di Ninni Ravazza
Possono capitare, nella vita, coincidenze straordinarie in grado di imprimerle una svolta decisiva, di arricchirla umanamente e culturalmente, di creare sodalizi e scoprire affinità insperate. Io sono uno dei fortunati “toccati” da questa sorte benevola. Cercavo nuovi protagonisti e inedite avventure per il mio libro di prossima uscita, Storie di Corallari (Magenes editore, Milano), prosecuzione ideale del primo Corallari che nel 2004 per la stessa casa editrice milanese registrò un ottimo successo con il rapido esaurimento delle copie stampate. Poiché sono convinto che la realtà in molti casi sia più bella di ogni fantasia – e l’andar per mare rientra in quei casi – non mi piace inventare e adoro raccogliere e narrare episodi davvero accaduti, raccontando pedissequamente i fatti se il protagonista sono io, limitando al massimo gli interventi quando a parlare è una seconda persona. Ho sempre fatto così … chissà, forse sarà mancanza di immaginazione.
All’inizio dell’anno in corso avevo già raccolto diverse storie nuove per il libro, quando sono stato contattato da Andrea Cavallari, un anziano sommozzatore di Ferrara, che mi propose un articolo sui primordi della subacquea estense per il sito web Cosedimare.com che dirigo; fui lieto di ospitare il suo scritto, apprendendo che uno dei primi brevettati di quella città era diventato un famoso corallaro. Di Marco Malaguti – questo il suo nome – avevo anche delle fotografie inviatemi dall’autore dell’articolo; chiesi maggiori dettagli, ma il mio interlocutore fu in grado solo di dirmi che era andato a pescare il corallo anche in Marocco. C’era però una persona che forse avrebbe potuto fornirmi le notizie che cercavo, una signora francese che da giovane aveva accompagnato alcuni corallari d’oltralpe nelle loro avventure e che aveva conosciuto Marco … ha la sua email e me la passa.
Con un pizzico di titubanza contatto la “ragazza del corallo”, vive in una cittadina della Francia, spero che voglia aiutarmi … iniziale e comprensibile riserbo, poi … poi scopro una donna intelligentissima, colta, sensibile, con un senso dell’umorismo straordinario, che ricorda tutto di quegli anni avventurosi trascorsi sui pescherecci e nei porti che odoravano di pesce, corallo e gioventù, e me lo racconta nel suo italiano farcito di inglese e francese, il suo “pidgin”, col tramite della posta elettronica.
Scopro anche che le nostre vite si sono intrecciate mille volte e che abbiamo conosciuto le stesse barche e gli stessi uomini, commercianti marinai e sommozzatori, pur senza mai esserci incontrati. Una memoria condivisa la nostra, una grande avventura vissuta al maschile e al femminile. Ho deciso di pubblicare sul nuovo libro integralmente e senza correzioni la nostra corrispondenza, che a mio parere per la freschezza del suo narrare diverrà uno dei capitoli più belli ed emozionanti. “Dialoghi mediterranei” per davvero quelli che ci siamo scambiati. Qui di seguito una piccola anticipazione del capitolo che dedicherò ad Anne, frammenti deliziosi di uno scambio epistolare che si è trasformato in un saggio breve sul mare, i suoi miti e i suoi protagonisti.
Saputo che Anne a fine anni ‘70 era andata in Marocco con il compagno Max, corallaro francese, le chiedo di raccontarmi quella avventura
15 febbraio 2018
«Lo prego considerare questa bozza con indulgenza, è basata solo su miei ricordi, vi darà un’idea o al peggio vi divertirà il mio italiano un po’ stanco … speriamo che me la cavo.
Al fin di gennaro del 1978, Max ed io, un corallaro francese chiamato “Barbette” e su moglie eriamo arrivati via mare agitata a Bellyounech o Benzù in Marocco, dalla Corsica via Malaga e Al Hoceima. La nave, un peschereccio francese di 12 metri armato a ketch/fifty, il “Galathée”, aveva servito all’immersione della “Galatee”, primo progetto di casa sottomarina dell’architetto Rougerie sul quale lavorava tecnicamente Max, che anche era giovane sub in una grande azienda internazionale.
