di Roberta T. Di Rosa
Ogni volta che dico che vado a Lampedusa, vedo dallo sguardo di chi mi ascolta che sta pensando che vado ad “aiutare i migranti”, cosa che a volte è vista come un gesto eroico, altre come un atto di danneggiamento premeditato della pace sociale. Quando specifico che vado invece a lavorare con la comunità lampedusana, do occasione alla fantasia dell’ascoltatore di prodursi in altre elucubrazioni: ma che bisogno hanno? Sono invasi dagli stranieri e bisogna aiutarli? Sono diventati poveri perché per colpa degli stranieri non hanno più turisti? Ma insomma hanno tutto a loro disposizione di che si lamentano? Confesso che mi diverto ad osservare lo scorrere di questi ed altri pensieri negli occhi dell’interlocutore. Fino a quando provo a riportare la conversazione su dati di realtà e confesso che molto più semplicemente lavoro con la comunità di Lampedusa per sperimentare un percorso di dialogo tra le generazioni e tra gli adulti educatori. A quel punto, perdo quasi regolarmente l’attenzione dell’interlocutore: questa è banale, ordinaria attività sociale. A seconda della mia energia del momento, lascio perdere oppure dico quello che penso veramente, vale a dire che questa esperienza di ordinario e di banale non ha niente, pur non avendo il morboso dell’emergenza e il macabro delle morti a mare.
L’anno scorso, nel 2015, il parroco di Lampedusa, don Mimmo Zambito, mi ha invitato sull’isola. Avevamo condiviso nella sua precedente attività pastorale a Favara un lavoro con la comunità sulla sfida educativa e stavolta mi ha sfidato lui ad ascoltare i bisogni delle comunità di Lampedusa e pensare insieme una possibile risposta. Nella sua attività pastorale, ha raccolto la richiesta di orientamento e di aiuto delle famiglie. Le madri, in particolare, manifestano l’esigenza di essere sostenute nel ricucire un dialogo con i figli e a trovare insieme a loro un nuovo linguaggio e nuovi spazi di condivisione di vita quotidiana. Lo stesso, ma separatamente, è stato espresso dagli educatori, catechisti e insegnanti, che sperimentano la difficoltà di intessere relazioni formative con ragazzi in crisi di valori e di identità.
Ascoltando gli adulti educatori, si compone pian piano un quadro di rischio per le giovani generazioni. Il disagio sociale, a fronte della sovraesposizione mediatica, esprime il suo sintomo più profondo nella fascia giovanile attraverso una frattura tra le generazioni e il diffondersi di comportamenti devianti (uso di droghe, prostituzione, autolesionismo, promiscuità, etc.) vissuta dai giovani specialmente in fase adolescenziale.
Gli adulti sentono di non essere più per i giovani figure di riferimento, le regole del quotidiano dell’isola sono sempre più sfumate. In qualche modo, c’entrano i migranti (saranno contenti quelli che mi dicevano che era l’unica urgenza a Lampedusa). Ma ben indirettamente… Il fatto è che gli sbarchi dei migranti hanno avuto come conseguenza un altro tipo di sbarchi, non altrettanto numerosi ma certo di maggiore impatto per la vita quotidiana, quello delle centinaia di operatori dell’emergenza, di forze dell’ordine, di giornalisti provenienti da tutto il mondo, perfino di curiosi attratti dal macabro destino che i migranti hanno incontrato in quei luoghi. E queste presenze sono in qualche modo stabilizzate, pur nella loro temporaneità, e sono ormai parte del vivere sociale, alimento per le attività economiche, elemento di confronto con i giovani e gli adulti sugli stili di vita e sui valori del quotidiano.
