I rapporti tra uomo e animale costituiscono un argomento abbondantemente e a vario modo frequentato nell’ambito della letteratura. Basti pensare agli innumerevoli Bestiari di epoca medievale e a quelli moderni, realizzati con esiti diversi, solo per citare alcuni esempi, in Francia, da Michel Pastoureau e, in Italia, da Maria Pia Ciccarese, la quale si limita a uno studio sul ruolo degli animali nella tradizione cristiana (2002) e Luca Frigerio, che focalizza la propria attenzione sulla presenza animale nell’arte cristiana medievale (2014).
L’urgenza di un approfondimento dei rapporti tra mondo umano e mondo animale deriva da una forma spesso inconscia di disagio vissuto dagli esseri umani di fronte alla domesticazione del mondo naturale. Un disagio che prende forma nella difficoltà ad assumere confidenza e a non lasciarsi sopraffare dalla paura per il buio della notte o per i misteri oscuri dei fondali marini, così come per le profondità selvagge del ventre di una foresta.
La sottile, ma solida, linea di demarcazione tra natura e cultura, del resto, è e rimane irrisolta proprio a causa della frequente incapacità dell’uomo a dare risposte risolutive ad alcuni fenomeni naturali. Conseguentemente, i timori suscitati da alcune specie animali o le difficoltà di comprensione del loro comportamento non derivano che da una carente conoscenza etologica. La necessità di rendere immediatamente riconoscibile la natura ha così spinto l’uomo alla elaborazione di adeguate risposte culturali, che hanno trovato dimensionamento in miti e leggende, credenze popolari e rituali folklorici, nonché in una proliferazione talvolta mal compresa di atteggiamenti irrazionali e disfunzionali. Negli scorsi secoli, in particolar modo a partire dal Medioevo, ad esempio, sono stati migliaia i processi intentati e le punizioni inflitte nei confronti di varie specie animali, una sistematica opera di discriminazione che ha dato vita a un fenomeno diffuso, protrattosi in tutta Europa almeno fino al XIX secolo. A radicare e corroborare questi usi concorse la credenza popolare nella corrispondenza tra alcune specie animali e pratiche stregonesche o diaboliche o, ancora, la correlazione tra la presunta esistenza di tesori nascosti e la presenza di esseri animali posti a guardia degli stessi.
Così, le cronache storiche (o almeno una parte di esse) registrano un numero impressionante di casi di specie animali criminalizzate o messe al bando, se non demonizzate o, addirittura, discriminate. Se il Medioevo ha rappresentato il periodo di “peggior” splendore nella creazione di mitizzazioni animali e diffusione di procedimenti contro di esse, è a partire dall’Ottocento che l’approccio nei confronti del mondo animale si trasforma in modalità moderne. Così, perlomeno in ambito urbano, a seguito del crescente impiego di alcune specie come animali ‘da compagnia’, tale realtà si popola sempre più di «oggetti simbolici che occupano posti differenti in una gerarchia affettivo-confidenziale che non ha più nulla in comune con le categorie zoologiche» (Leschiutta 1990: 81).
D’altra parte, così come ci conferma Sabrina Tonutti,
«da sempre gli animali hanno costituito una presenza evocatrice per il nostro immaginario simbolico, nel ruolo di segni polisemici, simboli, ierofanie, medium, miti. Per far proprio questo repertorio di ruoli […] le varie culture sono ricorse alle categorie del sacro, del sovrannaturale, del divino e, viceversa, gli animali stessi sono stati letti come espressione di tali categorie» (Tonutti 2009: 35).
Nel 2015, sotto la curatela di Enrico Comba e Daniele Ormezzano, la casa editrice torinese Accademia University Press ha pubblicato il volume Uomini e orsi: morfologia del selvaggio, in cui sono raccolti (sebbene ampliati) gli interventi tenuti nel corso dell’incontro interna- zionale dal titolo “Liberiamo l’orso: i carnevali europei tra addomesticamento e selvaticità”, svoltosi il 7 febbraio 2013 presso il Museo Regionale di Scienze Naturali di Torino. Il titolo, tuttavia, appare riduttivo rispetto alla molteplicità di suggestioni e alle serrate argomen- tazioni emerse nel corso della giornata di studi, in cui differenti punti di vista e una pluralità di figure e immagini ursine – tanto biologiche quanto soprattutto simboliche – si son incrociate fattivamente e proficuamente.