Il Sud della Francia, Corsica, Majorca e altre parti essendo massivamente pescate per corallo, cercavano “territori” nuovi, e c’era un contatto a Marocco; pochi sub marocchini conoscevano il corallo a quest’epoca. Il marocchino Dadi ottenne il primo permesso marrochino di pesca nel ‘77 a Al Hoceima.
La baia di Benzù di fronte a Gibraltar è dominata dal Djebel Moussa o “Mujer Muerta” per sua somiglianza a una donna sdraiata , nella legenda sarebbe una delle colonne di Ercole , il punto mitologico di non ritorno e la fine del mundo conosciuto (… lasciate ogni speranza voi che entrate).
A quest’epoca la baia apriva su una piccola spiaggia con un caffè abbandonato agli uccelli di mare, ricoperto di conchiglie dipinte, e tre case di pescatori, tre barche e un asino. Dalla spiaggia, salendo un ripido sentiero di polvere e attraverso grottine si raggiungeva, sulla scogliera un villaggio di 20 famiglie. Da est il confine chiuso di Ceuta (10 chilometri a piedi) da ovest un capo roccioso con una baleniera dismessa, nella quale sotto il protettorato spagnolo sezionavano tutti cetacei entrando tra lo stretto di Gibraltar fino al 1956. Per rifornimenti o visite mediche, 50 km di pista malridotta fin a Mdiq, niente bus e trasporto locale ad asino o piede. La nostra arrivata era molta anachronica in questa parte rurale dove elettricità o acqua corrente non c’erano, ma paradossalmente i marocchini guardavano telenovellas espagnole connettando tv su batterie d’auto. Strani stranieri arrivando dal mare, parlando francese, quasi extraterrestri. Appena ancorato il “Galathee” sviluppo un pidgin di spagnolo e segni sufficienti per affitare un pied a terre da una famiglia marocchina al di sopra la spiaggia; Barbette s’era accomodato nel vecchio caffè abbandonato con moglie e cane. Tutto era a posto. Di giorno exploravo la costa a piedi, al tramonto Gibraltar, lo stretto e i carghi si dissolvevano nella luce pazza fino al buio totale, era un paradiso. La notte dalla spiaggia saliva il rumore e le voci dei contrabandieri e si sentivano i loro asini calpestando sul sentiero marettimo verso Ceuta, poi ritornando all’alba.
Nel primo mese, pietre buttate da nulla parte cadevano dalle rocce davanti e dietro ai miei piedi sul cammino verso il villaggio; l‘unico negozio vendeva lunghi pani di zucchero, latte concentrato, qualche patata e cipolle, latte di sardine, butangas, concentrato di pomodoro, semola e candeggina, recipienti di terracotta, e candele. Accanto all’entrata, davanti a una specie di pollaio, un gruppo di maschi aspettava per ore un’udienza col Santo, uno shamano locale senza età, chiamato il Tarnon (pazzo). Quando fui convocata a vederlo, gli porto un pan di zucchero e lui mi regalo una golondrina attraverso una nuvola di kif. La Pace era ufficiale, bagnata di the alla menta.
Incominciavano a pescare prima nella baia, poi sotto la scogliera e al Capo, attorno all’Isla Pelejil, nello stretto e in tutta la zona, sommozzando ad aria. Max da sempre ha avuto una specie di spirito romantico dell’avventura, fede e faccia tosta, muta, bombole e compressori, e andiamo … Non mi sembra che avevano autorizzazione ufficiale ma ricordo discussioni telefoniche senza fine con lo “spedizionario doganale” marocchino.
