Stampa Articolo

A ciglio asciutto. La poetica di Lucio

poesie-a-mezzariadi Antonio Pane 

Il congedo di Lucio mi invita a recuperare nel folto di malsicure scansie le sue Poesie a mezz’aria, cartiglio che curiosamente arieggia la ‘sospensione’, il limbo in cui le ho relegate per un quindicennio. Mi avevano raggiunto sullo scorcio del 2009, in una fase di turbolenze che mi strinsero a rinviarne indefinitamente la lettura e quindi, come succede, a ‘rimuoverle’. Non so cosa l’autore abbia potuto pensare del protratto e poi sepolcrale silenzio che veniva a smentire le mie assidue disamine dei suoi versi (via via dedicate a Sagana e dopo, La casarca, Il verso di vivere, La porcellana più fine) [1] e a misconoscere l’omaggio che (me ne avvedo solo ora) vi era stato reso inserendo escerti della più recente nella scheda bio-bibliografica posta in fondo al volumetto (uno dei «Libriccini da collezione» allevati in quel di Faloppio dal calabrese Michelangelo Camelliti, ‘pastore transumante’ delle edizioni LietoColle) [2].

Riprendo oggi la parola per rifondere in qualche modo quella trascuranza (signorilmente trascurata dalla ‘parte lesa’), a ricordo di un’amicizia culminata nel memorabile ‘viaggio parallelo’ che nel 1992 ci vide convergere a Milano – io da Firenze, Lucio da Palermo – per incontrarvi, nella loro abitazione di viale Piceno 3, Emilia e Maria Spinelli: blitz originato da un mio cursorio accenno alle missive di un certo Salvatore Spinelli conservate in casa Pizzuto, segnale che aveva indotto la vivace reazione del mio interlocutore («Ma Spinelli io lo conosco! Ho parlato del suo romanzo Il mondo giovine in una trasmissione di Rai Sicilia!»), motivando le febbrili ricerche che ci avevano permesso di rintracciare le eredi dello scrittore e quindi, dopo laboriosi colloqui alla cornetta, di compiere la nostra missione. Le carte, religiosamente custodite tra ‘buone cose di pessimo gusto’, che le due nubili e gozzaniane sorelle ci permisero di consultare ricompensarono a iosa le fatiche del viaggio. Ne ricavammo, insieme a preziose notizie sulla vita e l’opera dei nostri beniamini, i due tomi che adunano il più del loro quarantennale carteggio e la nuova edizione (arricchita da varianti autografe) di Il mondo giovine [3].

Al centro del ‘vestibolo’ di Poesie a mezz’aria il calligramma «A | Elide | alla nostra | tenda indiana» disegna il precario ma sacro rifugio della «condizione sospesa» annunciata nella breve prosa-prologo che, seguendo le congeniali epigrafi di Stuart Gilbert, Antonia Pozzi e Miller Williams, sottilmente rivendica le diverse ragioni del titolo: distribuite fra l’equitazione «d’alta scuola» (il «salto fra il ‘terra terra’ e la ‘corvetta’»), il modo di dire che abbraccia appunto le cose sospese e le amletiche «molte cose» che (sulla scorta del proverbiale «There are more things in heaven and earth, Horatio, | Than are dreamt of in your philosophy») «possono trovarsi tra terra e cielo» («suspended between earth and sky», come i poveri lettori di The Golden Bowl evocati da Virginia Llewellyn Smith) [4]; ma poi saldamente avvinte (nell’avvio di Come quando, la prima anta del Trittico per l’una che, accampato al centro del libro – dopo le tratte Transiti e Legami e prima di Insolarità e Stanze agiografiche – sembra ripetere la figura della capanna-altare) al motivo del «Non starmi lontano – poco o molto – | ogni tua assenza mi lascia a mezz’aria».

