Un’introduzione storico-comparativa
Tra i lungometraggi più atipici della produzione di Adolph Zukor e di Maurice Tourneur (1876-1961) vi è The Blue Bird (1918, Famous Players-Lasky Corp., distribuito da Artcraft Pict.), basato sulla pièce teatrale L’Oiseau Bleu di Maurice Maeterlinck [1]. L’analisi di questo prodotto filmico comporta diverse questioni filosofiche inerenti sia al rapporto tra opera teatrale e la conseguente traduzione cinematografica sia all’uso [2] dell’animazione stop-motion. Quest’ultima tecnica d’animazione, in The Blue Bird, risulta essere rilevante ai fini della rappresentazione idealistica di oggetti-personaggi che si animano e personificano (il Fuoco, il Tempo, il Pane, ecc.).
La trama del lungometraggio si presta ad un’analisi interpretativa secondo un’accezione filosofico-simbolista, condotta attraverso gli spunti presenti nel saggio di Henry Rose Maeterlinck’s Symbolism (1910) circa il lavoro di Maeterlinck. In ogni caso, in questo saggio si cercherà di chiarire come la pièce ma soprattutto il film, attraverso il ruolo corroborante dell’animazione, possano essere letti secondo una chiave di lettura, oltre che simbolista [3], riferibile all’idealismo platonico. D’altronde, nel dibattito intorno alla philosophy of film diversi studiosi come, tra gli altri, Thomas E. Wartenberg (2007) o Damian Cox e Michael P. Levine (2011) ritengono possibile una “posizione dialettica” tra il cinema e la filosofia (Terrone 2014, 156), secondo cui i prodotti filmici «possono dialogare conformemente agli schemi e ai temi del dibattito filosofico canonico» (Terrone 2014: 156).
The Blue Bird è un film di genere fantasy, della durata di circa 75 minuti, che presenta la sceneggiatura di Charles Maigne, la fotografia di John Van den Broeck e la scenografia di Ben Carré. La storia [4] ha come protagonisti due bambini in condizioni di indigenza, Mytyl e il fratello Tyltyl, a cui fa visita un’anziana fata rassomigliante alla loro vicina di casa [5]. La fata, chiamata Berylune, dona a Tyltyl un cappello con un diamante magico, che gli permette di vedere l’essenza delle cose e la realtà in profondità, fino ad animare così lo Zucchero, il Pane, il Fuoco, il Latte, la splendente Luce [6], il fedelissimo Cane e la subdola Gatta [7], che accompagneranno i due ragazzi alla ricerca dell’uccellino azzurro (simbolo di felicità [8]), permettendo così la guarigione della figlia della fata (la quale si trasforma poco dopo in una bellissima giovane).
Per comprendere il ruolo simbolico degli oggetti come Zucchero, Pane, Fuoco, Latte, bisogna ricordare, come sottolineato da Henry Rose, le parole di Berylune presenti sia nel testo teatrale sia nelle didascalie del film del 1918. In esse, infatti, la fata preannuncia che coloro che seguiranno i protagonisti sono destinati a morire subito dopo il viaggio: dunque questi oggetti rappresenterebbero «things which are necessary to Man’s physical life» (Rose 1911: 25), e pertanto inutili nel mondo dell’aldilà. Questo ruolo, comunque, non sembrerebbe essere ben compreso né dagli oggetti né dai protagonisti. Il cane, invece, secondo Rose (1911, 23) «represents the primary instincts of humanity. He also represents the spirit of fidelity and obedience. The Cat typifies the active power of evil».
Mytyl e Tyltyl nel loro viaggio arriveranno, tra le varie tappe, nel palazzo della fata, nel Palazzo della Notte (con l’essenza della Guerra) ma anche in un cimitero in cui vedranno alcuni dei familiari morti. In alcuni di questi percorsi i due ragazzi, i quali rappresentano l’innocenza (Rose 1911:16), incontrano l’uccellino blu che tende tuttavia a sfuggire loro di continuo, costringendoli a continuare il percorso. Dopo, i protagonisti giungono ai giardini della “Felicità”, composti da felicità fittizie come quelle edonistiche [9] (ad esempio incontrano Felicità-di-essere ricchi, la Felicità-d’essere-proprietari, la Felicità-della-vanità soddisfatta), che non possiedono in alcun modo l’uccellino azzurro. I bambini, tuttavia, grazie alla loro innocenza in questo luogo rinunciano ai piaceri dei banchetti, e, una volta girato il diamante, notano che queste “Felicità” sono in realtà molto tristi [10], intravedendo così le vere gioie della vita (come la Felicità-dell’-aria pura, fino alla più importante: l’amore materno, il cui affetto è reso materiale dai baci).
La successiva tappa è quella del Regno dell’Avvenire, dove sono i bambini che nasceranno [11], e in cui è presente un anziano Signore che rappresenta il Tempo (già raffigurato al cinema ad esempio con Lillian Gish in Intolerance, David W. Griffith, 1916). I due bambini fanno ritorno a casa, e, risvegliatisi dall’apparente sonno, scoprono che il loro uccellino domestico è diventato azzurro, ricevendo così l’inaspettata e gioiosa visita della vicina con la figlia guarita.
