di Salvo Emma
Analizzando le attività legate alla archeologia subacquea svolte in Tunisia negli ultimi due anni, alla luce degli ultimi eventi sociopolitici che hanno coinvolto tutto il Maghreb, le attività di cooperazione transfrontaliera in campo culturale tra Sicilia e Tunisia assumono sicuramente un aspetto del tutto diverso dagli scopi originari del progetto “Culturas”.
Gli intenti iniziali legati all’adozione di criteri comuni per lo sviluppo turistico culturale del territorio e del patrimonio archeologico subacqueo, sembrano stridere con le recenti vicissitudini del popolo tunisino. Ad ogni modo, le azioni intraprese hanno subìto solamente un rallentamento temporaneo nell’attesa di una ripresa della normalità; anzi vi è la convinzione che proprio l’azione di sviluppo che passa attraverso le iniziative culturali e turistiche possano dare un concreto aiuto alla ripresa del territorio.
L’idea è stata quella di creare, in Sicilia e in Tunisia, itinerari archeologici subacquei in siti dove i reperti potessero rimanere nella loro giacitura originaria, così come erano stati rinvenuti e visitati da turisti subacquei accompagnati da guide autorizzate: San Vito Lo Capo, Marsala e Pantelleria le zone prescelte per la Sicilia, mentre Kelibia, Pilau e Tabarka i siti individuati lungo la costa tunisina. In sinergia con le attività di archeologia subacquea, si sono realizzati sui medesimi territori degli itinerari cicloturistici per la valorizzazione degli stessi.
L’esperienza maturata dalla Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana ha fatto sì che noi subacquei siciliani andassimo proprio in Tunisia a trasferire le competenze ai colleghi dell’INP (Institut National du Patrimoine). Infatti, individuati i siti in seguito alle segnalazioni degli archeologi tunisini, sono stati realizzati itinerari subacquei nelle tre località sul modello siciliano. I percorsi possono essere fruiti da sub sportivi che, accompagnati da guide autorizzate, possono ammirare direttamente sul fondale le antiche vestigia di un lontano passato rimasto “in situ” per più di duemila anni, analogamente a ciò che avviene nei fondali siciliani in più di venti siti subacquei individuati e fruiti regolarmente durante la stagione estiva.
La speranza è dunque quella di tornare ad una situazione di normalità in cui la fruizione dei beni culturali sommersi possa idealmente unire le due culture apparentemente così diverse ma in realtà così simili per il comune denominatore culturale che da più di duemila anni ci unisce: quel mare che è oggi tornato epicentro della storia e della cronaca.
Kelibia: itineraries de la dorsale
Questo percorso si trova a circa un miglio ad ovest del porto di Kelibia. I reperti archeologici sono distribuiti su una vasta area dove è visibile un cumulo di anfore appartenenti al tipo Dressel 1 di origine italica, probabilmente utilizzate per il trasporto del vino in epoca romana tra Kelibia e le coste italiane. Non lontano da questa concentrazione di anfore, un lingotto di piombo di circa 40cm si trova ai piedi di una caduta di massi. Questo metallo era molto diffuso e ampiamente utilizzato in tempi antichi, soprattutto per realizzare tubazioni. Tra le rocce è visibile un’ancora con contromarra in piombo e poco lontana un’altra di circa tre metri di epoca moderna. Il percorso si sviluppa lungo un fondale ricco di flora e fauna marina, un paesaggio sommerso davvero suggestivo e scenografico.
Pilau: itineraire des amphores
Il sito si trova su un pendio formato da un pianoro sabbioso coperto da una folta prateria di posidonia ad una profondità fra 13 e 18 metri. Il materiale archeologico è costituito da anfore di varia provenienza. Alcune di esse sono in buone condizioni, mentre di altre rimangono solamente frammenti. Esse sono state utilizzate in antichità per il trasporto di alimenti, in particolare olio e vino. La presenza di ancore tipologicamente e cronologica- mente riconducibili a diverse epoche fanno supporre scambi commerciali tra le province africane e gli altri Paesi del Mediterraneo. La parte meridionale dell’isola è protetta dai venti dominanti. Questa è una zona di ancoraggio per eccellenza molto apprezzata dai velisti che vi trovano rifugio in caso di maltempo.
Tabarka: itineraire de l’ancre
Il sito si trova a nord della penisola di Tabarka a una profondità di 25 metri. È presente un’ancora in piombo della lunghezza di 1,80 m. e una contromarra sempre in piombo di epoca romana. Questo isolato ancoraggio appartiene al tipo più comune. Le anfore, che si trovano su un fondale sabbioso, sono state rinvenute all’interno dello Yacht Club di Tabarka, provenienti da recuperi illegali. Con l’aiuto di subacquei locali, sono state ricollocate nei luoghi di giacitura originari. Diverse sono le tipologie: da quelle puniche a quelle africane utilizzate nei commerci tra Italia e Spagna. Questi reperti confermano il ruolo fondamentale di Tabarka, nota per la pesca delle spugne e dei coralli, nevralgica zona di transito nelle rotte commerciali in antichità.
