Introduzione
Dopo il 24 febbraio del 2022 l’Ucraina ha smesso di rappresentare, agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, un Paese remoto e poco conosciuto. Per effetto di uno di quegli shock collettivi che cambiano le prospettive e modificano il senso comune, l’Ucraina all’improvviso è diventata come il cortile di casa, e la nostra geografia mentale ha subito un mutamento di lungo termine. Nello stesso tempo però mancano conoscenze su questo Paese al di fuori dei vecchi schemi mentali appiattiti, manca la verità sulla realtà dei fatti, ma anche sulla storia e sulla cultura ucraine.
Questo saggio propone di gettare luce sui rapporti storico-culturali tra l’Ucraina e l’Italia nel corso dei secoli, a cominciare dagli influssi romani sulla lingua e sulla toponomastica ucraina seguito da un potenziamento dei rapporti economici e commerciali ai tempi della Rus’ di Kyiv nell’Alto Medioevo agli importanti scambi nel periodo dell’umanesimo con numerose connessioni culturali e linguistiche. Verrà affrontato l’argomento della presenza italiana in Ucraina, dalle colonie genovesi e veneziane fiorenti sulle sponde del Mar Nero tra il XIII e il XV alla fondazione di Odesa alla fine del Settecento e all’ultima comunità degli italiani di Kerč in Crimea, decimata in seguito alle deportazioni staliniane, che oggi continua a rivendicare il diritto alla propria identità nella Crimea illegalmente annessa alla Russia di Putin.
- 1. Dai secoli iniziali del I millennio al periodo della Rus’ kyiviana
1.1 Civiltà kyiviana medievale nelle sue connessioni con l’Europa occidentale
La Rus’ Kyiviana è stata una delle entità politiche più significative dell’Alto Medioevo europeo e ha rappresentato un importante centro di civiltà cristiana nella parte orientale dell’Europa. Situato sulle principali rotte commerciali dell’epoca, lo Stato medievale con la capitale a Kyiv comprendeva «una serie di nuovi centri commerciali ed economici sorti dopo il declino di quelli sviluppatisi nella tarda antichità» [1]. Nel periodo compreso tra il XI e il XII secolo la Rus’ di Kyiv era entrata a fare parte del sistema politico europeo istaurando con l’Europa rapporti di natura simmetrica e paritaria e consolidando rapporti politici, dinastici, commerciali e culturali con i Paesi dell’Europa occidentale, «un mondo a se stante che può e deve essere comparato alla coeva civiltà dell’Europa occidentale, non alla posteriore realtà della Moscovia e dell’Impero russo» [2].
Il punto di svolta fu il battesimo della Rus’ nel 988 sotto il regno del Granduca Volodymyr (956-1015) che si convertì al cristianesimo e fece della confessione greco ortodossa la religione di Stato. Lo storico inglese Norman Davies, cercando di riassumere il significato di questa figura, accenna a un equivoco storico (con una rilevante componente onomastica) che ha profondamente segnato le sorti non soltanto dell’Ucraina, ma, sotto molti aspetti, di tutto il corso della storia europea:
«Volodymyr or Vladimir, Prince of Kiev, is frequently likened to Charlemagne. The parallel is apt enough, not least because both men became heroes of later national legends. Of course, Volodymyr the Rus was no more a Russian than Charlemagne the Frank had been a Frenchman. ‘Russia’ did not exist in his day, any more than ‘France’ existed in Charlemagne’s. Unfortunately, when the Russian Orthodox Church came on to the scene five centuries later, it laid monopoly claims to the Kievan heritage; and modern Russian propaganda has done everything in its power to suppress rival claims and traditions, notably among the Ukrainians» [3].
Un indicatore dell’orientamento politico e culturale della Rus’ di Kyiv furono i matrimoni dinastici: secondo le ricerche genealogiche svolte all’inizio del XX secolo da Nicolas De Baumgarten,
«Nell’XI secolo tra le 36 unioni dinastiche importanti che hanno caratterizzato i rapporti internazionali della Rus’ di Kyiv, otto riguardano il Sacro Romano Impero, due la Francia, sei i Paesi scandinavi e l’Inghilterra (all’epoca era strettamente legata a essi), sette la Polonia, sei l’Ungheria, quattro il Bisanzio e tre i Khanati Polovtsiani» [4].
I fatti storici parlano chiaro: 32 unioni dinastiche su un totale di 36 riguardavano gli Stati d’Europa centrale e occidentale. Questi eventi sono documentati nelle coeve fonti storiche e letterarie d’Europa occidentale: nelle cronache, nelle cosmografie, nell’epica medievale, in modo particolare, nelle saghe scandinave e nelle chansons de geste, che possono diventare un prezioso strumento per le ricerche sulla storia dell’Ucraina e dei suoi legami con l’Europa. Il fatto significativo, ma meno noto, è che le tematiche kyiviane riecheggiano anche nell’epica rinascimentale italiana, a cominciare dal Orlando innamorato di Matteo Maria Boiardo rendendoci un ennesimo riflesso del Grande Principato di Kyiv e della sua eredità culturale e spirituale. Evidentemente, le canzoni di gesta e la maggior parte delle saghe leggendarie sono rielaborazioni dei motivi letterari risalenti alle epoche precedenti, che hanno assimilato i contenuti dei rispettivi periodi storici, in cui elementi reali si fondono con le leggende.
Nello stesso tempo dai poemi epici emerge che la Rus’ di Kyiv era percepita da autori occidentali non come “una terra fantastica”, ma come una realtà geografica e storica ben definita, come uno Stato forte con legami culturali, commerciali, economici, politici, dinastici con altri Stati europei: «Indubbiamente, l’elemento fantastico è stato incrementato nelle rappresentazioni di una terra lontana, ma importante sottolineare che queste rappresentazioni sono basate principalmente sulle conoscenze geografiche e storiche accertate, su contatti realmente esistenti tra la Rus’ di Kyiv e l’Europa occidentale» [5].
1.2 Il significato storico-culturale delle monete romane nelle aree della cultura di Cernjachiv
Alla fine del XIX secolo Volodymyr Antonovyč, padre dell’archeologia ucraina moderna, definì le monete antiche ritrovate sul territorio dell’Ucraina come «le prime fonti attestate della sua storia» [6]. I dati archeologici e numismatici (materialmente attestati) parlano a favore dei contatti diretti fra le popolazioni di culture protoslave nel bacino dei fiumi Dnipro e Dnister e delle coste settentrionali del Mar Nero con la civiltà romana nei secoli iniziali del I millennio. Lo storico ucraino Mychajlo Brajčevs’kyj nella sua opera Ryms’ka moneta na terytoriji Ukraijiny [7] [Monete romane nel territorio ucraino] fornisce un’accurata descrizione topografica dei ritrovamenti delle monete romane sui territori dell’odierna Ucraina, in cui più volte viene menzionata la Podolya, una regione storico-geografica situata nella zona centro-occidentale e sud-occidentale dell’attuale Ucraina e della Moldavia nord-orientale. Questi territori a partire dal II secolo d.C. confinavano con la Dacia, che nel 106 d.C. divenne provincia romana, lungo il vallo di Traiano.