In tal senso, si potrebbe elaborare una (forse eccessiva) schematizzazione delle tematiche trattate, ripartendole nei seguenti quattro ambiti: a) l’orso nell’arco alpino italiano; b) l’orso nella cultura finlandese;c) l’orso nel nord-America; d) l’orso nella cultura europea medievale. Il trait d’union caratterizzante, in un certo qual modo, i segmenti in cui la giornata di studi si è dipanata è rappresentato dal ruolo del Carnevale, direttamente o indirettamente presente e centrale nel dibattito, magari come semplice richiamo comparativo, in tutti i testi contenuti poi nel volume che raccoglie gli atti.
A trionfare in questa congerie animalesca sono le manifestazioni culturali popolari che, indipendentemente dall’area geografica di riferimento si sono focalizzate attorno alla figura reale o simbolica del plantigrado. In particolare, con riferimento all’arco alpino italiano (e piemontese, in special modo), si è registrata nel corso dei secoli una diffusione notevole della figura dell’orso, spesso associata a quella del lupo e dell’uomo selvaggio, in un meccanismo sincretistico in cui, talvolta, appare difficile realizzare una linea di netta demarcazione tra i rispettivi confini. In tempi a noi più recenti, il recupero di tradizioni sovente secolari è avvenuto all’interno di pratiche carnevalesche, magari attraverso la messa in atto di processi comunitari di riappropriazione e riproposizione di usi folklorici (in alcuni casi destinati a corrompersi in folklorismi vari), spesso ormai semi-estinti, quando già non del tutto scomparsi. Tuttavia, la presenza, al loro interno, di determinati significati simbolici e di ritualità arcaiche di sollecitazione e propiziazione della fecondità agraria, ha costituito un elemento di rilevanza culturale, favorendo momenti cerimoniali di aggregazione comunitaria e di rivitalizzazione del tessuto sociale locale.
Il Carnevale, come tempo rituale di passaggio tra la fine dell’inverno e l’inizio della nuova stagione, occasione in cui le regole sono sospese perché trionfi il “mondo selvaggio”, trova in alcune delle manifestazioni descritte all’interno del libro la sua cifra dominante. In questa dimensione di discontinuità spaziale e temporale, gli animali del bosco – e, tra essi, in primis, l’orso – assumono una forte carica simbolica, in grado, in virtù del loro inscindibile legame con la natura, di conferire una evidente energia vitale, che contribuisce al rigermogliare della vita naturale e all’incrementare i nuovi raccolti.
Il tempo del Carnevale, così come il mondo degli orsi, ci conducono verso zone liminali, di confine, di sospensione delle regole di condotta, di effimero rovesciamento delle gerarchie sociali costituite. Un trionfo, limitato nel tempo e nello spazio, della trasgressione, del riso, dell’alterità. I carnevali dell’arco alpino intrecciano e mescolano mondo umano e mondo animale, lungo un continuum in cui sono momentaneamente interrotte le possibilità di compiere nette distinzioni: modi di vita e caratteristiche dell’umanità diventano attributi tipici della realtà animale; istinti, pulsioni e doti tipiche dell’animalità si fondono all’interno del mondo umano.
Il fitto intreccio tra zoomorfizzazione dell’uomo e antropomorfizzazione animale diventa di difficile risoluzione. In tal senso, nell’immaginario popolare alla figura dell’orso è frequentemente associata una valenza simbolica e allegorica, soprattutto perché, per la sua qualità di animale “bipede”, adotta dei comportamenti particolarmente vicini a quelli umani. Tra questi, l’utilizzo degli arti posteriori/inferiori per gli spostamenti e quelli anteriori/superiori in modo prensile. Ma soprattutto, la convinzione popolare vuole la sessualità dell’orso estremamente simile a quella dell’uomo, poiché il modo di accoppiarsi – abbracciandosi (sebbene smentita dalle evidenze scientifiche) – lo rende del tutto analogo alla specie umana. Per traslazione, a tal proposito, sono tutt’altro che rare le leggende che raccontano di creature ibride nate dall’unione tra un orso e una donna umana, perfettamente in grado di accoppiarsi e riprodursi per le ragioni appena dette. Ma naturalmente, nel pieno rispetto del maschilismo culturalmente dominante, appare inverosimile la possibilità di riproduzione in caso di accoppiamento tra un uomo e una femmina d’orso.