Tra i temi fondanti di The Blue Bird (1918) vi sono il viaggio e la sua conseguente ascesa mistica, il magico e il soprannaturale ma anche il percorso simbolico dei bambini su uno sfondo e una scenografia di tipo fiabesco. The Blue Bird è un utile caso di studio per esaminare la relazione tra il mezzo cinematografico e quello teatrale: proprio negli anni Dieci del Novecento, infatti, il rapporto tra teatro e cinema veniva approfondito attraverso le analisi di diversi studiosi come Ricciotto Canudo (1908: 3) o Hugo Münsterberg (1916; Boschi 1998: 54-61). Innanzitutto, a livello generale e valide anche per questo film, tra le divergenze degli adattamenti dal teatro al cinema ve ne sono alcune di ordine tecnico che riguardano i cosiddetti “viewpoints”:
«each audience member viewed the stage and its performers from a unique and specific point, a fact that theatre directors catered for in their blockings and stagings. But in film-screening venues, audience members, wherever they sat, shared a viewpoint or series of viewpoints provided by the camera […]» (Neale 2017: 2) [12].
Quanto lo studioso Steve Neale rimarca è un aspetto da tenere in considerazione, specialmente nei prodotti filmici che attuano effetti speciali tramite stop-motion come The Blue Bird, la cui fotografia e il montaggio cercano di sottolineare questi “trucchi” animati, tramite inquadrature come primi piani o piani medi (un esempio emblematico riguarda il primo piano della trasformazione antropomorfa dello zucchero). The Blue Bird (1918), tuttavia, non sembra esente dall’influenza della forte autorità del teatro, da cui procede e dal cui mondo il regista proviene (Waldman 2008; Bonnefille 2017). Tali relazioni sono riscontrabili in almeno due punti nodali: in primo luogo, l’adattamento cinematografico (quasi) fedele dal testo teatrale; in secondo luogo, l’utilizzo di forme di animazione alternative al “classico” disegno animato, in parte vicine ai trucchi scenici teatrali presenti proprio negli spettacoli di teatro fantasy in voga durante l’Ottocento (le cosiddette fèerie; cfr. Moen 2013). Anche in questo caso la finalità dell’animazione è quella di stupire lo spettatore e condurlo maggiormente ad un ambiente dalle tonalità favolistiche e dai tratti surreali e gotici. Il ricorso all’animazione, presente solamente in alcune brevi scene, si pone come “oggetto” di meraviglia per il pubblico: per corroborare tale scopo il regista sceglie di utilizzare, piuttosto che il disegno animato, lo stop-motion che tradizionalmente si affianca perlopiù proprio al cinema in live-action.
Un esempio eccellente di tale sistema “misto” è il cortometraggio distribuito dalla Edison The Enchanted Drawing (1900) con J. Stuart Blackton, in cui risulta evidente la possibilità per il regista di utilizzare proprio il passo uno (stop-motion) allo scopo di cambiare il volto del personaggio rappresentato. Quello di Blackton è in fondo un trick film [13], con trucchi presi dal mondo dello spettacolo (teatrale, come i fili invisibili per spostare oggetti, o della prestidigitazione) e che, ad esempio, prima di Blackton, il francese Georges Méliès aveva già sperimentato (attraverso uno stacco della macchina da presa nella breve sequenza di Escamotage d’une dame chez Robert-Houdin, 1896 [14]). Da questi trucchi registici sia Tourneur sia lo scenografo Carré sembrerebbero aver tratto ispirazione. In tal senso infatti possiamo leggere e confrontare la scena dell’ingigantimento della testa di Méliès nel suo L’homme à la tête en caoutchouc (Star Film, 1902) con l’accrescimento dello spirito dello zucchero in The Blue Bird (cfr. ad es. Askari 2014: 105). Tourneur, in ogni caso, utilizza l’animazione per consolidare il tono di un’atmosfera fiabesca. Anche un altro animatore francese, Émile Cohl, sembra aver influenzato in parte The Blue Bird con i suoi “trucchi”:
«Carré’s animated furniture – moving, yes – but also expressing emotion through the suggestion of dancing, recreates the effect from Cohl’s The Automatic Moving Company (1911). Maeterlinck demanded that Carré embue his furniture with living souls, but Cohl taught Carré’s living furniture how to act» (Askari 2014: 105).
Alcune brevi scene del film di Tourneur sono composte da un’altra forma di animazione che coinvolge comunque il passo uno: l’utilizzo di cutout (ritagli di carta o altro materiale poi animato). La tecnica del cutout è alla base dell’animazione tramite silhouette, che prenderà piede in America nei primi anni del Novecento (ad esempio con il film The Girl, The Clown and the Donkey, Charles M. Seay, 1913), ma sarà maggiormente sviluppata e resa ancora più celebre successivamente al 1918 con i lavori di Lotte Reiniger fino a risultare comune nell’animazione giapponese. In ogni caso, come notano, ad esempio, Christopher Holliday e Alexander Sergeant (2018: 2) l’animazione e i film fantasy hanno uno stretto legame, a partire dalle origini della cinematografia fino alla contemporaneità, in quanto le tecniche animate permettono di creare e consolidare immaginari visivo-narrativi: già «la dimensione fantastica, […], è connaturata con il medium cinematografico, ne costituisce – per così dire – l’ontologia, la ragion d’essere» (Trobia 2008: 48).
Poco prima del film di Tourneur il cinema era già stato connesso dal punto di vista teorico con il fantasy e le fiabe: ad esempio, analisi possono essere riscontrate proprio da Hugo Münsterberg (1916) e da Vachel Lindsay in The Art of the Moving Picture (1922 [1915]; cfr. Moen 2013: 80-89). Entrambi gli autori sottolineano come il cinema possa essere un potente mezzo di rappresentazione di narrazioni fiabesche e di sguardo estetico, attraverso la rottura degli schemi con il reale e le atmosfere che il fantasy necessariamente comporta. The Blue Bird (1918) rientra appieno in questo tipo di considerazioni e le stesse parti animate ricadono nella tipologia di trick film, in quanto l’uso dello stop-motion (e delle silhouette), che appare limitato a solo poche scene, sono finalizzate (proprio come in Méliès) a stupire lo spettatore in brevi tratti della pellicola.