Inoltre, Brajčevs’kyj fornisce una precisa datazione di queste monete, la maggior parte delle quali risale al periodo tra la fine del I e l’inizio del II secolo d.C. che corrisponde alla massima espansione dell’Impero romano sotto dinastia degli Antonini, caratterizzata dallo spostamento territoriale dei confini dell’Impero in seguito alla conquista della Dacia. Mentre una sostanziale diminuzione delle monete a partire dalla prima metà del III secolo coincise con la grave crisi economica dell’Impero romano, da un lato, e con le invasioni barbariche e le grandi migrazioni delle popolazioni indoeuropee, dall’altro. Le monete romane del periodo tardoantico sono contemporanee ai ritrovamenti della cultura di Černjachiv [8] e hanno una precisa localizzazione nei bacini dei fiumi Dnister e Dnipro; i confini di questi rinvenimenti numismatici coincidono con i confini archeologici e, molto probabilmente, con i confini delle strutture politiche ed economiche esistenti in quel periodo [9].
La correlazione tra i toponimi di probabile origine latina e i luoghi di ritrovamento dei ripostigli di monete antiche romane sul territorio ucraino rappresenta un ulteriore tassello al grande mosaico dell’eredità culturale comune e alle realtà storiche e culturali nello spazio geografico e linguistico ucraino. Il linguista Kostjantyn Tyščenko ha condotto una ricerca toponomastica e onomasiologica allo scopo di studiare attraverso il materiale toponimico contenuto nel libro di Brajčevskyj le tre unità morfologiche più ricorrenti nei nomi di luoghi confrontandole con i toponimi degli altri Paesi europei, i cui territori nella tarda antichità facevano parte del Barbaricum europeo, in tutto 15 Paesi d’Europa settentrionale, centrale e orientale. Le unità morfologiche più ricorrenti sono: 1) Doman- dal tema del nome latino comune dominus; 2) Traian- (Trojan-) dal tema dell’antroponimo Traianus; 3) Rom- (Rym-) dal tema del toponimo Roma [10].
1.3 Ricostruzioni culturali operate mediante la lingua
Le più recenti ricerche intorno ad alcuni fenomeni linguistici nell’ucraino contemporaneo aggiungono altri elementi rilevanti allo studio dei contatti diretti (oltre di quelli mediati dai Goti e dalle altre tribù germaniche) fra le popolazioni di culture protoslave nel bacino dei fiumi Dnipro e Dnister e delle coste settentrionali del Mar Nero con la civiltà romana nei secoli iniziali del I millennio in seguito allo spostamento territoriale dei confini dell’Impero dopo la conquista della Dacia e la trasformazione di una parte della provincia Mesia (Moesia) inferiore da frontiera esterna in interna. Un fatto linguistico particolarmente interessante è la presenza nella lingua ucraina di una categoria grammaticale esclusiva che esiste nelle lingue romanze occidentali, ma è assente nelle lingue romanze orientali e nelle altre lingue slave, come il futuro semplice formato dall’infinito del verbo con l’aggiunta delle desinenze che rappresentano le forme personali del verbo імати , jьmаtі ‘prendere’, ‘afferrare’, ‘avere’ (risultato di ‘prendere’) [11].
Di particolare rilevanza sono i prestiti latini lessicali antichi la cui assimilazione risale al periodo compreso tra il II e il IV secolo d.C., che corrisponde all’iniziale fase di differenziazione dei vari dialetti della lingua protoslava, in cui cominciarono a rafforzarsi le differenze fonetiche, lessicali e morfosintattiche tra i dialetti della protolingua, che formarono successivamente le distinte lingue slave [12]. I prestiti di questo tipo sono ben conservati nella maggior parte delle lingue slave moderne, compreso l’ucraino: le fonti etimologiche e lessicografiche contemporanee registrano oltre venti latinismi di questo tipo perfettamente integrati e assimilati dalla lingua ucraina, tanto da sembrare creazioni lessicali indigene. I campi semantici variano dai nomi delle piante coltivate – редька ‘rafano’, цибуля ‘cipolla’; ai nomi delle pietanze – оцет ‘aceto’, ґляґ ‘abomaso’, per estensione ‘latte cagliato’; ai nomi delle credenze precristiane e persino di alcuni riti cristiani – русалка ‘ondina’, ‘ninfa delle acque’, ‘sirena’; поганин ‘pagano’, коляда ‘rito di buon augurio nel periodo natalizio’ [13]. I latinismi antichi assimilati dalla maggior parte delle lingue slave sono i più numerosi nel lessico ucraino (seguito da quello polacco e slovacco).
Un’interessante ricostruzione culturale attinente al periodo compreso tra il II e il IV secolo d.C. è stata proposta dallo storico russo sovietico Boris Rybakov secondo il quale i ‘secoli di Traiano’, menzionati nel poema epico Il Canto della schiera di Igor [14] potrebbero indicare non soltanto il periodo del regno di questo imperatore (divenuto una divinità anche nella religione politeista slava presso le tribù slave sud-occidentali), ma – e soprattutto – i periodi successivi che coincisero con l’espansione dei popoli slavi nelle aree del corso medio del fiume Dnipro (la cultura di Černjachiv) sotto forti influssi culturali e materiali della ‘terra di Traiano’. Più specificatamente, i ‘secoli di Traiano’ sono i tre compresi tra il II e il IV d.C.,
«quando le classi dominanti slave vendevano il grano ai romani misurandolo con le misure romane, accumulavano ricchezze in denari romani, adornavano le loro consorti con gioielli romani […] Nell’immaginario collettivo degli Slavi l’imperatore Traiano fu la personificazione del dominio imperiale dello Stato romano piuttosto che una persona reale» [15].
Nei tempi della Rus’ di Kyiv, i mercanti veneziani solcarono per oltre tre secoli la Via variago-greca, successivamente tra il XIII e il XV secoli i genovesi fondarono le loro colonie in Crimea e vi rimasero fino al 1475 quando la penisola fu conquistata dall’Impero Ottomano a seguito della sua espansione militare e la penetrazione in Europa. Da quell’epoca rimangono le vestigia delle fortezze genovesi, ma anche le impronte lessicali sui dialetti meridionali dell’ucraino come, ad esempio, бунація (ital. bonaccia) ‘calma di mare’, ‘bel tempo’, ‘serenità’; левант (ital. levante) ‘vento dall’est’; ‘paesi della sponda orientale del Mediterraneo’; пунент (ital. ponente) ‘il vento dall’ovest’; майна (ital. ammaina) ‘abbassa le vele’; трамонтан (ital. tramontana) ‘vento freddo e impetuoso che soffia in Italia e in Spagna’ e alcuni altri italianismi diretti nei dialetti meridionali della lingua ucraina [16].
Nel periodo del Rinascimento il ‘soffio degli Appennini’ è giunto a Leopoli nell’Ucraina occidentale lasciando una spiccata impronta architettonica e artistica nella capitale storica della Galizia ucraina: il leone alato di San Marco sul palazzo del console veneziano Bandinelli in piazza del Mercato (plošča Rynok), il Cortile dei Fiorentini, la Chiesa domenicana.
A partire dal XVI secolo, «il volto della città è stato fortemente plasmato dai più svariati esuli italiani ispirati alle idee dell’umanesimo rinascimentale, gli epigoni dell’alto Quattrocento, tutti quelli eroi con mantello e spada alla stregua di Pietro di Barbona, di Paolo Dominici Romanus, o di Callimaсo Buonaccorsi, i cosiddetti “manieristi cortesi” [17]. Riguardo ai contatti interlinguistici di quel periodo, il glottologo Salvatore Del Gaudio sostiene che
«Si può ipotizzare che alcuni termini architettonici e finanziari come arka (ital. arco), bank(a) (ital. banca), kasa (ital. cassa), ducat (ital. ducato), fortecja (ital.fortezza) fossero già utilizzati nel XVI secolo tramite le mediazioni delle comunità italiane nelle grandi città dell’Ucraina che all’epoca faceva parte del Commonwealth polacco-lituano. Anche la terminologia contabile derivava principalmente dall’italiano: konto (ital. conto), tara (ital. tara), kredyt (ital. credito), rejestr (ital. registro)» [18].
