La nozione di ecologia deriva da una costruzione semantica, in quanto è l’unione di due termini, oikos (casa) e logos (discorso/studio), ed è propriamente definibile come la scienza che studia le connessioni tra gli organismi viventi e l’ambiente circostante. Studiare ecologia significa muoversi all’interno di un pensiero sistemico relazionale, che prende in considerazione la sfera di interazione con il nostro ambiente e con l’altro. In Verso un’ecologia della mente (1977), Gregory Bateson compie un’importante sintesi delle connessioni tra vivente e ambiente attraverso il concetto di ‘mente ecologica’, cioè di mente interconnessa tra le sue parti in simbiosi tra loro, proprio come l’ambiente, in cui «nulla è comprensibile al di fuori della relazione».
Il concetto di ecologia è ormai problematica profondamente ancorata alla nostra epoca, tanto a livello culturale che scientifico o sociopolitico. Ha così acquisito nel tempo una connotazione complessa, arricchendosi con la nozione di responsabilità di fronte alla crisi ambientale, una crisi della relazione tra umano e non-umano. L’ecologia ambientale denuncia prima di tutto la crisi culturale nella quale ci troviamo, mettendo in discussione il modo in cui viviamo sul nostro pianeta. Essa intende attivare quella connessione empatica con l’ambiente, qualunque esso sia, dalla quale scaturisce lo spirito di preservazione necessario a controbilanciare i disastri provocati dall’uomo: l’inquinamento dell’aria, delle acque e del suolo, unitamente alla deforestazione e alla conseguente e continua estinzione di specie viventi.
Di fronte a queste dilaganti ferite ambientali è necessario porsi una serie di domande fondamentali, attraverso un percorso di riflessione ma anche d’azione che permetta all’ecologia ambientale di rispecchiarsi in diverse discipline, da quelle scientifiche a quelle umanistiche, incrementando in tutti i modi possibili, la nozione di corresponsabilità.
In effetti, nonostante il discorso sulla preservazione dell’ambiente, come lo conosciamo oggi, sia relativamente recente, la preoccupazione ambientale è un fenomeno che nasce con l’avvento dell’industrialismo della metà dell’Ottocento (Iovino 2006: 30), come dimostra l’interesse di diversi scrittori (per es. Thoreau 1854), i quali denunciavano nelle loro opere la relazione tra i nuovi modelli economici capitalisti e il nascere di nuovi disagi tanto per l’uomo che per l’ambiente naturale. Disagi prima ambientali quindi, nella consapevolezza di una rottura del dialogo tra l’universo umano e non-umano, nell’immagine erronea di una natura vista come risorsa inesauribile. Poi sociali, in quanto, oltre a modificare gli equilibri dell’ambiente naturale, essi partecipano ad un processo di alienazione del soggetto che opera nella nascente industria.
Bisognerà attendere l’avvento delle crisi petrolifere degli anni Settanta del Novecento per arrivare alla consapevolezza dell’irrazionalità del modello basato su una natura dalla quale attingere, senza freni, ogni genere di risorsa: simbolo di questo periodo è la celebrazione della prima “Giornata Mondiale della Terra”, il 22 aprile 1970, che indica l’avvento di una sorta di prima fase di una coscienza ecologica collettiva. Tuttavia, questa coscienza non sarà subito accompagnata da quella dicotomia necessaria, individuata dall’attento sguardo pasoliniano, tra “progresso” e “sviluppo”, una pericolosa confusione tra due concetti che non sono sistematicamente legati.
Si tratta di una contraddizione fondata su un sistema economico antropocentrico e specistico, nel quale la dominazione dell’uomo sull’ambiente e sul mondo animale si generalizza nella vorace globalizzazione capitalistica che, se genera importanti profitti, produce in parallelo i nuovi disagi della nascente società postmoderna. Secondo Serenella Iovino «[...] questo primato dell’umano sottintende un neanche tanto malcelato primato della cultura occidentale sulle altre culture, con tutto quello che comporta sul piano delle discriminazioni razziali, sessuali e sociali» (Iovino 2006: 31).
Gli anni Ottanta aprono la strada alla considerazione che la crescita economica e l’utilizzo della razionalità scientifica non possono coesistere senza un’etica precisa riguardo alle conseguenze ambientali e sociali; senza adeguate visioni politiche, economiche e culturali totalmente nuove e a lungo raggio. Si profila l’avvento di un’etica ambientale come nuova strategia di sopravvivenza, più estesa, che vuole sovvertire l’ordine tradizionale includendo tra i soggetti da salvaguardare la biodiversità, le piante e gli individui non umani, quindi gli animali. Un modello più inclusivo in grado di proporre nuovi valori, che facciano luce sugli obblighi e le responsabilità che l’uomo ha verso la natura.
