speciale cirese
di Vincenzo Lombardi
Era il 1983, al primo anno di università, ragazzo di provincia, per giunta fuori sede, un po’ sperduto nel caos della Capitale, durante il corso di Etnomusicologia tenuto da Diego Carpitella, scoprii il forte legame di Alberto Cirese con il Molise, non sapevo chi fosse e non avevo idea che fosse il figlio di Eugenio Cirese, di cui avevo sfogliato Tempo d’Allora. Figure storie e proverbi (Campobasso, Fratelli Petrucciani, 1939) presente fra i libri di casa, finito lì non so per quale percorso.
Per semplice effetto dell’attrazione della “molisanità” provai a seguire il suo corso, ma la rigida divisione alfabetica degli studenti fra le due cattedre allora attive, mi portò, come tutti quelli con cognome iniziante per lettera L, a sostenere gli esami di Antropologia culturale con Ida Magli.
Conobbi meglio Alberto Cirese, il suo profilo di studioso e le sue opere durante il mio percorso di formazione etnomusicologica, attraverso gli scritti di Carpitella e grazie ai volumi da lui curati, che contenevano saggi di Cirese. Una compresenza di opere e una cooperazione scientifica frutto dell’antica collaborazione fra i due studiosi, quella che Cirese, dando l’ultimo saluto a Carpitella, definì «una lunga, calda e gioiosa amicizia; quaranta e più anni di fraternità senza incrinature».
Progressivamente, mi si svelarono i loro insegnamenti in tutta la loro fecondità, a partire dalle riflessioni teoriche e generali fino alle tracce delle esperienze molisane. E fu proprio Carpitella, durante uno degli esami di etnomusicologia, saputa la mia provenienza molisana, ad invogliarmi a conoscere meglio gli scritti di Cirese, soprattutto quelli di interesse regionale.
Agli studi universitari di quel periodo risalgono, ad esempio, le letture di L’assegnazione collettiva delle sorti e la disponibilità limitata dei beni nel gioco di Ozieri e nelle analoghe cerimonie vicino-orientali e balcaniche, in Folklore e analisi differenziale di cultura (Roma, Bulzoni 1976) e di Ricerca demologica e studi di folklore musicale, in L’etnomusicologia in Italia (Palermo, Flaccovio 1975), entrambi a cura di Diego Carpitella. Sempre sulla scia degli studi etnomusicologici si colloca anche la lettura di La squadratura nobile, in Il verso cantato. Atti del Seminario di studi aprile – giugno 1988 (Roma, Università degli Studi ‘La Sapienza’ 1994).
Man mano che procedevo, l’approfondimento degli studi di ambito etnomusicologico e antropologico di interesse molisano mi riportava sempre, per usare le parole di Cirese, “dal cerchio al centro” o viceversa. Così fu, ad esempio, anche per la scoperta dei lavori di Giulio Di Iorio, antropologo molisano allievo di Cirese, che realizza, nel 1969, insieme ad Ersilia Barocas, le 510 registrazioni molisane per Tradizioni orali non cantate (Roma, Ministero Beni culturali e Ambientali 1975) promosse dell’allora Discoteca di Stato in tutte le regioni italiane nel 1968-69 e 1972.
Tutto quello che studiavo mi portava ad avvertire maggiormente quella tensione fra «cosmopolitismo e campanilismo: tra la dissoluzione di ogni fisionomia locale come unico modo per partecipare alle più vaste ragioni del mondo; e la chiusura rigida nel proprio mondo locale come unico modo per salvare il bene prezioso della propria identità» (Il Molise e la sua identità in Tra Cosmo e Campanile, Siena, Protagon 2003).
Proseguendo nell’insidioso percorso segnato da Cirese, in quell’instabile equilibrio fra «il cuore nel luogo e il cervello nel mondo o anche, e l’immagine è speculare, [fra] il cervello nel luogo e il cuore nel mondo», sono stati guida, fra altri scritti, soprattutto i Saggi sulla cultura meridionale (Roma, De Luca 1955) e tutti gli articoli pubblicati su “La Lapa”, in particolare quelli compresi nel numero monografico dedicato al Molise (tutta la rivista è stata ristampata in anastatica, con indici e saggio introduttivo di Pietro Clemente, Isernia, Marinelli 1991).
