso cui esplorare i cambiamenti sociali e culturali della Francia del dopoguerra. Così, nella scrittura di Evelina Santangelo le esperienze personali si intrecciano con temi universali come la migrazione e la fragilità umana. È in questo ambito che la memoria gioca un ruolo fondamentale. Ernaux si concentra spesso sulla memoria collettiva e individuale, rievocando il passato per comprendere meglio il presente, Santangelo, attraverso il suo rapporto con l’elemento marino, riflette sulle esperienze passate e su come esse plasmino la percezione del presente.

In conclusione, Il sentimento del mare si distingue per la sua complessità e la sua capacità di mescolare generi e registri diversi. La narrazione riesce a dare al mare una voce nuova e personale. La scrittura conferisce una forte umanità alle storie che racconta, non cadendo mai nella retorica o nel pietismo, ma restituendo al lettore la complessità delle singole esperienze. Un esempio significativo è l’incontro con il pescatore Fausto Firreri, la cui storia personale diventa il simbolo di una lotta interiore: il suo rapporto con il mare, che gli ha permesso di ritrovare un senso di interezza dopo un infortunio, è insieme catartico e terapeutico.

Evelina Santangelo (ph. Rino Bianchi)

Evelina Santangelo (ph. Rino Bianchi)

In definitiva, il mare raccontato da Evelina Santangelo salva dal dolore e dalla malattia, lenisce le ferite, accoglie e diventa porto a cui ritornare per resistere al travolgimento dei mali del mondo. L’esperienza raccontata ha spinto l’autrice a farsi domande e induce il lettore a porsele a sua volta. Si tratta di un racconto di sentimenti che non possono essere tagliati fuori dalla vita, che bisogna assaporare e maneggiare con cura. Così, realtà e metafora si intrecciano, riproducendo il movimento ininterrotto del mare che offre spazio al continuo compiersi della vita e della morte, in un andirivieni infinito che rassicura.

Il libro, nato dalla spinta a un ripiegamento interiore molto forte, ha portato la scrittrice ad assecondare il bisogno di ascoltare gli altri. Evelina Santangelo tesse i fili delle storie che racconta, ordinando la matassa del suo rapporto con il mare che risplende in una tela di colori infiniti: una sinfonia che risuona nell’eco di voci antiche e moderne. L’autrice esplora il mosaico del mare narrando esperienze ed emozioni umane, dal lutto alla scoperta, ripercorrendo il mito di Ulisse destinato a rivivere nei viaggi che allontanano dalle certezze e spingono verso l’ignoto del confronto con noi stessi. Santangelo si assume il compito di fare letteratura, ponendosi domande e facendo affiorare in superficie ciò che è nascosto. Richiama il messaggio contenuto in Molteplicità, una delle Lezioni americane di Calvino che, riflettendo sul ruolo del romanzo contemporaneo, auspicava la composizione di opere che permettessero «d’uscire dalla prospettiva limitata di un io individuale, non solo per entrare in altri io simili al nostro, ma per fare parlare ciò che non ha parola» [4].  Proprio in questo consiste la grande sfida della letteratura, che, intrecciando diversi saperi e codici, può proporre una visione complessa e sfaccettata del mondo. Così, le voci che prendono parola nel testo di Evelina Santangelo ci consegnano la «cangiante uniformità» [5] del mare che si rivela innocente, mentre l’umanità si confronta con le proprie responsabilità e va alla ricerca di una nuova definizione di se stessa. 

Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024 
Note
[1]  E. Santangelo, Il sentimento del mare, Torino, Einaudi, 2023: 1.
[2] Ivi: 5.
[3] Cfr. a tale proposito A. Gosh, La grande cecità, Vicenza 2017.
[4] I. Calvino, Le lezioni americane, Mondadori, Milano,  2021: 122.
[5] Op. cit.:.5. 
Riferimenti bibliografici 
C. Benedetti, La letteratura ci salverà dall’estinzione, Einaudi, Torino, 2021
I. Calvino, Le lezioni americane, Mondadori, Milano, 2021
A. Ernaux, Les années, Paris 2008 (trad. it. Gli anni, L’Orma, Roma, 2015)
A. Gosh, The Great Derangement. Climate Change and the Unthinkable, Chicago, 2016 (trad. it. La grande cecità,  Neri Pozza, Vicenza, 2018)
E. Montale, Ossi di seppia, Mondadori, Milano, 2024.
E. Santangelo, La lucertola color smeraldo, Einaudi, Torino, 2003
E. Santangelo, Senzaterra, Einaudi, Torino, 2010
E. Santangelo, Da un altro mondo, Einaudi, Torino, 2018
E. Santangelo, Il sentimento del mare, Einaudi, Torino, 2023.
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Grazia Aiello è una dottoranda del corso di “Migrazioni, differenze e giustizia sociale”, presso l’Università degli Studi di Palermo. Laureata in Scienze dell’Antichità, ha sviluppato una forte passione per gli studi classici, concentrandosi su temi di appartenenza e migrazione nell’Eneide di Virgilio e sull’analisi delle categorie della luce e del buio nel De rerum natura di Lucrezio.

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