- 2. L’Ucraina nelle fonti italiane rinascimentali
2.1 Scambi culturali nel periodo dell’umanesimo
Durante il Rinascimento, e più precisamente tra il XV e la prima meta del ХVІ ss., oltre alla scoperta dei ‘nuovi mondi’, vengono esplorate anche le vaste aree in Europa Orientale, in particolare le sponde settentrionali del Mar Nero e del Mare d’Azov che nell’antichità facevano parte della civiltà greca e romana. La novità rispetto ai periodi precedenti consiste nel fatto che quelle realtà “lontane, ma piuttosto affini” cominciano ad attirare non soltanto i viaggiatori, i diplomatici e i mercanti, ma anche gli studiosi umanisti che aspiravano ad ampliare gli orizzonti geografici e culturali.
Nello stesso periodo accresce notevolmente il numero degli studenti provenienti dalle terre ucraine negli atenei italiani, soprattutto presso le università di Bologna e di Padova, le più antiche d’Italia dove si svilupparono la cultura rinascimentale e l’umanesimo assimilati dagli studiosi ucraini. Tra loro, Jurij Drohobyč (vero nome Jurij Kotermak, 1450-1494) conosciuto in Italia come Giorgio da Leopoli. Laureato in filosofia e la medicina presso l’Università di Bologna, successivamente professore di matematica e astronomia a Cracovia e Bologna, nel 1478 a soli 28 anni diventa il rettore dell’Università di Bologna, carica che ricoprirà fino al 1482.
Fu il primo autore ucraino a essere pubblicato all’estero: nel 1483 a Roma diede alle stampe il suo trattato “udicium Pronosticon. Oltre all’astrologia, contiene notizie dell’astronomia, meteorologia e geografia: per la prima volta vengono indicate le coordinate geografiche di molte città quali Leopoli, Vilna, Caffa, Mosca insieme con una breve descrizione delle caratteristiche topografiche di ciascuna di esse. Il trattato si diffuse anche negli altri Paesi d’Europa occidentale, dalla Francia e la Germania all’Ungheria e la Polonia. Tra il 1487 e fino alla morte nel 1494 Jurij Drohobyč insegna all’Università di Cracovia, tra i suoi allievi troviamo Mikołaj Kopernik, universalmente conosciuto con il nome latino Nicolaus Copernicus [19]. Era il periodo dei più intensi e proficui scambi culturali e scientifici con l’Italia quando «dalle cattedre a Bologna e Cracovia, a Padova e Vienna gli studiosi di origini ucraine commentavano i poeti latini» [20].
2. 2 Le menzioni nella letteratura di viaggio del Cinquecento
A partire dal ХІII secolo le Repubbliche marinare si aprirono al commercio nel Mar Nero e in Crimea dove ebbero colonie e possedimenti, tra cui le principali furono Caffa (1261) e Tana (1320). Quest’ultima fu un’antica colonia greca fondata dai milesi nel III secolo a.C.; situata alla foce del fiume Don e nel Mar d’Azov venne menzionata per la prima volta da Strabone nella sua Geografia. A partire dal XIV secolo rappresentava anche un punto di contatto con l’Orda d’Oro, diventando in questo modo l’insediamento levantino più lontano, sia per il sistema coloniale genovese. In quel periodo Tana ha raggiunto livelli di prosperità senza precedenti grazie alla stabilità politica della regione, che la portò a diventare un importante centro di scambi a livello internazionale con una notevole presenza italiana: entrambe le repubbliche marinare vi stabilirono un insediamento permanente con rispettive strutture amministrative. Di conseguenza, Tana è diventata epicentro di rivalità tra le due repubbliche portando a una serie di conflitti armati per il dominio commerciale sul territorio, basti ricordare la cosiddetta guerra degli Stratti oppure la guerra di Chioggia. Venezia fu costretta ad interrompere i traffici principali nella regione, mentre i genovesi riuscirono a conservare i propri avamposti commerciali e vi rimasero fino al 1475 quando la penisola e le aree circostanti fu conquistate dall’Impero Ottomano.
Tutte queste vicende contribuirono a risvegliare l’interesse per le terre intorno a queste colonie dove cominciano a recarsi i numerosi viaggiatori da Genova e Venezia, ma anche dalle altre città d’Italia. Tra loro Giosafat (Giosafatte) Barbaro, patrizio veneziano, esploratore, mercante, diplomatico (tutte queste competenze rientravano nel concetto dell’‘uomo rinascimentale’), autore del famoso libro Il viaggio alla Tana pubblicato la prima volta a Venezia tra il 1543 e il 1545 e considerato una delle fonti più complete sull’Europa sud-orientale. Il libro raccoglie molte informazioni e curiosità, abbonda di descrizioni, precise fino al dettaglio, con cui tratteggia luoghi e popolazioni che vivevano intorno a Tana, questa colonia italiana situata nel basso corso del fiume Don in mezzo alla Grande Steppa. Come racconta Barbaro nel suo libro,
«Del 1436 cominciai andar al viazo de la Tana dove a parte a parte sono stato per la somma de anni sedeci e ho circondato quelle parte sì per mar come per terre con diligentia e quasi curiosità. La regione è per monti, rive e piani, dove si truovano molti monticelli fatti a mano, li quali sono in segno di sepolture, e ciascun di loro ha un sasso in cima grande con certo buso, nel quale mettono una croce d’un pezzo fatta d’un altro sasso» [21].
Nel corso del Cinquecento, il Viaggio alla Tana di Giosafat Barbaro ristampato più volte a Venezia fu conosciuto in tutta Europa. È sintomatico che questo interesse si è mantenuto nel corso dei secoli: nel 1873 uscì la sua ultima traduzione inglese. In Italia l’opera di Barbaro veniva inserita anche nelle raccolte di libri di viaggio, spesso insieme a Il viaggio in Persia di Ambrogio Contarini. La prima edizione del libro di Contarini intitolata Viaggio al signor Usun Hassan re di Persia fu pubblicata nel 1487 a Venezia dall’editore Annibale Fossi; le ristampe successive dal titolo Viaggi fatti da Vinetia, alla Tana, in Persia, in India, et in Costantinopoli videro la luce nel 1545 e nel 1559 ad opera dell’editore Antonio Manuzio.
L’edizione più recente I Viaggi in Persia degli ambasciatori veneti Barbaro e Contarini risale al 1973 e fa parte del volume VII-I di “Il Nuovo Ramusio” a cura di da L. Lockhart, R. Morozzo della Rocca e M. F. Tiepolo.
