CIP
di Natalia Cangi [*]
Pieve Santo Stefano 12-15 settembre 2024 quarant’anni dopo
Il Premio Tutino è diventato nel tempo una sorta di festival, con più attività e offerte al pubblico. Negli ultimi anni la presenza del DiMMi ha fortemente arricchito e cambiato il pubblico. Quest’anno per il 40° della nascita dell’Archivio c’è stato un pubblico numeroso e attento a tutte le attività: Il premio Tutino per il migliore testo autobiografico o diaristico o epistolare, il premio per i migranti, il nuovo premio Barnaba, e anche per le serate di teatro, le presentazioni di libri. Essendo il 40° della nascita dell’Archivio ma anche l’80° della distruzione nazista di Pieve con tanti morti, forse c’è stata anche una nuova presenza del pubblico locale. Come valuti la partecipazione di quest’anno.
Il Premio Pieve Saverio Tutino contribuisce a promuovere l’Archivio e il territorio in cui opera come luogo di cultura e presidio di raccolta, conservazione e valorizzazione della memoria delle persone comuni. Un territorio e una comunità che hanno subìto una drammatica ferita durante la Seconda Guerra Mondiale. Una comunità e un territorio che hanno saputo reagire alla distruzione e che, 40 anni più tardi, hanno accolto l’idea visionaria di Saverio Tutino, che ha portato alla fondazione dell’Archivio. Nel progettare la 40esima edizione del Premio abbiamo privilegiato un programma eterogeneo per tematiche trattate e per eventi proposti, con l’obiettivo di avvicinare ai temi della memoria fasce sempre più diversificate di pubblico. In particolare, in fase di progettazione prima e di realizzazione poi, abbiamo posto al centro delle nostre riflessioni l’obiettivo di aumentare la conoscenza su quanto avvenuto a Pieve Santo Stefano nella terribile estate del 1944. Abbiamo attinto dallo straordinario giacimento di testimonianze dell’Archivio, estraendo da questo parole e voci di donne e di uomini di Pieve Santo Stefano che ottant’anni fa hanno vissuto sulla loro pelle le terribili conseguenze della guerra. Voci e parole di giovani testimoni di quanto avvenuto nel ’44, che hanno ripreso vita grazie all’interpretazione di ragazzi e ragazze che oggi vivono negli stessi luoghi e che sono stati acclamati protagonisti della performance itinerante “Il Paese della memoria ritrovata”. È stato emozionante vedere come ragazze e ragazzi “di oggi” abbiano incarnato in modo autentico parole e voci dei loro coetanei di ottant’anni fa. Una performance itinerante, nelle strade di Pieve Santo Stefano, che ha avuto anche il merito di coinvolgere gli abitanti della “Città del diario” non come spettatori passivi, bensì come co-protagonisti di una memoria finalmente “ritrovata”. La mia valutazione sulla partecipazione della nuova presenza del pubblico locale non può non essere che positiva. Ritengo che il processo di coinvolgimento diretto della popolazione di Pieve debba continuare a intrecciarsi con il Premio Pieve e con le sue tematiche. Penso a un coinvolgimento attivo, a una progettazione partecipata.
Che implicazioni ha la partecipazione nel rapporto con la cittadinanza. Spesso i festival sono apprezzati da commercianti, albergatori, ma non sempre dalla gente del posto. Il Premio ha conquistato l’attenzione dei Pievani?
Il rapporto tra un’istituzione culturale come l’Archivio e il suo Premio e la cittadinanza passa anche attraverso una serie di pratiche senza le quali le giornate di settembre avrebbero difficoltà a svolgersi nel modo che conosciamo. Basti pensare alle persone residenti a Pieve che negli anni hanno partecipato e partecipano alla selezione dei diari del concorso, entrando a far parte della Commissione di lettura e dedicandosi a questa attività per otto mesi all’anno; alle volontarie e ai volontari che supportano il personale dell’Archivio nella trascrizione e nel riordino di testi manoscritti che partecipano al concorso. Lo staff dei volontari del Premio è composto, in maggioranza, da cittadine e cittadini di Pieve Santo Stefano. Il Premio non ha ancora “conquistato” l’attenzione di pievani, o almeno non l’ha fatto in termini generali. È un processo di avvicinamento, di allargamento di una comunità, al quale, senza sosta, continuiamo a investire.
