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Angeli sopra la storia

Paul Klee, Angelus Novus

Paul Klee, Angelus Novus

di Sergio Todesco

Esiste un quadro che mostra palesemente di voler rivolgersi a chi lo guarda, ed è l’Angelus Novus di Paul Klee. Qui, una figura stilizzata di angelo, con le ali spiegate in avanti, tiene però la faccia ruotata di 180 gradi come l’indemoniata dell’Esorcista, e guarda fisso negli occhi lo spettatore.

Il suo sguardo è vivace, sornione, quasi allegro se non beffardo. Pare che se la rida a compiere quella estrema torsione che ce lo pone dinanzi, vis a vis, nonostante la sua direzione e il suo télos vadano in senso inverso.

Walter Benjamin ci ha lasciato, proprio nelle sue Tesi di filosofia della storia, del 1940 (poi in Angelus Novus, evidentemente ispirato al dipinto), delle considerazioni folgoranti sull’Angelo di Klee:

«C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi» (Benjamin 1940: 80).

L’Angelo guarda noi, e dietro noi dispiega lo sguardo sull’intero nostro passato, sulla storia dell’uomo. E questa storia, che a noi appare “catena di eventi”, egli la vede e la compendia come “una sola catastrofe”. E come avrebbe potuto vederla altrimenti l’angelo-Benjamin che, scrivendo quelle pagine nel 1940, aveva dinanzi a sé la catastrofe nazista, quella sorta di male assoluto che ha imbrattato per sempre la storia dell’uomo, sicché questa storia da allora in poi non è più riuscita a essere pulita, “presentabile”?

Benjamin vuole forse dirci che il mito del progresso illimitato, della civiltà che ascende de claritate in claritatem (come argomentava ingenuamente il buon vecchio Croce), è appunto un mito; che la barbarie sta sempre acquattata dietro le nostre magnifiche sorti e progressive, pronta sempre a saltar fuori tutte le volte che i sonni della nostra ragione producono mostri.

In Russia e in Cina, ad esempio, il sonno della ragione comunista ha prodotto dapprima lo stalinismo, seguìto ben presto da una serie di archeo-capitalismi caratterizzati dalla barbarie, dal disprezzo della libertà e della dignità della persona, da una sostanziale logica da bestiame bovino (già lucidamente preconizzata da Orwell nella sua allegorica Animal Farm).

Ghetto ebraico, Varsavia 1943

Ghetto ebraico, Varsavia 1943

Ma l’Occidente eurocolto non è stato capace di far di meglio. Senza considerare di che lacrime grondi e di che sangue la sua (oggi solo apparente) opulenza, con le stragi e i genocidi che hanno punteggiato il suo affermarsi come culla della democrazia, con gli orrori delle avventure coloniali e i tanti cuori di tenebra che ne hanno caratterizzato il percorso, senza considerare tutto ciò, basterebbe solo riflettere sulla radicale perdita di senso che in Europa e in America ha investito gran parte degli orizzonti esistenziali, ideologici, etico-politici delle persone. I recenti esempi di sovranismo, razzismo, intolleranza e paura di tutto quanto sia diverso, posti in essere dalle macchiette politiche oggi maggioritarie, sono lì a dimostrare come l’Occidente abbia come smarrito una parte significativa della propria identità, quell’identità faticosamente costruita in duemilacinquecento anni attraverso la civiltà greca, il messaggio evangelico, l’umanesimo, l’Illuminismo, le grandi battaglie per la democrazia e la cultura dell’incontro e del confronto amichevole con tutte le esperienze culturali, religiose, sociali espresse da quanti, in buona fede, avessero analoga cura per le sorti comuni del pianeta.

Ecco il cumulo delle rovine di cui ci parla Benjamin, quelle rovine tra le quali noi oggi ci muoviamo a fatica cercando di tornare a sillabare discorsi elementarmente umani, discorsi che in questo triste tempo di barbarie forse al solo Jorge Mario Bergoglio sembrano stare a cuore.