Tornando al revival ursino-carnevalesco cui si è assistito negli ultimi quarant’anni, esso non è dato altro che dal desiderio delle piccole comunità dell’area alpina di riappropriarsi dei propri spazi e delle proprie dimensioni vitali, così da rinnovare il loro reciproco rapporto con l’ambiente naturale e locale in un rifiuto consapevole delle tendenze globalizzanti dell’omologazione culturale. Tanto in Piemonte quanto in Finlandia (la cui natura e le cui foreste costituiscono tuttora habitat presso i quali gli orsi sopravvivono), l’orso incarna quel profilo in grado di congiungere il mondo umano con il mondo naturale, in una relazione di continua messa in discussione degli spazi di autonomia e di condivisione. Pertanto, la diffusione di maschere animali risulta piuttosto capillare e le usanze cerimoniali e i simbolismi ad esse connesse fortemente e inscindibilmente legate al ciclo della terra e al suo risveglio dopo il torpore imposto dalle rigidità dell’inverno. In tale dimensione calendariale, le date maggiormente indicative erano l’11 novembre e la notte tra il 1° e il 2 febbraio. Nel primo caso, la gioia per l’apertura delle botti fa da contraltare alla mestizia generata dall’inizio dell’inverno. Nel secondo caso, la festa della Candelora preannunciava il lento risveglio del plantigrado – dunque, dell’intero mondo della natura – e, con esso, l’inizio dei rituali carnevaleschi che avrebbero condotto, nell’arco di poche settimane, alla Pasqua di resurrezione del ciclo agrario.
L’andare in letargo dell’orso conferisce all’animale una forma di rispetto riverenziale poiché questa fase rinvia a quell’aldilà popolato dai nostri morti, nei confronti dei quali occorre mostrare sempre rispetto e benevolenza. Come spesso accade, nella contrapposizione sociale tra egemonia e subalternità si addensano numerosi esempi di censura morale nei confronti del carnevale e del suo richiamo a figure liminali, collocate su di un confine di incertezza costante tra selvatichezza e rispetto delle regole. Sono queste le ragioni per cui, sin dal Medioevo, così come evidenziato all’interno del suo saggio da Caterina Agus, la Chiesa ha demonizzato l’orso, in quanto animale caratterizzato da numerosi tratti distintivi dell’immaginario folklorico delle nostre comunità alpine:
«dal XIV secolo l’orso compare nell’iconografia cristiana come simbolo di alcuni dei più gravi peccati capitali e la sua immagine viene utilizzata per rappresentare i Vizi in opposizione alle Virtù. […]. La simbologia dell’animale viene spesso utilizzata per esprimere qualità morali o filosofiche oppure per mettere in evidenza i vizi e i peccati mortali» (Agus: 17).
Lo stesso falò rituale, acceso allo scopo di propiziare il ritorno della luce e il risveglio della natura, si congiunge a tutti gli altri rituali carnevaleschi che vedono l’orso ergersi a protagonista, concludendosi inevitabilmente con l’allegoria dell’addomesticamento dell’animale selvatico, come meccanismo esorcizzante delle negatività che l’inverno ha portato con sé. Nella cultura popolare dell’arco alpino occidentale, così, la natura viene messa in sicurezza attraverso appositi meccanismi rituali, in una contesa tra il vecchio da seppellire e il nuovo da salutare e accogliere – la primavera – in cui è già scritto chi risulterà, infine, vincitore. Un ulteriore aiuto nel raggiungimento del risultato è dato dalla pantagruelizzazione del rituale carnevalesco, che prevede la somministrazione di abbondanti quantità di vino al personaggio-orso, così da fiaccarne la resistenza e agevolare la sua sconfitta (e, con essa, quella dell’inverno).
Successivamente, con il trascorrere dei secoli e la conseguente acquisizione di sempre più approfondite conoscenze sui meccanismi della natura, i rituali aventi lo scopo di “addomesticarla” sono progressivamente rarefatti, con un evidente assottigliamento nella diffusione dei cerimoniali agrari di rinnovamento e fertilità. La loro ricomparsa odierna o recente può garantire il mantenimento in vita di un passato la cui conoscenza, altrimenti, oggi ci sarebbe stata irrimediabilmente preclusa.