In termini di vitalità culturale del paese il Premio è importante?
Al momento della nascita, la forza di propulsione dell’Archivio è il Premio Pieve che viene istituito nel momento in cui si compie l’atto fondativo dell’Archivio. Il Premio si impone da subito come evento culturale a sé, unico nel suo genere, destinato, forse suo malgrado, a incidere in modo significativamente importante nella vita culturale di Pieve Santo Stefano, trasformando radicalmente la fisionomia del nostro territorio. E non poteva essere che così visto che il Premio Pieve ha perseguito fin dalla nascita l’obiettivo generale che lo accomuna alla mission dell’Archivio, cioè la sostanziale attitudine alle molteplici valorizzazioni del patrimonio conservato, attitudine che si unisce alla naturale propensione all’innovazione e alla continua ricerca di nuove modalità di valorizzazione e di fruizione online e on-site.
Il Premio Pieve, che nel tempo ha assunto il carattere di un festival della memoria, è un crocevia di incontri che si svolgono nelle strade, nelle piazze di Pieve; luoghi che diventano speciali perché si animano di persone, diaristi, lettori, appassionati, che prendono parte alle diverse manifestazioni e che approdano a Pieve Santo Stefano da varie parti d’Italia. Di nuovo, ogni anno, c’è il confronto continuo tra storie di vita diverse; un confronto che si palesa nel reciproco conoscersi, nel ritrovare, nel dialogo con l’altro, il proprio vissuto.
Il Premio dimostra anche come un evento culturale può attirare flussi di persone interessate a mettere a disposizione di una comunità i propri saperi, le proprie risorse, il proprio tempo. Nel corso degli anni la comunità di Pieve ha partecipato al Premio intervenendo come lettrici e lettori nella Commissione di lettura del concorso, supportando l’organizzazione e la realizzazione della manifestazione come volontarie e volontari. Il contributo che viene dato è a più livelli, è logistico, organizzativo, ma anche di un tipo meno identificabile, che ha a che fare con il coinvolgimento emotivo, d’affezione, verso un evento che coinvolge le persone in modo preminente e le rende parti attive di una comunità che si riconosce nei valori e nella missione dell’Archivio.
Il piccolo museo del diario è molto visitato durante il premio, ma riesce ad essere un volano per venire a Pieve anche durante il resto dell’anno?
Il Piccolo museo del diario nasce nel 2013 per raccontare l’Archivio. Negli anni è diventato punto di ingresso di nuovi diaristi, di nuovi donatori, di nuovi appassionati di memoria. L’obiettivo costantemente ricercato è quello di intercettare e coinvolgere il più ampio numero possibile di persone, sia all’interno della già consolidata comunità del Piccolo museo e dell’Archivio dei diari, così come al di fuori di essa. Il museo sta diventando anche un punto di riferimento per gli abitanti di Pieve che sempre di più si riconoscono nel loro museo; una realtà culturale che accoglie i visitatori tutto l’anno. Nel periodo ottobre – maggio è meta costante di visite da parte di scolaresche che coniugano la visita allo spazio museale con le attività didattiche promosse da museo e archivio. Le attività del museo sono fortemente caratterizzate da un notevole investimento nella promozione e nello sviluppo dell’ambito didattico. Nel 2023 si è registrato un deciso aumento di visitatori rispetto al 2022: 7.801 rispetto a 4.964 con un incremento pari al 57,20%. Anche la presenza di gruppi, in maggioranza scolastici ha fatto registrare, rispetto al 2022, uno sviluppo molto significativo pari al 36,4%. Dai dati in nostro possesso si ipotizza che a fine 2024 il numero dei visitatori potrebbe segnare un nuovo record attestandosi sulle 9.900 persone.
La libreria ha successo? Ci sono buone vendite di libri e di gadget?
