Stampa Articolo

Lavoro e semilibertà oltre il carcere: dal panorama nazionale alla buona pratica del centro Attavante

309140670_177412588173997_6154525691619047509_ndi Sabina Leoncini 

Al centro del dibattito sul ruolo del carcere e sulla rieducazione, da sempre c’è la questione della difficoltà di operare attraverso strutture alternative agli Istituti penitenziari. Anche il valore che il lavoro assume per il detenuto è fondamentale per la riuscita del processo di rieducazione. Il fatto che il detenuto possa avere un lavoro seppur di poche ore all’interno del carcere inoltre, contribuisce al suo sostentamento per quanto riguarda le necessità primarie di sussistenza e le spese di mantenimento. Non molte persone lo sanno, ma il nostro ordinamento prevede che le spese di mantenimento dei detenuti siano parzialmente versate da loro stessi, in quanto per legge sono tenuti a corrispondere allo Stato una cifra mensile che viene chiamata “quota di mantenimento”.

fqsszfywcaabuosSe infatti lo Stato si fa carico delle spese per l’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza detentive, il nostro codice penale (Art.188) sancisce che la persona condannata sia obbligata a rimborsare all’erario le spese per il suo mantenimento in carcere, rispondendo di tale obbligazione con tutti i propri beni, sia mobili che immobili, presenti e futuri. L’obbligazione di rimborso non si estende agli eredi. La legge sull’ordinamento penitenziario stabilisce altresì che il rimborso delle spese di mantenimento dei detenuti ammonti ad una quota non superiore ai due terzi del costo reale. Quando invece il detenuto può lavorare fuori dalla struttura avviene un passaggio ulteriormente significativo all’interno del suo percorso, in un’ottica di reinserimento. L’Ordinamento Penitenziario all’art. 15 (l. 354/1975) individua il lavoro come uno degli elementi del trattamento rieducativo stabilendo che, salvo casi di impossibilità, al condannato e all’internato è assicurata un’occupazione lavorativa.

Ad oggi non solo il lavoro, sul quale tra l’altro si basa il nostro Paese in base alla Costituzione della Repubblica, non è assicurato ma questa possibilità è talvolta completamente assente poiché non vengono concesse misure alternative alla pena come la semilibertà. In Italia, sono presenti ad oggi 189 Istituti penitenziari con un totale di posti disponibili di 51.196 (capienza massima) quando in realtà i detenuti sono 61.862; questo conferma quanto il sovraffollamento sia ancora oggi un problema lampante. Di questi 2.673 sono donne mentre 19.577 sono le persone con background migratorio. Il dato ancora più allarmante è che i detenuti in semilibertà sono solo 1.330 di cui 281 con background migratorio, a fronte di un totale di 61.862 detenuti [1].

gcg3hn-wkaa6acyIn Toscana, per fare un esempio, la situazione non è migliore; Sono 16 gli Istituti penitenziari con 3.163 posti di capienza massima e 3.204 come numero effettivo di detenuti di cui 91 donne. Circa la metà della popolazione carceraria è composta da persone con background migratorio, 1.486 persone in totale. Soltanto  143 sono in condizione di semilibertà di cui gli stranieri sono 58 [2]. Dati allarmanti, che ci dimostrano ancora una volta quanto pesi sul nostro sistema giudiziario il fatto che la detenzione sia considerata l’unica soluzione rispetto al crimine. Quasi del tutto assente la possibilità di poter svolgere un lavoro o comunque un’attività che possa contribuire non solo al processo di rieducazione ma anche al futuro del detenuto quando avrà finito di scontare la pena.