In ogni caso, solo in parte è possibile considerare The Blue Bird (1918) come un film a tecnica mista tout court. Tourneur qui «used spectacular special effects, and the sets often incorporated spare, almost cartoonlike backdrops typical of contemporary stage productions» (Thompson 1995: 73) e presenta principalmente, tra le varie tipologie di stop-motion (cfr. ad es. Boschi 2016: 128), quella per spostamento. D’altronde, quanto segue sembra essere valido anche per le parti animate del film di Tourneur:
«Come è noto la preoccupazione principale dei primi animatori non era quella di creare l’effetto diegetico attraverso il realismo dell’immagine e la fluidità del movimento, bensì di mostrare lo spettacolo illusionistico del disegno in quanto tale che si forma da solo o che – una volta eseguito –acquista una vita autonoma […]» (Boschi 2016: 136).
The Blue Bird tra teatro e animazione, influenze filmiche
Come si accennava, il lungometraggio The Blue Bird (1918) è un adattamento dello spettacolo teatrale L’Oiseau bleu di Maurice Maeterlinck [15] (1862-1949): l’esordio scenico avviene nel settembre del 1908 al Moscow Art Theatre con la direzione di Konstantin Stanislavski con Leopold Sulerzhitsky, per poi essere portato negli Stati Uniti. Il testo teatrale de L’uccellino azzurro venne pubblicato anche in Italia [16] e venne recensito in maniera filosofica da Silvio Spaventa Filippi (1922: III): «il Maeterlinck, […], riduce lo spirito vivo e operante nella selva delle cose a un simbolo, e il simbolo chiude nel cerchio di poche fulgide parole immortali». Qui si nota la ricchezza dei dialoghi, comunque inseriti in discreto numero nel film del 1918 attraverso l’utilizzo delle didascalie, anche se l’interazione tra i personaggi, come tra fratello e sorella, o con gli altri oggetti personificati, risulta essere meno presente rispetto all’originale di Maeterlinck.
Quello che Spaventa Filippi scrive è senza dubbio valido anche per il film di Tourneur che risulta essere abbastanza fedele nello spirito e nel simbolismo presente nel testo e nello spettacolo originale attraverso la rappresentazione idealistica degli oggetti/soggetti coinvolti. A sottolineare questo rapporto di fedeltà tra la play e il lungometraggio va segnalato che il film fu acclamato dalla critica d’epoca, come nella recensione di Edward Weitzel (1918: 283), che lo accosta proprio allo spirito filosofico dell’opera di Maeterlinck e ne loda l’atmosfera di molte scene (come quella del Palazzo della Notte). Tra le (poche) differenze tra le due opere vi sono il rapporto con la luce, i cui giochi d’ombre nel film del 1918 sembrano comprendere principalmente un’atmosfera ombrosa e la quasi assenza nel film di accenni alla religione cristiana presenti invece nel testo teatrale. L’utilizzo dell’animazione in stop-motion, che serviva a ricreare in qualche modo l’atmosfera degli effetti speciali teatrali, sembrerebbe essere in parte connesso all’ambiente spaziale, in particolare alle scenografie esotiche dipinte. Risulta infatti vero che
«the film’s stylization does include techniques such as stop-motion animation and frame-within-the-frame staging that is creative in itself and may signal relations between film and other visual art forms that use framing, such as painting and theater» (Latham 2009: 224).
Non è un caso che uno dei più celebri film animati tramite silhouettes e cut-paper, ovvero il successivo Die Abenteuer des Prinzen Achmed di Reiniger abbia una scenografia fiabesca. In ogni caso, con questo film, Tourneur dà una svolta alla sua produzione registica che negli anni Dieci del Novecento era composta perlopiù da cortometraggi (1913-1914) anche horror [17] (come Figures de Cire, 1914; facente parte del suo periodo francese) e da lungometraggi di commedie atipiche (come The Wishing Ring-An Idyll of Old England, 1914) o polizieschi (Alias Jimmy Valentine, 1915). Uno dei prodotti precedenti di Tourneur che è stato correttamente accostato a The Blue Bird è il film A Poor Little Rich Girl (1917; cfr. Waldman 2008: 74; Moen 2013), sceneggiato da Frances Marion. Anche Prunella [18] (1918; cfr. Waldman 2008: 75-77), uscito subito dopo The Blue Bird, ha una tonalità fantasy, pur essendo ascrivibile al genere sentimentale e nonostante risulti essere mancante di quell’idealismo presente invece nel film del 1917.
In questo, A Poor Little Rich Girl, il personaggio principale, interpretato da Mary Pickford, in qualche modo “anticipa” alcuni temi presenti in The Blue Bird: lo sguardo onirico (e a tratti surreale) che permette di riscoprire la verità delle cose (nel film del 1917 la mancanza d’affetto dei genitori o ancora l’egoismo e la scontrosità dei domestici; in quello del 1918 la bellezza nella semplicità degli eventi e la gioia di vivere il presente) e l’idealizzazione dei luoghi. In A Poor Little Rich Girl la protagonista si addormenta dopo aver preso inavvertitamente una dose massiccia di sonnifero. Qui, le sequenze del sogno sono rappresentate visivamente attraverso sovraimpressioni e sdoppiamenti. Una didascalia, a tal proposito, è illuminante e illustrerebbe anche quello che Tourneur farà l’anno dopo con The Blue Bird: all’interno di questa allucinazione onirica, un ragazzo cerca di destare Gwendolyn (Mary Pickford) dicendole «You are in the Garden of Lonely Children [19], in the Tell-tale Forest of Dreams. Here, things appear as they really are» (riportata anche in Moen 2013).
