Al centro della baia di Porto Conte, sulla costa nord occidentale della Sardegna, Punta Giglio, un promontorio di roccia calcarea, dalla terra si getta in mare per sei chilometri e mezzo, con pareti a picco che cadono a strapiombo da altezze che vanno dagli ottanta ai centocinquanta metri. È un paradiso di straordinario rilievo ambientale. La flora comprende, oltre a una fitta pineta, specie endemiche rare; la fauna, oltre alle specie migratorie, otto specie nidificanti protette dalla European Union Birds Directive. Viste queste sue caratteristiche, Punta Giglio non solo è stata inserita nel Parco naturalistico regionale di Porto Conte, ma è anche tra i siti che le norme europee di tutela dell’ambiente hanno riconosciuto sia come «Zone di interesse comunitario» (Zic) sia come «Zone di protezione speciale» (Zps), che servono al mantenimento di habitat idonei alla conservazione delle popolazioni di uccelli migratori.
Punta Giglio, poi, è anche un’area di interesse storico riconosciuta dal Ministero per i beni culturali. Durante la Seconda guerra mondiale, infatti, per la sua posizione strategica è stata un’importante base antiaerea dell’esercito, di cui esistono ancora i resti: una piccola caserma, piattaforme di posizionamento di mitragliatrici antiaeree, casematte e deposito esplosivi, costruiti con pietre del posto e mimetizzati alla vista dal mare. Sono ruderi abbandonati. Ora a qualcuno è venuta l’idea di «riqualificarli».
Nel 2007 l’Agenzia del Demanio ha indetto un bando, chiamato Cammini e percorsi, con lo scopo di riqualificare edifici disseminati su tutto il territorio nazionale e appartenenti al patrimonio pubblico dello Stato, tra i quali Punta Giglio. Riservato a realtà imprenditoriali italiane o estere purché composte da persone sotto i 41 anni, il bando prevedeva il restauro e il riuso di edifici esistenti per realizzare strutture ricettive con servizi annessi, a fini di promozione turistica. L’ex batteria militare sarda è stata una delle concessioni più richieste, con dieci proposte progettuali provenienti sia dall’Italia sia dall’estero. Concessione appetibilissima, quindi. Assegnata, alla fine, a Quinto elemento, una cooperativa giovanile milanese nata apposta per partecipare al bando.
Ovviamente vincere il bando non bastava. Bisognava poi ottenere le autorizzazioni del caso: quella del Parco naturalistico di Porto Conte (i cui organi direttivi sono nominati dal comune di Alghero nonostante il parco sia regionale), quella dello stesso Comune di Alghero e quella della Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio della provincia di Sassari. Nonostante il parere contrario al progetto subito espresso da diverse sigle ambientaliste sarde, le autorizzazioni sono arrivate tutte. E così la vecchia casermetta dell’aviazione è diventata un ostello con sei stanze per un totale di venti posti letto, con una vasca-piscina, un bar e vari altri servizi. Un piccolo albergo? Quelli di Quinto elemento dicono di no: «Piuttosto un rifugio sul modello di quelli alpini, un rifugio di mare, che non sarà una struttura ricettiva fine a sé stessa, ma parte di un museo storico a cielo aperto legato alle attività del Parco di Porto Conte. Un nuovo spazio culturale e sociale dove organizzare incontri pubblici, mostre, reading e iniziative, purché compatibili con le specificità dell’area».
Riqualificazione, dunque, ma nel senso ben connotato, e molto discutibile, che la parola ha assunto per l’Agenzia del demanio: affidare a privati beni pubblici perché siano rifunzionalizzati. Nel caso di Punta Giglio, rifunzionalizzati con fini legati, evidentemente, non soltanto alla tutela storica e ambientale, ma anche a un’attività imprenditoriale di accoglienza turistica. Filosofia, questa, contestata da larga parte della comunità di Alghero, che ha dato vita all’associazione Punta Giglio Libera. «Siamo in presenza – dice Giovanni Oliva, una delle figure storiche dell’ambientalismo algherese – di una privatizzazione di fatto di un bene pubblico. La cosa migliore sarebbe stata che a Punta Giglio tutto fosse restato com’è sempre stato. Ma se proprio si doveva modificare la situazione esistente per restaurare i resti della postazione militare, questo lo doveva fare il Parco, secondo le finalità istitutive dell’ente e sotto il controllo della comunità algherese».