In particolare nel capoluogo toscano solo 8 detenuti su oltre 500 sono impegnati in attività lavorative fuori dal carcere, mentre al suo interno solo 16 fanno attività di orticoltura attraverso il sostegno del Comune di Firenze. Lo scorso 11 novembre si è svolto il Convegno dal titolo “Carcere, diritti e lavoro: analisi e proposte a partire dalla situazione di Sollicciano”, organizzato da Cgil Firenze e L’Altro Diritto. Il quadro che emerge a livello nazionale, secondo CGIL è allarmante: il tasso di recidiva sulla popolazione carceraria, che si aggira intorno al 70%, crolla al 2% se si considerano i 20 mila detenuti che hanno un contratto di lavoro [3]. Il garante dei detenuti toscani, Giuseppe Fanfani propone l’individuazione all’interno di ogni Istituto di un referente per il lavoro, che si occupi di mettere in contatto i detenuti con le opportunità di lavoro e formazione sul territorio. Il garante tra l’altro si è espresso anche sulla riorganizzazione degli spazi all’interno degli Istituti toscani in base alle richieste del mercato del lavoro che spesso ricerca figure professionali legate alle eccellenze di questa regione come ad esempio la pelletteria o il settore della ristorazione.

D’altra parte a livello nazionale il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ha spesso parlato dell’importanza del lavoro in carcere per il reinserimento sociale delle persone detenute e per abbattere il tasso di recidiva, ma in pratica si sta facendo l’esatto opposto, tagliando del 50% i fondi a disposizione per il pagamento delle persone detenute che lavorano in carcere. Così ha spiegato Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, che si batte per i diritti e le garanzie nel sistema penale del nostro Paese [4].

362209941_290555630193025_4809544045575801952_nIn una nota del Provveditorato Regionale del Piemonte, Liguria e Valle D’Aosta si legge infatti come il fabbisogno rilevato per mantenere i tassi di occupazione fosse di 2 milioni di euro, mentre dal Ministero della Giustizia è stato erogato meno del 50% di questo fabbisogno. Per questo, il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria ha invitato le direzioni degli istituti a tagliare il numero di persone che lavorano o comunque di ridurre le ore di lavoro che esse svolgono. Questi tagli potranno colpire peraltro categorie specifiche di lavoratori: quelli che prestano assistenza ad altri detenuti disabili o non pienamente autosufficienti, o quelli a supporto dell’area pedagogica (bibliotecari e scrivani). Questi ultimi si occupano di scrivere le cosiddette “domandine”, cioè i documenti che servono ai detenuti per rivolgere le proprie richieste ad amministrazione, mediatori culturali o psicologi e volontari. Altri lavori svolti dai detenuti sono infatti, ad esempio, la distribuzione del vitto o piccoli interventi di manutenzione ordinaria.

Purtroppo, come abbiamo visto, le possibilità di lavoro in carcere non sono molte. A lavorare è solo circa il 33% delle persone detenute [5] e la maggior parte di esse lavora per l’Amministrazione penitenziaria, peraltro in molti casi già per pochi giorni o poche ore alla settimana. Questi tagli arrivano in un momento di tensione che si respira nelle carceri, dove le persone detenute vedono ridotte al minimo le proprie prospettive  e vivono palesemente il sovraffollamento, con condizioni di vita in costante peggioramento, con un numero di suicidi altissimo, 85 nel 2024 [6].

La nostra classe politica dovrebbe forse rispondere a queste tensioni con il dialogo e con investimenti, cercando di supportare i detenuti volenterosi che, oltre alla riflessione critica sul reato commesso, cercano di ricostruirsi una vita nuova. 