Ma è solo qualche anno più tardi, da direttore della Biblioteca provinciale “P. Albino”, che l’incontro diretto con Alberto Cirese, impossibilitato anni prima, si concretizza grazie ad una serie di attività promosse dall’Istituto da me diretto dal 1996 al 2016.
Nel 2001, dopo la sottoscrizione di un accordo tra la Provincia di Campobasso (che già aveva sostenuto qualche anno prima la pubblicazione di Oggi domani ieri. Tutte le poesie in molisano, le musiche e altri scritti di Eugenio Cirese, a cura di A. M. Cirese, Isernia, Marinelli 1997), la Biblioteca Albino e l’Accademia nazionale di Santa Cecilia per la pubblicazione della Raccolta 23 degli Archivi di Etnomusicologia, realizzata da Cirese e Carpitella il primo e due maggio del 1954 e fino ad allora rimasta inedita, presi contatti con il Maestro e, fissato un appuntamento, gli feci visita, presso la sua abitazione romana, a piazza Capri.
Mi riservò un’accoglienza calorosa. Rimasi diverse ore con lui e realizzammo l’intervista, poi inserita nel booklet del CD audio[1] della Raccolta23 e riproposta, con lievi integrazioni, anche nelle edizioni successive (2005 e 2011)[2] in forma di volume con disco allegato.
Cirese ricostruì la genesi della prima indagine molisana del 1954 (1-2 maggio) a Fossalto e presso le comunità arbëreshe di Ururi e Portocannone; ricordò l’incarico ricevuto, insieme a Carpitella, da Giorgio Nataletti; rievocò le ragioni della realizzazione “in solitario” della seconda indagine (giugno-luglio 1954) presso le comunità croato-molisane e il sacrificio economico del padre per l’acquisto del registratore “Grunding”; precisò le ragioni dell’urgenza di completare la documentazione sui riti primaverili molisani, sulla pagliara di Fossalto in particolare, e sulla “lamentazione funeraria”, temi sui quali Eugenio Cirese aveva condotto un’ampia indagine attraverso una capillare rete di collaboratori; rievocò, ancora, come se fosse presente l’amico, l’esperienza vissuta con Carpitella in Molise: «Scegliesti per [uno] dei dischi[3] il volto ispirato del cantore della “pagliara” di maggio che avevamo registrato insieme a Fossalto […] Alloggiammo […] all’Hotel Jolly in Piazza Savoia a Campobasso, ridendo, ricordo, di quel lusso».
Il titolo che fu scelto, Al mondo molisano degli affetti e degli studi, racchiude, credo, il senso profondo con cui Cirese guardava alle “cose” molisane, sia sue, sia paterne. Inoltre, nella mia percezione, quell’intervista rappresentava una sorta di apertura di credito che il professore mi concedeva, rendendomi parte proprio di quell’affetto mai sopito e da lui nutrito verso il Molise. Ancor più, la frase conclusiva dell’intervista da cui derivava il titolo, mi sembrò una vera e propria dichiarazione d’amore verso una delle sue patrie, che a me piace considerare la prima: «Ed ora al mondo molisano degli affetti e degli studi sono tornato […] come al crepuscolo accade quando un amore c’è stato e dura».
Il fatto che Cirese mi avesse fatto partecipe di quella sua fase di rinnovato interesse verso il Molise, tramite qualche incontro e frequenti colloqui telefonici, a volte di cortesia, a volte a carattere organizzativo per iniziative e progetti da seguire, spesso vere e proprie “lezioni a telefono” che, almeno in parte, mi risarcivano di quelle universitarie mancate, mi diede grande soddisfazione, ma mi investì – almeno per quel che percepivo – anche di una certa responsabilità culturale: mi faceva sentire, in qualche modo, parte di quella «genealogia di intellettuali fra cosmo e campanile» a cui («ormai fattosi anche lui parte viva della cultura molisana», scrive Alberto Cirese) fa riferimento Pietro Clemente nel suo saggio di Presentazione della ripubblicazione di Gente Buona di Eugenio Cirese.