La presenza così massiccia di persone – provenienti dalla terra ferma, da altre regioni di Italia o da altri Paesi europei – insediati solo per ragioni contingenti, ma che restano e vivono nell’isola, e che vi trascorrono il tempo libero dopo il lavoro, costituisce una messa alla prova impegnativa per i legami sociali e familiari preesistenti; ha creato, infatti, una sorta di “choc culturale” in particolare nei giovani e ha reso ancora più difficili i rapporti tra generazioni, già segnati dalla povertà di risorse storicamente tipica dell’isola che costringe da sempre a mandare i figli ancora adolescenti in terra ferma in collegi o presso altre famiglie per studiare. Nei giovani si registrano dinamiche di confronto con i modelli proposti indirettamente dalle nuove presenze, idealizzazione ulteriore della terraferma, insofferenza verso i confini culturali e geografici propri dell’isola; rispetto agli adulti si osserva una diffusa perdita di autorevolezza dei riferimenti educativi locali e un certo rifiuto da parte dei giovani della continuità della trasmissione generazionale. Il tessuto sociale si caratterizza oggi per la compresenza di micromondi separati profondamente diversi per culture di appartenenza, stili di vita, motivazioni della presenza e durata della permanenza sull’isola, livello di interazione con la popolazione, grado di adesione alla “lampedusanità”.
Non è facile per gli adulti educatori confrontarsi con questo stato di cose. Né è facile per loro essere in comunicazione tra adulti con funzioni educative diverse. Tra costoro, infatti, le relazioni non sono generalmente improntate alla collabo- razione, anzi non di rado si registrano tensioni e conflitti; pur sperimentando parallelamente la difficoltà del compito educativo e la frustrazione della relazione con gli adolescenti nel quotidiano, non sempre riescono a fare fronte comune e ad allearsi, invece di attribuirsi recipro- camente la responsabilità del problema.
Di fronte a questo stato di cose, la migliore risposta possibile è sembrata la proposta di un percorso di mediazione di comunità, finalizzato a promuovere la collaborazione e valorizzare le risorse comunitarie del tessuto sociale dell’isola, offrendo uno spazio di dialogo alle tre componenti del mondo educativo (genitori, i catechisti e gli insegnanti), oltre che ai giovani stessi, con la guida di due esperti mediatori familiari e comunitari.
L’idea guida del progetto suppone che sia possibile attivare percorsi di gestione condivisa delle tensioni esistenti tra le componenti della generazione degli educatori (genitori, insegnanti, catechisti, specialisti impegnati in progetti per gli adolescenti), attraverso cui attivare la loro collaborazione sull’obiettivo comune di ritessere le relazioni tra le generazioni sull’isola. Associando a questa esperienza di mediazione comunitaria un momento di formazione per la costituzione di un gruppo che lavori in futuro con lo stile della peer mediation, si vuole anche stimolare una relazione sistematica che permetta loro di condividere stabilmente l’individuazione delle criticità in ambito educativo, la gestione delle stesse e la progettazione partecipata di interventi per la prevenzione dei disagio giovanile.
Una volta elaborato il progetto, unendo le forze della Parrocchia di Lampedusa e della Fondazione Mondoaltro di Agrigento, si è pensato anche di proporlo al concorso nazionale “Promo.s.so 2015”, rivolto a «progetti finalizzati a migliorare la convivenza, comporre i conflitti tra singoli, gruppi, istituzioni, promuovere le risorse specifiche in un determinato contesto, attraverso la pratica della mediazione relazionale», bandito dall’Associazione MEDeS (www.associazionemedes.it). Vinto il premio, il progetto ha avuto un finanziamento essenziale per la sua realizzazione dalla Fondazione San Zeno onlus (http://www.fondazionesanzeno.org).
Così, a gennaio del 2016, ha preso il via a Lampedusa il progetto “Sfida educativa e rapporti tra generazioni a Lampedusa” (http://www.caritasagrigento.it/progetti/sfida-educativa-lampedusa/). La prima attività realizzata, nel mese di febbraio, è stato un Laboratorio Social Video che ha visto protagonisti un gruppo di giovani della scuola superiore i quali, partecipando con grande vivacità intellettuale e con intenso impegno emotivo alla realizzazione di un video rivolto agli adulti, si sono fatti portavoce delle istanze della loro generazione e hanno saputo indicare, con un linguaggio attuale e con uno stile sempre costruttivo, quali erano le criticità di cui più soffrivano nel rapporto con i loro adulti di riferimento.
