umane dimenticate istorie
di Mario Sarica
Mimmo Gerbasi era davvero orgoglioso del suo Cavalierato della Repubblica Italiana per meriti di lavoro. Lì, nella massima onorificenza che la nostra costituzione repubblicana concede agli italiani distintisi per un onesto lavoro reso al servizio della comunità nazionale, ritrovava infatti per intero la sua storia di vita.
Il Cavaliere Domenico Gerbasi, classe 1938, nel primo dopoguerra, appena adolescente, in quello straordinario cantiere di ricostruzione che in quegli anni era la ‘Giovane Italia Repubblicana”, si alimentò di quei valori fondativi di democrazia partecipata e di lavoro. Lavoro vero, il suo, conquistato con la fatica quotidiana, unita sempre ad un raro senso del dovere. Ci credeva tanto a quanto avevano scritto i padri della Repubblica Italiana in quel formidabile manuale di vita comunitaria che è la Costituzione, e soprattutto al suo incipit, ovvero che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”.
Bisognava, dunque, rimboccarsi le maniche, darsi da fare, Mimmo sentiva l’urgenza di immaginare un futuro felice e di benessere.
A malincuore lascia la sua amata Castanea delle Furie, il più importante Casale di Tramontana dei quarantotto, quelli affacciati sugli aspri crinali dei Peloritani, sul mare delle isole Eolie e su quello dello Stretto cingendo la città di Messina. E così, senza pensarci più di tanto, sale su uno dei tanti treni del Sole e della speranza, assieme a molti altri compaesani, in cerca di un avvenire migliore, varcando lo Stretto e lasciando alle spalle con nostalgia la Sicilia.
Con ancora negli occhi l’amata campagna peloritana, regno della biodiversità, diremmo oggi, di laboriose comunità agro-pastorali e di abili artigiani dall’antico sapere, destinati presto a svanire, in nome di una malintesa modernità, Mimmo scende assonnato e spaesato in una terra a lui straniera, a Zetzwill (Aarau) nel remoto Canone di Argau di lingua tedesca in Svizzera. È il 1963, lui ha 25anni, ed è dentro gli anni del boom economico o se volete della mirabolante crescita industriale nazionale e del vecchio Continente, e dunque dell’emigrazione di braccia italiane per il nascente MEC, Mercato Europeo Comune.
Mimmo non si perde d’animo, e si lascia soprattutto guidare dalla sua vocazione di entusiasta militante socialista, pronto a battersi per i diritti dei lavoratori. Conosce così il duro lavoro di operaio in fabbrica. Lui scrupoloso e diligente per carattere, da operaio comune diventa presto specializzato. Ma è preso da una strana malìa, forse un Nostos inconsapevole. Sente infatti il bisogno, quasi istintivo, di mettere da parte oggetti d’uso quotidiano, di lavoro, ma anche di svago, insomma quei segni di vita, che vede rapidamente scomparire dal suo orizzonte quotidiano, in nome della bruciante ondata di cambiamenti tecnologici e di effimero e consumistico benessere imperante di quegli anni.
Riaffiorano così le sue radici mai recise, e l’urgenza di raccogliere le testimonianze materiali dei contesti di vita contadina e artigianale d’origine, che incomincia in maniera certosina a mettere da parte, nei suoi ritorni stagionali a Castanea delle Furie. Frammenti di una cultura antica che Mimmo sottrae alla deriva e alla furia iconoclasta del benessere e del consumismo ubriacante.
Forte di questo apprendistato di lavoro unito al credo politico, di matrice socialista, l’anno successivo, nel 1964, lo raggiunge in Svizzera la moglie Benedetta Cannizzaro. C’è da mettere dunque su famiglia, nel 1964 nasce il primogenito Franco, nel 1969 arriva un altro maschietto, Claudio; e di lì a poco Mimmo e Benedetta maturano la scelta di fare ritorno a Castanea delle Furie, dove nel 1973, nascerà la femminuccia Irene. Mimmo fa tesoro della sua esperienza lavorativa svizzera declinandola ad una esemplare militanza sindacale nella UIL locale, dove ricoprirà il ruolo di segretario territoriale. E così si afferma pienamente l’innato spirito di servizio verso gli altri, un’anima socialista, la sua, vera, senza compromessi, ecco uno dei tratti distintivi caratteriali di Mimmo.