La libreria del Premio Pieve si è confermata anche nel 2024 come uno straordinario strumento di valorizzazione e di promozione del patrimonio archivistico. La Fondazione fin dalla sua nascita ha investito sull’attività editoriale. L’obiettivo dichiarato è sempre stato quello di fare diventare libri il maggior numero possibile di diari. Nel quarantesimo del Premio e dell’Archivio sono stati pubblicati sei nuovi volumi, tra i quali il libro celebrativo dei quarant’anni del Premio Pieve, e due fondamentali ristampe. L’ampia e articolata offerta editoriale è stata senz’altro premiante ai fini dell’incremento del 33% rispetto al 2023, fatto registrare dalle vendite presso la libreria del Premio. Nonostante l’introduzione e il continuo sviluppo di strumenti digitali, messi a punto dall’Archivio, che facilitano l’accesso al fondo e che ne offrono forme mediate di fruizione, si registra un numero costantemente crescente di persone che acquistano le pubblicazioni e i gadget realizzati dall’Archivio e dal Piccolo museo del diario.
Quante sono le scritture che arrivano ogni anno per il concorso? Ci sono tendenze? Più o meno, o sono costanti?
Ogni anno vengono ammesse al Premio Pieve le prime 100 scritture che si sono candidate al concorso entro il 15 gennaio, così come previsto dal Regolamento. Se il numero delle candidature supera i 100 scritti, le opere eccedenti vengono, previa autorizzazione degli autori o dei loro eredi, proposte per l’edizione successiva del concorso. Il Secondo conflitto mondiale rappresenta, pur con sfumature e articolazioni diverse, la tematica maggiormente rappresentata in ogni selezione del Premio Pieve. Non mancano scritti sui grandi temi come il Primo conflitto mondiale o come l’emigrazione. Nel biennio 2020-2021 il racconto della pandemia Covid-19 si è imposto tra gli argomenti trattati nei testi candidati al concorso, a ribadire la funzione che la scrittura assume ogni qualvolta intervengono cesure storiche importanti che hanno un riflesso sul piano collettivo. Desidero anche sottolineare come, da qualche anno, concorrono al Premio testimonianze che sono specchio del nostro tempo, il cui carattere peculiare si manifesta con la presenza di un “io” sovrabbondante che spesso si accompagna a una scrittura controllata e standardizzata. Per contro, non di rado, si candidano al Premio scritture che non esitiamo a definire “graffiate” che, in modo crudo e non convenzionale, mettono a nudo le nostre fragilità e i piccoli e grandi disastri che attraversano le nostre esistenze.
Il Premio 2024 aveva molti sponsor, quali sono i principali sostenitori finanziari del festival?
La struttura delle entrate a sostegno del Premio riflette, a livello di articolazione, quella dell’Archivio. Il Premio Pieve 2024 è stato finanziato da enti pubblici quali il Ministero della Cultura, la Regione Toscana e la Camera di Commercio; da enti privati e aziende come Banca di Credito Cooperativo di Anghiari e Stia, Fondazione CR Firenze, L.A. Sistemi srl, Tca spa; da donatori singoli; da una quota relativa ai progetti che trovano spazio nel programma della manifestazione.
Mi dai un giudizio di insieme sull’evento di quest’anno, anche rispetto ad altri anni
Abbiamo a lungo lavorato alla preparazione della quarantesima edizione del Premio. Sapevamo che non sarebbe stato semplice coniugare tematiche, linguaggi, nuove sfide e anche molte aspettative legate al traguardo dei quarant’anni. Il Premio riflette da sempre, seppur in misura molto condensata, le attività svolte dall’Archivio durante l’anno, e quest’anno avevamo alcuni progetti che sapevamo in partenza avrebbero richiesto energie e sforzi aggiuntivi. Abbiamo ampliato la comunità di persone che riconosce Pieve come luogo di ascolto, di condivisione, di presa di parola. Al Premio 2024 abbiamo testato per la prima volta la possibilità di organizzare eventi in concomitanza. L’occasione ce l’hanno fornita il progetto Ithaca e il concorso Ithaca Diary Contest che hanno proiettato l’Archivio e il suo Premio in uno scenario internazionale inedito, quello di alcuni Paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo. Venti anni fa fu chiesto a Saverio Tutino come si sarebbe immaginato il suo Archivio tra vent’anni. E lui rispose “Tra vent’anni e con gli influssi di tutti gli altri Paesi, l’Archivio si trasformerà, perché dobbiamo mescolarci. Ci troveremo con una cultura nuova, una nuova cultura popolare che non abbiamo conosciuto finora, dove quello che sta al centro di tutto è la persona con i suoi diritti”. Il Premio Pieve a mio parere continua a camminare insieme al suo fondatore, fa tesoro della sua visione. Il mio giudizio sull’edizione numero 40 non può che essere positivo, in crescita sia a livello di contenuti e linguaggi proposti sia in termini di pubblico accolto. L’idea che quarant’anni dopo il Premio possa ancora aderire alla definizione di Saverio che parlò di “una manifestazione culturale a sé”, ci conforta e ci spinge ad andare avanti e ad affrontare nuove sfide, sempre nell’ottica di quella apertura e di quella condivisione che ha scandito le giornate di settembre.