È dunque innanzitutto, dicono gli ambientalisti di Alghero, la scelta dell’Agenzia del demanio che va criticata. Il bando Cammini e percorsi andava nella direzione di una sostanziale dismissione del patrimonio pubblico, sia pure attraverso il sistema delle concessioni a tempo determinato. Seguendo una strategia gestionale sbagliata, il pubblico rinuncia a progettare e a realizzare, secondo preminenti interessi collettivi, la riqualificazione dei beni dello Stato. E passa, invece, la mano ai privati. È questo il punto centrale della questione. È evidente, infatti, che dietro la questione Punta Giglio stanno visioni contrapposte della gestione dei beni pubblici. Chi la gestirebbe meglio Punta Giglio dal punto di vista della tutela ambientale e dei beni storici? Il Parco naturalistico o una cooperativa privata? Per l’associazione Punta Giglio Libera la risposta è scontata.
La stessa risposta la dà ora un libro, Punta Giglio, storia di una tutela mancata, scritto da Carlo Mannoni. L’autore, classe 1946, è nato e risiede a Cagliari, ma è vissuto ad Alghero per undici anni, dal 1959 al 19070, frequentando le medie e le superiori per poi laurearsi in Giurisprudenza all’Università di Sassari. È entrato nel 1972 nell’organico amministrativo della Regione Sardegna e ha ricoperto incarichi dirigenziali di vertice. Rilevante il suo impegno civile. È stato infatti vicepresidente della giunta sarda quando a guidare l’organo esecutivo della Regione era Renato Soru (dal 2004 al 2009). Nella giunta Soru, Mannoni ha anche ricoperto ad interim, dal novembre 2006 al luglio 2007, l’incarico di assessore regionale dei Beni Culturali, con competenza in materia di paesaggio. Insieme a Soru è stato il principale protagonista della battaglia legale che ha contrapposto la Regione Sardegna al Gruppo Cualbu, un’impresa edile che avrebbe voluto costruire un complesso abitativo di grandi dimensioni a ridosso della necropoli fenicio-punica di Tuvixeddu, area tutelata come bene storico di rilevanza comunitaria (è il più importante cimitero dell’intero Mediterraneo lasciato da Fenici e Cartaginesi). Quella battaglia fu vinta dalla Regione e Tuvixeddu si salvò. In un libro di quattro anni fa, L’infinita contesa, Mannoni ha ricostruito tutta la vicenda.
Ora Mannoni, nel libro Punta Giglio. Storia di una tutela mancata, racconta invece di una partita persa. È il caso di richiamare uno per uno i personaggi di questo racconto. Per evidenziare i moventi delle loro azioni e delle loro omissioni, già ben individuati da Mannoni. Ma anche per un altro motivo: per delineare la cornice di senso comune dentro la quale quelle azioni e quelle omissioni si inscrivono. Credo sia importante questa seconda cosa, perché se non si vede la cornice di senso comune dentro la quale sta tutta la vicenda di Punta Giglio si fa fatica a comprendere perché la battaglia per difendere la falesia sia stata persa e perché difficilmente si sarebbe potuto vincerla. Uso la nozione di senso comune come Antonio Gramsci la usa nei “Quaderni”. Senso comune è «l’opinione media di una società», ovvero ciò che comunemente viene ritenuto vero e giusto. È nel senso comune che per Gramsci si solidifica, si storicizza, la nozione di egemonia. Se vuoi essere egemone, se vuoi essere forza guida di una società, di una nazione, devi essere capace di far diventare i tuoi valori senso comune, ovvero ciò che comunemente la gente crede.
Chi sono i personaggi del racconto di Carlo Mannoni? Sono il Demanio, il Comune di Alghero, la cooperativa Il Quinto Elemento, la Soprintendenza, il Parco di Porto Conte. A parte Il Quinto Elemento, sono tutte articolazioni del nostro ordinamento statuale. Istituzioni.