Nel 1474 l’ambasciatore Ambrogio Contarini si recò in Persia attraverso la Germania, la Polonia, l’Ucraina, la Crimea e la Georgia. La peculiarità del suo testo composto sotto forma di relazioni diplomatiche è che, a differenza della maggior parte degli umanisti italiani del XV e XVI secolo i quali nell’onomastica dell’Europa orientale utilizzavano i termini antichi, Contarini usa ampiamente i nomi slavi, citando solo occasionalmente i toponimi antichi consacrati dall’autorità di Tolomeo e Strabone. Un’altra caratteristica importante è che Contarini nelle sue relazioni diplomatiche distingue chiaramente la Russia e l’Ucraina: la prima viene denominata ‘Moscovia’ o la ‘Rossia alta’, mentre la seconda appare come la ‘Rossia bassa’ [22]. Un’interessante osservazione riguarda la città di Kyiv che all’epoca faceva parte del Granducato di Lituania: il diplomatico mette in rilievo il fatto che dopo la conquista di Caffa da parte dei Turchi nel 1475, Kyiv fungesse da intermediario nei rapporti commerciali della Moscovia con le colonie italiane in Crimea.
Queste intense vicende, dalle esplorazioni geografiche alle guerre commerciali, sono riflesse anche nelle coeve fonti letterarie. In particolare, le menzioni dell’Europa sud-orientale troviamo nella III e nella IV parte del poema La Sfera di Gregorio Dati che contiene notizie dell’astronomia, meteorologia e geografia. Il poema si conclude con le strofe sul viaggio verso Tana e il fiume Tanais, dove «finisce l’Asia»:
Dove si navichi, et finisce qui
L’Asia maggiore al fiume Tanai [23]
È opportuno ricordare che da Erodoto e fino al Settecento erano proprio le acque del Tanai (Don) e del Mar Nero a separare Asia ed Europa, come il Mediterraneo separa l’Europa dalle coste nordafricane. Quella degli Urali come confine tra Europa e Asia è un’invenzione molto più recente di un geografo e cartografo svedese Philip Johan von Strahlenberg [24].
2 3. Cartografia, onomastica e contestazioni degli autori antichi
In questo contesto è importante sottolineare il ruolo degli umanisti italiani nell’ambito delle esplorazioni dell’Europa orientale. La riscoperta dell’antiquità classica e il recupero di una serie di valori appartenenti al mondo del passato comprendevano anche i tentativi di ‘riscoprire’ le terre sulle sponde settentrionali del Mar Nero descritte dagli autori greci e romani che nell’antichità facevano parte dell’oikoumene. Tra i maggiori esponenti di questa corrente storiografica troviamo Eneo Silvio Piccolomini, il futuro papa Pio II, ma anche un importante umanista: diplomatico, poeta (incoronato come tale da re Federico III d’Asburgo), studioso di storia, etnografia, geografia. Nella sua opera intitolata Cosmographia (1461) con la quale Piccolomini intendeva «coronare l’ambizione dell’umanista dotto, del pontefice illuminato, il quale voleva portare la storiografia e la geografia ad opere di grande respiro sintetico e universale della Rinascita» [25] troviamo le sue descrizioni dell’Asia e dell’Europa come «un caleidoscopio di popoli spesso alle prese con tensioni e lotte»:
«Questo sarà il nostro disegno: procureremo di narrare gli avvenimenti del nostro tempo degni di essere raccontati, per quanto li conosciamo, premettendo alcune cose antiche che procurino maggior conoscenza delle cose o aggiungano valore. Discorreremo sulle singole cose accuratamente e, cominciando dalle regioni orientali e passando alle regioni centrali, ritorneremo alle nostre zone occidentali, inserendo quello che ci sembrerà necessario sulle caratteristiche delle singole genti e sui loro luoghi di permanenza. E poiché il campo degli eventi che noi descriviamo e che gli uomini vivono è il mondo – quello che viene coltivato nel globo terrestre con i mari che lo circondano e gli penetrano dentro –, bisogna parlarne un po’ in generale, prima di trattare delle sue parti e della storia dei vari luoghi»[26].
Nelle descrizioni dell’Europa di Piccolomini compaiono anche la ‘Ruthenia’ e i correlativi ‘Rutheni’ o ‘Rosani’, le terre che all’epoca comprendevano l’Ucraina e la Bielorussa. Questi dati sono piuttosto rilevanti, anche se a volte alcune di queste singoli voci «non sono sufficientemente elaborate e vi difettano le notizie storiche» [27].
Un imponente sforzo teso ad aggiornare la storiografia la geografia contemporanee fu il viaggio sulle sponde del Mar Nero di Pomponio Leto, allievo di Lorenzo Valla e fondatore dell’Accademia Romana, ammirato dai contemporanei per il suo entusiasmo per l’antichità classica e per l’immensa erudizione. Pomponio Leto diede vita a un approccio innovativo alla classicità – teoretico e, soprattutto, pratico – che, a differenza dal platonismo fiorentino, prendeva spunto dal materialismo di Epicuro e Lucrezio. È proprio questa la chiave di lettura per interpretare il suo viaggio in ‘Scizia’, ovvero sulle sponde settentrionali del Mar Nero, intrapreso nel 1479-1480 durante il quale Leto si prefiggeva lo scopo di ‘verificare’ e commentare i contenuti del poema di Virgilio Georgiche, specie del I libro dove il massimo poeta descrive i vari aspetti della coltivazione dei cereali dagli ‘sciti’: qualità dei terreni, modi di coltivazione (aratura e semina), segni del tempo ‘celesti’ che l’agricoltore deve saper leggere per evitare i danni causati dalle calamità naturali. Rispettivamente da Leto troviamo un racconto molto particolareggiato sulle pratiche agricole degli sciti: dalla lavorazione dei campi e la semina al raccolto del frumento, la principale cultura per gli ‘sciti’, «che viene seminato in primavera e raccolto a ottobre»; si coltivano, inoltre, diverse specie di cereali detti ‘minori’ di semina primaverile: miglio, segale, avena alcune qualità di orzo. Pomponio Leto rileva le rese cerealicole molto alte dagli ‘sciti’ e l’immensa quantità di frumento raccolto. Mettendo a confronto le proprie osservazioni con le descrizioni della ‘Scizia’ in Georgiche Pompeo Leto giunge alla conclusione che Virgilio vi includesse presumibilmente anche la Dacia e la Tracia, e che la ‘Scizia’ raccontata nel I libro delle Georgiche non sia del tutto vera: in base alla geomorfologia descritta dal celebre poeta, Leto ipotizza che potrebbe trattarsi della Tracia con le sue cime innevate, numerosissime grotte e torrenti, fiumi e sorgenti di montagna situata nell’estrema punta sudorientale della penisola balcanica, e non della ‘Scizia’ [28].
Il testo del viaggio in ‘Scizia’ di Pomponio Leto ci è pervenuto attraverso i suoi commenti alle opere degli autori classici e attraverso le lezioni registrate dai suoi allievi successivamente riscostruite dagli studiosi di letteratura umanistica. La ricostruzione completa è stata realizzata dal filologo pietroburghese Vladimir Zabughin (1880-1923) che, dopo aver completato gli studi universitari nella sua città nativa, si trasferì in Italia e, convertendosi dall’ortodossia al cattolicesimo di rito greco, per il resto della sua vita rimase a Roma. Intraprese la carriera universitaria presso la Facoltà di lettere all’Università “Sapienza” di Roma ricevendo l’incarico ufficiale di Letteratura umanistica dal 1912 al 1923, anno della sua morte avvenuta per un incidente alpinistico durante la vacanza in Trentino-Alto Adige in circostanze poco chiare.