Tra le concezioni dei due film, tuttavia, vi è una sottile ma importante differenza nella rappresentazione e personificazione idealistica dei luoghi: se in entrambi i film l’ambiente del sogno [20] è magico, nel primo vi sono solo alcuni accenni al mondo delle idee (come si può notare nella didascalia menzionata), mentre The Blue Bird si basa interamente su simbolismi, allegorie e su una personificazione idealistica degli oggetti (il Latte, il Pane, il Fuoco, ecc.); se in entrambi vi è un’ascesi del personaggio/i verso una Verità o, ancor più precisamente, verso la Felicità (Happiness, come descritto nel film del 1917); in A Poor Little Rich Girl il percorso salvifico per arrivare ad essa è attraverso un sogno allucinatorio (che occupa la parte centrale del film e parte del finale), per poi tornare così nel mondo “reale” [21] e guarire dalla malattia [22]. Nel lungometraggio del 1918, invece, la narrazione e l’ambientazione, come si analizzerà più avanti, sono leggibili all’interno di una concezione idealistico-platonica, e lo spettatore, fino alla fine, non comprende davvero cosa sia accaduto e se ciò sia stato o meno frutto di un sogno, a differenza del film del 1917.
In A Poor Little Rich Girl, così come in altri prodotti tratti da fiabe, «the tropes of fairy tales and fantasy to renegotiate imaginatively everyday experiences and modern life» (cfr. Moen 2013); ciò avviene proprio in questo film piuttosto che in The Blue Bird. Un’altra differenza di rilievo è che nel film del 1918 (così come nella pièce di Maeterlinck) i due protagonisti, Mytyl e Tyltyl, assumono nei confronti di questa ascesi una valenza “attiva”, mentre nel film del 1917 ciò sembrerebbe essere più in forma “passiva”, poiché la protagonista viene direttamente catapultata nel Garden of Lonely Children invece che giungervi attraverso un percorso a tappe e conseguentemente simbolico. Come già si accennava, in ogni caso, The Blue Bird di Tourneur non è particolarmente dissimile dal testo teatrale di Maeterlinck.
Una delle scene di maggiore impatto sia nel prodotto filmico che in quello teatrale è rappresentata dalla visione della festa dei bambini ricchi, guardata dai due protagonisti dalla finestra della loro casa. Nel testo teatrale questa è descritta come ricca di luci, mentre è presente nel film come una sequenza particolarmente atipica con proiezioni di giochi di ombre di attori che sembrerebbero ricalcare nelle intenzioni le silhouette. Daniel Eagan, tuttavia, sottolinea che «The film’s charming special effects range in complexity from animation combined with live footage and matte paintings to simple paper cut-outs. […] The Blue Bird is filled with silhouettes, with figures lit from below and from sources like windows and lanterns» (Eagan 2010: 62). Diverse scene animate (tramite lo stop-motion di spostamento) partono dal momento in cui il ragazzo, Mytyl, indossa il cappello con il diamante che gli permette così di vedere l’essenza delle cose (la fata recita, in didascalia, «When you wear this enchanted hat, and turn the diamond, you will see the inside of Things… the soul of Bread, of Water, of Fire…»; la citazione è riportata anche in Moen 2013). In questa parte lo stop-motion risulta evidente nel far comparire il berretto magico che indossato permette di entrare nel mondo dell’essenza delle cose e nel rappresentare lo spostarsi degli oggetti [23], scena inserita come preludio di una delle sequenze chiave della narrazione, in cui alcune figure (come il Fuoco) passano ad essere visibilmente “vive” tanto da divenire soggetto da oggetto. Lo stop-motion permette inoltre di vedere la trasformazione dello zucchero (oggetto) a Zucchero (personificato) o similmente il Latte che viene versato tramite passo uno per poi trasformarsi in un’essenza idealistica e personificata.
Un’altra importante scena, questa volta animata attraverso silhouette (o comunque cutout animation) è quella, a metà della narrazione, in cui nel campanile un martello sbatte contro un campanello. L’episodio segna, infatti, l’entrata nel cimitero, una delle tappe simboliche del viaggio dei due protagonisti. Un’altra parte animata del film è quella del veliero che lascia il Regno dell’Avvenire per la Terra: qui questa animazione dipinta sembrerebbe avere un ruolo di passaggio spaziale tra un mondo “altro” e quello terrestre, più che di trick film e di stupore per lo spettatore. Un’ulteriore questione rilevante che tocca The Blue Bird (1918) è che questo lungometraggio è interpretato in maniera da due bambini (Tula Belle [24] come Mytyl e Robin Macdougall come Tyltyl; mentre nei panni della giovane fata vi è Lilian Cook). Tutto questo non era usuale: in A Poor Little Rich Girl, infatti, la protagonista è interpretata da Mary Pickford (adulta) nei panni di una bambina; similmente la prima rappresentazione teatrale dell’opera di Maeterlinck (1908), i cui attori principali erano gli adulti Alisa Koonen e Sofja V. Khalyutina. Su questo argomento, proprio poco prima dell’uscita di The Blue Bird, i registi americani Chester M. Franklin e Sidney Franklin sono tra i primi ad affidare ruoli di successo ad attori bambini, che interpretano personaggi della loro età attraverso una serie di sei film (Fox Film Corp., 1917-1918) composta da mediometraggi e lungometraggi tratti proprio da favole e fiabe [25] (cfr. Moen 2013: 75-79).
