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Apologia delle aree interne. Le questioni aperte e le nuove possibili strategie

Presentazione standard di PowerPoint

di Giampiero Lupatelli

La centralità della Montagna nella crisi climatica

Nella formulazione programmatica inizialmente espressa nel suo incipit dalla presentazione della SNAI in origine dal sito web alla più generale attenzione del pubblico, delle aree interne si sottolineava anche il rilievo della straordinaria concentrazione di qualità e risorse “non presenti altrove”.

Un carattere di qualità ambientale significativo anche nel generare processi evolutivi di grande portata, come quelli di un neo-popolamento che avrebbe segnato lo scenario post-pandemico. Questo carattere, importante nelle premesse, è rimasto però sostanzialmente marginale nello sviluppo operativo della policy.

Nel rilanciare ogni prospettiva di intervento strategico per le Aree Interne – Aree Interne e Montane mi verrebbe da dire, generalizzando la liason felicemente operata dalla programmazione regionale emiliana romagnola – questa dimensione della centralità delle risorse ambientali e del loro valore strategico per l’intero Paese non può essere in alcun modo in secondo piano.

Non certo dopo l’esperienza delle Green Community e consapevolezza di una “Nuova Centralità della Montagna” affermata a Camaldoli dalle società scientifiche che si occupano di territorio come risposta in positivo alle sollecitazioni della crisi climatica.

3c86275877b398117b752ccbb4162266-1Le criticità del percorso

Anche sul piano del disegno del percorso, la SNAI ha mostrato qualche limite che non ha tardato a manifestare i suoi effetti. Innanzitutto, una forte, fortissima, forse addirittura esasperata, ritualizzazione del processo con la lunga sequenza di passi da compiere che accompagnavano i territori dalla Candidatura alla Bozza di Strategia, poi da questa al Preliminare di Strategia e alla Strategia vera e propria, per arrivare con un passaggio ulteriore alla sua traduzione nell’Accordo di Programma Quadro. Una ritualizzazione che sicuramente ha avuto un qualche significato pedagogico nei confronti dei territori facilitando la comprensione e la metabolizzazione delle novità sostanziali che venivano introdotte.

Ricorderò sempre lo stupore disegnato sul volto di Enrico Bini, Sindaco referente della Montagna del Latte e uno dei più convinti e capaci protagonisti della SNAI, che, dopo aver risposto con ingenuo ottimismo alla insidiosa domanda di Fabrizio Barca sulla disponibilità di “progetti pronti nel cassetto”, era rimasto poi interdetto di fronte alla replica: “e nel cassetto teniamoli, allora”. Tenere nel cassetto le soluzioni preconfezionate per produrne di nuove, costruite responsabilmente in funzione delle esigenze e degli obiettivi condivisi nella Strategia. Drammaturgicamente, si è palesata in quel momento la novità radicale della Strategia, facendo breccia nella coscienza degli attori locali e segnandone, in modo indelebile, la  consapevolezza.

Il rituale della Strategia ha costituito anche un decisivo percorso di training per la task force che – molto opportunamente – la SNAI ha messo in campo come “dotazione” del livello centrale.  Ne sono derivati tempi decisamente molto lunghi; tempi forse necessari per consentire la coerenza dei passaggi nella complessa interazione tra i diversi livelli di governo, ma che esponevano ciascuna delle tappe ai rischi di incorrere nelle tempeste – o nelle secche – che la instabile meteorologia politica del Paese poteva determinare (e che concretamente avrebbe determinato!), tanto a livello centrale che regionale; nubi che anche localmente hanno lasciato il segno.

La soluzione “semplificatrice” che è stata proposta per la seconda stagione della SNAI con una più accentuata regionalizzazione del processo non mi pare abbia mostrato fin qui di produrre apprezzabili miglioramenti. Forse perché si è concentrata sulla manifestazione del fenomeno, cioè sui suoi tempi, invece che interrogarsi sulle loro ragioni.

uncem-pnrr-green-communities-mag2022_pagina_01Tra centro e periferia. Una questione di fiducia

Ho anticipato una riserva sul rischio di possibili “pedagogie illuministe” ravvisabili in qualche misura nelle culture – politiche ed economiche – che hanno promosso e sostenuto la novità delle Aree Interne.