Il saggio critico di Zabughin su Leto Pomponio è un’opera imponente composta a Roma tra il 1909 e il 1912 di cui primo volume uscì nel 1909 [29]. Nella prefazione lo studioso specifica che è stato il suo professore universitario di storia all’Università di San Pietroburgo Georg August Forsten nel 1902 a indicargli tale personaggio quale «soggetto ricco di spunti e inesplorato» nell’ambito del Rinascimento italiano. Oltre ad avere un inestimabile valore storiografico, filologico e culturale, il saggio di Zabugin si distingue per l’indipendenza di giudizio rispetto alla tradizione degli studi, per la ricchezza di materiali trattati e l’importanza del corredo iconografico. Nel 2021 per la prima volta vide la luce la versione integrale del saggio critico di Vladimiro Zabughin su Giulio Pomponio Leto in tre volumi, grazie al meticoloso lavoro di Maria Lanzillotta Accame, docente di filologia della letteratura italiana presso la Facoltà di lettere e filosofia dell’Università “Sapienza” di Roma [30].
Tornando al Pomponio Leto e al suo viaggio sulle sponde settentrionali del Mar Nero, egli conclude che Plinio e Tolomeo nei loro racconti sulla Scizia «dicono molte cose sbagliate» e che le descrizioni di Erodoto «sembrano più esatte». Collocando la ‘Scizia’ nei territori dell’odierna Ucraina, Leto si rifà in qualche modo alle teorie geografiche di Erodoto [31], contestando Tolomeo, e anche la tradizione onomastica del suo tempo.
Il fatto sintomatico per l’epoca che nel 1507 a Roma è stata pubblicata un’accresciuta edizione di Geographia di Tolomeo in lingua latina la cui riscoperta in Europa del Cinquecento dette un importante impulso al recupero dei metodi della geografia matematica e della cartografica. Vi fu inserita, accanto alle tavole classiche, una “Tabula Moderna Polonie, Ungarie, Boemie, Germanie, Russie, Lithuanie” [32] curata dal noto geografo e cartografo polacco Bernard Wapowski e dal cartografo italiano Marco da Benevento. Si è supposto che nell’ombra abbia collaborato all’opera anche Niccolò Copernico che, tra il 1494 e il 1498, insieme a Marco da Benevento seguiva le lezioni di astronomia del professore Domenico Maria Novara all’Università di Bologna [33]. Questa edizione della Geographia contiene anche la prima rappresentazione cartografica della Polonia e dell’Ucraina realizzata da Bernard Wapowski considerato il ‘padre della cartografia polacca’. L’Ucraina è rappresentata come ‘Russia’, ‘Podolya’ (una regione storico-geografica situata nella zona centro-occidentale e sud-occidentale dell’attuale Ucraina (successivamente citata dallo storico ucraino Brajčevs’kyj come area con i più numerosi ritrovamenti di monete romane) e ‘Tartaria’ nella zona orientale. La ‘Russia Alba, sive Moscovia’ è collocata più a est del fiume Dnirpo e a nordest della ‘Tartaria’.
2.4 Le reminiscenze della Rus’ Kyiviana nel “Orlando Innamorato”
L’attestazione del fatto che nei secoli XV-XVI in Italia come in altri Paesi dell’Europa occidentale venissero chiaramente distinte le due entità – il Regno di Mosca (Moscovia, Russia Alba) e l’Ucraina (Ruthenia, Rus’) – troviamo anche nelle coeve fonti letterarie. Un esempio emblematico è il poema Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo in cui, inoltre, viene riflessa l’eredità storica e culturale dello Stato medievale con la capitale a Kyiv. Come noto, Boiardo nel suo poema si è ispirato alle trame del ciclo carolingio dell’epica eroica francese medievale. Attingendo proprio alla tradizione dell’epopea carolingia, Boiardo descrive un conflitto globale tra il mondo cristiano e quello “pagano”, in cui sono coinvolti vari popoli e regni, tra loro ‘Rossia’ e ‘Moscovia’, che si trovano però nei campi diversi. Nel Canto X del Primo libro, il poeta aspira a presentare una panoramica delle truppe dei belligeranti e, tra i re riuniti sotto il vessillo cristiano, troviamo ‘l’imperatore della Rossia’ Argante: è al fianco del ‘re dei Goti’ Pandragone, uno dei più potenti alleati di Orlando e degli altri paladini di Carlo Magno:
Vedi là il forte re della Gotìa,
Che Pandragon per nome era chiamato.
Vedi lo imperator de la Rossìa,
Che ha nome Argante, ed è sì smisurato [34].
Vedi Lurcone ed il fier Santaria;
Il primo è di Norvega incoronato,
Il secondo de Sueza; e proximana
Ha la bandera del re de Normana…[35].
È opportuno ricordare che all’epoca della composizione del poema l’Ucraina, insieme alla Bielorussia, facevano parte del Granducato di Lituania, eppure è del tutto improbabile supporre che ‘l’imperatore della Rossia’ Argante rappresenti il Granducato di Lituania nel poema; l’ipotesi più accreditata è che «qui viene riflessa l’immagine della Rus’ di Kyiv che ha rappresentato un importante centro di civiltà cristiana nella parte orientale dell’Europa; un’immagine molte volte elaborata dall’epica medievale occidentale dell’XI-XIII secolo» [36]. Nel XIII secolo, la Rus’ di Kyiv divenne la prima vittima ‘europea’ della devastante invasione tataro-mongola, eppure è rimasta per lungo tempo nella tradizione poetica e culturale dell’Europa occidentale. È significativo che nel poema Orlando Innamorato l’imperatore Argante affianca costantemente il ‘re di Gotìa’, attestando il fatto che la ‘Rossìa’ e la ‘Gotìa’ rappresentavano nell’immaginario del poeta italiano due entità statuali più potenti dell’Alto Medioevo europeo. In questo modo nel poema rinascimentale di Boiardo riecheggia il glorioso passato della Rus’ kyiviana, della sua eredità e dei suoi discendenti.
1.3. Le migrazioni italiane verso le coste settentrionali del Mar Nero nel XVIII-XIX ss.
3.1 Le origini italiane della città di Odesa
Alla fine del Settecento gli italiani ebbero un ruolo importante nella fondazione e nello sviluppo delle nuove città portuali della regione settentrionale del Mar Nero. In particolar modo, la storia della città di Odesa, fondata nel 1794, è legata alle imprese dell’ammiraglio José de Ribas y Boyons (Don Giuseppe), originario di Napoli. L’ammiraglio de Ribas coinvolse molti suoi compatrioti nella costruzione di un grande porto sul Mar Nero.
Nel 1797 si contavano a Odesa circa 800 italiani, pari al 10% della popolazione totale. In quel periodo tutti i vertici dell’amministrazione cittadina erano italiani, così come la gestione del porto: i contratti marittimi venivano siglati in italiano che fungeva da lingua franca, ma anche da lingua ufficiale dell’attività economica della città. I primi negozi (panetterie, pasticcerie, farmacie, cantine) erano un monopolio di fatto italiano, e persino il primo libro stampato in città fu in lingua italiana in quanto l’unica tipografia nella città fu gestita da un italiano. Le insegne dei negozi, i cartelli stradali e le liste dei prezzi erano scritti in lingua italiana. Oltre al commercio, gli italiani erano molto attivi nel settore dei servizi, hanno aperto alberghi, caffè, ristoranti, saloni di parrucchieri e si sono impegnati in appalti edilizi. Anche le prime forme di attività assicurativa e bancaria erano ad opera degli italiani: nel 1806 da Benedetto Mercadalli ha aperto la prima agenzia assicurativa e nel 1826 da Giovanni Verani ha fondato la prima banca commerciale a Odesa.
