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Apologia delle aree interne: il bilancio SNAI

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CIP 

di Giampiero Lupatelli

Quello che della SNAI ha funzionato meno

Dove stanno, allora, le fragilità della SNAI? Quali sono gli elementi che ne hanno segnato le difficoltà intrinseche aprendo spazi alle azioni che – esplicite e deliberate che ne fossero o meno le intenzioni – hanno potuto contrastare o annullare l’impatto innovativo e il potenziale di trasformazione della SNAI?

Un elemento “sistemico” di fragilità, cui ho fatto già cenno, è stato – almeno nel parere di alcuni – l’eccesso di ambizioni della Strategia e il suo difetto di realismo nel considerare modificabile l’assetto e la cultura organizzativa di una Amministrazione Pubblica assai poco usa ad operare, in ciascuna delle sue articolazioni, politiche, tecniche e amministrative, al di fuori della comfort zone delle proprie prerogative di competenza.

Prerogative invece drammaticamente stressate dalla spinta ad integrare le politiche settoriali (anche quelle di diversissima matrice e cultura di riferimento) e ancor più dalla spinta precipitata verso l’orizzonte di una maggiore integrazione non gerarchica tra diversi livelli istituzionali.

Il quadro ideale per offrire opportunità e spazi alla possibilità che una qualsiasi mano – più o meno invisibile – ne potesse inceppare con poco sforzo il complicato meccanismo di funzionamento.

aree-interneIlluministi e cinici

L’accusa alla SNAI di esprimere una intenzione velleitaria propone una critica insieme ingenerosa e impropria.

Ingenerosa perché incolpare una politica di eccesso di ambizione (e di coraggio) nasconde un retropensiero cinico e ignave che si arrende voluttuosamente a una presunta inutilità delle politiche (della politica?) di fronte alle resistenze e alle inerzie della Amministrazione.

Una rassegnata considerazione dei processi di autonomia e di autoreferenza delle burocrazie che – non fosse peggio – rappresenterebbe queste e quelli come una triste parodia della capacità di auto-organizzazione della complessità, quella che leggiamo nel funzionamento degli eco-sistemi biologici e della loro proiezione metaforica negli eco-sistemi sociali.

La razionalità amministrativa non incorpora, neppure nel suo idealtipo weberiano, un principio vitale che Max Weber affida per contrappunto alla Politica, proprio per correggere le distorsioni della razionalità – astratta ma arida – della Amministrazione.

Una critica ingenerosa, dunque, ma anche una critica impropria. Quando si vuole portare la attenzione dei policy maker, in termini pregiudiziali e generali, verso una supposta irriformabilità – o quasi – della Amministrazione, la si distoglie infatti dal valutare in modo meno superficiale e disarmato gli specifici difetti di disegno della policy, sul piano del funzionamento organizzativo e amministrativo.

Mi permetto di segnalare alcuni di questi punti deboli nel disegno della SNAI, che a me sono parsi rilevanti e che vanno comunque considerati nella loro ambivalenza (che diventa talvolta ambiguità).

Mi riferisco in particolare a scelte, di metodo e di merito, assunte proponendo soluzioni, artifici e (apparenti) semplificazioni che, se possono aver rappresentato un qualche vantaggio nell’immediato, rischiano però di non tardare a presentare il conto.

La più rilevante riguarda forse la stessa definizione di Aree Interne. Definizione cha ha giocato con accortezza ed efficacia la carta della novità, spiazzando d’un colpo le geografie che avevano retto le politiche territoriali in precedenti stagioni, ma che di queste portavano il logoramento.

Innanzitutto, le politiche per le aree rurali, di esplicita matrice comunitaria, nate però fuori (e talvolta con contrapposizioni) alle politiche di coesione, nel cui ambito si è venuta a collocare invece, per tradizione culturale e per esplicita intenzione, la novità delle Aree Interne.

Si potrebbe discutere intanto della appropriatezza semantica del termine interno che ha una sua robusta consistenza e tradizione (si pensi al suo impiego corrente nel lessico della meteorologia) in una accezione geografica però – quella di essere distante dalle coste – che non si sovrappone affatto a quella della SNAI, dove sono interne anche aree costiere (il delta del Po o il Salento) perché la distanza è misurata non dal mare ma dalle aree urbane e dalle loro dotazioni di servizi.

