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Il mito, l’archetipo, l’inconscio e Dio. Appunti

Liber novus, di Jung

Liber novus, di Jung

di Roberto Ortoleva

La ricerca della presenza di dio è sempre stato un tema caro agli studiosi del mito e delle sue implicazioni, per tali motivi tanti si sono cimentati per chiarire il significato della sua esistenza multiforme e per avvalorarne la convinzione. Ma  chi è, quindi, dal punto di vista archetipico questo Dio?

Se Dio soprattutto è volontà e voce ci potremmo chiedere a quale tipo corrisponde; non corrisponde esclusivamente all’esperienza specifica di qualcosa, ma una lettura delle immagini archetipiche predominanti rivela una serie ininterrotta di trasformazioni che illustrano la vita autonoma degli archetipi dietro le quinte della coscienza.

L’avvento del monoteismo, l’esistenza e l’entrata in vigore di un modello di unità e totalità hanno soppiantato questa idea probabilmente primitiva, ma anche significativa, e soprattutto con gli ebrei e i cristiani il dio unico diventa un soggetto, che noi possiamo intendere come la proiezione dal punto di vista dell’esperienza profana del principio di unità del soggetto umano, in altri termini questo è il tema che viene definito il  .

Quindi, il religioso più autentico è colui che dentro di sé riesce a fornire questa esperienza che diventa poi l’esperienza del centro che si esprime essenzialmente quando si riconosce che il regno di Dio è dentro di noi ma soprattutto che la conoscenza di sé non è quando io mi conosco ma quando io “Lo conosco”.

Questa è l’idea dell’invisibile , un aspetto non particolarmente evidente dell’esistenza che si può definire come una sorta di spirito, un archetipo in sé, altri lo chiamerebbero spiritus rector, ma come una sorta di passaggio dall’immagine primordiale al concetto di spirito. Questo presupporrebbe l’idea che esiste una correlazione, una tensione  tra pulsione e archetipo, come una sorta di infrarosso: cioè la parte istintuale biologica trapassa, a poco a poco nei processi fisiologici vitali e nel sistema di condizioni chimiche e fisiche l’ultravioletto psichico, cioè l’archetipo.

9788817176156_0_536_0_75Henry Corbin lo definì “mundus immaginalis” luogo intermedio fra il sensibile e il sovrasensibile da  questo strato intermedio non visibile prese spunto tutta la teoria della fenomenologia archetipica moderna  di James Hillman.

Questo aspetto fondamentale della spiritualità, che è un aspetto che non può essere certamente considerato oggettivo, ci permette di poter ravvisare alcuni elementi e alcune esperienze di queste modalità dell’archetipo, dimostrando come da tutte le latitudini è possibile intravedere un significato personale e collettivo della sua esistenza.

 Una delle espressioni è proprio il “mito personale”, ciò che dà senso ad ogni individuo. Ma il mito essendo una trasposizione fra una credenza individuale e una compensazione rappresenta in realtà una strada, non una verità ma una funzione dell’ esperienza psichica. Sarebbe utile riuscire ad immaginare qualcosa che non ha a che fare soltanto con l’invisibile o con l’istintualità, la pulsione, ma anche con il recupero di tutti quegli aspetti legati alla cultualità, ai riti, all’iniziazione e quindi ai misteri che per troppo tempo sono stati tralasciati e quindi abbandonati.

L’idea che risiede nell’archetipo è una sorta di impulso che l’esperienza archetipica ci darebbe per ripristinare queste antiche ma non mai inusitate pratiche che ancora oggi andrebbero riviste, forse ripresentate in termini più accessibili da un punto di vista sociale e collettivo.

Questo bisogno profondo dell’umanità ha fatto sì che poi, quando il mito non emerge come conoscenza, ma come interesse rispetto all’idea cosciente, può diventare una potenza distruttiva invece che positiva e propositiva e soprattutto nell’elaborazione di alcune particolari menti che possono essere inflazionate da questa equivalenza con l’idea archetipica, possono portare grandi sconvolgimenti nel sociale ma anche nella prospettiva della trasformazione del mondo.

i__id11806_mw600__1xChe fare? Si chiedeva il grande scrittore russo Cernisevski durante la sua prigionia. Io credo si senta diffusamente l’esigenza e si continui ancora di più a desiderare un rinnovamento dell’idea ermetica,  una sorta di spiritus rector, potrei dire, come una scintilla che può accendere l’anima mundi di questo secolo che stiamo percorrendo e questo incontro con il numinoso come diceva lo storico Rudolph Otto, con la trasformazione in senso esoterico di un’energia negativa verso un’energia che abbia nella prospettiva dell’immagine della coscienza collettiva, una sua evidenza, un suo modus vivendi.