L’accorato appello alla donna d’elezione, alla compagna di una vita, è il diapason di una raccolta che, percorrendo il ciglio dei settant’anni, inclina al bilancio, qui registrato sulle «loquaci antenne di silenzio» di un’armoniosa consuetudine, e articolato, sempre in questa zona illesa, nei dolceamari «consuntivi» di Non sempre (dove – all’insegna del «nulla ci giunse se non da noi» – «si veste di stabilità il passato | e di incertezze il futuro») e nei «nostri decenni – | non passando volati», nell’«impercettibile risucchio | di giovinezze e altro», nel «miracolo | di questo amore che muta | di forma e di colore | non di essenza | e s’infittisce su nuova onda | di affetti consonanze desideri | tristezze tanto robusto quanto | più fragile possa farsene la scorza» (Quanto più), mentre altrove si ironizza sui «pretesi | consuntivi (ma il corto orizzonte turba | le quadrature) gioco di carte in cui | non valgono aremi ad appattare primiere», sui «rendiconti» che «non riescono mai» (Tardetà), e si ribadisce «la convinzione | di non voler tornare indietro», conservando «questo straccio d’anima | con suoi errori risorse rimpianti | parimenti elevabili a potenza» (Come un antifaust): un computo che non può non prevedere, come si è visto, la cifra esiziale, il ‘meno’ figurato in «fragilità d’infanti» (Tardetà), «declinante lasso» (Come un antifaust), «nostra corporale | fragilità» (Canzone triste per un piccolo indifeso).

partenze-e-arrivi-copertina-1Come a bilanciare perdite e frane, l’amuleto dell’unica stella manda i suoi benefici influssi lungo le pagine, ispira una inestinguibile ‘dichiarazione’ che indugia sulla «tua pelle sapida | di mare» (Tre momenti sul tema “assaporare”), sulla minima-enorme gioia «di essere comunque qui | comunque insieme | fatti certi dalla stessa incertezza» (in una Lustrura graficamente disposta a protettivo albero natalizio), sul riaffiorare (da una «primavera a San Remo nel gennaio settanta») della «corsa da un pendio – | improvvisa senza parole tenendoci | per mano in volo tra nuvole e foglie | ridendo ancora una volta fanciulli» (Nuvole e foglie).

Nell’aura di questa ‘serenità ricevuta’, i versi procedono tranquilli, al passo di un metronomo interiore che riconduce ai bioritmi di Per madre Teresa dei gatti («Attendevano cibo e carezze con il loro infallibile orologio biologico»), forse in segreto dialogo con frammenti ‘felini’ dei pizzutiani Si riparano bambole («Era l’ora attesa dai gattini famelici del vicinato quasi avessero l’orologio») [5] e Sinfonia («tornavano orolaie a foro micie vestite di ermellino, opossum, lontra, ocelot, zebra») [6]. Un’andatura che tuttavia non esclude lo scarto, il desiderio di fuga affidato ai tesi versetti di Migrazioni, la cui parabola (il «Poter migrare | come gru | come cicogne | […] «portandosi appresso tutto | vale a dire | se stessi») sembra a sua volta capovolgere il voto di una fulminea lirica di Ripellino: «Volare via da me stesso | come un uccello migratore, | da questo roveto, da questo malessere, | da questo perenne dolore» [7] (Cesare Angelini sarà invece onorato – in Per Maria Eufrasia Pelletier , laddove si richiamano le «opere | d’altro genere (un edificio con conci | di parole) in cui afflitti operai di filanda | signorotti perversi frati indomiti | e pavidi curati mostrano variamente | in che modo “la verità è rivelata agli umili”» – di una ‘citazione taciuta’ del suo prologo a I promessi sposi, mentre il Giosue Carducci di Davanti San Guido sarà chiamato in causa, con l’endemico «malumore», nella chiusa di per Zio Turiddu: per i politici che del «lesso» «si appagano assai più | di quattro paghe»).