Regalava soprattutto serenità, con il suo stile di signore distinto e per bene d’altri tempi, e quel sorriso complice ed empatico, il caro Mimmo. Poche parole, ma tanti fatti era il suo motto.
Con nostalgia, ora che il Covid 19 l’ha portato via d’improvviso, in solitudine, senza l’affetto dei suoi familiari, ricordo il mio primo incontro con Mimmo, di tanti anni fa, a Quattro Strade a Colle Sarrizzo, sui Peloritani, favorito dal caro amico comune Paolo Mazza, figlio del mitico Don Minico. Un posto di ristoro immerso nel paesaggio peloritano davvero speciale quello inventato da don Minico, figlio della migliore cultura agro-pastorale peloritana, ibbisoti doc (del villaggio Gesso), negli anni cinquanta, quando inventa l’irresistibile “panino alla disgraziata”, tipicità enogastronomica da unire ad un buon bicchiere di vino, offerto prima ai carrettieri di transito dal quadrivio da Gesso, Salice e appunto Castanea delle Furie, e oggi ai turisti provenienti da tutto il mondo e ai gitanti della domenica.
Dalla sua auto riempita fino all’inverosimile, ecco che esce, quasi con gesti rituali, come reliquie, con l’aiuto discreto e silenzioso della moglie Benedetta, i feri du misteri, ovvero gli utensili del mestiere di artigiani, contadini, perfino dei pescatori dell’area peloritana. È la prima mostra che il cavaliere Gerbasi allestisce nel Salone del Centro Polivalente dell’Azienda Regionale Forestale dei Peloritani di Quattro Strade. Di ogni reperto mi racconta l’origine, la storia, l’uso, incrociando lo sguardo solidale e complice della moglie. Presto verrà a trovarmi, assieme alla tenera e dolce Benedetta – anche lei colpita da Covid 19, non letale com’è stato con Mimmo, circondata ora dall’affetto dei nipoti e dei figli – al Museo Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso. Nell’osservare questa singolare realtà museale, nata nel 1996, Mimmo coglie subito con stupore l’originalità nella narrazione etnografica multidisciplinare riconoscendo, la sua e la nostra storia, quali figli dei Peloritani. Amante, com’era della fotografia, Mimmo non perde l’occasione per una bella foto ricordo che ci ritrae assieme.
Quando, poi, a distanza di qualche anno decide di allestire, visto il debordante patrimonio di beni demoetno-antropologici raccolti, un primo spazio espositivo etnografico a Castanea, vado di corsa a trovarlo. E non rimango certo deluso, nei piccoli locali dell’ormai ex sindacato mi ritrovo accolto e avvolto da un catasto di reperti in una singolare contaminazione tra oggetti d’uso quotidiano, anche del genere cosiddetto di modernariato, tipo macchine fotografiche e da scrivere, orologi, e di una congerie di testimonianze di vita di lavoro dei contesti agro-pastorale Peloritani, soprattutto di strumenti di lavoro legati alle filiere artigianali tradizionali.
Nel giro di qualche anno Mimmo amplia gli spazi espositivi, ristrutturando, a pochi metri di distanza dalla piccola sede, l’immobile che ospitava la farmacia storica di Castanea delle Furie, avviando contestualmente una catalogazione dei suoi reperti demoetnoantropologici a cura della Soprintendenza ai beni culturali di Messina.
E così presto il museo-casa di Mimmo diventa uno spazio culturale, meta di scolaresche, appassionati e turisti. Nel piccolo salone del Museo, si susseguono poi presentazione di libri ed altre iniziative, comprese quelle celebrative “patriottiche – militari”, cui Mimmo è molto legato. Ci scambiamo così affettuose visite e buoni propositi di collaborazione a cui il coronavirus pone la parola fine, senza saluti e abbracci.
Ciao, caro Mimmo e grazie per tutto quello che hai fatto con grande passione, amorevoli cure ed esemplare generosità d’animo. E spero proprio di cuore, anzi ne sono sicuro, che la moglie Benedetta e i figli Franco, Claudio ed Irene, raccolgano questa straordinaria eredità di vita di Mimmo, perché non si disperda un patrimonio culturale, che definiamo oggi di “eredità di comunità”, che mescola vita individuale e collettiva, come segni di una storia esemplare del territorio peloritano, da alimentare, rigenerare e consegnare alle nuove generazioni digitalizzate perché riconoscano le loro origini.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).
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