1. Cominciamo dal Demanio. Il Demanio concede alla cooperativa Il Quinto Elemento un’area di 8 ettari sottoposta a severi vincoli paesaggistici e naturalistici. Lo fa attraverso un bando pubblico che si rifà al Decreto legge n. 83 del 2014, intitolato “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”. Attenzione alle parole. Tutela, ma anche Sviluppo e rilancio. Per togliere ogni dubbio su dove si vuole andare a parare, il bando specifica: «Gli immobili messi a gara saranno utilizzati attraverso nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva in un quadro di valorizzazione delle risorse culturali e paesaggistiche». Valorizzazione delle risorse culturali attraverso nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva. Questo dice il bando: la casermetta di Punta Giglio deve essere destinata a «nuovi usi caratterizzati per la vocazione turistico-ricettiva in un quadro di valorizzazione economica delle risorse culturali». Non le dicono, queste cose, i soci del Quinto Elemento. Le dice lo Stato, che parla attraverso il Demanio in forza di un decreto poi convertito in legge (il 31 maggio del 2014). È evidente, insomma, che decreto e bando sono espressione di una scelta politica fondata sulla convinzione che la valorizzazione economica dei beni culturali sia un valore, una cosa giusta. Una cosa che è giusto fare, attraverso una legge dello Stato, nell’interesse collettivo. Agisce qui, attraverso la legge, un senso comune che esprime, nello specifico campo della gestione dei beni culturali, l’egemonia che il pensiero – l’ideologia – che vede nel mercato il regolatore supremo di ogni forma della vita associata è riuscito a stabilire, nel corso degli ultimi quarant’anni anni, sul corpo intero delle nostre società. Si afferma, cioè, una generale visione del mondo.
Un inciso, ma importante. Quale presidente del consiglio siede a Palazzo Chigi quando il decreto legge viene proposto alle Camere dal governo? Matteo Renzi, presidente del Consiglio e segretario del Partito Democratico. E quale ministro dei Beni culturali fa approvare dalle Camere il decreto n. 83 che ha come obiettivo dichiarato la valorizzazione economica dei beni culturali? Dario Franceschini, dirigente di primo piano del Pd. Renzi e Franceschini. C’è da stupirsi? Direi di no.
2. Il Quinto Elemento. Che cosa fanno i soci della cooperativa? Partecipano alla gara. C’è una chance. Gliela fornisce una legge dello Stato e loro la colgono. Ci credono davvero, i soci della cooperativa Il Quinto Elemento, che valorizzare turisticamente un bene culturale sia una cosa giusta. Ci credono perché questo è il senso comune costruito negli anni da un fronte politico e culturale al quale aderiscono un presidente del Consiglio e segretario del partito di maggioranza, il ministro della Cultura e persino il sindaco della loro città, Giuseppe Sala, altro esponente Pd. I soci della cooperativa Il Quinto Elemento sono in buona fede. Agiscono nella convinzione che valorizzare turisticamente un bene comune sia non solo lecito per loro “imprenditori sociali”, ma un’azione che va in direzione dell’interesse collettivo.
3. Il Comune di Alghero. Il 17 luglio 2017 il sindaco di Alghero, Mario Bruno (Pd), firma il protocollo di intesa con il Demanio. Bruno conosce perfettamente sia i contenuti del bando sia il testo del decreto legge n. 83. Sa perfettamente che la sua firma serve a fare andare avanti un’operazione di valorizzazione turistica di Punta Giglio. Se firma è perché crede nella bontà di quella operazione. Crede cioè che nel ricavare reddito dalla gestione turistica di un bene culturale non ci sia niente di male; e che invece, al contrario, sia un’operazione che viene fatta nell’interesse collettivo. Ci crede davvero, Bruno, che lui sta facendo l’interesse collettivo. Anche lui catturato, come i soci della cooperativa Il Quint Elemento, dal senso comune che Renzi e Franceschini hanno trasformato in legge dello Stato.