Ma il giro dei più o meno velati riferimenti, il ‘commercio culturale’ non pretende la palma, è solo un comma della procedura usata come una «lente speciale per osservare e cercare di comprendere meglio questo nostro strano mondo, che più diventa piccolo e più si complica. E per leggere nel contempo in me stesso» [8]. Una prassi le cui gnoseologie, esterne e interne, non sono però preordinate, legandosi alla grazia di una musa non richiesta, «che viene a cercarmi, se vuole e quando vuole» [9], e che aleggia – inaugurando, non senza significato, la nostra compagine – nell’incipit di Tre momenti sul tema “assaporare”: «Ti giunge improvvisa una brezza | mattutina che sorvola le sonnolente | finestre». Il dono montaliano dell’occasione (particolarmente attivo in prove come Lustrura, Wagon Lit, Foto album, La Gazzèra) non è mai disgiunto dal raziocinio che ne ‘incarta’ l’epifania (penso alla «soffusa irrealtà del giorno» di Lustrura o al «ponte di solide evanescenze» di Wagon Lit), dall’esercizio di un ‘pensiero forte’ che don Benedetto Croce avrebbe senz’altro escluso dai domini della poesia e che tradisce talora una disposizione gnomica, si aggruma in solenni aforismi, contigui alle «vaste saggezze» di Per Vincenzina e alla «scala di elementare | proverbialità» di Per Maria Eufrasia Pelletier: il «passa tutto | (anche il futuro)» di Tre momenti sul tema “assaporare”; il «A tutto ci abitua anche | alla vita» di Vincoli e strappi; il «un conto è volere | e altro conto è avere» di Non sempre.

le-ore-salvate-copertinaQuesta ‘coazione a riflettere’ sfiora forse il suo acme nella Canzone triste per un piccolo indifeso, appesa al duolo della domanda iniziale («Chi permette che il male biologico | e la violenza e la stupidità (la bêtise | flaubertiana) si riversino | sull’infanzia e gli indifesi? | Da quale cielo può consentirsi | lo squarcio di tenere esistenze?»), e nella diade delineata dai consecutivi Vincoli e strappi e Tardetà, dove l’incerto destino del «piccolo uomo» (colto «nell’abbandono della protettiva dimora | placentare nello strappo dall’amniotica | serenità») si misura, nella pagina a fronte, con la visione del vecchio che, parimenti privo di appigli, si volge indietro «nel solo modo possibile | e gradito – con memoria lunga e corta», così guidando il fiume dei pensieri alla foce del selettivo ricordo che, «inteso nell’accezione etimologica di “richiamo al cuore”» [10], ne sarà pausa e parziale risarcimento (visibile nella speciale felicità di La Gazzèra – che ‘ritrova’ l’«antico baglio inglese | dove adolescente avrei voluto | abitare coi fantasmi | cedere a turchine lenzuola | sorprendere palpebre | a un elios marino» – e di Nuvole e foglie, con il suo sole proustiano che «abbigliava | di tiepido ocra muri aiuole cupolette-cipolla | e oziose promenades»).

Una felicità condivisa da altri ‘richiami’: quello del ‘traffico angelico’ restituito in Per un transito alare, con lo stesso tocco leggero che sembra e non sembra continuamente lambirci, dall’andante spiegato nelle prime due strofe («Gli angeli navigano oceani siderei | in leghe d’azzuolo e silenti approdano | in punta d’ala a in/sondabili porti»…) e dal danzante allegretto, dal metafisico mimo che, nella terza, conclude la fantasia («Può darsi che a missione compiuta | qualcuno di essi ti sieda accanto | in minuscola sosta e ancora un po’ | ti guardi vivere poi con confidenziale | sorriso annuisca o scuota i castano chiari | capelli prima di tornarsene svolando | per un socchiuso abbaino»); e quello di Per quattro gatti, la più necessaria delle cinque Stanze agiografiche, fra questi encomi il solo rivolto, con «versi in tela jeans», non ad umani, ma agli «incisori dell’anima» (il «quartetto | di compagni di viaggio tre scesi – | uno dopo l’altro – alle loro stazioni», «esseri | superiori a cui non importa esserlo») ritratti con il sorriso della gratitudine e l’affettuoso bulino che ferma le ‘note caratteristiche’, i graffi, è il caso di dire, indelebili (l’«innata saggezza» e le «prodigiose antenne» di Raffaele, il «naso fuorirazza», l’«aristocratico bon ton» e la «bontà da evangelio» di Leo, il «manto bianco e nero» e la «minorazione» di Flint – che, tuttavia, «tenne alte | intelligenza e coda» –, fino ai «piccoli oggetti», i «mimetici trofei» della «lincetta bianca e grigia», l’ancor viva Clotilde).