Il 19 dicembre 2005, presso la Biblioteca Albino fu presentato il volume dedicato alla Raccolta 23; Cirese non partecipò, ma inviò un messaggio di saluto, accorato, poi inserito nell’edizione del 2011:
«Cari amici, volevo essere con voi, oggi, e fino all’ultimo l’ho sperato. Ma poi a fronte nel nitido freddo ch’è proprio delle vostre care terre e mie […] il presidio familiare e quello medico hanno detto di no […] invece volevo esserci».
Cirese, nel suo scritto, annovera le molte fortune della sua vita, come aver avuto «un padre molisano», aver conosciuto il maestro Giorgio Nataletti, fondatore e direttore del Centro nazionale di studi di musica popolare, l’affetto e la stima con Diego Carpitella; poi, ne aggiunge anche un’altra, che inorgoglisce:
«che due studiosi di più giovane generazione Maurizio Agamennone e Vincenzo Lombardi, abbiano portato attenzione al nostro lavoro di allora ed abbiano voluto tirarlo fuori dalle profondità dell’Accademia di Santa Cecilia in cui restava celato. Una operazione tanto attenta da essere compiuta ben due volte, in due modalità distinte e progressivamente più felici. Nel 2002 […] un cd contenente la digitalizzazione dei 48 brani […] ma dopo tre anni compare […] un volume da leggere cui si accompagna un cd da ascoltare […] non di restituzione si tratta […] infatti noi non rubammo nulla […] salvammo invece dall’oblio e morte brani d’umanità cui oggi viene ridata vita. Merito di Agamennone e Lombardi, fatto più grande poi dal corredo così ampio ed attento con cui hanno accompagnato i documenti che noi raccogliemmo allora».
Dicevo prima di Gente buona: fu un’iniziativa editoriale di riproposizione anastatica arricchita da nuovi scritti, di Pietro Clemente e dello stesso Cirese, che, nel 2007, promosse ancora una volta la Biblioteca Albino, a partire dalla copia che l’autore le aveva dedicato nel 1925; la stessa Biblioteca dove nell’estate del 1954 nacquero i Saggi sulla cultura meridionale di Alberto Cirese. Nelle Note di memoria, che introducono la nuova veste editoriale, lo stesso Alberto ricorda come
«Gente buona è libro che, scritto in provincia, ha come oggetto la provincia, ma come metodo non si rinchiude in essa. Importanza, cioè, della storia locale; non mai scritta, però, con metodi locali. E quando cominciavo a muovere i primi passi negli studi, alla lezione paterna di Gente buona si aggiunse l’altra, anch’essa paterna, della rivista che fondò e diresse nei due ultimi anni di vita, La Lapa. Mi piace dirlo con le parole che Vittorio Santoli gli scrisse dopo il primo numero uscito a settembre del 1953: “desidero dirle che ho letto La Lapa da cima a fondo perché è scritta e pensata, è varia viva urbana, e sebbene esca in provincia, nient’affatto provinciale”. Mi applicai tra l’altro, in quegli anni, a intensi studi molisani che fecero fruttuoso seguito alle remote felici estati d’infanzia nella casa di Castropignano, ed alle prime ricerche di storia locale quando nel ’37-38 frequentai il secondo liceo al Mario Pagano di Campobasso e conseguii la maturità, saltando il terzo: furono, nel 1954-55, le intense e appassionate giornate di spogli nell’Archivio di Stato e nella Biblioteca provinciale di Campobasso, oltre alle registrazioni sul campo a Fossalto e Bagnoli e nei paesi albanesi e slavi. E così, ricostruendo la storia degli studi demologici in Molise, mi parve di potervi riconoscere una congiunzione di opposte polarità analoga a quella che Santoli aveva sottolineato per La Lapa: la capacità, come ho scritto altrove, “di partecipare in modo attivo al processo di circolazione culturale della nazione e oltre”, per un verso accogliendo selettivamente “i moti che nel ‘ritondo vaso’ della cultura vanno dal centro al cerchio, e per altro verso corrispondendo “con moti inversi, quelli che vanno dal cerchio al centro e vi recano il contributo di avanzamento che nasce da una illuminata esperienza della vita locale e da una profonda onestà intellettuale”»[4].