Un tratto rintracciabile forse anche nella scelta – del tutto inedita e radicalmente innovativa nel panorama delle burocrazie ministeriali – di costituire una task force operativa chiamata a sostenere con la sua attività “sul campo” l’implementazione della Strategia. Chiamata a interagire in permanenza con i Territori e a stabilire un’interfaccia cruciale nel rapporto tra questi e le numerose amministrazioni centrali chiamate in causa dalla Strategia. Uno strumento utile e un metodo di lavoro efficace di cui avvertiamo concretamente la mancanza in questa seconda stagione di politica “regionalizzata”.

Se mi permetto però di riflettere criticamente sui rischi di “pedagogia illuminista” insiti nel processo è perché questa unità operativa centrale ha immaginato di poter esercitare il suo ruolo focalizzandolo solo sulla fase creativa e progettuale (non a caso i componenti della task force erano qualificati come “i progettisti”), affidando ad altri (la Agenzia per le Politiche di Coesione) il “lavoro sporco” della gestione amministrativa e contabile. Una vecchia, vecchissima, distinzione tra “compiti di programmazione” e “compiti di gestione” che il riformismo – sicuramente ingenuo e illuminista – degli anni ’60 pensava di poter attribuire addirittura a istituzioni diverse costruendo il mito, largamente disatteso dall’esperienza, della Regione come “Ente di Programmazione”.

Complementare a questa visione di sé, centrata sulle funzioni ideative e progettuali della politica, nel livello centrale di promozione e gestione della policy permaneva una riserva di programmatica sfiducia nella capacità del livello locale – di chi stava alle spalle e a fianco del “Sindaco referente” – di esprimere competenze progettuali confacenti alla complessità della sfida e alla sofisticazione dei mezzi necessaria per vincerla.

Ne sono testimonianza le risorse modeste ma soprattutto tardive che la SNAI riconosce per quelle funzioni che, con una definizione a mio avviso riduttiva, chiamiamo di “assistenza tecnica” e che meglio potremo definire di “accompagnamento tecnico e di animazione culturale”. Funzioni che dovrebbero sostenere la capacità di costruire visioni e scenari, di identificare possibili linee di azione e di misurarne preliminarmente la fattibilità, di animare la partecipazione degli attori locali e di promuoverne, anche con azioni comunicative efficaci, la adesione e la convergenza nei riguardi della Strategia.

Una visione dei “territori” che sembra assumere in qualche misura un antico pregiudizio delle culture metropolitane nei confronti delle periferie; dalle quali i “provinciali” possono certo provenire per portare la propria energia e i propri impulsi vitali che debbono però essere temprati nelle culture (e nelle liturgie) dei salotti buoni.

Un pregiudizio che colloca, peraltro, la SNAI in buona compagnia: anche una azione deliberatamente rivolta ad esprimere profili di innovazione sociale e non solo economica e tecnologica, come è quella delle Green Community, sorvola allegramente sulla dimensione organizzativa del processo di programmazione che vuole lanciare. Ignorando, apparentemente almeno, la concreta evidenza che, per promuovere approcci di animazione e rigenerazione comunitaria, occorre sostenerli con attenzione adeguata e con risorse umane e finanziarie altrettanto adeguate, accompagnando l’investimento in tecnologie e in economie verdi con un investimento in innovazione sociale non meno necessario.

mini_magick20210419-4368-bmtac4What’s next?

Ho speso troppe parole per riflettere con voi su quello che è stato per poterne riservare altre a ragionare su quello che dovrebbe essere, che potrà essere e che sarà il cammino prossimo delle Aree Interne. Me ne scuso. Vi propongo in chiusura appena tre punti da segnare in Agenda ripromettendoci di far ripartire di qui il discorso in una prossima occasione.

Il primo punto di questa mia essenziale Agenda è anche il più scontato: occorre innanzitutto concludere celermente il perfezionamento della decisione sui contenuti della Strategia per le 42 nuove aree individuate nella seconda stagione e avviarne altrettanto celermente l’attuazione. Registriamo in questi giorni la presentazione in Cabina di  Regia del nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne predisposto anche a seguito dell’iniziativa, tardivamente  lanciata dal Dipartimento per le Politiche di Coesione nel luglio 2024 per aprire la consultazione nazionale sul Piano Strategico Nazionale per le Aree Interne. Una consultazione che sarebbe stato assai più ragionevole posizionare quando la seconda stagione della politica ha preso avvio (un anno fa, al tempo del Decreto Legge 124/2023? L’anno precedente quando le nuove aree sono state individuate?).