Il Premio ha uno staff gestionale, artistico e promozionale molto qualificato e sperimentato. Su quel piano anche in futuro vedi continuità a cambiamenti?
Ritengo che nel tempo si sia trovato un buon equilibrio. L’articolazione in settori di attività: dal fundrising alla comunicazione, dalla progettazione al settore tecnico, dal gruppo che fa scelte artistiche a quello organizzativo, ci ha consentito di individuare competenze e capacità professionali qualificate, che poi sono perfettamente sovrapponibili con quelle che durante l’anno operano trasversalmente in tutte le attività in cui è impegnato l’Archivio. Credo che la strada intrapresa sia quella più adeguata a rappresentare l’attuale fase storica dell’Archivio e del Premio. Se da un lato siamo consapevoli che il cammino avviato è quello che più ci rappresenta e che avrà validità, con i necessari aggiustamenti, anche nell’immediato futuro, dall’altro sappiamo che ci sono aspetti da migliorare e settori da irrobustire ulteriormente.
Mi pare che il gruppo di volontari che sostiene il Premio sia ampio, giovane ed efficace. Secondo te da lì verrà una nuova generazione di gestione del premio?
Alcuni dei nostri giovani, che figurano nello staff dei volontari del Premio, penso ad esempio alle guide del Piccolo museo del diario, ma anche ad alcune giovani che lavorano in Archivio, fanno già parte dell’organico della nostra Istituzione. Ritengo che una nuova energia, in grado di alimentare e di far crescere il Premio (e l’Archivio), sia ormai largamente percepita. Continuiamo a lavorare come Consiglio di Amministrazione e come Direzione dell’Archivio, per dare valore e spazi di autonomia sia ai giovani che operano professionalmente nei vari settori (fundrasing/progettazione/comunicazione/ allestimenti/ospitalità/direzione artistica etc) e a chi presta volontariamente la propria opera per il Premio.
In genere gli eventi culturali e le associazioni che li creano e gestiscono vivono problemi di passaggio generazionale, in modo talora difficile e complesso. Tu e altri rappresentate la seconda generazione quella del radicamento e della maturità del premio. Vi capita di riflettere sul futuro e sulle nuove generazioni?
Il passaggio generazionale nella vita di un’istituzione e di un evento culturale, rappresenta senza alcun dubbio un momento complesso da affrontare e gestire. Il tema è ovviamente al centro delle mie riflessioni e di chi come me ha gestito l’Archivio dopo la morte di Saverio Tutino. Negli ultimi dodici anni l’Archivio ha investito su giovani che supportano la Fondazione in settori strategici in grado di incidere sul futuro di una istituzione. Gli stessi giovani sono coinvolti nelle scelte e nell’organizzazione del Premio. Lavoriamo per un passaggio di consegne, graduale, consapevole e non traumatico, così come è avvenuto per me, per noi, qualche anno fa.
C’è una differenziazione nella gestione tra DIMMI e Premio Tutino?