A metà del secolo scorso Claude Lévi-Strauss aveva già messo in dubbio la concezione unilineare e progressiva dello sviluppo delle civiltà (Lévi-Strauss 1967: 115). Circa un decennio più tardi, in Italia, Pier Paolo Pasolini, nella forma poetica che gli era propria, contestava l’identificazione tra “sviluppo” e “progresso”, segnalando profeticamente come la società dei consumi avrebbe sortito – come poi è di fatto avvenuto – quella devastante “scomparsa delle lucciole” che ha progressivamente impoverito gli orizzonti naturali e culturali dei nostri angoli di mondo, facendo smarrire le identità locali e producendo una perniciosa mutazione antropologica che ha arrecato danni alla qualità della vita e ai rapporti delle comunità con gli ecosistemi in cui esse sono inserite (Pasolini 1975).

Eppure….. eppure deve esserci per noi una maniera di evadere da questa prigione. Secondo Benjamin (un tipo assai strano, che studiava tanto Karl Marx quanto la Qabbala ebraica) ci può essere un télos, una direzione che l’umanità tutta può imbroccare. Ma questa direzione l’umanità non è in grado di darsela da sé. Deve attendere (messianicamente) che giunga un vento, una tempesta a indicarne il senso di marcia. Leggiamo come egli prosegue il brano sopra riportato:

«Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta» (ibid.).
Francisco Goya, El Cristo crucificado

Francisco Goya, El Cristo crucificado

A me l’Angelo della Storia fa spesso venire in mente il piccolo ebreo polacco sfrattato dal ghetto e deportato insieme ai suoi nel 1943. Forse però quelle braccia alzate, e quello sguardo non più beffardo ma pieno di amore e, perché no, anche ironico sulla nostra povera condizione umana è forse il caso di poterlo scorgere nel giovanotto di Galilea un tempo appeso a una croce, e in quello che il messaggio da lui lasciato possa ancora dare alla nostra estenuata modernità.

Angeli dunque. A dispetto dell’immagine equivoca e farsesca che di esse ci consegna la New Age, le figure angeliche costituiscono una presenza costante e molto profonda nella cultura e nell’immaginario di moltissime società sparse nell’intero pianeta. Esseri mediani tra la divinità e l’uomo, gli angeli declinano tale loro ruolo in modi estremamente variegati in ordine ai quadri di riferimento delle diverse culture in seno alle quali la loro presenza ha rivestito senso storico ed esistenziale. Secondo Henry Corbin ogni teofania è un’angelofania, in quanto l’angelo è il volto che Dio mostra all’uomo per consentirgli di superare la distanza che intercorre tra l’inconoscibile e se stesso (Corbin 1986).

Che si tratti di angeli ribelli o custodi, di angeli guida o pesatori di anime, di angeli nunzianti o vindici, che puniscono o viceversa consolano, tali figure – tanto nello sterminato patrimonio orale quanto nell’altrettanto vasto ambito della ritualità festiva – vivono una condizione non ancora allontanatasi dalla sfera umana, verso la quale mostrano a volte di provare sentimenti di nostalgia. Ciò deriva probabilmente dalla loro origine, ascritta in ambito popolare non già, o non solo, alla “divine election” avvenuta in illo tempore (come nel caso degli Angeli e Arcangeli custodi o messaggeri o protettori etc.) bensì a una precedente condizione di infanti ovvero alla loro permanenza in uno stato intermedio – a volte non “pacificato” – che li rende elettivamente partecipi della condizione umana. L’idea di fondo è che tutti gli uomini siano, in definitiva, “angeli caduti”, in quanto quotidianamente invischiati tra una realtà meramente corporea e l’aspirazione alla trascendenza.

Lorenzo Lotto, Annunciazione di Recanati, 1535

Lorenzo Lotto, Annunciazione di Recanati, 1535

Nella cultura popolare siciliana la figura dell’angelo si trova quasi sempre inserita in contesti volti a metterne in luce gli aspetti connessi alla domesticità della loro presenza nella vita dell’uomo. Si potrebbe, per grandi linee, sostenere – suffragando l’assunto con un’abbondante documentazione testuale e iconografica – che mentre nelle produzioni artistiche colte la presenza di un angelo segnala una frattura ontologica e, per così dire, l’irrompere dell’eterno nel tempo (un esempio per tutti, la straordinaria Annunciazione di Lorenzo Lotto, 1535), la cultura figurativa popolare ci mostra piuttosto dei Lari benefici che, anche quando introducono gli esseri umani al cospetto di eventi numinosi, lo fanno  nella veste di figure ausiliarie ancora pienamente calate nella realtà e nella storia umane. Essi sono, rispetto agli eventi sacri che la loro presenza dischiude o presentifica, più dei testimoni “informati sui fatti” che gli araldi misteriosi di un mondo lontano. Sotto tale profilo, essi mostrano paradossalmente una maggiore vicinanza e sintonia con le figure di angeli che hanno attraversato la storia letteraria, filosofica, figurativa nel corso del XIX e XX secolo, quegli angeli luoghi di mediazione tra mondo materiale e mondo immaginario, come essi sono stati percepiti da alcuni tra i più acuti esponenti della letteratura, dell’arte e della cultura moderna e contemporanea, da Baudelaire a Klee, da Benjamin a Rilke, da Corbin a Wenders, a Cacciari.