Distanza dalle aree urbane che è servita alla SNAI, opportunamente, per tematizzare la questione dei servizi di cittadinanza come fattore consustanziale a quello dello sviluppo economico, nella prospettiva di arrestare e invertire i processi di declino demografico dei territori, vera posta in gioco della SNAI.

Si sarebbe anche potuto argomentare che venivano individuate così aree “esterne” piuttosto che “interne”; esterne, intanto, con riguardo alla loro collocazione nei confronti degli ambiti urbani e metropolitani. Ma non è certo questa la questione.

9788883251818La questione territoriale. Una vicenda controversa

Apro a questo punto un inciso. Nella mappa concettuale che ha guidato la costruzione materiale della nuova geografia delle “Aree Interne” riecheggia la antica distinzione tra “la polpa e l’osso”; distinzione che, con Manlio Rossi Doria, ha introdotto per la prima volta – negli anni ’50 del secolo scorso – una lettura “di grana fine” della questione territoriale.

La valutazione di Rossi Doria e l’inedito scenario concettuale che egli proponeva, con grande efficacia espressiva, si collocano pienamente all’interno della gloriosa tradizione ottocentesca del meridionalismo italiano, rilanciandola.

Se si rivolge lo sguardo con particolare attenzione alla geografia delle regioni meridionali del Paese, la distinzione tra la polpa e l’osso (i rilievi appenninici e insulari) corrisponde con tutta evidenza alla distinzione delle “aree interne” dalle pianure costiere. Corrispondenza che è invece assai meno significativa per le regioni settentrionali.

Personalmente ritengo che questa accentuazione meridionalista della sensibilità territoriale, di cui l’imperfezione lessicale è sintomo, una deformazione emersa in più di una circostanza nella vicenda delle Aree Interne, non abbia giovato al successo di questa policy.

snaiUna identità da ri-costruire

Per tornare alla sostanza, al difetto di caratterizzazione di una identità territoriale espressiva e condivisa della realtà delle Aree Interne, mi sento di poter dire che questo risiede essenzialmente nella loro definizione “in negativo”, che le individua per quello che non hanno (i servizi, lo sviluppo), piuttosto che per i propri intrinseci valori.

Una scelta che ha contribuito a collocare questa politica nello spazio – ottimista e giudizioso ma in qualche misura eventuale – della equità socio-spaziale piuttosto che in quello – invece ineludibile e necessario – dello sviluppo territoriale; uno sviluppo che investe tanto il Paese nella sua integrità come tutte le sue diverse parti.

Emblematica al riguardo è stata la vicenda del PNRR che, pur avendo assunto come obiettivo strategico per la crescita economica del Paese la riduzione dei divari di genere, generazione e territoriali, non ha compreso tra questi ultimi quelli che riguardano, anche nelle regioni più sviluppate, le aree montane (e interne) nei confronti dei territori metropolitani.

Di questa assenza di una visione “più alta” della questione territoriale come problema strategico della Nazione, non riducibile al solo divario Nord Sud, la continuità e lo sviluppo della SNAI hanno pagato pegno, forse più che non a causa di ogni altra ragione. 

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025

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Giampiero Lupatelli, economista territoriale, laureato nel 1978 in Economia e Commercio all’Università di Ancona studiando con Giorgio Fuà e Massimo Paci, dal 1977 opera nell’ambito della Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia (CAIRE) dove si è occupato di pianificazione strategica e territoriale concentrando la sua attenzione sui temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale delle aree interne e montane. Ha collaborato con Osvaldo Piacentini e Ugo Baldini nella direzione di importanti piani e progetti territoriali di rilievo nazionale e regionale. È Vice-Presidente di CAIRE Consorzio, fondatore dell’Archivio Osvaldo Piacentini per cui è direttore della Rivista “Tra il Dire e il Fare”, componente del Tavolo Tecnico Scientifico per la Montagna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, membro del comitato scientifico della Fondazione Montagne Italia, della Fondazione Symbola e del Progetto Alpe del FAI, oltre che del Comitato di Sorveglianza di Rete Rurale Nazionale. Ha recentemente pubblicato il volume Fragili e Antifragili. Territori, Economie e Istituzioni al tempo del Coronavirus, per i tipi di Rubbettino editore.

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