attavante-3-entrataIl centro Attavante 

In  questo contesto, come oasi nel deserto, emergono buone prassi che ancora ci fanno sperare in un’alternativa. Questo è il caso del Centro Attavante, una buona pratica a sostegno del detenuto nel momento in cui ci si avvicina alla fine della pena. Il Centro Attavante, che si trova nel quartiere quattro a Firenze, è una struttura di accoglienza diurna per persone detenute, in misura alternativa, in messa alla prova e per persone che hanno concluso la pena. Messa a disposizione dal Comune di Firenze  stata ristrutturata coinvolgendo persone detenute presso la Casa circondariale Mario Gozzini. L’Associazione Volontariato Penitenziario di Firenze (AVP) gestisce la struttura, attraverso le figure di psicologi, educatori e criminologi. Il Centro rappresenta per le persone che lo frequentano un luogo di socializzazione e di orientamento ai diversi servizi presenti sul territorio, necessari ad un efficace rientro in società, di ponte tra fuori e dentro il carcere. Svolge una importante attività di accompagnamento e sostegno per la fruizione dell’offerta di questi servizi. Il Centro rappresenta un punto d’incontro con i familiari ed è un significativo riferimento per coloro che usufruiscono di permessi premio orari e giornalieri.

Per costruire un percorso di rieducazione e recupero occorre legarsi al territorio, ma anche al dibattito a livello nazionale e internazionale (Jennifer et al., 2022) su cosa sia il trattamento rieducativo e in che modalità vada esso portato avanti, ma soprattutto con quali risorse e attraverso quali figure e quale formazione. Riferiscono infatti Colla e Zizioli: 

«[…] la stessa riflessione   pedagogica,  seppur   chiamata   a   rilevare   le urgenze educative dei territori, specie se di confine come il carcere, non colga la sfida, trascurando che l’educazione acquista  senso  e riscopre  valori  proprio  nei  contesti  più estremi    e,    perciò,    offre    contributi    importanti    per contrastare  quelle  resistenze  emotive di  ostacolo  alle prospettive innovatrici. […] nessuna   persona   è   mai   riducibile all’atto, seppur efferato, che compie» (Colla & Zizioli, 2016: 65).  

Il Centro Attavante cerca di dare una seconda chance ai detenuti, prendendoli in carico alcuni mesi prima della scarcerazione. In questo modo si cerca di valorizzare le esperienze formative e lavorative svolte durante la detenzione e di continuare il loro percorso formativo. Deborah, criminologa, lavora al Centro Attavante dal 2022; sottolinea come punto di forza di questa realtà presente sul territorio fiorentino dal 2001, il ruolo di psicologi ed educatori in qualità di mediatori, tra il carcere e le altre istituzioni (Serd-Asl). 

«L’importante è porsi obiettivi a breve termine, per poi passo dopo passo andare avanti, progredendo verso il porsi obiettivi più a lungo termine» (Intervista a Deborah Calderaro, 29.10.24) Il tempo assume un ruolo fondamentale nella rieducazione, nel percorso cioè attraverso il quale l’individuo compie un cambiamento, supportato da figure professionali che sostengono la riflessione personale, la trasformazione, la crescita. Il tempo, nella sua accezione agostiniana di passato come memoria, futuro come aspettativa e presente come contingente, è un tempo di cui lo stato priva il detenuto, proprio per rimarcare il suo controllo sulle nostre vite, sui nostri corpi. (Agostino, 2011) «La prigione è naturale, come è naturale nella nostra società l’uso del tempo per misurare gli scambi. Ma l’evidenza della prigione si fonda anche sul suo ruolo, supposto o preteso, di apparato per trasformare gli individui» (Foucault, 1975: 253).