Le rappresentazioni angeliche nell’arte figurativa popolare siciliana sono estremamente variegate e riguardano tipologie produttive e materiali diversificati: si va dalla statuaria, quasi sempre in legno o cartapesta, alla ceroplastica, alla pittura decorativa delle sponde di carretto, alla madreperla devozionale, alla pittura su vetro, in cui si registra la gamma più ampia di figurazioni. I temi più ricorrenti, tra quelli che vedono la presenza di angeli, sono i temi vetero e neo-testamentari; tra i primi, le scene bibliche quali la creazione di Adamo ed Eva, il peccato originale e la cacciata dal Paradiso, in cui gli angeli affiancano con la loro presenza l’opera creatrice di Dio o ne eseguono, con tanto di spada fiammeggiante, il giudizio; troviamo angeli che sovrintendono alla costruzione dell’Arca da parte di Noè, un angelo che arresta la mano di Abramo in procinto di sacrificare Isacco, schiere di angeli che salgono lungo la scala nel sogno di Giacobbe o la lotta notturna di quest’ultimo con l’Angelo di Dio. A parte si registra la preponderanza di raffigurazioni con Tobia e l’Angelo, di grande apprezzamento presso i ceti popolari proprio in quanto angelo custode.

Tobiolo e l'Angelo, pittura su vetro, fine sec. XVIII

Tobiolo e l’Angelo, pittura su vetro, fine sec. XVIII

Molto più spesso figure di angeli sono presenti tanto nel ciclo della nascita di Gesù, dall’annunciazione di Maria alla natività e all’annuncio ai pastori, dalla presentazione al tempio alla fuga in Egitto, quanto in episodi della vita adulta di Gesù come il battesimo, la preghiera nel monte degli Ulivi, la crocifissione, la resurrezione, l’ascensione al cielo. Angeli musici e cherubini festanti attorniano inoltre, in molte raffigurazioni, l’icona della Madonna.

Sotto il profilo rituale, figurazioni di angeli connotano numerose feste popolari siciliane. L’usanza di vestire per voto angioletti con gioielli in occasione di feste è attestata, in area messinese, a San Pier Niceto durante la Settimana Santa, a Monforte San Giorgio il Venerdì Santo, a Patti nel giorno della festa dell’Annunziata, a Sant’Angelo di Brolo per l’Epifania. Altre figure di angioletti ricoperti di gioielli erano peraltro presenti in centri della provincia di Messina, quali Patti Marina (festa dell’Addolorata), Montagnareale (Madonna delle Grazie), Alì Superiore (Sant’Agata), Gioiosa Marea, Mongiuffi Melia (lunedì in albis), nonché, secondo scarne testimonianze orali, in una non precisata frazione di Piraino. Figure di angeli inoltre contrassegnano, o contrassegnavano, le ritualità popolari nel resto della Sicilia, dagli angeli infanti che affollano le enormi machine festive processionali quali ad esempio le vare di Messina e di Randazzo, all’Angelo Gabriele nella Vara di Fiumedinisi condotta in processione nella Festa Grande agostana che ha luogo ogni cinque anni, alla volata o calata degli angeli nelle feste di San Nicolò Politi ad Adrano, di San Giuseppe a Misilmeri, a Casteldaccia, a Villafrati, a Vicari e a Ciminna per la Madonna del Rosario,  di Santa Fortunata a Baucina, e di numerosi altri centri dell’areale palermitano, soprattutto in occasione di rituali legati alla Settimana Santa (Sciascia, Scianna 1965; Buttitta 1990).  A Sant’Angelo di Brolo, in provincia di Messina, è addirittura sorto da anni un Museo degli Angeli