Il volume fu presentato il 27 ottobre 2007, presente Alberto, per scelta tenace, nonostante i molti acciacchi di salute; per l’ultima volta a Campobasso e in Molise; per parlare, nel corso di una bella e partecipata manifestazione pubblica, di Eugenio Cirese, della sua poesia e di quella di Rocco Scotellaro. Ed alla poesia e alle composizioni musicali di Eugenio Cirese fu dedicato, promosso ancora dalla Biblioteca Albino nel 2009, il volume Com’a fiore de miéntra[5], con cd di nuove musiche su testi poetici di uno dei maggiori poeti in dialetto molisano, per la realizzazione del quale Alberto fu sostegno sicuro e riferimento certo, fermo nel giudizio e amorevole nel supporto.
La Biblioteca Albino, culla dei Saggi, all’interno di una propria collana, Scritture Aperte. Collana di ricerche e documenti, dedicata alle tesi di laurea, pubblicò, nel 2008, anche il lavoro di Antonio Fanelli, Come la lapa quand’è primavera, dedicato alla attività politica e culturale di Alberto Mario Cirese dal 1943 al 1957 e all’esperienza della rivista “La Lapa”.
Alberto Cirese ha corrisposto con generosità alle attenzioni rivolte dal Molise ad Eugenio Cirese e a lui stesso. Fra le ultime scelte d’amore, quella di depositare in copia presso la Biblioteca Albino la documentazione sonora, ancora inedita, raccolta presso le comunità romanze e croato-molisane fra giugno e luglio 1954 (oggetto di una pubblicazione che comparirà a breve per onorare gli anniversari del centenario della nascita e del decennale della morte) e quella di permettere la riproduzione e il deposito presso un istituto culturale regionale del Ministero della Cultura la documentazione di interesse molisano presente all’interno dell’Archivio di famiglia, da poco ospitato presso l’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale del MiC.
Alla fine della sua vita, Alberto Cirese ha deciso di tornare definitivamente in Molise, per essere sepolto a Castropignano nella tomba di famiglia, così come ha dettato quell’amore che c’è stato e dura.
Con affetto, Maestro.
Dialoghi Mediterranei, n. 51, settembre 2021
Note
[1] Accademia nazionale di S. Cecilia – Provincia di Campobasso, La Raccolta 23 degli Archivi di Etnomusicologia dell’Accademia nazionale di S. Cecilia, a cura di Vincenzo Lombardi, CD-ROM + opuscolo, Roma-Campobasso, ANSC-Provincia di Campobasso, 2002 (Musica tradizionale del Molise, 1; collana diretta da Vincenzo Lombardi).
[2] Musiche tradizionali del Molise. Le registrazioni di Diego Carpitella e Alberto Mario Cirese (1954), a cura di Maurizio Agamennone e Vincenzo Lombardi, Roma, Squilibri, 2005 (seconda edizione con integrazioni 2011).
[3] Northern and Central Italy and the Albanians of Calabria, edited by Alan Lomax and Diego Carpitella, New York, Columbia Masterworks, 1957 (Columbia KL 5173).
[4] Alberto Mario Cirese, Gente Buona. Note di memoria, in Eugenio Cirese, Gente Buona, Campobasso, Provincia di Campobasso – Biblioteca provinciale ‘Pasquale Albino’, 2007: VII – XVI.
[5] Vincenzo Lombardi (a cura di), Com’a fiore de miéntra. Omaggio in musica a Eugenio Cirese, Roma, Squilibri, 2009.
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Vincenzo Lombardi, direttore dell’Archivio di Stato di Campobasso e di quello di Isernia (ad interim), ha diretto dal 1996 al 2016 la Biblioteca “Pasquale Albino” di Campobasso ed ha curato le attività scientifiche del Centro studi sulle migrazioni dell’Istituto, collaborando come redattore per il Molise al Dossier statistico immigrazione del Centro studi e ricerche IDOS. È laureato in Lettere, indirizzo musicologico, in Scienze politiche e delle Istituzioni Europee ed è dottore di ricerca in Italianistica/Musica. Diplomato in Flauto e in Didattica della musica, ha insegnato Educazione Musicale presso gli istituti secondari statali ed Etnomusicologia presso l’Università degli studi del Molise. È autore di numerose pubblicazioni in ambito storico, musicologico e biblioteconomico, relative a: catalogazione e ricognizione musicologica concernente le fonti musicali, le pratiche musicali di gruppo (bande e complessi mandolinistici), le forme della sociabilità musicale e il patrimonio etnomusicale.
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