L’obiettivo del pensiero ecologico, in questa lenta presa di coscienza, è proporre all’umano di rinunciare al proprio egoismo specista, iniziando la pratica ambientalista come aspirazione sociale e culturale concreta, passando dall’ecologia all’ambientalismo: «Il suo obiettivo non è tanto di sottrarre lembi di natura all’avanzata di fabbriche e città, ma è molto più generale e politico: combattere l’inquinamento e dunque mettere in discussione la stessa desiderabilità, sociale prima ancora che ecologica, di una crescita economica illimitata» (Della Seta 2013: 84).
L’atteggiamento irrazionale dell’uomo tecnologico è considerare la propria condizione come emancipata dall’ambiente in relazione ai suoi fabbisogni quotidiani, quando al contrario, egli necessita di indispensabili servizi offerti dalla natura, un “capitale naturale” che sembra non avere valore nel sistema economico, ma è indispensabile alla sopravvivenza della specie a livello globale, che comprende: cibi sani, aria pulita, smaltimento rifiuti, ossigeno ma anche attività ricreative e perfino ispirazione poetica (Rossi-Costantini 2013: 54).
Lo sviluppo dell’ambientalismo a larga scala, ha prodotto, negli anni, diversi movimenti che si impegnano nella preservazione della biodiversità, spesso tacciati di irrazionali o reazionari, in quanto non hanno un sufficiente impatto politico: tuttavia, il pensiero ambientalista dal quale prendono forma ha in sé una base politica che non può certo essere liquidata come fenomeno reazionario. Esso si propone piuttosto come razionalità moderna, allarmando e denunciando su basi scientifiche, rifuggendo però i canoni omologanti e soprattutto i grandi media di cui fa parte la politica tradizionale. L’antropologo Franco La Cecla, a questo proposito, riporta il triste esempio dei ‘Verdi’ in Italia:
«Far entrare l’ecologia in politica per renderla efficace ha svuotato l’ecologia di ciò che più ricco aveva, e cioè l’alienità alla politica, il trattarsi di una questione di natura differente, e che implica l’esperienza diretta, non mediata dalla rappresentanza o medializzata dagli altoparlanti della bontà, i militanti ambientalisti» (La Cecla 2019: 70).
Nello stesso solco, ma con modalità diverse, i gruppi vegani o vegetariani intendono affrancarsi dalla sofferenza animale senza seguire la scia della suddetta politica tradizionale, rispondendo a quel bisogno di risingolarizzazione individuale a cui allude Guattari (Guattari-La Cecla 2019: 51), attraverso un ritorno alla soggettività primaria, ad un investimento affettivo e pragmatico personale.
Mentre i grandi media allontanano dalla vita reale e includono la soggettività in una massa informe che, sommersa da informazioni parziali, consuma la propria motivazione all’azione in like o nella condivisione di notizie tramite i social, un’individualità ben informata e libera sarà più consapevole delle criticità dell’ambiente e potrà diffondere dei modelli di comportamento attraverso un attivismo etico allargato.
L’adozione di un’alimentazione consapevole della sofferenza animale è già da sé una forma di impegno individuale i cui contenuti antispecisti sono decisamente rivoluzionari: sono le stesse considerazioni a mettere in discussione un’impostazione culturale tenacemente radicata, basata sull’allevamento industriale (e le immense sofferenze annesse), sul deperimento dell’ambiente, il tutto collegato al consumo di carne animale.
Adottare comportamenti che ripensano e ridimensionano, nel quotidiano, il proprio modo di abitare il pianeta è un segno forte. Ciò risponde ad una consapevolezza che diventa, ad ogni evento catastrofico, sempre più palese ai nostri occhi: quella che non vi sia più tempo per affidarsi ad esperimenti politici, a populismi fuorvianti, di fronte, tra le altre incombenze, al numero sempre crescente di profughi ambientali. In effetti, la relazione tra sconvolgimenti climatici e migrazioni forzate è sempre più forte: secondo la Banca Mondiale [1], a causa del global warming, quindi del surriscaldamento planetario, i profughi ambientali saranno più di 140 milioni nel 2050. Occorre quindi agire immediatamente con interventi politici radicali, con ferree legislazioni a protezione dell’ambiente. Lo sviluppo di energie rinnovabili, affrancandoci sempre più dalle energie fossili, diventa una necessità impellente alla quale è necessario affiancare un comportamento umano, individuale e collettivo, sempre più responsabile.