San Michele Arcangelo, pittura su vetro, inizi sec. XIX

San Michele Arcangelo, pittura su vetro, inizi sec. XIX

Fuori dalla nostra isola, possono inoltre essere menzionati a titolo comparativo i voli di angeli presenti in molte feste lucane e campane, gli angioletti imbracati alle machine processionali dei misteri per il Corpus Domini di Campobasso o alla Varia di Palmi (Reggio Calabria), la festa della Madonna di Carpineto a Rapino (Chieti), con la presenza di angioletti e verginelle, gli angioletti presenti nella festa di Sant’Urbano a Bucchianico (Chieti), l’angioletto ingioiellato che cavalca il bue di San Zopito a Loreto Aprutino (Pescara), la cavalcata degli angeli a Incoronata (Foggia) etc. (per San Zopito cfr. Di Nola 1976; Spitilli 2012: 155-174).

In questa sede mi limito a citare un caso di ritualità angelica proveniente da un comune siciliano, nella quale mi pare emerga la caratteristica mediatoria di tali figure. Una indagine sul campo condotta a varie riprese agli inizi degli anni ’90 a San Pier Niceto, paese collinare in provincia di Messina, mi ha consentito di rafforzare l’ipotesi che nell’immaginario popolare bambini in veste di angeli vengano strumentalmente investiti di valenze mitiche e resi dunque funzionali, in tale veste, a consentire la trasposizione su di un piano metastorico e la risoluzione simbolica di contraddizioni che pertengono la realtà quotidiana.

In questo paese il martedì che precede la Pasqua si svolge in forma solenne un singolare rituale votivo, che viene poi replicato in forma minore il successivo Venerdì Santo: un notevole numero di bambini di tenera età (da due a quattro anni) sfilano per le vie del paese al seguito del Cristo in Croce portando appesi sul proprio corpo una grande quantità (mediamente 5 kg. ciascuno) di monili d’oro. La festa e la processione sono dette “del Crocifisso” perché appunto un Crocifisso ligneo dalla locale chiesa di S. Giacomo viene condotto, attraverso un articolato percorso rituale [1] sino alla Chiesa Madre e poi da questa ritorna al luogo di partenza; ma esse sono maggiormente conosciute nel comprensorio come processione e festa “degli angioletti”. In effetti sono loro i veri protagonisti del rito; dalla piazzetta della chiesa sfilano silenziosi per tutte le strette e irte strade del paese indossando una vestina bianca sulle cui spalle sono assicurate piccole ali di colomba.

San Pier Niceto, Angioletto, anno 20

San Pier Niceto, Angioletto, anno 20

Il corpetto e le braccia sono fittamente ricoperti di ori e gioielli, bracciali, orecchini, collane, anelli spesso molto antichi, che compongono sfavillanti arabeschi; sui capelli le collane sono raccolte a formare corone e diademi che sottolineano la regalità con cui questi bimbi d’oro incedono, rivestendo la parte principale in un rito il cui senso viene da essi condiviso attraverso l’assunzione di modelli di comportamento che l’intera comunità provvede a trasmettere loro.

Tenuti per mano dai genitori essi muovono i loro esitanti passi sotto il peso dello splendente carico, preceduti dalle monachelle, bimbe vestite da Addolorata, e seguiti dagli angioloni, angeli di più grossa taglia (da quattro a sei anni) decorati con monili di minor pregio [2].

San Piero Niceto, Angioletto, anni 30

San Piero Niceto, Angioletto, anni 30

Una volta giunti alla chiesa Madre, gli anciuleddhi, gli angioloni e le monacheddhe vengono chiusi, insieme ai genitori o agli adulti che li hanno condotti per mano in processione, all’interno della sacrestia, mentre all’esterno della chiesa viene celebrata una messa en plein air dalla quale essi sono esclusi; durante la funzione, all’interno del sacro recinto il tempo è di solito occupato da rituali fotografici: gli angioletti posano per una foto ricordo insieme ai rispettivi accompagnatori, ma naturalmente hanno anche il tempo per piangere, dare in escandescenze, giocare tra loro o mangiare gelati e patatine fritte.

Finita la Messa essi si rimettono solennemente in fila per riaccompagnare il Crocifisso alla chiesa di S. Giacomo, dove il corteo si scioglie, nel frastuono delle musiche bandistiche e dei fuochi d’artificio, nel generale sollievo per la buona riuscita del rito determinata anche dal fatto che gli angioletti “si sono comportati bene” e hanno sopportato le fatiche della sfilata.