Pantelleria: Punta Tracino
Il promontorio di Punta Tracino separa Cala Levante da Cala Tramontana. Il versante nord della Punta, grazie anche alla sua collocazione lungo la costa orientale dell’isola di Pantelleria, è protetto naturalmente dagli effetti del moto ondoso proveniente dal II e III quadrante. Questa sua conformazione ha favorito, nel corso dei secoli, il suo costante uso come zona naturale di ridosso in presenza di condizioni meteomarine avverse. In questo specchio d’acqua, infatti, sono stati individuati innumerevoli reperti, la cui quantità ed estensione cronologica indicano una continua fruizione dal VI-V sec. a.C. sino all’età bizantina. Lungo l’itinerario è possibile ammirare alcune delle anfore (Dressel 1B e Keay 25) perse probabilmente da qualche nave ancorata dietro Punta Tracino.
Il percorso è reso più interessante dalla possibilità di poter osservare l’evoluzione che le ancore hanno avuto nel mondo antico: si comincia da un esemplare litico arcaico per poi passare ai resti di un’ancora in piombo, sino ad arrivare ad una più recente, ma non per questo meno affascinante, ancora in ferro del tipo definita genericamente “bizantina”.
Marsala: itinerario di Capo Boeo
Il percorso si trova nell’area dell’antico porto della città di Lilibeo fondata dai sopravvissuti all’assedio e alla distruzione di Mozia del 397 a.C. Il porto, identificato grazie alla fotointerpretazione aerea, era costituito da due lunghi moli che racchiudevano una vasta area di fronte l’antica città. Restò in funzione fino alle invasioni vandaliche che posero fine alla dominazione romana in Sicilia. L’area dell’itinerario archeologico subacqueo è, pertanto, un tipico fondo portuale ricco di oggetti che le navi di passaggio gettavano in mare ripulendo stive e sentine. È per questo che si trovano frammenti di manufatti, soprattutto ceramici, risalenti a secoli che vanno dall’epoca ellenistica (IV sec.a.C.) all’epoca tardo romana (V sec.d.C.).
I fondali custodiscono inoltre elementi edilizi gettati in mare a seguito dei saccheggi subìti ad opera dei Vandali, o dopo le varie ristrutturazioni urbanistiche ed edilizie che la città conobbe in epoca romana grazie alla sua ricchezza. Per tale motivo nel passato sono state recuperate anche statue ed elementi architettonici ornamentali. È noto che Lilibeo fu una delle città più fiorenti della Sicilia in epoca romana ed ebbe come questore per un limitato periodo anche Cicerone.
San Vito lo Capo: itinerario delle anfore
Il Capo San Vito, su cui insiste il faro omonimo, si presenta piatto e roccioso, in una posizione esposta ai venti del III e IV quadrante. È delimitato a ovest da una ripida falesia calcarenitica (alta tra i 30 e i 40 metri sul livello del mare) con numerose cavità frequentate sin dal Paleolitico (Grotta del Cavallo, Cala Mancina), mentre il pianoro retrostante ad est, al riparo dei venti dominanti e delle correnti nord-est, è occupato dal piccolo paese di San Vito Lo Capo, già citato dal geografo arabo Idrisi nel XII secolo.
Vista la conformazione geografica dei luoghi, che li rende ideali per l’ancoraggio delle navi, è possibile giustificare la presenza nel sito di una siffatta varietà di reperti archeologici, mentre due naufragi certi sono attestati per il periodo normanno. Il sito, alle luce delle nuove problematiche sull’estensione del mate- riale rinvenuto nella baia, rivela una maggiore frequentazione dell’area nel IV-V secolo d.C., probabilmente in relazione con l’attività della tonnara del Capo e l’attività di estrazione della salsa di pesce, il garum.
San Vito lo Capo: itinerario delle macine
Il sito, privo di strutture antiche, presenta le caratteristiche tipiche degli ancoraggi portuali, con materiale archeologico molto vario, sparso sul fondo marino, e una cronologia estesa dal IV a.C. al XVI d.C. I reperti sono distribuiti in un’area di circa mille mq., lungo la dorsale nord-sud tracciata dal banco di posidonia. Il relitto è composto da un carico di ca. 50-60 macine romboidali a strofinamento e di un’ancora in pietra.
Dialoghi Mediterranei, n.21, settembre 2016
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Salvo Emma, fotografo e videoperatore subacqueo della Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana, da quindici anni si occupa di archeologia subacquea come tecnico subacqueo. Tiene corsi di formazione e ha partecipato a numerose campagne di scavi archeologici subacquei in Sicilia e all’estero (Libia, Tunisia, Giappone, Turchia).
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