I medaglioni commemorativi – quelli individuali riguardano due consanguinei (Per zio Turiddu, Per Vincenzina), una indimenticata Katzenfrau palermitana (Per madre Teresa dei Gatti) e la fondatrice della Congregazione delle Suore di Nostra Signora della Carità del Buon Pastore (Per Maria Eufrasia Pelletier) – sono preceduti da Insolarità, sola insula dell’omonima sezione, veicolo e trofeo di una coniatura originale portata a far coppia con la pregressa «isolitudine» (a suo tempo ‘plagiata’ da Gesualdo Bufalino, e riferita a «una dimensione esistenziale, alla correlazione tra l’idea di vita nell’isola, il sentimento di solitudine dell’isolano e il sentirsi radicalmente soli nel mondo. Soli nell’isola») [11]. La sua sigla è l’ossimoro che, configurato nella strofa iniziale («nel salso triangolo | ove si capo/volgono | soglie e cimase | àstrachi e androni | e sono nelle arene | oppositivi i diametri») e ribattuto, nelle successive, dal «tutto pare accessibile | e vertiginosamente lontano» e dal «si parte approdando | e salpando si torna», riflette il vizio d’origine della solarità isolana, per farne una condizione ‘impossibile’, paradossalmente cieca e ctonia (il lutto che Bufalino inscrive nella sua luce): un trionfo traviante, una gherminella esemplata dall’Icaro che «ingloba sottili filamenti | di silver in agili polimeri | uccellando il mito».

stramenia-copertinaIl ventaglio dei temi è sorretto da un traliccio stilistico (sondato in un saggio di Sergio Spadaro) [12] che lascia ancora intravedere l’insolita convivenza di modernità e tradizione, conforme allo sguardo libero e liberale, restio a ogni fanatismo, dell’autore. Il primo dei due poli, frutto dei giovanili trascorsi nel gruppo d’avanguardia «Beta 71», è rappresentato dal risparmio interpuntivo spinto fino all’implacabile interdetto che colpisce la virgola e il punto d’ammirazione (non ne trovi nemmeno a pagarli una somma), dalla frequenza dei conglomerati di fenogliana e d’arrighiana memoria («scillecariddi»; «castanochiari»; «apritisesamo»; «giovannisenzaterra»; «deidesertico»; «fuorirazza»), dall’uso di terminologie tecniche («micronizzate polveri | salsoiodico-floreali»; «svitol»; «filamenti di silver in agili polimeri»), dalle parole artatamente spezzate («in/sondabili»; «ri-considero»; «capo/volgono») e, volendo, dalle occorrenze di rime ‘gozzaniane’ («e feci apprentissage | tra venti di guerra e afa di pace») o di nomi-aggettivi ‘alla Pizzuto’ («ridendo ancora una volta fanciulli»); l’altro si addensa soprattutto nella classica concinnitas di talune costruzioni («Quante si sono posate oculari carezze | sulle lucide immagini e quanti | si sono sfrangiati silenzi | in caleidoscopici rettangoli | in mute vibrazioni»; «ove si parte approdando | e salpando si torna»; «loro e noi | ieri e oggi»; «di pelo diverso e pari distinzione»; «Lievi di baldanza gravi d’esperienza»), nel gioco dei calembour («certi della stessa incertezza»; «sopprimersi | pur di sopprimere»; «quale Dio mio Dio»; «si appagano assai più | di quattro paghe»; «esseri | superiori a cui non importa esserlo»), nel gusto delle paronomasie («timori e timoni»; «Nel minuscolo posto di ristoro | sorsi nuovi di magica solitudine. Sorse da obliati album la chiesuola | di pietra»; «“Ci risposiamo qui?” proponesti. | “Ci riposiamo per ora. Sul gradino”»; «lesto/lene scandire»; «sole salato»; «intrallazzisti | di ogni era e di ogni euro») e, sul piano lessicale, nei numerosi aulicismi («fragmentato»; «addormire»; «siderei»; «germano»; «franto»; «obliati»; «novella | condizione; «luminava»; «salso»; «ara»; «accolta»; «salvazione»; «tergestei»; «salvazioni»; «magno»; «sterpati») e nelle tarsie latine («miraculum»; «intus; «vis»; «fate vobis»; «vertigo»; «naturaliter»; «satura lanx»; «incipit»; «ab ovo») che danno poi il loro contributo alla sobria plurilingua profilata da francesismi (apprentissage»; «promenades»; ça ca sans dire; «petit»; «bêtise»; «clochard»; «bon ton»), sicilianismi («rianata»; «pittavano»; «lustrura»; «azzuolo»; «Gazzera»; «arma juchittu»; «aremi»; «appattare»; «àstrachi»; «zibibbo e inzòlia»; «Turiddu»; «sghicia») e dal ‘manzoniano’ «anca lü».