Il Premio Pieve Saverio Tutino è gestito totalmente dall’Archivio che è il luogo dove arrivano in via esclusiva le 100 scritture che ogni anno si candidano al concorso. Il Premio Pieve ha dato vita a due Commissioni di lettura: una interna che legge tutti i diari per otto mesi all’anno e una esterna che ha un compito più limitato sia per quanto concerne il numero di testi da leggere sia per l’impegno richiesto, in termini di tempo. Il Premio Pieve si è dotato fin dalla nascita di una Giuria nazionale che legge gli otto diari finalisti proposti dalla Commissione di lettura e tra questi proclama il vincitore. Il concorso DiMMi Diari Multimediali Migranti è bandito dal gruppo di progetto formato da 17 partner (Archivio Diaristico Nazionale, Arci, Arci Firenze, Amref Health Africa, Archivio delle memorie migranti, ASPEm – Associazione Solidarietà Paesi Emergenti, Centro di ricerca sull’emigrazione Università della Repubblica di San Marino, Circolo Gianni Bosio, Comune di Pontassieve, Comune di San Giovanni Valdarno, Comitato 3 Ottobre, ISMED/ CNR, Rete italiana di cultura popolare, EPALE Italia, Oxfam Italia Intercultura, Unione dei Comuni della Valdera, Un Ponte Per…). Contrariamente al Premio Pieve sono ammessi al concorso sia i racconti di sé in forma scritta sia quelli che si servono di fotografie, immagini, e-mail, lettere e disegni, cartoline, audio, video o musica. Il Comitato scientifico, formato dai partner del progetto e da due membri designati dal gruppo informale “i ragazzi di dimmi”, ammette al concorso le prime 100 opere pervenute entro la data del 30 aprile di ogni anno. Le opere che si candidano possono essere inviate all’indirizzo fisico o elettronico di ciascun partner, che le recapita successivamente all’Archivio, che è luogo deputato al deposito, alla catalogazione e la valorizzazione, di tutte le testimonianze che partecipano a DiMMi. Il progetto può contare sul supporto, il dato si riferisce al 2024, di trentasette Commissioni territoriali di valutazione attivate su vari territori italiani. Le Commissioni territoriali di valutazione ricevono la formazione dal personale dell’Archivio, attraverso incontri in presenza e in videoconferenza e operano seguendo la metodologia messa a punto dalla nostra istituzione per la Commissione di lettura del Premio Pieve. Le testimonianze ammesse al Concorso DiMMi. vengono distribuite dalla Segreteria, anche questa gestita da Pieve, alle Commissioni di valutazione che hanno il compito di restituire al Comitato Scientifico un parere preliminare attraverso la compilazione di una scheda di valutazione appositamente predisposta. Il Comitato scientifico del progetto DiMMi legge in media le trenta testimonianze selezionate dai Gruppi territoriali di valutazione e tra queste sceglie i dieci finalisti che sono anche i vincitori del concorso.
Col nuovo Premio Barnaba cresce l’offerta e anche la sollecitazione alla scrittura personale. Ma il premio Barnaba si avvicina di più a un premio di scrittura vero e proprio. Vuoi raccontare cosa è e come è nato?
Il Premio Barnaba nasce nell’ambito della collaborazione con il Museo Galileo e si propone di cogliere le esperienze personali vissute in un museo, luogo di incontro tra persone e idee, scoperte e passioni, tra ricordi autobiografici che possono diventare racconti inediti e a volte sorprendenti, testimonianze inattese che a mio parere ampliano lo spettro in cui si misurano e convivono nuove forme di scrittura di sé. Il titolo del progetto prende le mosse da una suggestione: Barnaba è il nome del protagonista del racconto Nel museo di Reims, scritto da Daniele Del Giudice. Barnaba è un ragazzo che in seguito a una malattia sta perdendo la vista e decide di recarsi a Reims, con l’intento di ammirare il Marat assassiné di Jacques-Louis David. Una ragazza, Anne, si accorge della sua difficoltà e decide di aiutarlo, di raccontargli il quadro, ma nel farlo mente. Quali ricordi, curiosità, fantasie, percorsi mentali può accendere la visita a un museo? In quanti modi diversi si può raccontare un’opera d’arte, uno strumento tecnologico o una collezione scientifica? Da queste idee nasce il Premio Barnaba. Non tutte le duecento scritture che si sono candidate alla prima edizione di Barnaba saranno accolte in Archivio. Verranno catalogate e inserite nel fondo archivistico solo quelle in cui l’elemento autobiografico è tangibile e prevalente.