Non sono poche le preoccupazioni sulle incertezze di questo nuovo percorso che ha impiegato più dei due terzi dell’intervallo di programmazione europea per arrivare a definire (e ancora non ci siamo arrivati davvero!) il punto di partenza della programmazione nazionale che la dovrebbe accompagnare, né sulle scelte di strumenti come il Fondo Coesione e Sviluppo, tipicamente deputato al sostegno degli investimenti, per sostenere azioni innovative e sperimentali sulla organizzazione dei servizi.

Il secondo punto programmatico che vi propongo riguarda la esigenza di costruire urgentemente una effettiva ed efficace infrastruttura di cooperazione tra le Aree interessate dalle diverse Strategie. Una rete di sostegno mutuale, di confronto e scambio di esperienze, di condivisione di soluzioni efficaci, di incubazione e progetto di nuove soluzioni e proposte. Una rete tra le Aree investite dalle Strategie, le 72 Aree Pilota della prima stagione e le 42 nuove Aree, che riguardi anche le altre Aree interessate da strategie territoriali complesse di livello nazionale e regionale, prima tra tutte le 40 Green Community finanziate dal PNRR e le altre 150 candidate. L’iniziativa intrapresa al riguardo da Marco Bussone con UNCEM sul fronte delle Green Community è un riferimento fondamentale di questa prospettiva.

La terza questione da mettere in Agenda riguarda la necessità di giocare di anticipo. La mia ormai troppo lunga esperienza mi consegna una verità profonda che mi ha colto spesso impreparato. Quando qualcosa ti serve davvero dovevi averci già pensato prima. Bisogna guardare un po’ più lontano e provare a giocare non solo di rimessa, dunque lavorare da subito alla stagione di programmazione europea 2028-2034, la prossima.

Intanto, per affermare una indicazione fondamentale: occorre spostare quote maggiori delle risorse delle politiche di coesione dalle politiche settoriali alle politiche territoriali. Verso politiche che, come la SNAI, le STAMI, le Green Community richiedono un lavoro di concertazione interistituzionale e di pianificazione. Che affidano le scelte alla responsabilità dei decisori e non alla casualità dei bandi. Che chiedono agli apparati tecnici e amministrativi dello Stato e delle Regioni di accompagnare il lavoro dei territori, non di limitarsi a valutarne – a posteriori e superficialmente – gli esiti.

Per questo, assumendo esplicitamente nell’Accordo di Partenariato – e trasferendo nei POR regionali – la decisione di destinare almeno il 20% delle risorse totali a quello che nella programmazione 2021-2027 è stato l’obiettivo di policy n. 5, una Europa più vicina ai cittadini. Un obiettivo assolutamente da confermare, da consolidare e da rafforzare, per reagire alle pressioni che, per disarticolare la presenza europea in uno scenario internazionale sempre più minaccioso, vorrebbero innanzitutto allontanarla dai suoi cittadini! 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025

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Giampiero Lupatelli, economista territoriale, laureato nel 1978 in Economia e Commercio all’Università di Ancona studiando con Giorgio Fuà e Massimo Paci, dal 1977 opera nell’ambito della Cooperativa Architetti e Ingegneri di Reggio Emilia (CAIRE) dove si è occupato di pianificazione strategica e territoriale concentrando la sua attenzione sui temi della rigenerazione urbana e dello sviluppo locale delle aree interne e montane. Ha collaborato con Osvaldo Piacentini e Ugo Baldini nella direzione di importanti piani e progetti territoriali di rilievo nazionale e regionale. È Vice-Presidente di CAIRE Consorzio, fondatore dell’Archivio Osvaldo Piacentini per cui è direttore della Rivista “Tra il Dire e il Fare”, componente del Tavolo Tecnico Scientifico per la Montagna presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, membro del comitato scientifico della Fondazione Montagne Italia, della Fondazione Symbola e del Progetto Alpe del FAI, oltre che del Comitato di Sorveglianza di Rete Rurale Nazionale. Ha recentemente pubblicato il volume Fragili e Antifragili. Territori, Economie e Istituzioni al tempo del Coronavirus, per i tipi di Rubbettino editore.

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