di Piero Alessandra
Come ha fatto l’uomo preistorico a lasciare l’Africa centrale per le regioni più a nord del continente per poi a migrare verso l’Eurasia? Non avrebbe potuto farlo se si fosse trovato davanti all’immensa distesa del deserto del Sahara così come la conosciamo oggi.
Diverse ricerche suggeriscono che le condizioni del deserto mutano profondamente in cicli di 20 mila anni, almeno da 240 mila anni a questa parte. E poiché i nostri lontani consimili hanno iniziato a lasciare l’Africa circa 170 mila anni fa, nella loro lenta e ripetuta migrazione verso nord hanno potuto sfruttare i periodi che trasformavano il deserto in una regione verde, ricca d’acqua e di animali come sono a testimoniare pitture e graffiti rupestri, ne sono stati scoperti 15 mila, che troviamo in Algeria.
Tra il 10.000 e il 2.000 a.C., quando ebbe inizio il processo di desertificazione, furono quasi tutte dipinte sulle cavità delle pareti interne create dall’erosione dell’arenaria e protette dalle rientranze della roccia. A questo periodo, quando il clima era di carattere tropicale e la zona era abitata da cacciatori, risalgono le immagini di grandi mammiferi africani e scene di caccia.
Il Tassili N’Ajjer è un grande altopiano nel Sud-Est del Sahara algerino, vicino al confine con la Libia, tra i pochi siti della Lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco iscritti come siti «misti», per i loro valori naturali come per quelli culturali.
Il massiccio del Tassili è uno dei siti desertici più spettacolari del mondo, con formazioni geologiche prodotte da milioni di anni di attività erosiva, tra cui si trovano oltre 300 archi naturali, profondi canyon, immense pianure rocciose nelle quali sorgono delle vere e proprie «foreste» di monoliti, punteggiate da grandi depressioni (le «guelta») che si riempiono di acqua occasionalmente nel corso di grandi tempeste.
La forte erosione delle rocce è stata accelerata dalle grandi variazioni di temperatura tra il giorno e la notte che possono arrivare fino a 50 gradi e portare alla spaccatura e anche alla polverizzazione delle arenarie, un fenomeno chiamato crioclastia.
L’altopiano del Tassili si trova a circa mille metri di altezza, copre un’area di oltre 72 mila chilometri quadrati che è compresa all’interno del Parco Nazionale del Tassili, e ha il suo punto più elevato nell’Adrar Afao, a 2.158 metri. Questo paesaggio, oggi desertico, ha visto nel corso degli ultimi diecimila anni grandi variazioni, passando da un clima tropicale ad uno temperato e poi ad una fase sempre più arida, fino alla completa attuale desertificazione.
Già nel 1980 partendo da Algeri a bordo di un vecchio camion Magirus Deutz riadattato per portare anche le persone, ebbi ad attraversare l’imponente catena montuosa dell’Atlante algerino e poi il Grande Erg occidentale.
Le condizioni estreme del deserto algerino non hanno permesso insediamenti umani, non esistono villaggi al suo interno e veramente poche sono le piste che lo attraversano. Ai limiti inferiori del Grande Erg occidentale, invece, si trovano numerose piccole oasi; facendone un giro in senso antiorario con il fatidico camion visitai Taghit, Béni Abbès, Timimoun, Ghardaïa e, tornando a nord, Laghouat.
Timimoun: sorge fra dune di colore giallo ocra e rosa ed è conosciuta per il colore dei suoi edifici costruiti in stile neo-sudanese di arenaria rossa: all’ombra di un boschetto di palme sorge l’antica fortezza, lo Ksar, nei cui pressi si possono ammirare tronchi di legno pietrificato.
Ghardaïa: fa parte di una cosiddetta pentapoli, ed è circondata da altri quattro insediamenti collinari: Melika, Beni Isguen, Bou Noura e El Atteuf. Venne costruita quasi mille anni fa nella valle dello Mzab dai Mozabiti facenti parte della setta musulmana ibadita, composta da musulmani non arabi, tra cui molti berberi.
Si tratta di un importante centro di produzione di datteri e di fabbricazione di tappeti e tessuti. È una città fortificata suddivisa in tre settori circondati da mura. Al centro è la zona storica mozabita, con una moschea dal minareto piramidale e una piazza con portici e case bianche, rosa e rosso, costruite con sabbia, argilla e gesso.
Tipica di questo deserto è la presenza di venti violenti che attraversano l’intero Erg senza incontrare ostacoli che ne rallentino la corsa; i venti, raggiunta una certa velocità, riescono a catturare e a tenere in sospensione grandi quantità di materiale.
Si formano così le tempeste di sabbia che arrivano a presentare un fronte fino quasi a 500 km, una nube impenetrabile capace di soffocare qualsiasi cosa, anche i suoni e la luce. Le tempeste si spostano ad una velocità di circa 50 km/h; la loro porzione di sabbia più grossolana non viene sollevata da terra per più di un metro, metro e mezzo, e ha un grande potere erosionale, quasi uno smeriglio naturale.
Al di sopra di questa porzione si trova uno strato di sabbia più fine mischiata a polveri e a minutissimi granelli di argilla. Spesso, durante questi eventi, la sabbia supera i confini del deserto sahariano, oltrepassando il Mediterraneo fino a noi ed anche oltre.
Ebbi a tornare con mia moglie nel 2009 in Algeria questa volta con il mio fuoristrada preparato per i grandi viaggi africani e asiatici.
Arrivammo molto più a sud di Timimoun e attraversando i monti dell’Assekrem giungemmo alla mitica Tamanrasset per poi risalire fino a Djanet e percorrere il Tadrart di fronte a quell’Acakus libico magnifico che già visitai e fotografai nel 2001. Ma questa è un’altra storia.
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
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Piero Alessandra, fotografa fin dai primi anni ’70 con banco ottico e macchine di medio formato. A Firenze, a partire dagli anni dell’università collabora con le riviste Pan Arte, Pegaso, il quotidiano La Città, la tv Telelibera Firenze ed altri periodici nazionali come fotografo e giornalista. Con la Lucio Pugliese Editore pubblica libri d’arte. Nel 1978 al Cenobio Fiorentino la sua prima personale di fotografia. Nel 2008 un reportage sullo Yemen viene proposto dal canale televisivo National Geographic. Partecipa a contest fotografici ottenendo segnalazioni e premi. Oggi l’attività di fotografo ritrattista e stampatore fine art si alterna a viaggi fotografici in tutto il mondo ed alla preparazione di pubblicazioni e mostre personali e collettive. Sue fotografie sono presenti in diversi Paesi.
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