La forma del concorso a premio fu fortemente contestata negli anni ’60 e ’70, quando Tutino la propose disse anche che non era un vero premio individuale ma si valorizzava la scrittura non professionistica e personale, non solo il vincitore. Ora a Pieve vengono dati tanti premi, tre per concorso ed altri per valorizzare esperienze e figure importanti. Si tratta di otto premi. Spesso si tratta di pochi minuti intorno ai momenti centrali. Certo non disturbano e forse accrescono l’attenzione. Ma non esistono altre forme?
Ritengo personalmente superato il dibattito che alcuni decenni fa fu animato da autorevoli studiosi intorno all’opportunità di indire un concorso a premio per storie di vita di persone comuni. Credo che l’esperienza quarantennale dell’Archivio, che non ha mai disconosciuto le motivazioni che portarono Tutino a servirsi, in origine, di un premio, sia la migliore garanzia della bontà delle intenzioni di un’Istituzione che ha fatto della tutela e della valorizzazione degli scritti della gente comune la propria ragione d’essere e lo ha potuto fare grazie anche al suo Premio. Il Premio era ed è tuttora una leva per sensibilizzare le persone sull’importanza di preservare e di mettere in condivisione la propria traccia di vita. L’Archivio è promotore esclusivo del Premio Pieve, dedicato dal 2012 a Saverio Tutino. Oltre al vincitore del concorso che viene premiato con una piccola somma in denaro e con la pubblicazione con Terre di mezzo, la Commissione di lettura attribuisce il “Premio speciale Giuseppe Bartolomei” a una sorta di “nono” finalista. Un altro riconoscimento viene attribuito, dall’Archivio stesso, al migliore manoscritto, pervenuto nell’anno di concorso. Ai vincitori di questi ultimi due premi viene consegnata, insieme alla menzione, una semplice targa a ricordo. L’Archivio diaristico e i partner del progetto DiMMi indicono l’omonimo concorso, giunto quest’anno alla nona edizione. I finalisti, che sono tutti proclamati vincitori, vengono pubblicati in volume antologico nella collana DiMMi, edita da Terre di mezzo. È evidente come Premio Pieve e Premio DiMMi siano ormai percepiti dagli stessi autori come forma di partecipazione a un progetto di edificazione di memoria collettiva che si fonda su un solido coro di voci e che è un patrimonio a beneficio di tutti. Non so se esistono altre forme, forse verrà un tempo in cui rivedremo il meccanismo del Premio Pieve, magari premiando tutti i finalisti così come facciamo con il concorso DiMMi.
Il premio DIMMI ha una modalità diversa dagli altri la vuoi raccontare?
Credo di avere in parte risposto a questa domanda. Posso aggiungere che DiMMI rappresenta uno sbocco fisiologico nell’attività dell’Archivio, che ha scaffali pieni di documenti che ripercorrono gli eventi bellici e migratori che hanno segnato in maniera indelebile il corso del Novecento e che trova oggi, ancora nei temi della migrazione e del lavoro, le frontiere più transitate della scrittura di sé. DiMMi è uno sbocco fisiologico per ragioni “statutarie”, perché partecipare a un’iniziativa che bandisce un concorso per diari di migranti e crea un fondo apposito per raccoglierli è un qualcosa che è rintracciabile nel codice genetico della fondazione, per come è stata concepita dal padre biologico e morale Saverio Tutino. DiMMi è uno sbocco fisiologico per ragioni storiche, perché la riflessione sulle scritture migranti ha da sempre caratterizzato le iniziative dell’Archivio tracciando alcune delle tappe più significative nella sua crescita. DiMMi infatti si propone di promuovere il dialogo tra persone di diverse origini attraverso la narrazione delle loro esperienze di vita; di istituire un fondo di raccolta e archiviazione delle testimonianze di migranti di prima e seconda generazione; di favorire la costruzione di una memoria collettiva che tenga conto delle diverse provenienze delle persone. La comunità, solida, che si è formata intorno a DiMMi e che è composta dalle stesse autrici e dagli stessi autori – a oggi sono oltre 600 le persone che hanno aderito al progetto –; dai partner che lo sostengono; dalle commissioni di lettura che nel 2024 hanno raggiunto il numero di 37 gruppi che si riuniscono in varie parti d’Italia, si riconosce in tutti i principi che hanno permesso a DiMMi di mettere radici.