l-espulsione-dell-altro-nuova-edizione-byung-chul-hanIl regime di isolamento, tanto discusso negli ultimi anni a causa della vicenda Cospito ci porta ancora alle riflessioni del teologo di Ippona che esprime nella sua magistrale opera Le confessioni proprio l’occasione del colloquio intimo e genuino con Dio. Quella concezione di intimità che si ha quando ci si mette a nudo di fronte ai propri limiti.Il detenuto, durante i colloqui, ripone la sua completa fiducia nei confronti degli operatori che, purtroppo anche con il rischio del “burnout”, sono sempre pronti ad ascoltare. Come sostiene Byung-Chul Han nel suo capolavoro L’espulsione dell’altro: «Forse in futuro ci sarà un nuovo mestiere che avrà il nome di ascoltatore. Dietro compenso, egli offrirà ascolto all’Altro: si andrà dall’ascoltatore perché non c’è quasi più nessuno che sappia ascoltare l’Altro» (Byung-Chul Han, 2017:.99) Se da un lato si cerca di valorizzare il reo e potenziare le sue capabilities (Sen, 2000), d’altra parte Deborah sottolinea anche quanto la sinergia, la collaborazione e lo sviluppo di una rete possano contribuire all’autonomia abitativa e professionale. Il prezioso lavoro dei professionisti dovrebbe essere affiancato, altresì, da una supervisione esterna che possa individuare eventuali difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi definiti dall’equipe.

Oltre allo studio e alla partecipazione ad attività rieducative, anche la scrittura  in carcere è una forma di restituzione della dignità. In situazioni di grave difficoltà la scrittura diventa mezzo di sopravvivenza. Emblematica è a questo proposito la poesia scritta da un ex detenuto oggi ospite del centro Attavante dal titolo: “Questi tristi e velati occhi”. 

Vivere un giorno qua
Tra questi tristi e velati occhi
Non merita per nessun guadagno
Vivere un giorno in questa galera ove regnano grida di dolore e di disperazione
Non merita per nessun problema
Dove siete uomini veri che vi alzate la mattina per lavorare nell’onestà?
Vi vedo lontani al di là delle sbarre percosse, fredde.
Eppur sapienti.
(Detenuto anonimo in misura alternativa Centro Attavante, 2021) 

41hylxddy6l-_ac_uf10001000_ql80_La dinamica  educativa, come la scrittura,  è  un processo storico  e  sociale, di relazione, e proprio attraverso la relazione educativa, si delinea un intervento che possiamo definire modificante. Da qui deriva il fatto che il funzionario giuridico pedagogico, come tutte le altre persone che circondano il carcerato (gli agenti, la direzione, il personale sanitario, i volontari, gli operatori delle strutture) ha una precisa responsabilità. D’altra parte, lo Stato ha tenuto sempre a margine del processo rieducativo proprio i funzionari giuridico-pedagogici, noti tra gli addetti ai lavori come “educatori”, basti pensare al fatto che l’ultimo concorso avvenuto nel 2021 non aveva avuto precedenti da più di dieci anni e che la proporzione di funzionari giuridico-pedagogici in rapporto ai detenuti è circa 1/80 (https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/personale/). Viene così notevolmente ridotto il campo d’azione dello  specialista  dell’educazione,  proprio  dentro un’istituzione che nasce e si sviluppa attorno al senso sociale e  pedagogico da  attribuire  alla  pena,  con  l’obiettivo  di intervenire  sugli  uomini  e le donne reclusi, proprio per essere rieducati, anche attraverso  il   rapporto  tra   questi e   la comunità. 

Questa riflessione offre semplicemente una delle tante prospettive possibili e prende in considerazione solo alcune delle tante voci che potremmo ascoltare, sul carcere in generale. Partendo dalla realtà locale di buone pratiche appena descritta ed elevandola su scala nazionale, occorre ripensare la complessità problematica di una pedagogia del carcere con un’ottica inclusiva che possa dare un contributo  al  dibattito  relativo  alle falle  del   nostro sistema democratico  in   generale,   alla stagnazione  del  sistema  giudiziario  e,  in  particolare, ai ritardi del cambiamento di quello    penitenziario.

