CIP
di Luca Manunza
Durante una ricerca sul campo, si può partecipare a riti, rivoluzioni o cene con l’attore sociale che si vuole raccontare. Tuttavia, è importante ricordare che esiste un “rapporto obliquo”, non perfettamente orizzontale, tra chi partecipa per raccontare e chi lo fa consapevole di essere il soggetto principale del racconto. Questo per dire che chi scrive questo pezzo è inevitabilmente vicino al soggetto/oggetto del racconto e che non sarà imparziale.
Qui non “succede mai nulla” è stato un claim lanciato da uno dei nostri ospiti del Cabudanne de sos Poetas di alcuni anni fa, Paolo Nori [1]. L’autore centrò sarcasticamente il punto, ribaltando provocatoriamente il concetto per cui nei piccoli centri abitati la vita scorre senza particolari stimoli, incontri e/o processi di attivazioni. Una frase provocatoria che voleva sottolineare l’esatto contrario.
Sono passati alcuni anni, era forse il 2008. Oggi questo claim si è trasformato in una rivendicazione collettiva da parte dell’associazione Perda Soandora, fondata nel 2000 e che da venti anni organizza il Cabudanne de sos poetas [2]. La nostra è una sfida: da un lato, reclamare il diritto, come paesani, di essere parte di un mondo complesso e variegato. Dall’altro, farlo attraverso una visione capace di unire bellezza e difficoltà, utilizzando strumenti di contrasto alle politiche nazionali e locali che spesso ci trattano come semplici laboratori di sperimentazione, distanti nei risultati e nei processi decisionali.
Il Cabudanne de sos Poetas è un festival di poesia e letteratura internazionale, nato nel 2005 a Seneghe, un piccolo paese della Sardegna centro occidentale, oggi di 1600 anime. Il festival è realizzato da vent’anni dall’associazione culturale seneghese Perda Sonadora. Una associazione trasversale, composta da amanti della poesia e della letteratura, giovani e meno giovani, che lavorano strenuamente tutto l’anno per portare avanti uno dei festival storici dell’isola. Un evento che ha portato nel nostro piccolo centro più di 3000 tra poeti e poetesse, musicisti, artisti di vario genere e che si svolge solitamente tra l’ultima settimana di agosto e la prima di settembre.
A Seneghe la poesia sarda incontra il mondo. La incontra in un clima forse particolare che contribuisce alla costruzione di una lista infinita di affezionati che ci hanno accompagnato sino a quest’ultima edizione, la ventesima, e che ha portato a Seneghe più di 120 ospiti che per tre settimane hanno animato il nostro paese. Sono sette le location utilizzate. Spazi pubblici e spazi privati che diventano di dominio pubblico, esercizi commerciali e sedi associative. Un festival diffuso nello spazio e nel tempo.
Al Cabudanne de sos poetas piace parlare schietto, non abbiamo segreti né scheletri nell’armadio. Il festival quest’anno ha avuto un costo complessivo di circa 70 mila euro. Esso è stato sostenuto da un fondo della Regione Autonoma della Sardegna attraverso un bando dedicato alla promozione della lettura (legge 14), da un fondo sempre a bando della Fondazione di Sardegna, da una campagna di crowdfunding, da un fondo di un’impresa sarda il Pastificio Fratelli Cellino e da una “colletta” organizzata durante i giorni del festival a cui hanno partecipato i soci dell’associazione e tutto il pubblico che ha transitato per il Cabudanne. Il comune di Seneghe e le istituzioni di prossimità non hanno sostenuto il festival per il secondo anno consecutivo (forse perché il nostro rifiuto a commistioni della politica locale nel programma del festival non piace poi così tanto o forse perché di costruzione di stigmi, un po’ come diceva Goffman, pare non ci si stanchi mai e il Cabudanne dall’attuale amministrazione locale è visto come un’iniziativa esterna al tessuto sociale del paese). A questo si aggiungono il lavoro gratuito di decine e decine di volontari che per mesi lavorano strenuamente alla realizzazione dell’appuntamento.