Una giornata tipica cominciava alle sette del mattino, a 5 nodi nella baia col scandaglio ricercando qualunque buona “discesa” o scoglio, marcavano il sito con un pedagno, posizionavano la nave e si tuffavano prima uno poi l’altro facendosi portare a fondo con grosse pietre fino a 60, 70, 80 metri. La nave seguiva le bollicine, sul fondo si stabilizzavano col Fenzy, un quarto d’ora a raccogliere corallo colla piccozza, poi gonfiano il pallone a colpo d’erogatore, lo recuperiamo e mandiamo giù il narghilè appesantito con un piombo, poi tiravamo a bordo i rametti, a volte un’aragosta, per finire dopo un’ora e mezzo di decompressione a tappe in acqua molto fredda … Io imparo che sott’acqua il rosso prezioso era bruno … Dopo due mesi di sommozzate quotidiane Max soffriva di avitaminosi per causa di nutrizione carente, ma la pesca era buona, il corallo … sangue di bue, di bella densità, la stagione prospera, il cellulare non c’era ma funzionava il bocca – orecchia … i fratelli napoletani commercianti già si fregavano le mani in anticipo. Io spargevo la raccolta del corallo sul tetto sbiancato della casa tra cielo e mare, lavando, raschiando, tagliando le punte, seccando, calibrando i rami e numerando quelli da record. Quarant’anni dopo, sfidando tempo e lo spazio, l’odore tipico del corallo seccato al sole, la sua polvere abrasiva tra le dita, il suono familiare del compressore e il bel puzzo di pesce e nafta sono sempre qua con me.
Verso marzo arrivarono due sub del Lazio, Sandro e Miraldo, per strada con un zodiac a rimorchio, poi più tardi e da solo Marco di Ferrara con una camera hiperbarica che aveva costruita da se stesso in un termosifone, sigillato con finestra e tutto. Tutti qua per pescare “mrjan, morjane, marajan” avevano affittate le capanne dei pescatori e Marco, se ricordo bene, andava con uno di loro. Marco aveva la fascinazione del corallo più di tutti, era un sognatore e un gentleman, alto e secco e contemplativo mi evocava L’uomo che cammina di Giacometti; aveva pescato su tutta la costa marocchina e a Benzù con i primi corallari marochini di Al Hoceima e prese parte dell’avventura sul banco Scherchi con Max, poi andò a Asilah, l’Eldorado atlantico … Utilizava una tecnica di ricompressione rapida colla camera per dividere il tempo di decompressione nell’acqua. Tra due stagioni di pesca lavorava per la Micoperi, aveva viaggiato ai confini della Mauritania fin a Dakhla, dall’osservazione che vecchie collane berbere avevano perle di corallo, ne parlava alla terza persona “lui … il corallo” … sognava da sveglio di campi Elisi vergini di corallo e di scoperte imminenti in Senegal dove nessuno era andato, vivere a Asilah su una barca nella vicinità di questa frontiera era l’assicurazione di esser pronto a partire nel caso si potesse … fino alla sua morte di malattia negli anni 2000. Era singolare, era semplice, può far ridere ma nel suo essere c’era qualcosa di altrove, di mystico. Corallari di quest’epoca avevano vite di giocatori d’azzardo, alte in colori, molta adrenalina, molti soldi e poof! al verde … Storie pazze e leggende circolavano … Quello che aveva fatto fortuna con Pelle d’Angelo in 30 metri a Cavalaire, quell’altro aveva lasciato uno al fondo dopo la salita dei rami o quell’altro “sparito misteriosamente” doveva aver scoperto un Shangri la di corallo.
Di dove viene il bagliore singolare nell’occhio del corallaro … si dice che corallari, sub e freedivers encontrano a volte un stato alterato di coscienza, che non è narcosi … una qualità di calma indescrivibile, dolce e vivace con dettagli visuali amplificati, come un sogno lucido e anche rimanente e rilassante, che gli danno voglia di ritornare lassù. Che è? Il sentimento oceanico di essere uno col universo o lo sguardo della Medusa attraverso l’incosciente collettivo? Chi lo sa? Mobilis in Mobili, direbbe il capitano Nemo».
Con Anne ci scriviamo quasi ogni giorno, a volte più di una volta al giorno. Le chiedo di raccontarmi di lei, della sua vita
14 marzo
«Come si chiama gente nata sulle isole. Isolani, isolanti, isolati? Forse la terra dove si nasce definisce qualcosa del nostro rapporto al mondo. Dall’inizio mi sentivo separata, nacqui a Ajaccio in 1955, sola figlia tra figli. Primo ricordo cosciente, 4 anni, flottando nel turchino sfuocato sotto la pelle luccicante del mare, aprire gli occhi sotto il cielo a righe di un parasole, quasi affogata e nessuna panica.