Tutto questo è possibile solo coinvolgendo il territorio e le famiglie che lo abitano, le associazioni, le istituzioni come la scuola attraverso percorsi di sensibilizzazione, il personale, gli enti di ricerca e di formazione, pensando ad un’alternativa. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
Note
[1] Cfr. http://www.ristretti.it/commenti/2024/ottobre/pdf2/detenuti_settembre.pdf.
[2] Cfr. Ibidem.
[3] Cfr. https://www.novaradio.info/2024/11/11/sollicciano-solo-8-detenuti-su-500-lavorano-allesterno-amaro-il-garante-regionale-giuseppe-fanfani-un-troiaio-ascolta/.
[4] Cfr. https://ristretti.org/il-lavoro-in-carcere-serve-ed-e-poco-ma-entro-fine-anno-sara-ancora-meno
[5] Cfr. Ibidem.
[6] https://www.editorialedomani.it/fatti/il-carcere-uccide-85-suicidi-231-decessi-totali-e-lanno-record-di-morti-in-cella-dnczfkhj 
Riferimenti bibliografici 
Agostino, (2000),.Le confessioni (C. Carena, Trad.), Torino: Einaudi. (Originariamente pubblicato nel 397).
Antigone, (2021), XVIII rapporto sulle condizioni di detenzione. https://www.rapportoantigone.it/diciottesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/personale/ (ver.12.12.23)
Byung-Chul Han, (2017), Die austreibung des Anderen, (V. Tamaro, Trad.), Fisher Verlag. (Originariamente pubblicato nel 2016).
Foucault, M., (1993), Surveiller et punir. Naissance de la prison, (A. Tarchetti, Trad.1.ed.), Editions Gallimard. (Originariamente pubblicato nel 1975).
Intervista a Deborah Calderaro, 29.08.24.
Sen, A. , (2000), Development as freedom, (G. Rigamonti, Trad.1.ed.), Milano: Mondadori. (Originariamente pubblicato nel 1999).
Jennifer, R. Wies, H J., Haldane, B. (2022), From Freire to Foucault. Designing a Critical Prison Pedagogy, Routledge: London.  https://doi.org/10.4324/9781003123453.
Torlone, F., (2016), Il diritto al risarcimento educativo dei detenuti, Firenze: FUP. http://www.ristretti.it/commenti/2017/luglio/pdf4/libro_torlone.pdf(ver.12.12.23)
Zizioli, E., Colla, E., (2016), Il diritto di rinascere nel tempo della pena: lo spazio della formazione. CQIA RIVISTA, VI (17), 63-73.  https://cqiiarivista.unibg.it/index.php/fpl/article/view/255
L. 26 luglio 1975 n. 354, “Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà”.
Art. 188 codice  penale 
Link utili
https://www.novaradio.info/2024/11/11/sollicciano-solo-8-detenuti-su-500-lavorano-allesterno-amaro-il-garante-regionale-giuseppe-fanfani-un-troiaio-ascolta/ 
https://www.unacitta.it/it/intervista/290-in-articolo-21 
https://ristretti.org/il-lavoro-in-carcere-serve-ed-e-poco-ma-entro-fine-anno-sara-ancora-meno 
https://www.editorialedomani.it/fatti/il-carcere-uccide-85-suicidi-231-decessi-totali-e-lanno-record-di-morti-in-cella-dnczfkhj 

 _____________________________________________________________

Sabina Leoncini, antropologa, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione. Attualmente insegna “La complessità del rapporto farmacista-paziente: per una pedagogia della cura” presso il CDL in Farmacia ed è assegnista presso sul progetto europeo Revers-ed presso UNISI. I suoi principali ambiti di interesse sono la rieducazione in carcere, la parità di genere, l’inclusione sociale, il concetto di “cura”. Si è occupata dell’educazione mista in Israele/Palestina. Ha collaborato con alcune Università straniere tra le quali l’università Ebraica di Gerusalemme (HUJI), l’Istituto Universitario Europeo (EUI) di Fiesole, l’Università Ludwig Maximilian (LMU) di Monaco. Ha usufruito di varie borse di studio (MAE, DAAD) e partecipato a progetti ministeriali tra cui PON. Dal 2023 è socia dell’Associazione Pantagruel per i diritti dei detenuti.

 _____________________________________________________________

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>