San Pier Niceto, Martedì santo, Festa del crocifisso (ph. G. Fiorentino)

San Pier Niceto, Martedì santo, Festa del crocifisso (ph. G. Fiorentino)

L’organizzazione della festa prende le mosse alcuni mesi prima del periodo pasquale, allorquando alcune coppie o singoli adulti, per ottenere una grazia o in segno di ringraziamento per una grazia concessa, decidono di vestire un angioletto, con il quale comunque non devono essere necessariamente in relazione di parentela. La formula con cui i voventi pongono in essere il loro contratto è pressoché uguale in ogni circostanza: “Santissimu Crucifissu, si Vui m’a faciti stari bona, sta figghiuleddha iò b’a vestu di anciuleddha” o “Si mi faciti sta grazia, bi vestu un anciuleddhu” [3]. L’anciuleddhu in questione può essere il proprio figlio o il figlio di amici o di parenti che viene dunque prestato a chi ha contratto voto allo scopo di rendere possibile lo scioglimento dell’impegno assunto con la divinità. La fase successiva consiste nel cercare, in famiglia o nella cerchia delle amicizie, le gioie che serviranno per la decorazione. Dalla quantità di gioielli che adornano ciascun angioletto è lecito ipotizzare che tale raccolta coinvolga mediamente circa venti famiglie per la vestizione di  ogni bambino, famiglie che vengono scelte preferibilmente nell’ambito del paese, ma che possono anche provenire dai centri limitrofi o addirittura dal capoluogo.

San Pier Niceto, Martedì Santo, processione degli angioletti, inizi sec. XXI (ph. G. Fiorentino)

San Pier Niceto, Martedì Santo, processione degli angioletti, inizi sec. XXI (ph. G. Fiorentino)

Pur non essendoci una palese competizione nella ricerca dei preziosi, è tuttavia evidente che il prestigio di una famiglia venga assicurato da un costume particolarmente carico di ori. È infatti opinione diffusa in paese che attraverso una raccolta particolarmente abbondante e ricca di oggetti di maggior pregio, il nucleo familiare acquisisca una posizione di prestigio agli occhi dell’intera comunità. Un tempo si faceva pure a gara nell’iscrivere il proprio angioletto alla processione prima degli altri, dato che da tale precedenza scaturiva il diritto di sfilare per primi, aprendo il corteo dei bambini votivi. Nonostante da qualche anno le precedenze nella processione vengano stabilite in base a un sorteggio, è tutt’ora opinione comune che, dei bambini d’oro che sfilano, “u primu havi cchiù pompa”.

I gioielli, una volta raccolti, vengono quindi affidati, circa un mese prima della festa, ad alcune donne del paese che si occupano della realizzazione delle vestine, decorate secondo un criterio e degli stilemi abbastanza formalizzati, nonostante lo spazio accordato ad apportare annualmente qualche modifica [4].

La ricerca e la messa in circolazione, all’interno di un evento liturgico, di preziosi per voto meriterebbe un approfondimento. Come è noto, un’eccellente proposta di lettura delle dinamiche votive incentrata sul concetto di scambio e di contrazione di un debito tra esseri di diversa potenza (nella fattispecie attraverso la pratica delle tavolette dipinte ex voto) è stata avanzata da Pietro Clemente. D’altra parte Clara Gallini ha posto l’accento sul dono come fonte di circolazione comunitaria di beni simbolici. Ebbene, a me pare che la pratica del prestito, così come essa viene posta in essere a San Pier Niceto, sia una realtà che in qualche misura media le due pratiche dello scambio e del dono (Gallini 1973; Clemente 1982).

San Piero Niceto, Martedì Santo, Angioletto, iniz sec. XXI (ph. G. Fiorentino)

San Piero Niceto, Martedì Santo, Angioletto, iniz sec. XXI (ph. G. Fiorentino)

Tale significativo elemento è pure presente, in un differente contesto celebrativo, in un altro centro della provincia; ad Alcara Li Fusi, sui Nebrodi, per la festa di San Giovanni Battista i “Muzzuna” (brocche col capo mozzato avvolte da un fazzoletto di seta e contenenti primizie agrarie) vengono interamente decorati, nella notte del 24 giugno, con i gioielli raccolti dagli abitanti dei singoli quartieri all’interno della rispettiva “famiglia estesa” (Todesco 2021).