Cresco in città grigie e scuole rigide sul continente francese dove viviamo, d’estate si tornava a Ajaccio. Lontana del paradiso perduto, sviluppo una passione maritima assoluta. Veniva il nonno di un villaggio arroccato nelle montagne della costa orientale corsicana, Talasani; dal greco Thalassa = Mare e col diminutivo, piccola mare. Dal alto, en un punto preciso si vedeva il mare, piccolo. In francese, la Mer, il Mare è femminile, foneticamente simile a La Mére = la mamma. In molte lingue, il mare è maschile come l’oceano.
Il mortifero familiale e un istinto animale di preservazione mi porteranno al Mare come una tortughina fuggendo predatori. Anche dal balcone della nonna a Ajaccio, tra due edifici, scintillava una linguetta di mare. Dal mio posto di vigilia non mancavo mai il passaggio del ferry, dalla prua alla poppa, sette secondi di intense allegria rubate al ordinario. Passavano le ore, aspettando che si aprisse la porta del Castello, i miei 5 sensi buzzando come api, pronte a raccogliere la vita fuori .
Tutto era pretexto a scapparmi, dissociarmi, fragmentarmi e riapparire in una realtà alternativa, parallela. Una mappa del mondo, una cartolina, un odore, un gusto, una textura, un cambio di luce … e mi dissolvevo, attraversavo come passa parete camaleontesca e elusiva come il sorriso deI gatto di Lewis Carrol. Nella mia doppia vita la luce inondava tutto, né femmina né maschio, ero un spirito libero, piedi nudi.
Quando le voci parentale fracassavano il cristallo, parte di me tornava e il tempo si dilettava senza fine. Alla spiaggia, riescevo a scapare al Occhio di Moscu e correvo nella polvere blu nera dei bunker allemano, pescavo girelli e polpi. Mi nascostavo nell’ombra della torre genovese, mangiavo fichi di barbaria e masticavo finocchio marino sdraiata sull’alto del monumento ai marinai morti.
L’orizzonte mi faceva sbattere il cuore. Disegnavo carte segrete dei luoghi odiati: casa, camera, scuola con passaggi segreti verso la libertà. Sparivo per ore nelle illustrazioni di Hetzel o i panoramici delle encyclopédie della giovinezza, operavo argani di carghi in porti di commerci o robinsonavo in Isole perdute. Nella luce verde di un antiqua radio di bakelite dei anni 40 ascoltavo voce lontane quasi inaudibile e segni sonori assomigliando morse, pronunciando incantazioni a voce bassa: Brazzaville, Monte Carlo, Hilversum, Copenhague.
Più tardi guidata dal potere d’evocazione dei titoli, porte verso altre dimensioni si apriranno nella letteratura … Ventimila leghe sotto i mari, il Conte di MonteChristo, Delfino verde, Huckleberry Finn, la Ballata del vecchio marinaio, Il negro del Narciso, L’isola mysteriosa, A bordo della stella mattutina, Capo dei quattro venti, L’albergo della Jamaica, Moby Dick, Martin Eden, Billy Budd …
A 17 anni, dalla mia pensione nelle Alpi, più esaltata che il Batello Ebbro di Rimbaud, ho risposto a un annuncio di lavoro in una rivista di vela e alla fine dell’anno andai via direttamente a Bonifacio con 50 franchi in tasca. Sbarco subito da questa barca ma ne trovo un’altra e cosi incomincio la mia vita sul mare Mediterraneo.
Navigando, lavorando, cucinando, lucidando i ponti, d’inverno graffiando scafi, imparo a vivere e tutto quello che avevo sviluppato per proteggermi prese un altro senso. Osservazione, vigilanza e pazienza diventeranno precisione, anticipazione o resistenza, scopro un abilità manuale e meccanica, mani et mente lavoravano insieme e dormivo senza sogni.