Nel corso degli ultimi anni molte voci si sono levate facendo appello alla responsabilità comune: da semplici cittadini come Greta Thunberg, con il movimento Fridays for Future, che hanno manifestato in Italia e nel mondo per sollecitare i governi di fronte all’urgenza climatica. Ma anche da parte di autorevoli ricercatori, come il rapporto uscito sulla rivista Bioscience, sottoscritto da più di undicimila scienziati da 153 Paesi: dei ricercatori che intervengono da ambiti diversi, i cui moniti servono a creare un più ampio e condiviso senso di corresponsabilità e un’educazione all’ambiente per la salvaguardia del vivente umano e non umano.
Oltre a rispondere ai suddetti appelli in modo efficace, l’educazione alle cause ambientali rientra nelle strategie di sopravvivenza da adottare a lungo termine. Tra queste, l’ecocritica o ecologia letteraria, è un elemento ulteriore di questo processo attivo e in divenire. Si tratta dell’applicazione del paradigma scientifico alla critica e all’immaginazione dei testi letterari, individuando la presenza degli elementi naturali e mettendo alla luce lo spirito di salvaguardia ambientale presente in questi ultimi. Tale analisi diventa un’opportunità, per la quale è possibile utilizzare i testi letterari come strumento utile per fronteggiare la crisi ambientale, cercando l’interazione sensibile tra gli elementi naturali nella scrittura e chi legge, allo scopo di creare uno scambio educativo ed empatico, che si riversi positivamente nel comportamento quotidiano del soggetto.
Implicando il lettore nella diffusione di un universo letterario in cui la preservazione della natura entra nello sforzo creativo, la letteratura può incrementare l’idea di bene comune, incrementando la percezione delle importanti sfide ambientali che coinvolgono ogni individuo, spingendolo ad informarsi e ad agire.
La narrazione letteraria può quindi svolgere un ruolo importante superando la dicotomia esistente tra cultura umanistica e scientifica, allo scopo di sensibilizzare le coscienze e arginare le dinamiche umane di autodistruzione in atto. Serenella Iovino, docente e teorica culturale e letteraria, ha introdotto lo studio dell’ecocritica in Italia, con l’idea di una permeabilità tra ambiente e cultura, in cui testo e mondo sono ecologicamente interdipendenti.
La finalità è ritrovare un’osmosi tra natura e cultura, rinnovare i modelli educativi attraverso «l’azione del mondo sul testo e, ancora di più, la possibile azione del testo sul mondo, una relazione di contiguità e di reciproca influenza» (Iovino 2013: 17). Passando dall’idea di natura come fondo utile da cui attingere senza limite, alla natura concepita come soggetto e allo stesso tempo come oggetto di ricerca, per la salvaguardia del vivente, a qualunque specie appartenga, partendo sempre dal testo letterario:
«Ciò implica un’idea di letteratura funzionale a un preciso intento educativo: se letti e interpretati in maniera “ecologicamente consapevole”, i testi letterari sono infatti un potenziale strumento di educazione etico-ambientale, in grado di orientare le interazioni tra esseri umani e ambiente» (Iovino 2013: 17-18).
È lecito chiedersi in un contesto di crisi ambientale inasprito da una pandemia senza precedenti, come possa effettivamente la letteratura trasformare lo sguardo del lettore. In effetti, la creazione letteraria, attraverso la scrittura e la creatività, aumenta le categorie del possibile raccontando fin dove arriva o può arrivare la sopraffazione dell’uomo sulla natura. Diventa così fondamentale immaginare e sperimentare la conoscenza del limite oltre il quale non c’è via di ritorno, in un momento dell’evoluzione planetaria in cui l’uomo costituisce il più grande pericolo per se stesso, per le altre specie e per la biodiversità.
In effetti, da ormai due decenni l’umanità affronta quelle che vengono oggi definite “malattie emergenti”, di cui fa parte proprio il CoVID-19: queste malattie dette “zoonotiche” in quanto si trasmettono dagli animali all’uomo (attraverso lo spillover, cioè il “salto interspecifico”), sono strettamente collegate al carattere invasivo del comportamento umano. Come spiega il giornalista scientifico americano David Quammen nel libro Spillover (2012), a causa del disboscamento e della distruzione della biodiversità a scopo agricolo o costruttivo, virus et batteri innocui ed essenziali per gli animali passano da una specie all’altra, provocando importanti epidemie.
Negli ultimi anni in Amazzonia, Congo e Australia, milioni di ettari sono andati distrutti e altrettanti animali uccisi da enormi incendi: tuttavia, queste cause si affiancano agli insediamenti umani che praticano caccia e coltivazione in aree prima inabitate, consumando inoltre carne di animali selvaggi (bushmeat). Questo insieme di pratiche accresce la possibilità di passaggio di virus tra specie, ormai a stretto contatto.