Tuttavia, la maggior parte degli italiani lavoravano nel settore marittimo: erano impegnati nelle attività legate alla pesca nelle varie zone del Mar Nero e del Mare di Azov, operavano nei cantieri navali e come trasportatori di merci nei porti italiani, ma, soprattutto, come marinai e capitani di navi mercantili in viaggi a corto e lungo raggio. Tra di loro, nel 1824 giunse a Odesa un giovane marinaio genovese di nome Giuseppe Garibaldi il cui zio Angelo Felice Garibaldi era viceconsole nella città di Kerč situata sull’omonimo stretto che collega il Mar Nero col Mar d’Azov. Non fu l’unico viaggio dell’eroe dei “due mondi” a Odesa: secondo accreditate ipotesi, proprio a Odesa nel 1833 Garibaldi avrebbe avuto le prime informazioni sull’associazione politica “Giovine Italia” fondata due anni prima da Giuseppe Mazzini [37].
Gli italiani rimasero una comunità influente nella città nel corso di tutto l’Ottocento. Nel 1837 la popolazione complessiva di Odesa si avvicinava a 62 mila abitanti, 1600 di loro erano italiani, verso il 1850 circa tre mila, la massima espansione della colonia italiana a Odesa. Il riorientamento del commercio del grano verso il mercato nordamericano nella seconda metà del XIX secolo causò il deflusso della componente italiana dalla città: nel 1897 vi rimanevano 286 italiani maschi in età lavorativa e nel 1905 soltanto 650 persone in totale [38].
Nel corso del XIX secolo si costituirono comunità italiane a Mariupol, Feodosia (l’antica colonia genovese di Caffa), Kerč, Mykolaiv, Berdjans’k, Kyiv e Charkiv formate da professionisti, prevalentemente commercianti e artigiani, ma anche insegnanti, musicisti, cantanti, architetti, scultori (in primo luogo, marmisti). L’ondata di sconvolgimenti politici e sociali che l’Ucraina ha vissuto all’inizio del XX secolo ha inciso fortemente sulle attività e sulla consistenza stessa delle comunità italiane. La maggior parte si disgregò a causa della re-emigrazione di massa verso gli Appennini. L’unica comunità compatta è rimasta nella città di Kerč in Crimea. Nel gennaio del 1942 per decisione del governo di Stalin l’intera comunità italiana, compresi i rifugiati antifascisti che si erano stabiliti a Kerč, fu deportata in Kazakistan attraversando i territori della Russia, Georgia, Azerbaigian, Turkmenistan e Uzbekistan. Durante il viaggio “di lacrime e di sangue” che si è prolungato per oltre due mesi morirono centinaia di deportati, tra di loro molti bambini [39].
3.2 La comunità italiana di Kerč (Crimea)
La comunità di Kerč è sorta circa un secolo dopo rispetto a quella di Odesa, all’inizio degli anni Venti del Novecento. Secondo il censimento del 1897, in base all’uso della lingua a Kerč e dintorni abitavano 816 italiani. Erano i discendenti degli emigrati italiani, per maggior parte pugliesi, che arrivarono in Crimea alla fine dell’Ottocento. Negli anni Trenta del Novecento la comunità costituiva circa cinquemila persone, era ben integrata a livello economico e sociale. Costruirono una fabbrica di conservazione del pesce e organizzarono la propria parrocchia presso la chiesa cattolica fondata nel 1840 dal fratello di Giuseppe Garibaldi. Nel 1942 su ordine di Stalin furono deportati in Kazakistan a causa delle loro origini e dell’appartenenza culturale, e solo una piccola parte di sopravvissuti era ritornata in Crimea negli anni Ottanta. In quel periodo molti di loro dovettero celare la propria origine etnica e alcuni ottennero la russificazione del nome:
«I tragici eventi hanno instillato nei sopravvissuti alla deportazione un timore di essere riconosciuti come italiani, ancora nei primi anni del Duemila molti testimoni diretti non acconsentivano a parlare della propria esperienza per paura di eventuali ritorsioni da uno stato che non esisteva più» [40].
Eppure all’interno della comunità le famiglie riuscirono a tramandare la lingua e la cultura italiana ai figli e ai nipoti. Dopo l’indipendenza dell’Ucraina nel 1991 iniziarono la loro battaglia per ottenere un riconoscimento giuridico del “popolo deportato” presso il governo di Kyiv, ciò che li consentirebbe poi di avviare le procedure per la ricostruzione della cittadinanza italiana. Hanno partecipato al referendum del 16 marzo del 2014 condotto dalle autorità russe dopo l’annessione della Crimea il 1 marzo del 2014, sperando che questo portasse a una maggior autonomia all’interno dello Stato ucraino [41]. Pochi si ricorderanno che all’esito del referendum la Crimea è stata proclamata indipendente. Il giorno successivo, il 17 marzo del 2014 i rappresentanti della comunità hanno cercato di contattare le nuove autorità della Crimea sfruttando l’occasione della presenza in Crimea degli osservatori italiani nella delegazione dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE). L’indipendenza della penisola sembrava agli italiani di Kerč un’opportunità per ottenere il riconoscimento giuridico e lo status del “popolo deportato”, per riabilitare i loro morti e dare un senso di appartenenza ai giovani. Peccato però che l’ ‘indipendenza’ della Crimea sia durata poco più di ventiquattro ore: il giorno successivo del 18 marzo il presidente Putin ha firmato il “Trattato sull’ammissione della Repubblica di Crimea alla Federazione russa”. La signora Giulia Giacchetti Boico, presidente dell’Associazione “C.E.R.K.I.O.” (Comunità degli Emigrati in Regione di Crimea Italiani di Origine) è stata immediatamente informata che la sua associazione non potrà più essere una semplice fondazione “senza scopi di lucro” e che lei, secondo le leggi della Federazione russa, dovrà provvedere a registrare presso il Ministero degli Esteri a Mosca una nuova associazione con denominazione “agente estero” (in quanto mantiene contatti con le strutture ed enti stranieri) e che i suoi ospiti (parenti, amici, studiosi che si occupano del fenomeno dell’emigrazione italiana ecc.) che vengono dall’Italia d’ora in poi hanno l’obbligo del visto di ingresso [42]. Subito dopo il referendum del 2014 i rappresentanti della comunità hanno interrotto i contatti con l’Ambasciata italiana a Kyiv, precedentemente attivi e fruttuosi. A partire dal 2008, l’anno della costituzione dell’Associazione “C.E.R.K.I.O.”, e fino al 2014 i rappresentanti dell’Ambasciata e/o del Consolato d’Italia a Kyiv, ogni 29 gennaio partecipavano alla commemorazione annuale della deportazione italiana dalla Crimea. Secondo le testimonianze personali dell’allora console italiano a Kyiv Matteo Cristofaro, il momento più commovente e altamente evocativo era la deposizione dei garofani rossi in Mare Nero, in quanto “quei morti non hanno né tombe né croci”.