Il Settembre dei Poeti è costruito attraverso un intenso lavoro di più di 60 soci e socie che da 7 anni curano, senza esternalizzare più nulla, ogni fase del festival. Una delle piccole varianti attuate, per esempio, è stata quella di non utilizzare più la figura del direttore artistico. Professionalità non sostenibile economicamente e che nel nostro caso avrebbe rischiato di tagliare i ponti tra l’associazione e il programma. Vista l’attivazione interna dell’associazione si è deciso quindi di optare per una direzione artistica collettiva. Attraverso lo strumento delle assemblee e dello scambio continuo si stila il programma del festival e tutta la sua parte tecnico logistica. Lo si fa attraverso la condivisione dei libri, delle idee e delle riflessioni di ogni socio e socia provando, entro febbraio marzo, a costruire una sintesi capace di restituire la bellezza di questo processo.
Perda Sonadora cura ogni aspetto, l’unica porzione di festival demandata all’esterno è forse quella del catering del Cabudanne, affidata a Pierluigi Fais, chef e amico d’infanzia che da 6 anni cura lo spazio ristorazione del festival. Come questo accada e quale sia il risultato possiamo solo affidarlo ai nostri ospiti. Quello a cui noi teniamo e che Pierluigi con i suoi collaboratori fa benissimo a rendere la sede della nostra associazione un luogo vivo, dove si mangia in compagnia senza filtri tra autori e avventori, dove ogni singolo piatto diventa una vera esperienza gastronomica. Lì dove la gastronomia è motivo di incontro e confronto tra culture, spazio immersivo di riflessioni e costruzione materiale di relazione poetica.
Anche qui possiamo parlare di eccellenza. Sono i produttori locali che riforniscono al cucina di Pierluigi. Le eccellenze che senza troppi fronzoli o roboanti retoriche danno a chi non conosce il nostro territorio quanto esso sia ricco e speciale. Le mani di chi lavora la bottarga, i formaggi, il pane, il vino o le carni servite durante il festival lasciano spazio al risultato del loro sapiente lavoro. A Seneghe, durante il Cabudanne si traccia un raggio di 20km. Le materie prime delle nostre ricette arrivano da quel cerchio e dal lavoro delle nostre terre, serviti sui piatti recuperati dalle cantine e dai sottoscala delle famiglie del paese e donati all’associazione.
Il festival ha restituito direttamente al territorio che lo ospita circa 53 mila euro tra servizi di vario genere, acquisti e consulenze tecniche imprescindibili. Tra i servizi di cui andiamo più fieri ci sono quelli dedicati all’ospitalità dei nostri ospiti e di parte del pubblico. Seneghe infatti è oggi capace di ospitare 143 persone nel proprio comune grazie a un lavoro portato avanti negli anni dall’associazione di fidelizzazione con i propri compaesani. Sono infatti loro i protagonisti del festival. Uomini e donne che aprono le proprie abitazioni per l’iniziativa e che in cambio di un piccolo rimborso simbolico diventano in quelle settimane gli osti del nostro paese, fuori da ogni maglia astrusa e predatoria delle piattaforme di booking che monopolizzano il mercato dell’ospitalità ormai da anni.
Siamo come associazione fieri di tutto questo. Ad oggi, e di questo ne parliamo tantissimo, potremmo immaginare che una legge regionale sull’ospitalità diffusa possa partire proprio da Seneghe. Una normativa che guardi i nostri territori e le comunità che la abitano riflettendo di come sia possibile oggi che un paese di 1600 anime riesca ad accogliere per settimane centinaia di persone senza usufruire di servizi al di fuori di esso. Questo punto è per noi argomento saliente. È forse questo uno dei risultati tangibili più importanti che potrebbe contribuire alla crescita dei nostri paesi sul versante turistico culturale. Ci chiediamo infatti spesso se ci sia modo di immaginare un’altra formula riconosciuta di ospitalità dei nostri centri fuor dalle classiche e fredde maglie dei b&b, hotel, affittacamere ecc..
Ma purtroppo benché la voce, i dati e le prospettive di riflessione non manchino, anche li, la politica ufficiale ha le orecchie su altri fronti. Preferisce arrivare con macro politiche inattuabili, descriverci dentro il frame iconico nimby piuttosto che raccontarci come comunità periferiche se non arretrate e incapaci di proporre e autodeterminarsi.