Avendo invaso tutta la terra, la specie umana deve imparare a vivere oltre l’io, riconoscendo l’importanza intrinseca e non utilitaristica delle altre forme di vita presenti nell’ecosistema (Biancofiore 2018: 6). La letteratura, come forma di educazione ambientale, può aiutare a cambiare questa visione egoistica dello stare al mondo.
Tra le opere letterarie degli ultimi anni che possono essere esplorate per estrarvi il loro potenziale ambientalistico di denuncia, il romanzo Sirene (2007) della scrittrice Laura Pugno colpisce per la sua visione futuristica, verso la quale si spinge la narrazione. La lettura del romanzo è emotivamente impegnativa in quanto, pagina dopo pagina, risulta utile per comprendere a che punto la scrittura dell’autrice sa raccontare le dinamiche di distruzione che accompagnano il genere umano.
Si tratta di un romanzo poco conosciuto, ma dotato di una straordinaria capacità di denuncia: Laura Pugno racconta un futuro distopico nel quale gli esseri umani, ormai decimati, sono costretti ad abitare i fondi marini per sfuggire alla forza distruttiva del sole, che provoca il “cancro nero”, una terribile e incurabile malattia della pelle. Una volta spinto oltre la frontiera degli abissi marini, l’uomo scopre l’esistenza di una specie leggendaria, le sirene, che gli appaiono bellissime e feroci, selvagge e immuni alla malattia che affligge l’umanità. La cruenta sorpresa del romanzo sta proprio nel comportamento umano di fronte a tale prodigio: confrontato a questa specie straordinaria, egli comincia a studiarla per poi sopraffarla, cacciandola, allevandola per la riproduzione, per mangiarne la carne e perfino utilizzandola per la prostituzione:
«Tutto stava diventando selvaggio. Underwater, i Territori, l’oceano. Le sirene smetteranno di vivere in fondo al mare e ci succederanno sulla Terra. Non le abbiamo addomesticate, non ancora. Le teniamo prigioniere, mangiamo la loro carne. Ma non siamo riusciti ad addomesticarle» (Pugno 2007: 13).
In queste pagine si possono leggere diversi notevoli elementi riconducibili all’analisi ecocritica: in primis, quelli legati alla fiction letteraria, che sono anche l’espressione dello specismo a cui l’uomo sa arrivare nella realtà odierna, confrontato alle altre specie. Affiancato da un altro topos importante, quello della natura che, forte e indomabile, lotta per affrancarsi dal dominio antropocentrico dell’uomo con tutta l’ostinazione delle sue creature antiche, le sirene. Nel romanzo queste ultime appartengono al mondo non-umano, una caratteristica che le condanna da subito alla sofferenza e alla sopraffazione. Si tratta quindi di una “favola nera”, come la definisce l’autrice, che racconta un’umanità che sopravvive in bilico, sul bordo del precipizio, ma che fino alla fine non perde le proprie prerogative di dominio su tutti gli altri viventi.
L’epilogo del romanzo conferma proprio questa parabola, in quanto la vicenda si chiude su una nuova scoperta che porterà gli esseri umani a percorrere nuove strade per sopravvivere, causando tuttavia nuove sofferenze. Stavolta, esse non si abbatteranno su un’altra specie, ma su una popolazione dell’Africa meridionale già quasi totalmente estinta, la cui cultura è stata integrata, fino quasi a scomparire:
«Presto, l’epidemia avrebbe cancellato Underwater. Le acque dell’oceano sarebbero tornate selvagge. C’era stata una nuova scoperta [...]. Il futuro era in Africa. I semi-estinti boscìmani [...], sembravano immuni al cancro nero. La ricerca stava andando avanti, ma c’era di certo da far fortuna, ironicamente, sulla loro pelle. In attesa che il loro derma venisse riprodotto in laboratorio, come nuovo rivoluzionario innesto [...] se ne poteva sempre scuoiare qualcuno» (Pugno 2007: 144).
Nella recente letteratura italiana, sono numerosi gli scrittori dai quali attingere questa volontà di interconnessione tra etica ambientalista e arte: possiamo citare Anselmo Botte, Erri De Luca, Carmine Abate, Mauro Corona, Christiana de Caldas Brito. Come essi stessi sperimentano, si tratta di includere nella scrittura un’educazione alla sensibilità per l’ambiente percepito come spazio morale nel quale si fa l’esperienza della differenza. La società può allora ispirarsi alla produzione artistica dove l’ecocritica contiene l’idea di un’educazione ambientale, una sorta di «alfabetizzazione», utile di fronte alle problematiche etiche contemporanee, per riconoscere e interpretare i problemi e le richieste etiche del mondo contemporaneo (Ben Abdallah 2018: 4), con l’obiettivo di creare nuovi miti più democratici.