Ritrovo a sorpresa, imbucata in un astuccio allotrio, Stramenia, plaquette dalla copertina rosso fuoco ricevuta, ricostruisco, pochi mesi dopo Poesie a mezz’aria, e rimasta anch’essa esclusa, per le circostanze predette, dalla mia pur fragile palizzata. Accolto nella collana «Coincidenze» delle Edizioni L’Arca Felice di Salerno e arricchito da dipinti (fra cui uno fuori testo) di Eliana Petrizzi, l’elegante libretto raccoglie nove liriche verosimilmente concepite dopo il trasferimento a Bagheria: l’‘esilio’ alluso nel titolo ed esplicitato nella nota d’autore a Lungomare d’Aspra, la poesia inaugurale che solleva il ricordo di Ignazio Buttitta e della sua «villetta di fronte al mare», associata al «Camuffato castello | la vecchia casa deserta alla marina». L’evocazione dell’aedo siciliano («Saresti contento – Ignazio – se sapessi | che quel tuo giovane amico anche lui | malato di versi – giunto ai tuoi anni | di allora – in questo orizzonte s’è trovato | il suo rifugio che fu sempre il tuo») vale a introdurre una sorta di trittico sul poiein (composto da Squarci, I poeti vanno, Mutare in pendici) che avrà un suo seguito in Guglielmo o della “sognagione” (mosso dai neologismi di un altro amico-poeta, Gugliemo Peralta, coltivatore di sogni, «agricola soale» che «raccoglie poesia | alto fusto della speranza»).

In Squarci il pendolo dei versi che «frugano nell’anima» e dell’anima intenta a «sbirciare tra le parole» apre ulteriori cammini: «Allora i versi prendono animo | sghiciano felpati e vanno in giro | di giorno di notte | per strade e piazze | per cortili e trazzere | attraversano fiumi gallerie altopiani | bevono nelle fontane si sollevano | se incespicano nei cespugli | si divincolano quando s’impigliano | nei canneti prima di smarrirsi | in celesti contrade». La metafora viatoria si prolunga nelle cadenze di I poeti vanno, protese a «percorsi sghembi | dai fossati impraticabili», sempre orientate «nel verso del verso», e di Mutare in pendici, che esalta «l’abilità di trovare | strade a volte di mutare | in pendici erte salite», per ‘svoltare’ quindi su una vera professione di poetica, il cartello «grattare il similoro», premessa di un’allegoria che riformula, non senza efficacia, la vexata quaestio forma/contenuto: «Se l’acqua assume forma della brocca | questa trova senso nella sua liquida | presenza. Vuota sarebbe un’opzione | o un malinconico soprammobile che altro». Ma il cuore della breve silloge è la meraviglia diffusa da I giorni della merla e I molti e il loro altrove.