Il documentarista italiano Tito Manlio Altomare ha raccontato la tragica vicenda della comunità italiana di Kerč nel film “Puglia oltre il Mediterraneo” (2011) ponendo maggiormente in evidenza l’aspetto umano, sociale, culturale. Tra il 1830 e il 1870 i pugliesi partivano per la Crimea da Trani, Bisceglie e Molfetta allettati dalla promessa di buoni guadagni e dal miraggio di terre fertili. Erano soprattutto agricoltori, pescatori ed addetti alla cantieristica navale. L’espansione massima era di circa tre mila persone: una comunità formata da professionisti, tecnici specializzati, commercianti rappresentava un esempio di aspirazione all’eccellenza, grande capacità imprenditoriale, professionalità e managerialità.
Ma è anche una storia particolarmente drammatica, con confische e perdita di diritti civili dopo la Rivoluzione bolscevica, sterminio politico durante il regime staliniano e la deportazione dell’intera comunità in Kazakhstan in piena Seconda guerra mondiale. Un’emigrazione che, attraverso le sue fasi, racconta anche i totalitarismi in Europa nel XX secolo.
Conclusioni
I dati archeologici e numismatici parlano a favore dei contatti diretti fra le popolazioni di culture protoslave nel bacino dei fiumi Dnipro e Dnister e delle coste settentrionali del Mar Nero con la civiltà romana nei secoli iniziali del I millennio. Le monete romane del periodo tardoantico sono contemporanee ai ritrovamenti della cultura di Černjachiv e hanno una precisa localizzazione nei bacini dei fiumi Dnister e Dnipro: i confini dei rinvenimenti numismatici coincidono con i confini archeologici e, presumibilmente, con i confini delle strutture politiche ed economiche esistenti in quel periodo.
La correlazione tra i toponimi di probabile origine latina e i luoghi di ritrovamento dei ripostigli di monete antiche romane sul territorio ucraino rappresenta un ulteriore tassello al grande mosaico dell’eredità culturale comune e alle realtà storiche e culturali nello spazio geografico e linguistico ucraino.
Di particolare rilevanza sono i prestiti latini lessicali antichi la cui assimilazione risale al periodo compreso tra il II e il IV secolo d.C., che corrisponde all’iniziale fase di differenziazione dei vari dialetti della lingua protoslava, in cui cominciarono a rafforzarsi le differenze fonetiche, lessicali e morfosintattiche tra i dialetti della protolingua, che formarono successivamente le distinte lingue slave. I latinismi antichi assimilati dalla maggior parte delle lingue slave sono i più numerosi nel lessico ucraino (seguito da quello polacco e slovacco).
Nell’Alto Medioevo lo Stato degli slavi orientali con la capitale a Kyiv (la Rus’ di Kyiv) è entrato a fare parte del sistema politico europeo istaurando con Europa rapporti di natura simmetrica e paritaria. Di conseguenza, venivano potenziati rapporti commerciali ed economici già esistenti, generando importanti scambi culturali con numerose connessioni etnolinguistiche.
Tuttavia, il periodo dei più intensi e proficui scambi culturali e scientifici con l’Italia fu il Rinascimento quando «dalle cattedre a Bologna e Cracovia, a Padova e Vienna gli studiosi di origine ucraine commentavano i poeti latini». È importante sottolineare il ruolo dei diplomatici e degli umanisti italiani (da Giosafat Barbaro e Ambrogio Contarini a Enea Silvio Piccolomini e Pomponio Leto) nelle esplorazioni dell’Europa orientale, le loro ricerche geografiche e le ricostruzioni storiografiche nel contesto del recupero dei valori dell’antichità classica attualizzati nell’ambito degli studi umanistici. Di particolare interesse sono le forme onomastiche utilizzati da vari autori con una chiara distinzione tra delle due entità – la ‘Moscovia’ (Rossia Alba’, ‘Rossia alta’) e la ‘Ruthenia’ (Rus’, ‘Rossia bassa’) come venivano definite all’epoca le terre dell’odierna Ucraina. Questa distinzione si presenta anche nel poema epico Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo e appare particolarmente evidente nelle rappresentazioni cartografiche della fine del Quattrocento – l’inizio del Cinquecento.
Nel periodo tra la fine del XVII e il XIX ss. gli italiani svolsero un ruolo importante nella fondazione e nello sviluppo delle nuove città portuali nella parte settentrionale del Mar Nero e in Crimea. Tuttavia la migrazione italiana verso le coste settentrionali del Mar Nero e del Mare d’Azov rimane un fenomeno non ancora sufficientemente studiato: andrebbero ricostruiti con puntualità i vari flussi e le fasi di questa emigrazione. Nello stesso tempo la vicenda dell’ultima comunità italiana di Kerč rappresenta un elemento significativo per un’analisi dettagliata e comparativa dei totalitarismi in Europa nel XX secolo.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Note
[1] Archibald R. Lewis, Naval power and trade in the Mediterranean A. D. 500-1100, Princeton: Princeton University Press, 1951: 130.
[2] Cinnella Ettore, Storia e leggenda della Rus’ di Kiev, Della Porta Editori, Pisa, 2024: 18.
[3] Norman Davies, Europe: A History, Oxford: Oxford University Press, 1996: 428.
[4] Nicolas De Baumgarten, Généalogies des marriages occidentaux de Rurikides russes du X au XIII siècle, Rome: Pont. Institutum Orientalium Studiorum, 1927 : 69-70.
[5] Dmytro Nalyvajko, Očyma Zachodu. Recepcija Ukrajiny v Zachidnij Evropi, Kyiv, Osnovy, 1998: 33.
[6] M. Brajčevs’kyj, Koly i jak vynyk Kyiv, Kyiv, Vyd-vo AN URSR, 1963: 36.
[7] M. Brajčevs’kyj, Ryms’ka moneta naterytoriji Ukraijiny, Kyiv, Vyd-vo AN URSR, 1959.
[8] Si tratta di una vasta area sepolcrale (cultura archeologica) esistita tra il II e il V secolo D.C., identificata nel 1899 dall’archeologo ceco-ucraino Vikentij Chvoika e chiamata così dal nome del sito di ritrovamento, vicino al villaggio di Černjachiv a 70 chilometri di Kyiv.
[9] Boris Magomedov, Černiachovskaia kultura. Problema etnosa, Lublin, Wyd-wo Uniwersytetu Marii Curie-Skłodowskiej, 2001: 58-60.
[10] Kostjantyn Tyščenko, Movni kontakty: svidky formuvanjia ukrainciv, Kyiv, Akvilon-Plus, 2006: 250-158.
[11] Olena Ponomareva, Influssi della cultura latina e romana sulla lingua ucraina, “Slavia”, n. 1, 2024: 141-143.
[12] Cfr.: Lech A. Tyszkiewicz, Słowianie w historiografii antycznej do połowy VI wieku, Wrocław, Wydawnictwo Uniwersytetu Wrocławskiego, 1990: 40-48, 198-203; Franciszek Sławski, Słowianie. Nazva, in: Słownik starożytności słowiańskich: Encyklopedyczny zarys kultury słowian od czasów najdawniejszych do schyłku wieku XII, Tom piąty, Wrocław, Wyd-wo Uniwersytetu Wrocławskiego, 1975: 304-306; Florin Curta, Slavs in the Making. History, Linguistics, and Archaeology in Eastern Europe (ca. 500 – ca. 700), London, Routledge Editor, 2021: 25-26.