La rappresentazione cinematografica del 1918, in realtà, non era la prima per The Blue Bird: ve ne era stata già un’altra, misconosciuta e in forma di cortometraggio, prodotta in Gran Bretagna per la Gaumont (Goble 2011, 301) nel 1910 con gli attori (bambini) Pauline Gilmer e Olive Walter. Alla versione di Tourneur, seguono lungo il Novecento altre due produzioni americane dal titolo omonimo: una del 1940 con la regia di Walter Lang e una del 1976 [26] diretta da George Cukor, entrambe non di grande successo, nonostante nel primo vi fosse come attrice protagonista una giovanissima Shirley Temple (mentre Johnny Russell nella parte di Tyltyl), e nel cast del secondo, come personaggi non protagonisti, vi fossero Elizabeth Taylor e Jane Fonda. In questi ultimi due film (1940; 1976) l’animazione è quasi del tutto assente: in entrambi è presente solamente in brevissimi momenti come il lampo che visivamente permette la trasformazione degli animali in personaggi umani. Nell’adattamento del 1940, tuttavia, non è presente come nell’opera di Maeterlinck e nel film del 1918 la personificazione dello zucchero, del pane, del latte e del fuoco. A queste due produzioni se ne aggiungono un paio: un mediometraggio russo (Sinyaya ptitsa, 1970; Soyuzmultfilm) diretto da Vasily Livanov e una serie giapponese del 1980 (Maeterlinck no Aoi Tori: Tyltyl Mytyl no Bōken Ryokō) di ventisei episodi d’animazione diretti da Hiroshi Sasagawa.
Note sul platonismo in The Blue Bird tra Maeterlinck e Tourneur
In The Blue Bird l’animazione in stop-motion ha lo scopo di provocare lo stupore dello spettatore. Tuttavia, su un ulteriore piano l’impiego di tale tecnica contribuisce a sottolineare nell’opera quelle valenze di stampo simbolico-idealista che permeano le stesse opere di Maeterlinck. Il simbolismo che caratterizza gli scritti teatrali dell’autore belga è stato rimarcato, tra gli altri, dal filosofo Walter Benjamin che in alcuni frammenti del 1931, scritti sulla base di alcune riflessioni con Gustav Glück e Kurt Weill, lo inserisce esplicitamente come una delle principali differenze con la (successiva) animazione disneyana di Topolino della fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta. Secondo Benjamin (2005: 545-546) Mickey Mouse presenta un’animazione e narrazione di ordine fiabesco con sovversione dell’ordine naturale delle cose attraverso un utilizzo eccezionale della corporeità, scevra tuttavia dai ricchi simbolismi che connotano le opere di Maeterlinck. Questi vengono riccamente ripresi da Tourneur nel film del 1918: d’altronde, il regista franco-americano sembra essere affascinato dai simbolismi e dai significati filosofici profondi di complessi autori teatrali, risultando così essere «familiar with the latest theatrical approaches of Reinhardt, Gordon Craig, Stanislavsky, and Jacques Copeau […]» (Waldman 2008:74) e di Eleanor Gates, autrice dell’onirico The Little Rich Girl, trasposto da Tourneur proprio nel 1917.
L’utilizzo dello stop-motion in The Blue Bird (1918) funge così da “motore” capace di far accedere i due protagonisti all’interno di un mondo complesso e metaforico, e anzi è la stessa animazione a sottolineare il simbolismo presente nel film e a far esordire i temi del magico e del soprannaturale. Si pensi, nel film, alla scena iniziale in passo uno relativa al cappello magico che sembra essere presente nel testo di Maeterlinck (1922: 17) in maniera differente rispetto al lungometraggio: nel testo, infatti, la fata lo trae dal sacco piuttosto che ex nihilo (e di conseguenza in animazione) come nel prodotto filmico. Eppure, anche nel testo letterario teatrale il berretto assurge a momento chiave di valenza simbolica, poiché permette l’accesso dei protagonisti al mondo delle idee di stampo platonico. Come ulteriore esempio, si possono citare le scene in cui Zucchero e Latte si animano e si personificano, nelle quali lo stop-motion contribuisce non solo a stupire lo spettatore (come un trickfilm), ma anche a conferire maggiore dinamicità alle trasformazioni-personificazioni, mostrando per diversi secondi il trucco animato allo spettatore.
Nella narrazione, dunque, sono presenti alcuni complessi temi di matrice estetica (cfr. Moen 2013), tra cui la visione aristotelica [27] della felicità attraverso il bene come scopo della vita. Come già precedentemente richiamato, d’altronde, «l’idea che il cinema possa fare filosofia illustrando una teoria filosofica è un punto cruciale della teoria dialettica di Wartenberg» (Terrone 2014: 157). Lo stesso Maeterlinck può essere considerato un filosofo e ciò è ben mostrato nella sua opera teatrale del 1908 (Rose 1911: 1-58; Clark 1916: 68-74), di cui deve porsi in risalto ad esempio il concetto e la metafora della luce (cfr. Petrilli 2001: 345-367). In ogni caso, quanto scrive Henry Rose (1911: 6) circa il simbolismo de L’oiseau bleu di Maeterlinck è ben applicabile allo sguardo narrativo della trasposizione filmica di The Blue Bird di Tourneur
«The purpose of the play is to represent in types and figures the search of Man after the highest things of the spirit; the happiness which is more than one spoken of in the play is simply the happiness that comes from right seeking, and that is the reward of attainment».
The Blue Bird non è l’unico esempio di uso della filosofia platonica in Maeterlinck (cfr. ad esempio Hanak 1974); infatti, ad esempio, questo tipo di idealismo, qui in riferimento al mito della caverna (Repubblica, VII: 514-520a), è stato accostato (Gresens 2022: 159-168) anche ad un’altra opera dell’autore belga dal titolo Ariane et Barbe-Bleu [28], basato sulla favola di Charles Perrault. Alla radice del simbolismo dell’autore, ben rappresentato da Tourneur, vi sono delle concezioni e dei paradigmi del filosofo greco Platone (V/IV sec. a.C.) e in particolare la sua gnoseologia afferente al mondo delle idee (cfr. ad es. Reale 2003; Vegetti 2006) che nella storia della filosofia hanno influenzato una grande varietà di pensatori successivi come Plotino, Hegel o Schopenhauer.