Le cerimonie primaverili legate all’immagine simbolica dell’orso non rappresentano tuttavia una prerogativa dell’arco alpino dell’Italia occidentale ma, come dimostrano le ricerche di Roslyn M. Frank, Juha Pentikäinen e Vesa Matteo Piludu, è attestata la presenza di evidenti interconnessioni tra i rituali ursini e i costumi carnevaleschi in numerosi Paesi europei, tra i quali Spagna, Francia e, come anticipato, soprattutto Finlandia. Tanto Frank quanto Pentikäinen, nei loro rispettivi studi si soffermano sull’influenza esercitata dalla presenza incisiva dell’orso in alcune culture europee, con un peso particolare attribuito al rituale della caccia – come elemento di rafforzamento dell’identità collettiva – all’interno delle società di cacciatori e delle culture agro-pastorali finniche e alle ibridazioni tra la figura dell’orso e quella del guaritore-sciamano:
«The slight discrepancy in the distribution of roles is probably explained by the fact that previously the Bear Leader was the actor in charge of resurrecting the animal: his role was still shamanic and therefore it included him being assigned the role of healer. Over time recognition of the shamanic nature of this character was lost, and this aspect of the his role was taken over by a Quack Doctor who arrived with his portmanteaux filled with special instruments and set about bringing the deceased Bear back to life» (Frank: 79).
La qualità dell’orso, che in natura vive l’esperienza del letargo e del successivo risveglio primaverile, interpretabile simbolicamente come discesa agli inferi che precede una rinascita, reale e simbolica al tempo stesso, assimila il plantigrado al guaritore-sciamano. Tanto la “discesa agli inferi” compiuta durante i mesi più freddi quanto la morte subita per mano umana costituirebbero delle chiavi per l’acquisizione di un riconosciuto “prestigio sociale” dell’orso tra le culture umane, meravigliate dalla capacità del plantigrado di alternare la propria esistenza tra mondo umano e mondo degli spiriti.
Lo stesso Vesa Matteo Piludu, studioso italo-finlandese, indagando sui rituali della caccia all’orso, presta un’attenzione particolare all’apparato cerimoniale, assai elaborato e composto da procedure magiche, riti di uccisione, pratiche di condivisione del banchetto e di successiva sepoltura dei resti dell’animale nella foresta. A riprova dell’incardinamento di tali espressioni culturali all’interno di un’identità condivisa, l’intero sistema rituale viene accompagnato da canti popolari che richiamano entità e poteri sovrannaturali, figure mitiche e spiriti guardiani, a memoria dell’epica caratterizzante il celebre Kalevala. In tal modo, si innesca un processo di alterizzazione culturale della foresta, che rende l’esperienza della caccia una sorta di vero e proprio viaggio in una realtà separata rispetto a quella usualmente vissuta all’interno della comunità cui si appartiene (Piludu: 146 sgg.).
La figura dello sciamano ritorna, invece, nel saggio di Enrico Comba, che contestualizza il ruolo e l’immagine dell’orso tra i Nativi nord-americani. Anche qui, come del resto già notato in Finlandia, il letargo dell’animale è vissuto come esperienza di morte e rinascita, i cui segreti sono cerimonialmente trasmessi allo sciamano, istruito sulle modalità di passaggio da un mondo all’altro. Grazie al rapporto privilegiato con l’orso, lo sciamano riesce ad acquisire la capacità di agire in un continuo gioco di oscillazione tra mondo umano e mondo animale:
«l’orso compare spesso come l’animale più appropriato per fungere da istruttore e da aiutante per l’individuo che sta inoltrandosi nel percorso che lo condurrà a divenire sciamano. Molti popoli cacciatori consideravano l’orso come lo sciamano del mondo animale. Inoltre, la discesa autunnale dell’orso nelle viscere della terra, per passare il periodo invernale in letargo, costituiva una sorta di immagine paradigmatica della morte simbolica e della rinascita che costituiva il percorso iniziatico a cui veniva sottoposto ogni apprendista sciamano» (Comba: 197).
Nelle parole dell’antropologa sembra così riecheggiare quell’insegnamento demartiniano risalente a ben oltre mezzo secolo fa, secondo cui, attraverso l’esperienza della sperimentazione dell’aldilà, trovano legittimazione e comprensione altre dimensioni dello stare al mondo.
Il saggio con cui il libro si chiude, a cura di Margherita Amateis, propone un parallelismo tra le figure dell’Orso, del Folle e del Selvaggio, le quali, tanto nell’immaginario della cultura amerindiana quanto in quello europeo di epoca medievale, offrono una rappresentazione condivisa nel giocare un ruolo di congiunzione tra umanità e animalità e, al tempo stesso, idealtipizzare i confini della marginalità sociale. La stessa raffigurazione iconografica delle tre suddette entità non lascia spazio a incertezze, circa la liminalità delle tre figure:
«Selvaggi, Folli e Orsi sono accomunati dal porsi come figura ai confini con l’umano, perché presentano tratti antropomorfi, zoomorfi e fitomorfi e proprio per questo, in contesti in cui il pensiero mitico produce, contiene e tramanda la conoscenza, si danno come esseri che eccedono l’umanità: tanto più sono legati alla selva, al mondo delle fiere, tanto più sono partecipi delle forze primordiali e originarie della natura» (Amateis: 213).