Lucio Zinna

Lucio Zinna

Nella prima di queste invidiabili prove la memoria di giorni ‘rari’ («Nevicò anche nella svilita concadoro»), del «leggendario triduo» vissuto nella «casa a tramontana di Via Di Marco», insieme ai «bimbi | graziati dalla scuola», innesca una trepida ammissione che, riassumendo una vita, si fa orgoglioso e sommesso legato testamentario: «Tutto ho temuto non solo caldo e freddo | e a tutto ho resistito ogni volta ho preso | il coraggio non so dove» – a due mani | si dice – e fattone quanto se ne poteva – anche palle di neve a esile difesa | luminarie volanti scagliate | con la spavalda cautela di chi vuole vivere | e la resa rifiuta per quanto disarmato». In I molti e il loro altrove l’intensità del messaggio ai «molti» prefigurato nel proemio si invera in un’onda anaforica che lascia senza fiato e in un virtuosismo scandito sulle linee severe del trobar clus: «Dove siete se ancora siete chi vi cela in quale | cielo vi vela sotto quale vela navigate per quali | onde galattiche chi vi impedisce di lanciare | un amo o di agganciarlo oltre le nebbie | del ricordo se ancora in voi albergano ricordi».

Vedo che ai due consecutivi quaderni che ho appena esumato sono venute ad aggiungersi le cinque poesie di Partenze e arrivi (libro d’arte impresso in quaranta esemplari e fregiato da un’acquaforte di Rosario Amato, Palermo, Edizioni dell’Angelo, 2016) e l’auto-antologia Le ore salvate. Poesie 2009-2019 (Palermo, Thule, 2020) [13], testimoni cui non mi è stato possibile accedere (ho potuto solo spigolarne Paese misura e l’eponimo Partenze e arrivi, i due splendidi esempi del primo diffusi in rete). Per quanto incompleta, la mia ricognizione dell’ultima fioritura poetica di Lucio Zinna torna a riconoscere la fisionomia lucidamente illustrata dallo stesso artefice: «Il poeta è un essere umano con i piedi per terra e gli occhi sulla realtà circostante, capace di alzare lo sguardo verso l’alto» [14]. Anche nei suoi tardi anni Lucio Zinna resta il poeta concreto, terragno che può permettersi di dire «a seminare grano si raccoglie pane» [15]: il suo sguardo dritto e acuto (quando non corrosivo, da ‘ignoto marinaio’) misura con la medesima ‘tigna’ le cose di sotto e le cose di sopra, mantenendo un equilibrio, una compostezza che ne garantisce la tenuta: il ‘ciglio asciutto’ che ci sorprende a salutarne il transito. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
Note
[1] Apparse, nell’ordine, in «Azione Sindacale. Periodico della CGIL di Prato», a. XXV, 1° febbraio 1992: 6; «Oggi e domani», a. XX, n. 12, dicembre 1992: 31-32; «Oggi e domani», a. XXIII, n. 5, maggio 1995: 49; Poesia 2002-2003. Annuario, a cura di Giorgio Manacorda, Roma, Cooper & Castelvecchi, 2003: 351-352.
[2] Fregiato in copertina da un Paesaggio della Sicilia del pittore russo-francese Nicolas de Staël (che firma anche Salinas, posto a chiusura dei testi).