L’esperienza marittima allentò il sentimento di essere straniera a me stessa e l’anxiéta di non appartenere, dal movimento della barca ebbi la nozione del mio corpo nello spazio, dall’immensità quella di essere al mondo. Accolta, raddrizzata, riunificata, reinventata, il mare mi infuse soprattutto la pace travolgente e fondatrice di essere ‘a casa’».
Comunico ad Anne che il film tratto dal mio libro “Diario di Tonnara”, prodotto dall’Istituto Luce, parteciperà a prestigiosi festival internazionali. Apprende che tanti anni addietro sono stato un giornalista impegnato contro il malaffare e la mafia
15 marzo
«Un Mito …soffrite la mia riverenza, Monsignore. Di niente! … dice l’Eremito a l’Eremita. Allora così lei è il Cola Pesce? E le colonne, come sono in questi giorni? oppure capisco che lei è anche Simeone lo Stilita, la quarta colonna?
Sa come chiama Godard i professionisti? I professionisti della professione. Ecce il codice universale del discorso, il meccano della lingua del legno, congressi di farmacista uber alles. Dunque secondo lei attraverso lei la vita in pieno sole in Alfa Romeo e andò a combattere il lato oscuro della forza … vuol dire periodo giudice Falcone, Dalla Chiesa? Quando esce il film sulla vita tan noiosa e facile?
Io ho voluto vivere liberata del ruolo, del peso della credibilità, né gusto per la morte, né per la gloria, un’analfabeta con influenza maieutica nel desiderio e la ricerca del tutto. Se l’impegno o la passione si misurano alla loro sola visibilità allora io non mai esiste. Indignata dai riflessi, rientrenze, manomissione e la sofisticazione frollata della Gauche (caviar) Culturale francese. Torno a cultivare il mio acro, condividendo quello che cresce o raccogliendo da paesana o pescatora. Il mare è a mezzo ora, scatenato questi giorni, una bellezza brutta, di corto circuito, luce fredda e affilata, pioggia orizzontale, ma sono tornata ricca di una manna di ostriche selvagge.
E come fa a sopportare il mio pidgin non lo so».
Ribadisco di ritenere la mia vita molto regolare, niente di avventuroso. Nel frattempo Anne ha letto alcuni miei testi sulle tonnare.
16 marzo
«Buongiorno Ninni, non lo metto in dubbio, scherzavo perché mi fa ridere la correspondenza surrealistica tra il professore e la disordinata. La sua scrittura è generosità, sobrietà, eleganza senza artifici, è poesia autentica, lo rispetto. Inoltre facerebbe stand up formatato alla TedX, partecipando all’hallucinazione collectiva davanti a un publico beato.
Capisco la sua riserva, il suo senso della communità, della justizia e giustezza, il bisogno di solitudine. Un estratto di racconto sulla tonnara di Bonagia m’ha fatto capire meglio il suo ruolo nelle tonnare. Controllore di nuoto e regista di traffico oceano, materia di mito per certo, che bello, ciao Jules Vernes.
È sconvolgente la sua visione dell’ingresso dei tonni, la sua anticipazione dei loro percorsi et delle altre specie, la strazziante empatia quasi nostalgica turba, convoca una intimità, esalta la nobilezza dei pesci captivi. Mi sono messa a pensare ai loro occhi, fissi e come dipinti, senza molta prospettiva, a loro prognatismo e questa parte triangolare del collo che amano tanto i pescivendoli. Sa che in francese si dice “un tonno”, connotazione delle più triviali, trattando di donna massiva e senza “bellezza”?
Per una o due espressione “felice come pesce in acqua”, “sgusciare come anguilla”, assimilando l’uomo al pesce in connotazione positiva (rapido, non si lascia prendere), tante altre proiezioni negative dove l’innato non c’entra niente, muto come una carpa, restare come baccalà, occhi di merluzzo fritto, magro come acciuga, pigiato come sardine, sorriso di squalo, gola di raggio, matrimonio di carpa e coniglio, né coda né testa, affogare il pesce, sgridato come pesce marcio …
Sto leggendo un libro sulla solidarietà nel mondo vegetale e animale, ce ne sono forme sottile e commovente e come Darwin ebbe potuto abbracciare tutta la realtà biologica, questa mutualità esiste tra le specie»
La frequentazione epistolare e la coscienza della innata ironia della mia amica creano una sorta di complicità che mi consente di chiederle di abbandonare per un attimo la cronaca per dare vita ai suoi pensieri …
19 aprile
«hmm, vediamo … che io racconto quello che mi passa per la mente ? Davvero ?