Il Regno dell’Avvenire, presente nel prodotto teatrale e filmico, ad esempio ha al suo interno delle anime che già conoscono il mondo e le sue forme: ciò sembrerebbe essere ripreso dal concetto platonico di iperuranio [29], descritto nella Repubblica (Platone 2020, VI: 509d) e nel Fedro (Platone 2010: 247b-e) tramite la figura di Socrate. Anche il tempo, che Platone descrive nel Timeo come un ente mobile rappresentante l’eternità (Platone 2014: 37c-d), ricorderebbe l’anziano, il quale, attraverso il proprio movimento (ovvero l’azione), rende perpetuabile la vita e il ciclo della natura. Tuttavia, ciò che pare maggiormente rappresentare una connessione tra gli autori citati (Maeterlinck e Tourneur) e Platone è la concezione dell’idea che diventa essenza (a tratti quasi panteistica) o meglio “soul”, come viene definita nel film: lo Zucchero, il Pane, il Fuoco, ecc. Platone, nella sua filosofia delle idee, gerarchizza proprio queste ultime e, tramite le parole di Socrate, pone al vertice l’idea del Bene (La Repubblica; Platone 2020, VI: 507d-509d) che è comparato al Sole; altre idee platoniche di prim’ordine sono quelle di Vero e di Bello, comunque in qualche modo interconnesse tra loro. Il filosofo in riferimento alla teoria della conoscenza, analizza un rapporto tra idee e oggetti di mimesi (il prodotto terreno come copia imperfetta di una idea originale perfetta), di metessi (la copia degli oggetti è parte dell’esistenza dell’idea archetipo), di parusia (le copie presuppongono l’idea archetipo delle cose) e di koinonía (una sorta di compresenza); come mediatore tra idee e mondo sensibile vi è un Demiurgo che agisce nelle vesti di artigiano (Timeo; Platone 2014: 27c-31b).
Nello spettacolo teatrale e nel film tra l’idea originaria-archetipa (ovvero la personificazione dell’oggetto; ad esempio il Pane) e la copia/rappresentazione terrestre (ovvero il pane come alimento) sembrerebbe esserci un rapporto parziale di mimesi in quanto le idee platoniche risultano essere di tipo immutabile e non soggette ad emotività, mentre il rapporto di metessi e di parusia è intrinsecamente presente e tramite quest’ultimo è possibile “giustificare” la presenza di un’anima negli oggetti (ad esempio il pane inanimato che diventa Pane animato e personificato). In ogni caso, questo tipo di simbolismo è presente anche nelle religioni animiste o ancora nella cultura giapponese e in alcune forme religiose orientali. È possibile trovare, ad esempio, idee archetipe di oggetti nei lungometraggi animati di Hayao Miyazaki come La città incantata (2001; lo spirito del fiume) e in parte ne Il castello errante di Howl (2004; il fuoco che si anima) [30].
L’idea di oggetti che si animano, infatti, oltre che nei testi e culti religiosi, non è nuova al mondo narrativo: in Italia, tra i primi esempi celebri letterari vi sono le Rime di Guido Cavalcanti (2010), autore della fine del Duecento, in cui a prendere vita sono alcune penne. Tuttavia, la differenza con il film di Tourneur appare chiara: Cavalcanti o Miyazaki portano in scena lo spirito di un determinato e specifico oggetto (le penne dell’autore, nel primo caso; lo spirito di un preciso fiume, nel secondo); mentre il regista franco-americano [31], nel rappresentare le varie “souls” (come quelle del Latte, del Pane), sembrerebbe ricondurre il tutto ad un unico elemento universale ovvero l’idea platonica di archetipo del latte, del pane, del tempo. Come notato in precedenza, gli oggetti porranno fine alla loro esistenza personificata al termine del viaggio. Ciò però non deve essere visto necessariamente come contrapposizione al fatto che Maeterlinck e Tourneur sembrano rappresentare piuttosto che uno specifico latte o uno specifico fuoco una idea generale e universale di oggetto.
Va anche specificato come Maeterlinck presenti a volte molteplici idee-soggetti di uno stesso oggetto (ad esempio, vi sono molte idee personificate del pane; Maeterlinck 1922: 20) tuttavia la valenza idealistica che si vuole dare, e presente anche nel film, è quella di una idea universale della materia (Zucchero, Pane, Latte, ecc.): a differenza del cane o del gatto, infatti, gli altri oggetti non hanno un nome se non quello dell’oggetto stesso. Questo simbolismo che richiama le idee platoniche assume una forte valenza etico-simbolica in cui il Bene, idea principale e cardine di tutto, o il Vero, identificabile con l’uccellino azzurro, arriva attraverso un percorso didattico-moralistico (come i due bambini che rifiutano i beni temporali dei giardini della “Felicità”). Lo stop-motion assurge a strumento di trasformazione leggibile come una sorta di ascesi del personaggio trasmutato, rendendola necessaria per indicare agli spettatori il rinnovamento ad una nuova vita da oggetto a soggetto (ad esempio, il pane che diventa Pane).