San Piero Niceto, Martedì Santo, Angioletto, iniz sec. XXI (ph. G. Fiorentino)

San Piero Niceto, Martedì Santo, Angioletto, iniz sec. XXI (ph. G. Fiorentino)

È prematuro proporre un’esaustiva chiave di lettura della festa degli angioletti di San Pier Niceto, nonché delle sue indubbie connessioni con quadri di riferimento comuni a una parte notevole della cultura popolare siciliana e risalenti al contempo a mitologhemi di cui può trovarsi traccia nel mondo classico.

Mi pare utile esaminare in via provvisoria alcuni aspetti della festa, e del complessivo rituale votivo cui essa è strettamente legata, sui quali sarebbe opportuno uno sforzo di approfondimento volto a rendere conto del senso della vicenda festiva al di là delle convinzioni espresse dalle persone in essa coinvolte:

a) La tripartizione operata all’interno dell’intero mondo dell’infanzia (angioletti, angioloni, monachelle) che tende a sistematizzare con un’operazione classificatoria le modalità di mediazione che tale mondo è chiamato a porre in essere (Lévi-Strauss 1964; Cardona 1985);

b) la stretta contiguità ideologica e simbolica tra bambino e gioiello, determinata dal fatto che entrambi possono essere prestati, entrando così in un circuito comunitario di circolazione e di scambio utile a creare solidarietà e coesione sociale (Mauss 1965; Gallini 1973; Clemente 1982);

c) lo statuto di mediatori assunto dai bambini, i quali per il ruolo ritualmente rivestito, quello degli angeli, sono probabilmente assimilati alle anime dei defunti. Nel corso di un’indagine sul campo svolta negli anni ’80 sono stati registrati pochi ma significativi casi di sostituzione: un bambino veniva vestito da angioletto al posto del fratellino morto; Ne Il Ponte di San Giacomo Luigi M. Lombardi Satriani e Mariano Meligrana osservano come «nella percezione folklorica, la prossimità del bambino alla nascita comporti con la precarietà una maggiore vicinanza ed esposizione al rischio radicale del non esserci» (Lombardi Satriani, Meligrana, 1982: 108).

d) il tempo della Passione come tempo rituale propizio alla resa di grazie;

f) il momento della segregazione dei bambini durante il sacrificio della Messa, che potrebbe alludere a una sorta di incubatio attraverso la quale gli “angioletti” possano essere magicamente investiti da una forza sacrale avente efficacia terapeutica della quale poi rendere partecipe, nella seconda fase della processione, l’intera comunità (Rossi 1969: 98-99).

Fuga della sacra famiglia in Egitto, fine  se. XIX

Fuga della sacra famiglia in Egitto, fine se. XIX

Appare inoltre estremamente utile, come possibile chiave di lettura di aspetti non trascurabili del fenomeno esaminato sotto un profilo sociologico, l’adozione della categoria vebleniana dell’ostentazione vistosa, procedimento attraverso il quale l’evento rituale diventa un’occasione per creare sempre di nuovo una serie di scarti sociali tra i ceti, o tra le famiglie all’interno di uno stesso ceto (Veblen 1971).

Un aspetto degno di interesse, che costituisce la chiave di lettura inizialmente proposta della festa come luogo della terapia attraverso la visione, è infine rappresentato  dal fatto che lo scioglimento del voto contratto è sostanzialmente basato sullo sfilare, mostrandosi all’intera comunità, in una circostanza fortemente ritualizzata. Si evidenzia così, notificandola pubblicamente, l’avvenuta guarigione a una comunità particolarmente ricettiva e compartecipe, cui non rimane che prendere atto dell’efficacia dell’intervento salvifico operato attraverso il rito e quindi sancire la riammissione dei voventi nel consorzio dei sani. L’atto votivo si rivela così veicolo di una strategia dell’essere nel mondo attraverso continui atti di rassicurazione della propria presenza.

Regina Angelorum, metà sec. XIX

Regina Angelorum, metà sec. XIX

In una tale prospettiva la sfilata degli angioletti d’oro, nonché essere rivolta a una divinità nei confronti della quale occorre rispettare i termini di un contratto, è piuttosto un linguaggio che crea senso, una produzione ciclica, liturgicamente scandita, di messaggi rivolti a un destinatario prettamente umano.