Siamo giunti alla conclusione di questa ultima edizione ed è tempo di bilanci. Resoconti che per noi avranno una gestazione lunghissima ma da cui possiamo già trarre alcune notazioni e alcuni numeri utili alla comprensione di un vero e proprio fenomeno culturale, forse unico nel suo genere in Sardegna. La letteratura ha una tradizione lunghissima di riflessione sulla dicotomia centro/periferia. Una riflessione che investe numerosi saperi, dalle scienze sociali alla fisica. È in questa cornice che probabilmente il ruolo del centro traslato in un contesto periferico come il nostro ritrova il suo spazio rivoluzionario.
In una narrazione sempre più folcloristica dei nostri paesi il tentativo delle nostre associazioni locali è quello di resistere e attivare delle controspinte che portino paesi come Seneghe al centro della scena. Una scena che ha l’ambizione per noi paesani di essere globale, fuori dalla retorica che il piccolo sia bello e che la periferia sia come un organo distaccato dal resto.
Nella nostra piccola battaglia dell’abitare il Cabudanne de sos Poetas è la nostra risposta alla marginalità delle economie politiche che ci vuole confine geografico del mondo, oggetto più che soggetto e semplici abitanti piuttosto che cittadini consapevoli delle mancanze che i nostri centri abitati vivono nella quotidianità. Seneghe infatti, come tante altre conurbazioni “periferiche” affronta nel quotidiano le flessioni di welfare tipiche del nostro tempo: mancanza di medici di base, assenza dei servizi ordinari alla cittadinanza (banche, poste, ambulatori, supermercati, trasporti, scuole). E lì dove le narrazioni egemoni ci raccontano di quanto sia bello vivere in un piccolo centro, con la natura che ci sovrasta e l’aria buona da respirare, noi paesani continuiamo a emigrare [3] e solo in pochi provano oggi a resistere, più che affrontare quel falso mito della restanza, forse estremizzato da chi si approccia ai nostri territori con uno sguardo orientalistico.
È la resistenza e le forme di controspinta che forse attualizzano il lavoro fatto dal Festival in questi ultimi venti anni di vita. Parafrasando uno degli articoli apparsi sull’ultimo numero di Dialoghi Mediterranei nello spazio Il Centro in periferia a firma di Pietro Clemente [4] è proprio quel falso mito de “l’ottimismo della volontà” ad averci per troppi anni affievolito gli animi irrequieti di noi paesani e nel rifiuto di tale pratica che è stato per noi importante trovare nel Cabudanne uno spazio di conflitto. Un luogo dove poter mettere in scena da un lato il bello delle nostre passioni ma al contempo immaginare e costruire una posterità in qualche modo negata.
Attorno al Cabudanne si è costruito moltissimo e questo non possiamo negarlo. Sono nate amicizie e relazioni transazionali e locali, sono nati progetti importanti come quello che ha visto Seneghe vincitore del fondo del bando PNRR Borghi destinato alla cultura da 1 milione e 600 mila euro (fatto salvo che la nuova amministrazione ha deciso di estromettere il festival e l’associazione da esso una volta aggiudicato il fondo per motivi prettamente ideologici e di pruriti personali), attorno al festival è nata una comunità resistente di giovani capaci di rivalutare il proprio qui e ora, dentro le maglie del festival è nata due anni fa una cooperativa agricola di comunità che si occupa di recupero delle aree rurali abbandonate, viticultura (detta alla francese) ed enologia. Quest’ultima esperienza economica e cooperativistica di pregio unica nella nostra regione. Il festival forse è questo, con tutto il rispetto dei versi e delle note che animano le settimane del Cabudanne.
In questi ultimi anni siamo sommersi dalle riflessioni, non senza conseguenze, rispetto alla legittimità o meno della formula festival. Di quanto essi siano ancora importanti e di quanto essi siano ancora strumenti di crescita e valorizzazione culturale legittimi. Conosciamo tutti e tutte il ruolo dei cosiddetti grandi eventi. Abbiamo saputo negli anni apprezzarne gli strumenti organizzativi e le loro programmazioni. Ma forse, ci siamo poco soffermati su che siano oggi, quale sia la loro ricaduta materiale e che cosa lasciano ai territori che attraversano.