Una domanda che mi ha fatto Barbieri nel presentare la nuova edizione del L’Occhio del Barracuda di Saverio Tutino mi ha spinto a fare una valutazione sul rapporto tra ricerca universitaria e tematiche della scrittura della gente comune e anche della storia orale. E ho dovuto ammettere che è assente un quadro interdisciplinare che faccia confrontare vari studi sulle scritture o sulle testimonianze orali e che anche se questi temi sono sì entrati ormai negli studi, non hanno una particolare evidenza. Sarebbe davvero utile fare lo stato dell’arte di questi studi. Ma al tempo stesso Barbieri mi ha fatto pensare che negli anni 70 e 80 la sollecitazione al dialogo tra settori di ricerca e la centralità della scrittura popolare e della storia orale era venuta dalle associazioni della società civile. L’Istituto Piemontese di scienze economiche e sociali A. Gramsci a Torino, l’Archivio delle scritture della grande guerra e la rivista Materiali di lavoro a Rovereto , e dall’Istituto Ernesto De Martino, dal centro Gianni Bosio, per dire i primi che mi vengono in mente . Negli anni Novanta anche l’Archivio lo fece con alcuni convegni memorabili (uno sull’emigrazione, uno sulle donne ma forse anche altri). Forse ora che è forte e consolidato l’Archivio potrebbe farsi promotore di un convegno di studi rinnovati e di nuove generazioni sullo stato dell’arte della scrittura popolare.
La domanda tocca un punto particolarmente urgente e rilevante per me, ma anche per l’Archivio. Credo che sia necessario fare il punto sull’evoluzione della scrittura autobiografica nella sua accezione di scrittura popolare. Dovremmo essere anche tutti consapevoli di che cosa stiamo perdendo e non valutando attentamente. Mi riferisco alle forme di scritture di sé adottate dai giovani, ma non solo dai giovani, che da tempo si esprimono su piazze virtuali per niente accessibili ad Archivi come il nostro. Rispetto a questi individui, non occupandocene a livello metodologico, stiamo tradendo il pensiero di Tutino che a metà degli anni Ottanta del Novecento manifestava l’urgenza di salvare il salvabile del patrimonio autobiografico italiano ed europeo. Chi salverà le memorie digitali degli anni Duemila? Penso anch’io che l’Archivio abbia la maturità giusta per farsi promotore di una riflessione di questo tipo. Il mio impegno, come primo passo, sarà quello di avviare un dibattito interno, con l’auspicio di dare avvio ad un confronto più largo tra studiosi e istituzioni che hanno a cuore questi temi.
Dialoghi Mediterranei, n. 70, novembre 2024
[*] In dialogo con Pietro Clemente. In corsivo le domande di Clemente, in tondo le risposte di Cangi.
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Natàlia Cangi è dal 2010 Direttrice organizzativa della Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano e dal 1994 Presidente della Commissione di lettura del Premio Pieve Saverio Tutino. è stata membro del Consiglio di Amministrazione dell’Istituzione (1995-2010) e vice–presidente della stessa nel periodo 2005-2009. Ricopre vari ruoli a livello scientifico ed editoriale. È membro del Comitato editoriale dell’Archivio diaristico, della redazione della rivista “Primapersona-percorsi autobiografici”, del Comitato scientifico del progetto DIMMI Diari Multimediali Migranti, della direzione artistica del Premio Pieve, curatrice del Piccolo museo del diario. È inoltre membro e presidente (dal 1992) della Commissione di lettura del Premio Pieve Saverio Tutino. Ha curato numerosi volumi dell’Archivio diaristico, pubblicati nelle seguenti collane editoriali: “Storie italiane”, Il Mulino Editore; “I diari di pieve” Terre di mezzo Editore; DiMMi Diari Multimediali Migranti, Terre di mezzo Editore.
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