di Giulia Panfili
Pretesto per sentimentalismi di vario colore, sardine che molti hanno voluto mettere sulle loro braci, non sbarra il cammino a chi vi entra, ma il viaggiatore sente che l’accompagnano sguardi ironici. Non sono i volti seri e chiusi di Barredo. Alfama è più abituata alla vita cosmopolita, entra nel gioco se ne trae qualche vantaggio, ma nel segreto delle proprie case deve ridersela molto di chi crede di conoscerla (…) Animale mitologico per conto altrui, Alfama vive il proprio e difficile conto. Ci sono ore in cui è animale sano, altre in cui si accuccia in un angolo a leccarsi le ferite che secoli di povertà gli hanno provocato sulla carne e che non trova il modo di curare. Eppure queste cose hanno un tetto (José Saramago, Viaggio in Portogallo).
Il desiderio di vivere ad Alfama è stato esaudito. Qualcosa di questo piccolo e stretto quartiere al centro della grande città di Lisbona mi attrae, chissà quali memorie, immaginari e sensazioni hanno la capacità di richiamare e far risuonare. Alfama sorprende tanto per il suo silenzio quanto per i rumori e le urla. Attraverso di essi è già possibile seguire la vita della strada, creando qualche difficoltà soprattutto se si volesse dormire fino a tardi la mattina.
Verso le nove aprono i negozi, iniziano ad uscire le prime persone e a sentirsi le prime voci non ancora del tutto schiarite. A questo punto si potrebbe ancora indugiare in una situazione di dormi-veglia, ma poco dopo i rumori forti e metallici delle bombole del gas svegliano anche i più testardi. Dopo qualche giorno sei costretta ad accettare che alle nove e mezza è ora di alzarsi, fuori tutto è già vivace! La sveglia non serve, sono gli stessi residenti che si chiamano tra loro, come se fosse un appello a scuola.
Di contro fuggendo da una grande città per sopravvivere all’inquinamento acustico, qui si sente qualcosa di raro: il silenzio. Per molte ore i canarini nelle gabbie sono gli unici compagni del silenzio a intonare melodie.
Dopo il piacere di perdersi nei vicoli di Alfama, non trovando la strada giusta per casa, provo lo stesso piacere nel mappare a mente gradualmente il quartiere: le case, le scorciatoie, le scale, i marciapiedi. Attenzione però, mi suggeriscono gli sguardi, non ti illudere di conoscere questo quartiere. Sguardi curiosi, ironici e sorpresi sembrano seguire i miei movimenti dal momento in cui esco dal monolocale, scendo le scale dal quarto piano senza ascensore e sono in strada.
Bom dia! Bom dia.
Chi meno, chi più spontaneamente, le persone salutano o rispondono ai saluti, che sia con la testa, con la mano o con lo sguardo.
Giovani, anziani, cani, tutti in strada: seduti sulla sedia davanti casa, appoggiati al muro, fuori dai bar. Si sentono storie, barzellette, litigi. Ognuno sembra avere il suo posto, come se fosse sempre stato lì, in quella posizione. La sensazione è quasi di poter infastidire sedendosi lì con loro. Passare, passeggiare, va bene, ma fermarsi attira a sé tutti gli sguardi.
Così, camminando ed entrando nel negozio della coppia indiana, nel mini market del giovane o nel bar del Sr. Fernando, cerco di catturare e memorizzare tutto il possibile. Un giorno ho provato a scattare una fotografia ma l’esperienza non è stata granché positiva, dato che l’obiettivo della mia macchina fotografica ha incrociato gli occhi di un ragazzo che ha iniziato ad urlarmi contro. Per questo ho deciso di utilizzare il disegno e il testo per raccontare ciò che vedo e sento in una mattina in rua São Miguel. Attraverso i disegni si può forse anche percepire meglio la relazione tra lo spazio privato dentro l’appartamento in affitto e lo spazio pubblico per strada.