I festival sono stati messi in discussione da studiosi, politici locali e nazionali, lo hanno fatto gli stessi abitanti. Nel rispetto delle specificità il Cabudanne è per noi ancora importante e fondamentale. Il Settembre dei poeti è un festival capace di rigenerarsi e sopravvivere alle difficoltà economiche e sanitarie (il festival si è realizzato in presenza anche durante i due anni di pandemia covid-19) guardando sempre le sue basi fondative e capace di rimodellarsi in base alle esigenze della comunità ospitante. Lo si è fatto consapevolmente e non senza sforzi, in alcuni casi immani.
Il Cabudanne è per noi uno strumento (come i tanti contenuti nella cassetta degli attrezzi dello studioso sociale) che ha avuto la funzione di creare una comunità che interagisce insieme in uno spazio, un po’ come ci raccontava Anna Rizzo, nostra ospite negli anni precedenti con il suo libro I paesi Invisibili [5]. Una comunità in continuo movimento che come una fisarmonica si amplia e si restringe armonicamente e che nelle settimane del Cabudanne riflette quanto questo movimento abbia contribuito alla creazione di un modo di vivere differente.
È anche su questo che l’esperienza seneghese si avvicina, in un processo di sussunzione, alla centralità delle grandi conurbazioni dove i “movimenti” da decenni contribuiscono alla nascita di nuove formule di abitare e vivere. Il Cabudanne è per noi un “movimento” detto “alla Della Porta” [6].
Un modo di camminare sognare e scrivere insieme la nostra storia. Perché anche la Sardegna e con lei Seneghe è al centro del Mediterraneo e al centro del Mondo. Il Cabudanne parafrasando il Bourdieu sulla sociologia è mai come oggi «uno sport da combattimento» [7].
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
Note
[1] Cfr. P. Nori, La matematica è scolpita nel granito. Diari del Cabudanne de sos poetas 2006-2010, Perda Sonadora edizioni, Ghilarza, 2010.
[2] Cfr. sito web: www.settembredeipoeti.it
[3] Cfr. sito web: http://sardegnaimmigrazione.it/
[4] Cfr. P. Clemente, Continuare a pensare, in “Dialoghi Mediterranei” n. 69, settembre 2024
[5] Cfr. A. Rizzo, I paesi invisibili: Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia, Il Saggiatore, 2022.
[6] Cfr. D. Della Porta, L. Mosca, Globalizzazione e movimenti sociali, Manifesto libri, Roma, 2003.
[7] Cfr. A cura di A. Petrillo, P. Bourdieu, Forme di capitale e campi di lotte: Sociologia generale vol. 3, Mimesis, Milano, 2024.
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Luca Manunza, si è laureato nel 2009 in Scienze della Comunicazione “Documentario e Reportage Socio-antropologico” presso l’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli. Ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Sociologia presso l’Università di Genova (2014). Dal 2005 collabora con la cattedra di Sociologia Generale e Topografie dello spazio sociale dell’Università Suor Orsola Benincasa. È stato assegnista per un progetto di ricerca dell’Università di Cagliari dedicato alla presenza delle basi militari in Sardegna dal 2020 al 2023. Membro di ricerca dell’URiT (Unità di Ricerca sulle Topografie Sociali), del comitato di redazione della rivista Cartografie Sociali (rivista biennale di sociologia peer-reviewed). Si occupa di controllo sociale, social movement, migrazioni e trasformazioni urbane. Ha lavorato per emittenti italiane e straniere, come regista freelance in Italia e all’estero. È membro del collettivo INSU^TV (televisione pirata indipendente napoletana). Dal 2018 lavora come line producer e operatore di ripresa per la produzione cinematografica sarda TERRA DE PUNT. Dal 2020 scrive e collabora per la rivista QcodeMagazine, da venti anni è all’interno dell’organizzazione del festival di poesia Cabudanne de sos poetas.
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