Queste mie brevi riflessioni hanno quindi a che fare con un percorso di Anima, che Jung definiva di “individuazione” e che Guenon chiamerebbe realizzazione ascendente e discendente. Appare fondamentale che ognuno debba ritrovare all’interno di Sé, la metafora della propria esistenza, ma soprattutto debba portare fino in fondo il proprio mito perché gli altri non debbano mai dimenticare e quindi rimuovere nell’inconscio diventando così un probabile elemento distruttivo. Questo tema profondamente simbolico ma anche religioso può rappresentare un esempio per se stessi ma un esempio anche per coloro che credono che la prospettiva dell’Anima sia una delle prospettive possibili, se non la più impegnativa per poter sostenere l’incontro col mondo collettivo, col mondo della realtà che porta con sé i modelli di adattamento che spesso aprono le porte solo al vuoto e alla depressione senza via d’uscita e impediscono la vera realizzazione spirituale.

Noi sappiamo benissimo come tutto questo abbia una particolare importanza nella psicologia, nell’inconscio collettivo. Questo motivo di ricerca, cura e particolare attenzione al mito è uno dei compiti del lavoro degli studiosi dell’immaginale, dell’archetipale, proprio per impedire che l’oscuramento della visione del mito possa rappresentare per il sociale una sorta di cambiamento delle opinioni, una sorta di metanoia negativa di ripristino di modalità collettive che possono turbare profondamente il tessuto della nostra società.

zolla_le_meraviglie_della_natura_1Diceva il grande Elemire Zolla: «Solo rarissimi casi di coloro che sanno di avere in tasca la storia delle stelle e di poter andare in direzione del futuro soltanto guardando al passato, rimarrebbero come testimonianza di questa situazione della psicologia collettiva».

Attraverso l’attento studio dei miti e dei loro significanti archetipici si possono apprendere le famose “cognizioni”  necessarie per parlare,  leggere anche la fetta di storia del mondo, una storia certamente razionale per molti versi,  anche se non sempre le parole devono avere un loro percorso di coerenza logica e cognitiva; ovvero in quello non verbale, metaforico, analogico e come spesso nella parola ci sia una sorta di messaggio alchemico, elaborato nel tempo e nei secoli che va scoperto e visto in modo meno disincantato, più attento ed elaborativo. E questo probabilmente è compito della psicoanalisi ma anche di tutti i filologi ermetici, che vedono nel linguaggio la chiave di tanti aspetti della nostra esperienza di vita che il simbolo e l’archetipo rendono sacra e immaginale .

In particolare l’imago templi suggerisce ad ogni uomo la dimensione teologica dei suoi dies natali. Gli anni occorrenti per la costruzione del tempio sono la regola per la rappresentazione del tempo perpetuo. Per trenta anni bisogna mantenere un cuore puro da offrire al Santo Graal e avere un’anima come un diamante. Fra i rituali e le liturgie del tempio infatti la Pentecoste occupa un posto predominante nella tradizione templare rispetto alle altre feste cristiane.

l-immagine-del-tempioLa risposta è data dal coro del tempio del Graal che è consacrato allo spirito santo e la spiritualità dei cavalieri è dominata dal mistero della Pentecoste. Questa per i templari non è una semplice commemorazione della discesa dello spirito santo come lingua di fuoco preannunciata dal tuono, ma evento teofanico che si riproduce ritualmente come inizio di ogni ricerca dal Graal. Il Graal quindi nel ricordo dei suoi cavalieri si può simbolicamente moltiplicare in ogni anima che ha raggiunto la purezza del proprio cuore, ma anche come simbolica riunione dei cavalieri di oriente e occidente.

Il segreto del tempio è rappresentato dal sancta santorum con la sua divisione fra macrocosmo e microcosmo e dalla sua forma circolare. Ma da quando è stata abbandonata l’idea della circolarità delle chiese ciò ha determinato la rottura dell’integralismo occidentale verso l’esoterico, con un ritorno all’Oriente. Questo ritorno ad Oriente non è quindi un luogo che possiamo trovare sulle carte geografiche, ma indica tradizionalmente un lontano Oriente in cui inizia il territorio del paradiso invisibile, verso il misterioso più rigoroso, che spinge ad un incognito nutrimento per la formazione di una cavalleria trascendente di cui dobbiamo essere degni.

L’antinomia apparente del simbolo evidenziato dalla contrapposizione fra Oriente e Occidente ci schiude le porte di una comprensione delle immagini archetipiche e del percorso storico, fantastico e semplicemente archetipico dell’epopea di ogni ricerca divina sotto ogni latitudine e cielo.

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025
Riferimenti bibliografici
Corbin Henry, L’immagine del tempio, Boringhieri Torino, 1983
Guenon Rene, La grande triade, Adelphi Milano, 1980
Hillman James, Il Codice dell’Anima, Adelphi Milano, 2009
Hillman James, Ronchey Silvia, L’ultima immagine, Rizzoli Milano, 2023
Zolla Elemire, Le meraviglie della natura, Marsilio Venezia, 1998.

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Roberto Ortoleva,  Laurea Medicina e Chirurgia-Spec. Psichiatria, Spec. Medicina psicosomatica, Diploma di psicoanalista Junghiano, è Direttore UOC Coordinamento e controllo CTA pubbliche e private – Dipartimento strutturale Salute Mentale Catania.

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