Il video Io, giovane a Lampedusa (https://www.youtube.com/watch?v=ENGy63hzJlA), prodotto grazie alla collaborazione con la Webtv degli Assistenti sociali (https://www.youtube.com/user/TVASSISTENTISOCIALI), è diventato una risorsa essenziale nell’avvio del lavoro con gli adulti. Infatti, nel momento successivo, ad aprile, la proiezione del video agli educatori (insegnanti, catechisti e genitori) è stata, per gli stessi, un’importante occasione di confronto con il punto di vista dei giovani. Il lavoro in gruppo tra adulti, alla luce degli spunti offerti dai giovani, è continuato anche nel mese di maggio. In tutti i gruppi, i partecipanti si sono posti importanti interrogativi sulle “richieste di aiuto” che i giovani formulavano attraverso il video, cercando di esplorare anche risorse personali e relazionali più funzionali all’accoglienza e al contenimento dei bisogni dei giovani, immaginando anche possibili soluzioni efficaci.
Il progetto, che riprenderà dopo la pausa della stagione turistica, prevede per i mesi a venire la costituzione di un tavolo di mediazione con i rappresentanti degli adulti educatori, per la promozione di una linea educativa condivisa e anche di elaborazione di strategie e azioni concrete per il benessere dei giovani. Le linee di azione elaborate saranno, infine, presentate ai rappresentati istituzionali (responsabili scolastici, servizi socio- sanitari del territorio) e saranno discusse in un tavolo tecnico che permetta di diffondere sul territorio i risultati dell’esperienza così da integrare in modo efficace l’azione dei servizi esistenti e stimolare prospettive di collaborazione con enti pubblici e privati.
Cammineremo insieme ancora per alcuni mesi, fino a quando – questo è l’obiettivo – non si rafforzerà la competenza locale e, salvandosi dai rischi di questa frammentazione, di questa “liquidità” di ruoli e prospettive, non approderanno al sicuro su una terra di dialogo dove potranno poi costruire il loro patto di convivenza tra generazioni.
Quello che mi resta, volta per volta, è la sensazione di vivere un’esperienza privilegiata. Si, è vero, Lampedusa non è un posto come qualsiasi altro. È vero che ci sono caratteristiche comunitarie strettamente connesse con l’essere in mezzo al mare, l’essere una comunità piccola, l’avere costantemente contatto con il mondo degli “ultimi” che arrivano da Sud e il mondo dei “potenti” che vengono ad accoglierli, aiutarli, contenerli, e ciascuno metta il verbo che preferisce per definire quello che l’Italia e l’Europa fanno a Lampedusa. È vero che le aspettative per il futuro, l’idea stessa di futuro possibile conosce qui una declinazione particolare e che le generazioni in questo incontrano un limite nella possibilità di pensarsi insieme comunità, sentire la potenzialità di uno sviluppo condiviso.
Ma forse proprio per tutto questo ho incontrato, tanto nei giovani quanto negli adulti, la volontà diffusa di andare incontro ad un dialogo, la disponibilità a mettere in discussione le proprie posizioni e il desiderio di comprendere il punto di vista dell’altra parte, al di là delle esperienze di distanza o conflitto vissute nel quotidiano. La bellezza di queste risorse comunitarie non viene in nulla sminuita dalla fatica e dalle difficoltà di quello che non va come si vorrebbe. La capacità di tutti i partecipanti di investire tempo e pensiero alla ricerca di migliori modalità di relazione conferma, ancora una volta, la ricchezza di potenzialità umane e comunitarie di quest’isola, rendendola un approdo prezioso e una occasione di crescita anche per chi va a condividere il proprio sapere.
Dialoghi Mediterranei, n.20, luglio 2016
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Roberta T. Di Rosa, sociologa e assistente sociale, mediatore familiare e comunitario formato alla Università Cattolica di Milano, specializzata in Svizzera e in Francia per la gestione dei conflitti culturali comunitari e all’interno delle famiglie straniere e nelle coppie miste. Dal 2006 è ricercatrice presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo, professore aggregato di “Sociologia delle migrazioni” e “Modelli e competenze interculturali nel servizio sociale”. È autrice di diversi studi pubblicati su riviste e volumi collettanei. Si segnalano i suoi contributi in Il razzismo in Italia (Aracne 2011) e in Mediazioni e servizi alla famiglia (Aracne 2012). Ha recentemente curato il volume Il servizio sociale nell’emergenza (Aracne 2013).
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