[3] Antonio Pizzuto – Salvatore Spinelli, Ho scritto un libro… Lettere (1929-1949), a cura di Antonio Pane, introduzione di Lucio Zinna, Palermo, Nuova Ipsa («Scrittura mediterranea»), 2001; Antonio Pizzuto – Salvatore Spinelli, Se il pubblico sapesse… Lettere (1950-1963), a cura di Antonio Pane, introduzione di Lucio Zinna, Palermo, Nuova Ipsa («Scrittura mediterranea»), 2003; Salvatore Spinelli, Il mondo giovine, a cura di Antonio Pane, prefazione di Salvatore Zarcone, introduzione di Lucio Zinna, Palermo, Nuova Ipsa («Mnemosine»), 2003.
[4] Vd. Henry James, The Golden Bowl, edited with an Introduction and Notes by Virginia Llewellyn Smith, Oxford University Press, 2009: xxxi.
[5] Vd. Antonio Pizzuto, Si riparano bambole, Milano, Il Saggiatore, 1973: 271.
[6] Vd. Antonio Pizzuto, Sinfonia, Milano, Il Saggiatore, 1974: 73.
[7] Vd. Angelo Maria Ripellino, Autunnale barocco, Milano, Guanda, 1977: 86.
[8] Vd. l’intervista rilasciata l’8 febbraio 2015 a Liliana Porro Andriuoli (in «Lettera in versi. Newletters di poesia di BombaCarta», n. 53, marzo 2015: 40).
[9] Vd. il libro-intervista La scrittura il luogo e il tempo, a cura di Giovanni Dino, prefazione di Antonella Barina, Edizioni dell’Autrice, 2019: 27.
[10] Vd. la conversazione con Liliana Porro Andriuoli, cit.: 41.
[11] Vd. l’intervista concessa a Salvatore Blando il 10 novembre 2015 (Alla poesia do del vossia, «niederngasse.it», 25 novembre 2015).
[12] Lucio Zinna in sospensione, in Sergio Spadaro, Lontananze e risacche. Saggi e recensioni letterarie (2005-2013), Bologna, Ismecalibri, 2014: 9-11.
[13] Consorella di Il filobus dei giorni. Poesie 1955-1963 (Palermo, Organizzazione Editoriale, 1963), Sagana e dopo (Castelvetrano, Cultura Duemila, 1991), Il verso di vivere (Marina di Minturno, Caramanica, 1994).
[14] Vd. l’intervista con Liliana Porro Andriuoli, cit.: 41.
[15] Nel menzionato Guglielmo o della “sognagione”.

 _____________________________________________________________

Antonio Pane, dottore di ricerca e studioso di letteratura italiana contemporanea, ha curato la pubblicazione di scritti inediti o rari di Angelo Maria Ripellino, Antonio Pizzuto, Angelo Fiore, Lucio Piccolo, Salvatore Spinelli, Simone Ciani, Giacomo Debenedetti, autori cui ha anche dedicato vari saggi: quelli su Pizzuto, sono parzialmente raccolti in Il leggibile Pizzuto (Polistampa, 1999). Ha, inoltre, dato alle stampe le raccolte poetiche Rime (1985), Petrarchista penultimo (1986), Dei verdi giardini d’infanzia (2001). Fra i suoi lavori più recenti, i commenti integrali a Testamento e Sinfonia di Antonio Pizzuto (Polistampa, 2009 e 2012), i saggi Notizie dal carteggio Ripellino-Einaudi (1945-1977) (in «Annali di Studi Umanistici», 7, 2019), Bibliografia degli scritti di Angelo Maria Ripellino (in «Russica Romana», xxvii, 2020), Per Simone Ciani: un ricordo nel giorno della laurea (in «Annali di Studi Umanistici», IX, 2021) e la cura di volumi di Angelo Maria Ripellino (Lettere e schede editoriali (1954-1977), Einaudi, 2018; Iridescenze. Note e recensioni letterarie (1941-1976), Aragno, 2020; Fantocci di legno e di suono, Aragno, 2021; L’arte della prefazione, Pacini, 2022) e di Antonio Pizzuto (Sullo scetticismo di Hume, Palermo University Press, 2020).

_____________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>