[13] Etymolohichnyj slovnyk ukrajinskoi movy (EtSlUkrM) v 6 tomakh, Kyiv, NAN Ukrainy, Naukova dumka 1982-2012; Akademichnyj tlumachnyj slovnyk ukrajinskoi movy v 11 tomakh (SUM-11), Kyiv, NAN Ukrainy, Naukova dumka 1970-1980;Velykyj tlumachnyj slovnyk suchasnoji ukrajinskoi movy (VTSSUM), Irpin, Perun, 2005;Slovnyk ukrajinskoi movy v 20 tomakh, Kyiv, NAN Ukrainy, Naukova dumka, 2010-2021.
[14] Il poema epico “Il Canto della schiera di Igor” è un’opera anonima del ciclo kyiviano del XII secolo.
[15] B. Rybakov, Drevnaja Rus’. Skazania, byliny, letopisi, Moskva, Izd-vo AN SSSR, 1963: 14-15.
[16] Etymolohičnyj slovnyk ukrajins’koji movy v 6 tomach, Kyiv, NAN Ukrajiny, Vyd-vo Naukova dumka, 1982-2012; Pivtorak H. P., Suchasnyi slovnyk inshomovnykh sliv, Kyiv: Dovira, 2006; Skopnenko O. I., Tsymbaliuk T. V., Suchasnyi slovnyk inshomovnykh sliv, Kyiv: Dovira, 2006.
[17] Jurij Andruchovyč J., Città Nave, “Limes”, n. 1/2024: 153.
[18] Salvatore Del Gaudio, Italijs’kyj leksyčnyj komponent v ukrajins’kij movi. “Ukrajins’ka mova”, 2015, № 2: 15-16.
[19] Oxana Pachlovska, Civiltà letteraria ucraina, Carocci editore, Roma 1998: 137.
[20] Ilya Goleniščev-Kutuzov, Slavianskie literatury. Statii i issledovania, Hudožestvennaia literatura, Moskva, 1973: 136.
[21] https://www.gingkoedizioni.it/il-viaggio-alla-tana-di-giosafatte-barbaro-mercante-veneziano/
[22] Dmytro Nalyvajko, Očyma Zachodu. Recepcija Ukrajiny v Zachidnij Evropi, Kyiv: Osnovy, 1998: 91.
[23] Francesco Palermo, I manoscritti palatini di Firenze, volume 2, I. e R. Biblioteca Palatina, Firenze, 1853: 59.
[24] Fu un militare e geografo svedese catturato dalle truppe russe nella Battaglia di Poltava (1709) e come prigioniero di guerra esiliato in Siberia dove visse per 10 anni ottenendo il permesso di raccogliere materiali sulla geografia, la storia e l’etnografia del territorio. Tornato libero, nel 1730 pubblicò a Stoccolma il libro “Europa Nord-Orientale e Asia”, allegandovi nuove mappe dell’intera Russia e suggerendo un confine ben definito fra Europa e Asia, che ancora oggi è alla base della convenzione sul confine tra i due continenti seguita a livello internazionale, la cosiddetta ‘linea di von Strahlenberg’.
[25] Cronia Arturo, La conoscenza del mondo slavo in Italia : bilancio storico-bibliografico di un millennio, Officine grafiche Stediv, Padova, 1958: 95.
[26] Enea Silvio Piccolomini, La discrittione de l’Asia et Europa di Papa Pio II e l’historia de le cose memorabili fatte in quelle, con l’aggionta de l’Africa, secondo diversi scrittori, Vincenzo Vaugris, Venezia, 1544: IV-V.
[27] Cronia, Op. cit.:15.
[28] Per lo storico greco Erodoto, che fu il primo a menzionare la Scizia, è una regione situata tra il Danubio e il Don, a oriente del quale abitano i Sarmati; successivamente il toponimo ‘Scizia’ veniva usato per indicare genericamente le popolazioni a nord del Mar Nero. Tolomeo, ideatore del sistema geocentrico, attribuisce il nome ‘Scizia’ a una vasta non ben precisabile zona dell’Asia divisa da lui in due parti, la ‘Scizia intra Imaum’ e ‘Scizia extra Imaum’.
[29] Zabughin Vladimiro, Giulio Pomponio Leto. Saggio critico, Grottaferrata, 1909.
[30] Vladimiro Zabughin Giulio Pomponio Leto. Saggio critico in tre tomi, a cura di Maria Accame Lanzillotta, Tivoli, edizioni Tored, 2021.
[31] Erodoto considerato da Cicerone come “il padre della storia” fu il primo autore classico che descrisse il territorio dell’odierna Ucraina nel suo libro “Gli Sciti”.
[32] https://www.europeana.eu/en/item/372/item_YUGMQHUVKBSWQ55ZQRMHSLTBXGTPK2E7
[33] Nalyvajko, Op. cit.: 102.
[34] In questa descrizione riecheggiano le sontuose immagini della “Chanson de Saisnes” (1200) di Jean Bodel che racconta le campagne di Carlo Magno contro i Sassoni: in Bodel troviamo una personificazione della Rus’ di Kyiv che vantava una solida reputazione militare e veniva descritta come un gigante dotato di una forza eccezionale, alto quattrodici piedi, con una folta chioma biondo scura e con il volto segnato dalle cicatrici da “guerra”.
[35] Matteo Maria Boiardo, Orlando Innamorato, a cura di Emilio Piccolo, Vico Acitillo 124 – Poetry Wave, Napoli 2009: 148.
[36] Nalyvajko, Op. cit: 106.
[37] Sperandeo P.G., Gli Italiani nel Mar Nero. La colonia di Odessa, “Rivista d’Italia”, agosto 1906; Šmakov A., Istoričeskyj očerk osnovanija i razvitia Odessy, Trudy Odesskogo statitičeskogo komiteta, vyp. 3, Odessa, 1870; Varvatcev M., Italijci v kul’turnomu prostori Ukrajiny: kinec’ XVIII – 20-ti roky ХХ st. Istoryko-bibliohrafične doslidžennja, Kyiv, 2000.
[38] Bacak K., Italijs’ka emigracia v Ukrajini naprykinci XVIII – u peršij tretyni XIX stolittja. Vykoky, formuvannja, dijal’nist’, Kyiv, 2004.
[39] Giulia Giacchetti Boico, Giulio Vignoli, L’Olocausto sconosciuto. Lo sterminio degli italiani di Crimea, Edizioni Settimo Sigillo, 2008: 21-22.
[40] Stefano Pelaggi, La comunità italiana in Crimea, in “Rapporto Italiani nel Mondo 2013 della Fondazione Migrantes”, XXIII, p. 332.
[41] Il reperimento di questi dati è avvenuto tramite contatti diretti dell’Autrice di questo testo con i rappresentanti della comunità italiana di Kerč nel periodo tra agosto del 2013 e marzo del 2014.
[42] L’Ucraina ha abolito i visti per i cittadini UE nel 2005.
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Olena Ponomareva, PhD insegna Lingua ucraina e Mediazione linguistica e interculturale presso il Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali all’Università Sapienza di Roma. Lessicografa, ricercatrice e saggista, i suoi principali campi di ricerca riguardano la lingua ucraina, il linguaggio del totalitarismo nell’Est europeo, le trasformazioni democratiche delle società post totalitarie dell’Est Europa in prospettiva dell’allargamento europeo. Ha al suo attivo oltre cinquanta pubblicazioni in italiano, ucraino, francese, inglese su argomenti di carattere ucrainistico, sociolinguistico e sociologico. È l’autrice del Dizionario Hoepli Ucraino (2020), 132 mila lemmi, accezioni, espressioni idiomatiche ed esempi.
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