Pur attraversando epoche diverse e confini geografici e culturali tra loro estremamente distanti, il legame tra uomini e orsi ha rappresentato un modello interpretativo mediante cui alcune società di cacciatori o agro-pastorali hanno elaborato procedure logiche e prassi condivise all’interno alle culture d’appartenenza, relativamente ai misteri della natura e del mondo degli inferi. Che ciò sia avvenuto per il tramite di rituali carnevaleschi di culture alpine o di cerimonie sciamaniche riconducibile ad aree nordamericane, mediante raffigurazioni iconografiche o canti popolari della tradizione finlandese, non fa altro che rendere giustizia a un’interpretazione dei fenomeni del mondo della natura che, pur di difficile intelligibilità perché apparentemente inspiegabili, hanno forgiato l’uomo nella ricerca di soluzioni plausibili. E, come conseguenza, hanno reso possibile la nascita e lo sviluppo di strutture di pensiero, credenze e cerimonie rituali, grazie alle quali riusciamo oggi a meglio comprendere alcuni meccanismi di funzionamento di culture ai giorni nostri scomparse o soltanto residuali.
Dialoghi Mediterranei, n.20, luglio 2016
Riferimenti bibliografici
Agus C.A., 2015, Il tempo dell’orso, l’orso nel tempo: L’exemplum dell’arco alpino occidentale, in Uomini e Orsi: morfologia del selvaggio, a cura di E. Combi-D. Ormezzano, Torino, Accademia University Press: 15-40.
Amateis M., 2015, Ai confini dell’umano: Selvaggi, Folli, Orsi. Tradizioni amerindiane ed europee medievali, in Uomini e Orsi: morfologia del selvaggio, cit.: 212-292.
Ciccarese M.P., 2005, a cura di, Animali simbolici. Alle origini del Bestiario cristiano, 2 voll., Bologna, Edizioni Dehoniane.
Comba E., 2015, Tradizioni dell’orso tra i Nativi nord-americani, in Uomini e Orsi: morfologia del selvaggio, cit: 185-211.
de Martino E., 1948, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo, Torino, Einaudi.
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Frigerio L., 2014, Bestiario medievale. Animali simbolici nell’arte cristiana, Milano, Ancora.
Leschiutta P., 1990, Le bestie delinquenti. Rappresentazioni del mondo animale nell’antropologia dei positivisti, in «La critica sociologica», 93: 81-99.
Pastoureau M., 2008, L’orso. Storia di un re decaduto, Torino, Einaudi.
- 2012, Bestiari del Medioevo, Torino, Einaudi.
- 2014, Il maiale. Storia di un cugino poco amato, Milano, Ponte alle Grazie {ed. or.: 2009, Le cochon. Histoire d’un cuisin mal aimé, Paris, Gallimard}.
Pentikäinen J., 2015, The Bear Rituals among the Sámi, in Uomini e Orsi: morfologia del selvaggio, cit: 123-145.
Piludu V. M., 2015, I rituali della caccia dell’orso in Finlandia e Carelia: credenze, canti, incantesimi e riti magici, cit.: 146-184.
Tonutti S., 2009, L’opposizione natura/cultura: quando le categorie sono usate come ontologie, in A. Lutri- A. Acerbi- S. Tonutti (a cura di), “Umano, troppo umano”. Riflessioni sull’opposizione natura/cultura in antropologia, Firenze, Seid: 33-53.
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Alessandro D’Amato, dottore di ricerca in Scienze Antropologiche e Analisi dei Mutamenti Culturali, vanta collaborazioni con le Università di Roma e Catania. Oggi è un antropologo freelance. Esperto di storia degli studi demoetnoantropologici italiani, ha al suo attivo numerose pubblicazioni sia monografiche che di saggistica. Insieme al biologo Giovanni Amato ha recentemente pubblicato il volume Bestiario ibleo. Miti, credenze popolari e verità scientifiche sugli animali del sud-est della Sicilia (Editore Le Fate 2015).
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