Con la diffusione dell’ecocritica, l’analisi della componente ambientale nelle opere letterarie potrà essere percepita come nucleo centrale della storia raccontata e non come un elemento periferico, allo scopo di reinventare una realtà, con canoni diversi, nella quale non si parli della natura, ma per la natura. In questa ricerca di una nuova evoluzione, l’uomo non è il solo essere dominante, ma può essere l’elemento centrale di un rinnovamento che implica non solo l’educazione alla sensibilità già citata, ma soprattutto la preservazione dell’ambiente naturale, inteso nel complesso dei viventi che lo compongono.
Solo quando avremo una visione diversa della nostra presenza sulla Terra, percepiremo allora il silenzio della natura e delle creature più deboli della nostra società, non più come il segno di un’accettazione della sopraffazione umana, ma come un grido incessante al quale dobbiamo assolutamente dare una qualche risposta.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
Note
[1] https://www.worldbank.org/en/news/feature/2018/03/19/meet-the-human-faces-of-climate-migration
Riferimenti bibliografici
Bateson Gregory, 1977, Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi.
Ben Abdallah Sondes, 2019, « Vers une philosophie écocritique : le récit de L’Iguane comme espace de contaminations », in Implications philosophiques : http://www.implications-philosophiques.org/langage-et-esthetique/implications-du-langage/vers-une-philosophie-ecocritique-le-recit-de-liguane-comme-espace-de-contaminations/.
Biancofiore Angela, 2018, “Donne del sud: per una poetica della cura”, in Onnis Ramona e Spinelli Manuela (a cura di), Donne e sud, Percorsi nella letteratura italiana contemporanea, Firenze, Ed. Franco Cesati: 37-54.
Della Seta Roberto, 2013, “L’ecologia politica come dialettica della modernità”, in Salabè Caterina (a cura di), La letteratura e la crisi del pianeta, Roma, Donzelli Editore: 79-87.
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Guattari Félix, La Cecla Franco, 2019, Le tre ecologie, Milano, Edizioni Sonda.
Jovino Serenella, 2006, Ecologia letteraria. Una strategia di sopravvivenza, Milano, Edizioni Ambiente.
La Cecla Franco, “Le tre ecologie più una: la pornoecologia”, 2019, in Guattari Félix, La Cecla Franco, 2019, Le tre ecologie, Milano, Edizioni Sonda: 63-98.
Pugno Laura, 2007, Sirene, Torino, Einaudi.
Quammen David, 2014, Spillover, Milano, Delphi.
Rossi Loreto, Costantini Maria Letizia, 2013, “L’ecologia nelle scienze naturali”, in Salabè Caterina (a. c. d.), La letteratura e la crisi del pianeta, Roma, Donzelli Editore.
Salabè Caterina (a cura di), 2013, La letteratura e la crisi del pianeta, Roma, Donzelli Editore.
Summa Romano (a cura di), Ben Abdallah Sondes (a cura di), Biancofiore Angela (dir.), 2016, Soyons le changement… Nouvelles tendances dans la littérature italienne contemporaine, Montpellier, Euromédia & Levant.
Thoreau H. D., 1854, Walden, or Life in the Woods, Boston, Tcknor and Fields; trad. it., 1988, Walden, ovvero Vita nei boschi, Milano, Rizzoli.
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Vittorio Valentino, nato a Napoli, in Francia dalla fine degli anni ’90, si è laureato con una tesi in Letteratura italiana sulla tematica del viaggio nella scrittura di Erri De Luca. Nel 2013 ha conseguito un dottorato di ricerca in lingue romanze, sull’impegno nella letteratura della migrazione, francofona e italofona, nel Mediterraneo tra 1950 e 2013. I suoi temi letterari di predilezione sono legati al Sud e ai suoi migranti, scrittori e non; alla letteratura al femminile, al postcolonialismo, all’ecocritica e al care. Ha pubblicato diversi lavori su autori come De Luca, Lakhous, Scego, Abate, Santangelo, Camilleri, Iovino. Nel 2014 e 2019 ha ottenuto la qualifica alle funzioni di “Maître de conférences” dal CNU francese. Insegna attualmente letteratura come “Maître assitant”all’università de La Manouba di Tunisi (Tunisia).
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