Il temporaneo sacrificio dell’oro, cui tutta la comunità in qualche misura si sottopone, si rivela segno eminente della strenua prassi popolare di giustificare l’ineluttabilità dell’umano patire facendo defluire l’enorme potenza del negativo quotidiano (E. de Martino)  entro una condivisione comunitaria di quel patire, strategia principe di qualunque agire terapeutico.

La ricerca, interrotta per motivi contingenti, non ha consentito di accertare quali di queste possibili direzioni fossero maggiormente feconde di esiti e utili a ritessere la trama culturale della quale il rituale qui descritto mostrava soprattutto i larghi squarci.

S.Maria della Sacra Lettera. protettrice del popolo di Messina, fine sec. XIX

S.Maria della Sacra Lettera. protettrice del popolo di Messina, fine sec. XIX

È comunque indubbio che la festa di San Pier Niceto, ancora oggi vitale, per il suo essersi alquanto preservata dai distruttivi processi di mercificazione del folklore posti in essere dalla cultura urbanocentrica che caratterizza la nostra società, possa costituire un’occasione non banale per riflettere su meccanismi arcaici ormai quasi ovunque desueti, attraverso i quali si renda possibile dispiegare lo sguardo, sia pure da lontano, su una delle strategie di conferimento di senso che hanno concorso insieme ad altre a delineare l’identità della cultura popolare siciliana. Figure mediane e tutelari, gli angeli continuano in tal modo ad abitare, spesso servendosi dei corpi dei bambini, le giornate storiche del popolo siciliano.

Anche la grafica si è, da quando esiste, cimentata in un’ampia gamma di figurazioni angeliche, come si potrà constatare compulsando gli esempi offerti dalle numerose stampe devote diffuse in Sicilia e altrove raffiguranti tali entità. Dagli angeli “attori” per entro pregnanti affreschi narrativi di grande potenza metafisica, agli angeli decorativi nei capilettera delle Sacre Scritture, agli esseri alati che contornano tanto le deità pagane quanto la Vergine Maria e i santi del Cristianesimo, essi non cessano di costituire un orizzonte, e per ciò stesso un limite con cui la cultura occidentale, per rimanere ai nostri contesti, ha da sempre dovuto fare i conti.