Tozzo di Pane alla Corallara
Ingredienti per una ciurma di 6 persone
1 kilo di corallo
un bel atmosfera densa
un tozzo di pane
una manciata di occhiate traversale
una scorza di silenzio
1/4 di saliva
Pesare il corallo,
riservare il pane,
poi tagliare l’atmosfera a fette larghe
assagiare il pane con silenzio e saliva
poi incorporare le occhiate
e nascostarlo in disparte
mangiare senza ostentazione masticando bene …»
Io sto finendo di lavorare al nuovo libro sul corallo, Anne ci scherza su e gioca col nome della mia barca “Rae” .
8 agosto
«Caro Ninni …
Ricetta per la gestazione di “Corallari II”:
Sognare svegliato, sbattersi nel vento salato come bandiera,
cantare come sirena, nuotare come pesce,
pescare senza attesa, navigare Raegolarmente,
pranzi con siesta, tramonti con vino,
Cicala oggi, lavoro da formica domani».
Invio ad Anne la fotografia appena scattata in cui sono con due vecchi compagni di pesca, seduti davanti a un bicchiere di vino a ricordare gli anni fantastici del corallo.
30 agosto
«Caro Ninni, in questa storia eriamo tutti legati senza saperlo, figli del mare e del hasardo, ognuno di noi riffletando l’altro. Dalla tua passione e tenacità cresce questo racconto, siamo le barchine dondolando attorno la nave amiraglio. Grazie per la foto dei tre Moschettieri del Corallo, vent’anni dopo ventimila leghe sotto i mari, l’amicizia che sfida il tempo mi sconvolge».
Chiedo ad Anne l’autorizzazione a pubblicare uno stralcio della nostra corrispondenza, e lei coglie l’occasione per ricordare come è avvenuto il nostro incontro virtuale … come sempre è ironica e gentile.
1 ottobre
«Ninni, capisco che non ti ricordi che t’avevo prima contattato da mail, verso novembre 2016 domandandoti se conoscevi Marco Malaguti dopo aver letto un articolo tuo sulla Repubblica che parlava di Scherchi e ricevo allora di te una risposta laconica “Io no ma conosco amici che lo conoscevano” e basta. Nello stesso tempo, avevo trovato per caso il blog di Andrea Cavallari perché era la sola occurenza sulla tela del nome Marco Malaguti + Ferrara, e ci trovo una foto dove riconoscevo Marco, giovane .Cosi abbiamo scambiato due o tre mail su Marco con Cavallari, e cosi quando imparo qualche mese dopo della morte di Marco, l’informo anche lui. E qua finiva la storia. La cosa strana è che Andrea Cavallari ti contattasse un anno dopo e incidentalmente ti parla di me, infatti c’è stato un circolo completo. Il mio pidgin ha servito fedelmente la mia missione di ricerca e anche m’ha fatto encontrare una bella umanità , per questo puoi pubblicare nostra correspondenza. E cosi scrivendo realizzo che Marco è l’anagramma di Maroc.
Abbracio,
Anne»
Cara Anne, grazie per avermi donato i tuoi ricordi, la tua ironia, i tuoi sentimenti … i nostri “dialoghi mediterranei” saranno certamente la più bella tra le Storie di Corallari. Grazie per le meravigliose foto ad Alessandro Farassino, che con Miraldo, Max, Marco, ha vissuto l’avventura del corallo.
La testimonianza di Anne Angelini Brossard, qui riportata solo per brevissimi stralci (si potrà leggere integralmente in Storie di Corallari di prossima uscita) riveste una enorme rilevanza per molteplici fattori.