4. La Soprintendenza. Svolge un ruolo decisivo. Come mostrano in maniera lampante le pagine del libro di Carlo Mannoni, non lo scrivono loro, i tecnici della Soprintendenza, il piano di gestione di Punta Giglio presentato dal Quinto Elemento, ma certamente lo suggeriscono in larghissima misura. La ratio che guida la Soprintendenza è tutta tecnica. Il piano della cooperativa deve stare dentro le normative vigenti. “Io vi dico – dice la Soprintendenza – come dovete fare perché tutto sia, dal punto di vista normativo, perfettamente in regola”. In nessun momento alla Soprintendenza viene in mente di mettere in discussione il nocciolo della questione: cioè l’uso a fini di valorizzazione turistica di un bene comune. Ma perché mai ai tecnici della Soprintendenza questa cosa avrebbe dovuto venire in mente, se aderiscono, come aderiscono, allo stesso identico senso comune secondo cui si muovono Renzi, Franceschini, Sala, Bruno e i soci del Quinto Elemento?
5. Il Parco. Purtroppo in questo caso le parole da spendere sono davvero poche. La dirigenza del Parco di Porto Conte ha fatto propria la linea della valorizzazione turistica di Punta Giglio in maniera imbarazzante. Nel caso dei dirigenti del Parco il senso comune che vede i beni culturali come un fattore produttivo si manifesta senza mediazioni.
A questi cinque personaggi ne aggiungerei un sesto: la stampa, quasi tutta schierata con Il Quinto elemento sin dall’inizio della storia. E non solo per decisione dei direttori o dei vertici aziendali delle diverse testate, ma anche per intimo convincimento della stragrande maggioranza dei singoli redattori, convinti che la valorizzazione turistica dei beni comuni sia una cosa giusta, da fare per il bene di tutti. Anche qui: senso comune inscalfibile.
Sei personaggi, dunque. Sei personaggi in cerca d’autore, verrebbe da dire. Al contrario del dramma pirandelliano, però, qui i sei personaggi un autore, come abbiamo visto, ce l’hanno sin dall’inizio. Esso è il sistema di valori ormai diventato egemone, il senso comune che vede nei beni culturali nient’altro che un fattore produttivo. Tutti i personaggi della storia raccontata da Carlo si sono mossi guidati da questo senso comune. In buona fede. Del resto, anche quando si lapida un’adultera si può essere in buona fede, perfettamente in pace con se stessi, se si crede in un sistema di valori accettato da tutti, egemone, che sancisce come una cosa giusta la cosa orrenda che è invece la lapidazione. Dal 2017 ad oggi abbiamo avuto a che fare con una nutrita e qualificata schiera di lapidatori di Punta Giglio, tutti convinti di fare la cosa giusta. Hanno fatto la cosa sbagliata, ma sbagliata dal punto di vista di un codice di valori che nelle nostre società è oggi minoritario. Maggioritario invece, senso comune diffuso, è il punto di vista di chi Punta Giglio vuole valorizzarla turisticamente. Ecco perché è così difficile battersi. Ed ecco perché, se davvero si vogliono salvare i tanti altri paradisi naturalistici pronti ad essere sacrificati, contrastare l’egemonia del pensiero produttivista che governa il mondo è decisivo almeno quanto l’impegno a svelare e a denunciare le tante incredibili anomalie giuridico-amministrative che hanno caratterizzato la storia di Punta Giglio. Niente di ciò che è stato fatto dai sei personaggi della storia raccontata da Carlo Mannoni è contro la legge. Ma la legge non è giusta. Ed è perciò che il campo del conflitto è politico e culturale. Se davvero si vuole vincere, bisogna battersi perché, contro lo spirito del mercato, i valori in base ai quali la comunità di Alghero difende la sua meravigliosa falesia diventino senso comune.
Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
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Costantino Cossu, giornalista, ha studiato a Sassari al Liceo Azuni e a Urbino alla Scuola di giornalismo e alla facoltà di Sociologia dell’Università “Carlo Bo”. Dal 1993 al marzo del 2022 ha curato le pagine di Cultura del quotidiano La Nuova Sardegna. Dal 2004 collabora con il quotidiano Il Manifesto. Ha collaborato con il settimanale Diario diretto da Enrico Deaglio e con la rivista Lo Straniero diretta da Goffredo Fofi e collabora con le riviste Gli Asini e Doppiozero. È stato docente a contratto nel corso di laurea in Scienze della comunicazione dell’Università di Sassari. Per la casa editrice Cuec ha curato il libro Sardegna, la fine dell’innocenza; e per le Edizioni degli Asini il libro Gramsci serve ancora?
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