Verso le dieci e mezza sembra già esserci una festa di quartiere: le feste popolari dei santi avvengono tutti i giorni? Oggi il fulcro dei festeggiamenti non è un santo, ma un neonato che suo malgrado è passato di braccia in braccia senza sosta – che sia fatto santo sul serio! Solo mancava che gettassero il piccolo anche tra le mie braccia. Passo rapidamente tra quei corpi senza controllo, a tal modo eccitati dalla nuova creatura. La donna senzatetto siede, come al solito, sulla panchina accanto alla chiesa di São Miguel. È insieme ad un cagnolino bianco che non posso dire se sia fedele, lei ad ogni modo si accompagna fedelmente con il vino rosso di una cantina qualsiasi.
Non so mai dove fermarmi, sedermi e prendermi il tempo per osservare. Alla fine scelgo le scale della chiesa di São Miguel, anche se da qui non riesco a vedere tutta la strada. Come dice il proverbio “se la montagna non viene da Maometto, Maometto va alla montagna”. Un grande andirivieni che si intreccia nella piazza di São Miguel, dove sorge la chiesa, dà l’idea di cosa possa accadere lungo i vicoli che da lì si snodano. Donne con sacchi pieni di panini arrivano dalla mia destra e donne cariche di verdure e formaggi dalla mia sinistra. In questi incontri, molti Bom dia, tudo bem? volano per aria, sospesi senza ricevere risposta.
Tra le signore con i loro acquisti, spuntano due spagnole in visita a Lisbona. Mi passano vicino per salire le scale che portano alla parte più alta di Alfama. Leggendo una guida della città, discutono di Sant’Antonio da Padova patrono di Lisbona, forse stimolate dalle raffigurazioni che si trovano agli angoli delle strade. È buffo quanto sia vario e vivace questo posto, nonostante sembri di tempi lontani e quieti. Anche la gente sembra rispecchiare questo carattere del quartiere: una vecchina, ingobbita e a lutto nel suo abito nero, si trascina accanto a una bambina che, quasi per contrasto, indossa una camicia a stampa leopardata, e salterella mano nella mano della mamma.
Dall’altra parte della piazza una ragazza sta mettendo i panni ad asciugare, la cesta è ai suoi piedi e i fili per stendere sopra la sua testa. È marzo e il sole è forte ormai da giorni, come fosse estate. La ragazza stende lentamente i panni, come se sapesse bene che il tempo può cambiare in un attimo.
Con non poca abilità, anche le macchine passano per rua de São Miguel. I furgoncini soprattutto raggiungono le strade più difficili per rifornire i negozi e i ristoranti di ciò di cui hanno bisogno. Oggi davanti ai miei occhi stanno scaricando formaggi freschi e latte. Oltre alle persone e alle poche auto, ci sono cani di varie dimensioni che corrono per le strade, su per le scale e vicino ai miei piedi. Così come i residenti di Alfama, non stanno in casa, ma camminano, corrono e a volte schiacciano un pisolino in mezzo alla strada. Anche i cani sembrano partecipare a questi incontri di quartiere: giocano tra loro, litigano e si corteggiano a vicenda, indipendentemente dall’età, dalle dimensioni o dalla salute, a volte abbandonandosi a ululati di vita. La vita non è per essere vista, è per essere vissuta.
Dialoghi Mediterranei, n.60, marzo 2023
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Giulia Panfili vive attualmente a Roma. Ha studiato antropologia visiva a Lisbona e ha concluso il dottorato in antropologia, politiche e immagini della cultura, museologia con una tesi di ricerca etnografica in Indonesia sul wayang come patrimonio immateriale dell’umanità. Ha partecipato a convegni di antropologia e arte in Portogallo, Brasile, Inghilterra, Indonesia, e a mostre collettive di fotografia, illustrazione e stampa grafica presso gallerie e festival in Italia, Spagna, Portogallo, Indonesia. Tornando in Italia ha frequentato la Scuola Romana del Fumetto, dedicandosi quindi a disegno e illustrazione, con cui ha elaborato parte della tesi di dottorato. Ha approfondito in seguito tecniche e linguaggi della fotografia e del documentario audiovisivo con corsi formativi e progetti vincitori di bandi di concorso.
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