Pur non mancando nell’opera diretta da Tourneur di spunti particolari con la ricchezza dei giochi di luce con le ombre, la ricercatezza delle scenografie (spesso ispirate proprio ad autori filmici come Méliès o Cohl) o proprio i trucchi animati che, come si è visto in questo caso, si pongono in una certa continuità con il prodotto filmico-filosofico, la coerenza con la play di Maeterlink e l’uso narrativo (e filosofico) della stop-motion hanno permesso di portare a termine un lungometraggio innovativo per l’epoca, ricco di spunti di ordine estetico. Questo si delinea dunque come un testo-film dalla lettura platonica che è riuscito, attraverso parti animate e scenografie fiabesche, a rappresentare un prodotto cinematografico atipico per l’epoca e dai forti contorni simbolici, portando così Tourneur ad essere tra i primi a condurre il genere fantasy al cinema in uno schema “idealistico” congiunto ad una visione mistico-filosofica.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
[*] Ringraziamenti: Per questo articolo vanno ringraziate diverse persone tra le quali Marco De Simone, Vincenzo Roberto Imperia, Davide Massaro, Chiara Pasanisi e anche Stefania Garello, Emanuele Ingrao, Luciano Sesta, Lucia Rita Vitali.
Note
[1] La prima trasposizione teatrale è del 1908, l’anno dopo e poi ancora nel 1911 venne pubblicato in America il testo teatrale di Maeterlinck, il cui primo illustratore editoriale è stato Frederick Cayley Robinson mentre il traduttore Alexander Teixeira de Mattos. Il film del 1918 è conservato in alcune cineteche, come quella del George Eastman Museum. Il film, tra le altre cose, è stato già pubblicato in dvd dalla Kino Video, dalla Grapevine Video e dalla Lobster Films.
[2] Tra gli altri esempi di quel periodo di uso dell’animazione stop-motion in un lungometraggio vi sono i film Three Ages (Buster Keaton e Edward F. Cline, 1923) e The Lost World (Harry Hoyt, 1925; qui vi sono gli effetti speciali del pioniere Willis O’ Brien).
[3] Il teatro di Maeterlinck, almeno in un primo periodo, era vicino al teatro simbolista. Tra i maggiori esponenti del teatro simbolista vi sono ad esempio Paul Fort e Aurélien Lugné-Poe. Per maggiori informazioni su questa corrente e il ruolo dell’autore francese si vedano Carlotti 2005 e Altamura 2011: 25-40. Tra le influenze simboliste di Maeterlinck vi è anche quella del pittore francese Pierre Puvis (Moen 2013: 98-102).
[4] La seguente sinossi scaturisce dalla visione diretta del film e dalla lettura della pièce in 6 atti. In ogni caso riassunti della trama sono presenti anche nei testi citati in bibliografia che trattano marcatamente del film di Tourneur.
[5] Questo è confermato, oltre che dall’aspetto fisico, anche dal fatto che entrambe hanno una figlia ammalata.
[6] Figura che rappresenterebbe conoscenza e ragione (Rose 1911: 22), proprio come nell’Illuminismo la luce indicava la sconfitta del buio delle superstizioni.
[7] Tylette nel film del 1918 è maschio ed è interpretato, nella sua trasformazione antropomorfa, da Tom Corless.
[8] In Rose 1911, 6 come spiegazione del simbolo viene riferita la verità divina.
[9] In Occidente l’edonismo è una corrente filosofica il cui più famoso autore è Aristippo di Cirene della scuola cirenaica in cui l’unico scopo della vita è quello di provare piacere.
[10] Già all’inizio del film era stato sottolineato come i due fratelli sarebbero stati in grado di vedere la “realtà” delle cose.
[11] Basato su questo concetto definibile come platonico è il film animato della Pixar-Disney Soul (Pete Docter con Kemp Powers, 2020).
[12] Steve Neale in particolare fa riferimento per questa osservazione agli studi di Ben Brewster 2005, 606-607 e Lea Jacobs 1997: 170-183.
[13] Ovvero un film (o una parte di esso) basato su effetti speciali allo scopo di stupire lo spettatore: tale termine è coniato per indicare alcuni prodotti del primo Novecento. Per approfondimenti su questa tipologia di film e del rapporto con il teatro si veda Solomon 2006: 595-615.
[14] Trucchi animati vengono utilizzati da Méliès, tra gli altri esempi, anche nel suo Voyage dans la Lune, 1902, prodotto dalla Star Film.
[15] L’autore nel 1911 è stato insignito del Premio Nobel per la Letteratura.
[16] Ad esempio, in sei atti, nel 1922 dalla Stamperia Reale G.B. Paravia & C. (Torino), con la traduzione di Silvio Spaventa Filippi, romanziere e direttore del giornalino a fumetti Corriere dei Piccoli (suppl. del Corriere della Sera) e i disegni di Gustavino [G. Rosso]. Del testo di The Blue Bird esiste anche una versione in 5 atti. Il confronto con il film del 1918 si è fatto su questa edizione italiana. Maeterlinck scriverà un sequel della storia, un testo teatrale in 5 atti, uscito negli Stati Uniti con il titolo The Betrothal (1918; tradotto da A. Teixeira De Mattos) con gli stessi due protagonisti.
[17] Anche il figlio, il regista Jacques Tourneur, è autore di diversi film horror. Nel film Figures de Cire (M. Tourneur, 1914), tratto dal racconto di André de Lorde e prodotto dalla Eclair, il personaggio di Pierre (Henry Roussel) in merito allo stupore rispetto al soprannaturale (o meglio circa la paura) afferma per poi ricredersi che la “sensation m’est inconnuè”, questo in totale contrapposizione allo stupore che i personaggi assumono in The Blue Bird.
[18] Anche A Poor Little Rich Girl (1917) e Prunella (1918) provengono da uno scritto teatrale: il primo dalla commedia omonima di Eleanor Gates (1913), il secondo da Prunella or, Love in a Dutch Garden (1904) di Laurence Housman e Granville Barker. Il primo film, prodotto dallo stesso Tourneur, è stato distribuito da Artcraft Pictures Corp., il secondo, sceneggiato da Charles Maigne, è stato prodotto da Famous Players-Lasky Corp, proprio come The Blue Bird. La trasposizione cinematografica di A Poor Little Rich Girl risulta in parte fedele allo spettacolo teatrale (cfr. Neale 2017: 41-56), prodotto da Arthur Hopkins. In Prunella la protagonista è interpretata da Marguerite Clark.