Figure mediane e tutelari, in qualche misura inquiete al pari delle fotografie dei morti (Faeta, 1989: 29-76), gli angeli continuano in tal modo ad abitare, invisibili ma efficaci, le giornate storiche del nostro presente. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025 
Note
[1] La Domenica delle Palme un comitato cui è affidata l’organizzazione della festa sorteggia l’ordine di precedenza nella sfilata, mentre un tempo essa veniva determinata secondo un ordine cronologico. La processione, partendo dalla Chiesa di San Giacomo che custodisce il Crocifisso ligneo, scende attraverso la via Guglielmo Marconi (’a scinnuta ’i San Franciscu) che sbocca sulla Piazza Luigi Certo (chiamata chianu ’i Jinnaru per essere stata un tempo luogo di raduno dei vecchi carrettieri nei mesi più freddi dell’anno); da qui si immette in Corso Italia che percorre, seguendone le tortuosità, fino alla Matrice. La festa si replica, per la contemporanea celebrazione dei riti della Passione, il Venerdì Santo, ma con diversa partecipazione e secondo un diverso percorso. La processione allora tocca anche la Chiesa del Rosario, la Chiesa di Santa Caterina (da cui procede l’Ecce Homo), la Chiesa di San Rocco (da cui esce l’Addolorata), la Chiesa di Pompei e la Chiesa del Carmine. Sino a qualche decennio fa venivano condotte in processione anche le Varette, le cui figurazioni erano interpretate dagli stessi abitanti del paese attraverso una serie di tableaux vivents; ancora oggi (1991), in particolare, è vivo nella comunità il ricordo della Donna Vana, ovvero la Maddalena prima del pentimento (essa veniva infatti seguita dalla figura di una Donna Pentita), il cui ruolo di anno in anno veniva ricoperto dalla ragazza più bella del paese. Per la prescelta era poi motivo di perenne vanto l’essere stata Donna Vana, a onta dell’ostracismo e delle critiche da parte dei benpensanti che ne stigmatizzavano gli atteggiamenti “peccaminosi”. Anche per questo motivo in passato qualche parroco ha osteggiato la manifestazione per il suo carattere pagano.
[2] Gli angioletti portano applicate sulla vestina delle vere ali di piccione (’u palummeddhu). Per confezionarle si uccide un colombo e si tagliano con delle forbici le sue ali all’altezza dell’attaccatura; queste vengono quindi completamente distese e poste sotto una pressa, dopo essere state ricoperte con pezze di cotone idrofilo imbevuto di alcol etilico al fine di favorire la mummificazione delle carni residue, per quaranta giorni, o per un più lungo periodo se ’u palummeddhu è di grossa taglia. Alla fine di tale preparazione le ali, definitivamente irrigidite in posizione di volo, vengono cucite con l’aiuto di un supporto di cartone sulla vestina di ciascun angioletto all’altezza della nuca. Per gli angioloni la realizzazione delle ali è meno complessa: si tratta infatti di grandi ali posticce di cartone, ricoperte di panno lenci bianco e decorate con del tulle.
[3] Le notizie sulle modalità del rituale votivo sono state raccolte, nel corso dell’indagine sul campo condotta con Roberto Motta (1991), attraverso gli informatori Marta Borgese, casalinga, 63 anni; Grazia Nuccio, maestra di cucito, 77 anni; Antonio Pitrone, sacrista in pensione, 67 anni; Caterina Ruggeri, casalinga, 71 anni; Pino Ruggeri, edicolante, 50 anni; Antonino Terrizzi, medico, 36 anni, al tempo ringraziati per la partecipe collaborazione.
[4] Un tempo, secondo alcuni informatori, l’oro “viniva mittutu a massa” mentre oggi (1991) “si fannu i disegni”. In realtà da documenti fotografici risalenti agli anni ’20 risulta che almeno a quella data fossero già presenti nelle vestine decorazioni rigorosamente codificate. ’A vistina, in pesante raso bianco, viene ricoperta con pezze di panno lenci nero con l’anima in cartone, su cui sono opportunamente sistemati, attaccati con cuciture, i gioielli o le serie di composizioni a figure fitomorfe, animali o realizzate con elementi meramente decorativi utilizzando bottoncini dorati, passamanerie e altri oggetti “luccicanti” di facile reperimento in merceria. Le sarte che realizzano le decorazioni vengono prenotate circa sei mesi prima della festa, ma per motivi di sicurezza l’oro viene affidato alle artigiane solo qualche giorno prima della processione. 
Riferimenti bibliografici
Baudelaire Ch., I fiori del male, trad. G. Raboni, Torino, Einaudi, 2014.
Benjamin W., Tesi di filosofia della storia, in Id., Angelus Novus. Saggi e frammenti, a cura di R. Solmi, Torino, Einaudi, 2010: 75-86.
Bloom H., Visioni profetiche. Angeli, sogni, risurrezioni, Milano, Il Saggiatore, 1996: 41-77.
Bussagli M., Storia degli Angeli. Racconto di immagini e di idee, Milano, Rusconi, 1995.
Buttitta A., Le feste di Pasqua, Palermo, Sicilian Tourist Service, 1990.
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Sergio Todesco, laureato in Filosofia, si è poi dedicato agli studi antropologici. Ha diretto la Sezione Antropologica della Soprintendenza di Messina, il Museo Regionale “Giuseppe Cocchiara”, il Parco Archeologico dei Nebrodi Occidentali, la Biblioteca Regionale di Messina. Ha svolto attività di docenza universitaria nelle discipline demo-etno-antropologiche e museografiche. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le quali Teatro mobile. Le feste di Mezz’agosto a Messina, 1991; Atlante dei Beni Etno-antropologici eoliani, 1995; Iconae Messanenses – Edicole votive nella città di Messina, 1997; Angelino Patti fotografo in Tusa, 1999; In forma di festa. Le ragioni del sacro in provincidi Messina, 2003; Miracoli. Il patrimonio votivo popolare della provincia di Messina, 2007; Vet-ri-flessi. Un pincisanti del XXI secolo, 2011; Matrimoniu. Nozze tradizionali di Sicilia, 2014; Castel di Tusa nelle immagini e nelle trame orali di un secolo, 2016; Angoli di mondo, 2020; L’immaginario rappresentato. Orizzonti rituali, mitologie, narrazioni (2021).

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