La Storia e l’Economia: mai in precedenza era stato scritto alcunché sulla epopea dei sub corallari in Marocco, eppure per oltre una decina di anni (dagli inizi del 1970 a metà ‘80) i porti di Al Hoceima, Benzù, Mdicq, le isole Perejil (“del prezzemolo selvatico”), lo Stretto di Gibilterra e le coste di Melilla e Ceuta, enclave spagnole in Maghreb, sono stati teatro di ricche campagne di pesca del prezioso oro rosso, il Corallium rubrum. Sommozzatori provenienti da tutto il Mediterraneo – Italia, Spagna, Francia, Corsica, Tunisia, Algeria oltre agli stessi marocchini – hanno dato vita a società miste con armatori manager locali e hanno pescato quintali di corallo, che poi è stato venduto quasi integralmente a commercianti italiani, soprattutto di Torre del Greco. Un melting pot di uomini e culture che si è tradotto in nuove tecniche di pesca per le caratteristiche dei fondali, in interscambi di notizie e informazioni che altrimenti non avrebbero superato i rispettivi confini nazionali, nella crescita sociale e finanziaria di piccoli centri dove l’arrivo di stranieri e l’economia legata al corallo hanno accelerato fenomeni di modernizzazione e industrializzazione. Anne è testimone sensibile di quelle avventure e la leggiadria del suo racconto ci regala un affresco inedito di un importante periodo storico.
La Biologia: la scoperta dei banchi coralliferi di Asilah, dovuta a sommozzatori corallari italiani e francesi, ha confermato che il corallo rosso non cresce esclusivamente nel Mediterraneo, come si pensava, ma la sua presenza si espande anche sulle coste atlantiche del Nordafrica. Gli amici di Anne trovano il corallo in Oceano Atlantico inseguendo le antiche collane delle donne. Se le donne berbere le indossano sia sulle montagne dell’interno che nei Paesi della costa atlantica, vuol dire che anche qui si pescava; l’intuizione fu quella giusta e dopo tante ricerche a vuoto finalmente lo trovarono.
L’Antropologia: pochissimo è stato scritto sulle compagne dei sommozzatori, così come delle donne dei pescatori (in proposito mi piace ricordare gli studi fondamentali delle antropologhe Macrina Marilena Maffei e Gabriella Mondardini Morelli). Anne entra in punta di piedi nel mondo dei corallari, e diventa un punto di riferimento non solo per il compagno di allora, il francese Max, ma anche per gli altri amici che li raggiungeranno a Benzù. Raramente li accompagna in barca nelle giornate di pesca, ma a terra raccoglie le loro sensazioni, ascolta i racconti, partecipa alle emozioni della ricerca, analizza i rapporti sociali che si instaurano tra gli uomini del mare, registra tutto nella sua mente ed è capace di restituire quei ricordi con la medesima gioia con cui ha vissuto le avventure ora narrate. La narratrice si spinge oltre il rapporto con i corallari amici, e racconta del suo arrivo a Benzù e della iniziale avversione della popolazione locale («pietre buttate da nulla parte cadevano dalle rocce davanti e dietro ai miei piedi sul cammino verso il villaggio»), poi superata a seguito dell’incontro con lo sciamano locale e il regalo da parte di questo di una rondine (golondrina) in mezzo a una nuvola di Kif, foglie arrotolate che nell’uso quotidiano precedettero l’hashish da quelle parti successivamente prodotto in grandi quantità. Bellissima l’immagine degli abitanti di Benzù che non avevano la luce elettrica ma guardavano le telenovelas spagnole collegando la tivvù alla batteria dell’auto.
Il linguaggio: il pidgin sviluppato da Anne ha creato strepitosi neologismi che a mio parere benissimo figurerebbero nel lessico letterario di ogni tempo: robinsonavo in isole sperdute è il più lirico, ma anche buzzando come api merita attenzione; il cuore che sbatteva alla vista dell’orizzonte è molto di più di un organo che esegue i suoi compiti …
Intense letture di tutti i classici ove si parla di mare, che traspaiono in ogni rigo, rendono il racconto colto, fascinoso, appassionante.