[19] In contrapposizione alla Land of Happy Children che la protagonista vuole trovare.
[20] Anche in The Blue Bird, sia nella versione teatrale sia in questa cinematografica, i protagonisti si risvegliano da un sonno. Tuttavia in questo caso il sogno sembra essere stato una forma del reale, in quanto i protagonisti hanno la contezza del loro viaggio e dalle novità da esso portato (la ragazza che guarisce realmente, l’uccellino di casa che diviene azzurro, la gabbia donata dalla fata, ecc.).
[21] Parallelismi sul mondo onirico tra A Poor Little Rich Girl, e anche in parte per The Blue Bird (il sogno e la realtà, il viaggio, ecc.), possono essere fatti ad esempio con il fumetto del cartoonist Winsor McCay Little Nemo, il cui protagonista si immerge (proprio tramite i sogni) in un mondo fantastico e fiabesco e a tratti surreale; venne pubblicato tra il 1905 e il 1927 (con alcune pause e serie come la prima Little Nemo in Slumberland) nei giornali americani (prima nel New York Herald di James Gordon Bennett Jr. e poi nel New York Herald di William Randolph Hearst). Sulla filosofia di Little Nemo si cfr. Bukatman 2012. Il testo di Maeterlinck sembrerebbe essere influenzato in generale da alcuni temi delle favole francesi (L’oiseau bleu di Madame d’Aulnoy nelle Contes des Fées, 1697), tedesche e russe e dai romanzi The Wonderful Wizard of Oz di L. Frank Baum (con ill. di W.W. Denslow; 1900; Horn 1997, 13-20) e Peter Pan (1904; con ill. di F.D. Bedford, 1911) di J.M. Barrie (cfr. ad es. Eagan 2010: 62).
[22] Nel film del 1917 la malattia è il coma indotto dai farmaci sonniferi; anche nel lungometraggio del 1918 si parla dell’uccellino azzurro per guarire dalla malattia (in questo caso la figlia della fata), tuttavia qui la ricerca di ciò diviene un percorso narrativo, mentre in A Poor Little Rich Girl la guarigione della malattia ha un ruolo non di percorso (semmai è la malattia che permette alla protagonista la visione di un mondo altro) ma di finale narrativo.
[23] Qui il riferimento potrebbe essere anche ad alcuni cortometraggi di Edwin S. Porter con stop-motion, come Dream of a Rarebit Fiend (tratto dall’omonimo fumetto di Winsor McCay). Qui, il momento in cui il letto si libra in aria nel centro urbano, sembrerebbe essere in parte ripreso a livello tecnico nella scena di Tourneur in cui i personaggi volano attraverso la città (cui si vede la fiabesca scenografia dipinta) per raggiungere il percorso su cui trovare l’uccellino azzurro.
[24] Tula Belle ebbe piccoli ruoli in alcuni film almeno dal 1916 al 1920 (tra cui The Brand of Cowardice, John W. Noble, 1916 e A Doll’s House, Maurice Tourneur, 1918, dal racconto teatrale di Henrik Ibsen): si cfr. Eagan 2010: 62.
[25] Il primo della serie è Jack and the Beanstalk (1917) e i protagonisti sono i bambini Francis Carpenter e Virginia Lee Corbin.
[26] La versione del 1940 è prodotta da Twentieth Century-Fox; quella del 1976 in co-produzione con l’URSS; principalmente da Sovinfilm e da Edward Lewis Prod., Leninfilm e Twentieth Century-Fox.
[27] Questo comunque era già presente in molti concetti religiosi a partire dal biblico Antico Testamento (ad esempio in Geremia o Deuteronomio). In ogni caso si veda anche Aristotele 2012.
[28] Lo spettacolo teatrale dell’opera, con le musiche, è stato messo in scena da Paul Dukas (1907, a Parigi) sul libretto di Maeterlinck.
[29] Bisogna comunque premettere che nell’iperuranio le forme sono trascendenti, nel racconto di Maeterlinck e nei film sembrano essere di tipo immanente e trascendente. L’iperuranio è presente oltre il cielo, similmente al mondo idealistico raccontato da Maeterlinck, Tourneur e gli altri registi.
[30] Entrambi i film sono prodotti dallo Studio Ghibli e tratti da romanzi. Il primo da Kiri no mukō no fushigi na machi (1987) di Sachiko Kashiwaba; il secondo da Howl’s Moving Castle (1986) di Diana Wynne Jones. In generale, per una filosofia del cinema di Miyazaki si veda Boscarol 2016.
[31] Ad eccezione del cane e del gatto.
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Massimo Bonura, dottorando di ricerca in “Medium e medialità” presso l’Università Telematica eCampus, è stato cultore della materia in “Filosofia dell’Arte” (B, ABST46) presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Tra le pubblicazioni da lui scritte o curate si segnalano Cinema, vignette e baionette (Palermo University Press, Palermo 2020), Verga e i mass media (Palermo University Press, Palermo 2021), Dimensioni cinefumettistiche (con un contrib. di F.F. Montalbano; Edizioni Ex Libris, Palermo 2023), Politica, estetica e critica teatrale in Sicilia. Scritti catanesi (1857-1882) (a cura di; con la collaborazione di A. Di Tommaso; Edizioni Ex Libris, Palermo 2023); Tra letteratura e cinema. Note storico-estetiche: Alfredo Della Pura, 1910 (con il testo di A. Della Pura; Morrone editore, Siracusa 2023).
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