di Linda Armano
Il moderno concetto sociologico e antropologico di solidarietà ha avuto origine con il filosofo e politico francese Pierre Leroux e ha assunto il suo significato moderno definitivo durante la Terza Repubblica francese, influenzato dal pensiero progressista della eminente homme de gouvernement Leon Bourgeois. Il termine si riferisce genericamente all’unità o all’accordo di prospettive e comportamenti tra persone con interessi simili, come per esempio nel caso della solidarietà della “classe operaia”. Nelle discipline sociologiche e antropologiche, la solidarietà è considerata essenziale per il successo di qualsiasi movimento sociale. In questo senso, il concetto di solidarietà è diventato centrale nel pensiero di molti studiosi e critici sociali, tra cui de Maistre, Comte, Proudhon, Marx, Bakunin e altri (Cingolani 2015).
Sociologi come Simmel, Tönnies, Durkheim o Weber hanno definito la solidarietà in vari modi includendola in ambiti nazionali, religiosi, corporativi e di parentela. Nel XIX e nel XX secolo le loro affermazioni sono state alla ribalta nelle arene politiche di tutta Europa e negli Stati Uniti (Stjernø 2004). Nelle loro teorizzazioni, l’economia era compresa come un processo sociale e quindi, a livello teorico, era considerata come un insieme di pratiche socialmente condizionate (Hopkins 1957) all’interno dello Stato (Graeber 2004). Considerando la diversità dei contesti culturali ed ambientali, oltre che dei cambiamenti storici nelle condizioni politiche ed economiche, studiosi come Simonič (2019) considerano l’idea di solidarietà profondamente radicata nella promessa della Rivoluzione Francese.
Più recentemente, il tema della solidarietà è stato esplorato sotto molteplici aspetti. Lesley (2009), per esempio, analizza il concetto attraverso un esame delle alleanze e delle disgiunzioni che hanno dato forma a una campagna transnazionale contro la Coca-Cola Company. Egli considera come l’equilibrio di potere all’interno delle coalizioni tra classi abbia influenzato l’inquadramento dei problemi e lo sviluppo delle tattiche. Inoltre, lo studioso esamina le tensioni sorte tra i diversi gruppi che hanno scelto di lottare insieme nonostante avessero obiettivi e prospettive differenti. Lesley giunge alla conclusione che la filantropia sindacale degli attivisti del nord America a favore dei lavoratori colombiani non potrebbe mai sostituire la solidarietà sindacale che i lavoratori colombiani chiedevano ai loro alleati del nord.
Darryl Li (2021), analizzando la situazione della Bosnia Erzegovina nei primi anni Novanta su cui tutta l’Europa puntava gli occhi, mette in luce come già da decenni i musulmani arabi erano impegnati in un panislamismo attraverso pratiche di solidarietà da esercitare sul territorio. Nel fornire aiuti dal Medio Oriente ad un Paese europeo, lo studioso mostra come venissero sconvolte le gerarchie che strutturavano la maggior parte dei soccorsi internazionali. Come sostiene Li, questo esempio mostra come tali pratiche necessitino di una profonda comprensione antropologica dell’universalismo della solidarietà. Piuttosto che respingere l’universalismo come mera ideologia o come un insieme di processi di omogeneizzazione, l’autore sottolinea come i progetti universalisti mettano in pratica idiomi complessi che sono teoricamente diretti a tutta l’umanità. L’attenzione etnografica alle condizioni materiali dei soccorritori islamici rivela la mancanza di privilegi che detengono, per contro, i soccorritori occidentali di cui si parla molto nella maggior parte delle “etnografie di aiuto”. Darryl Li mostra inoltre il modo in cui le attività spirituali si fondono con considerazioni di mobilità transnazionale, classe e azione politica, sottolineando che tali aspetti sono poco considerati negli studi di antropologi focalizzati sulle comunità islamiche.
Sempre in contesto europeo, Katerina Rozakou (2016) affronta la solidarietà e l’apertura di spazi sociali nelle relazioni tra rifugiati e residenti in Grecia che cercano di aiutarli. Le “socialità di solidarietà” materializzano, secondo l’autrice, visioni del mondo alternative che formano luoghi per la produzione di relazioni laterali e luoghi abitati dalle prospettive che derivano dalla produzione politica della socialità. Nel suo lavoro, la studiosa discute il “tabù del dono”, dominante nell’era pre‐crisi, che riflette i rischi del dare alla formazione di relazioni orizzontali. Nella contemporanea crisi europea dei rifugiati, e in altre crisi, il tabù del dono è, secondo Rozakou, crollato, ponendo sfide alle visioni egualitarie della socialità.
Spostandosi in contesto americano, Viscogliosi et al. (2022) analizzano il ruolo essenziale degli elders nelle popolazioni indigene del Canada, nel trasmettere la conoscenza tradizionale e favorire, in questo modo, la riproduzione dell’identità comunitaria attraverso la solidarietà intergenerazionale la quale, a sua volta, è un aspetto fondamentale per mantenere la salute mentale dei nativi. Gli studiosi, basandosi sulla classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute dell’Organizzazione mondiale della Sanità, documentano come molti giovani indigeni si rivolgano ad un elder, o ad un nonno o una nonna, nei momenti in cui si sentono psicologicamente fragili. Gli autori hanno inoltre messo in luce che le donne che non si rivolgevano agli elders in momenti drammatici della loro vita soffrivano maggiormente di depressione, mentre gli uomini presentavano notevoli sbalzi d’umore. Entrambi i generi inoltre presentavano una percentuale più alta di suicidi se stavano lontani dagli elders. Suggeriscono quindi gli studiosi che i risultati di questa analisi e di ricerche simili dovrebbero guidare le politiche mirate a migliorare la salute e il benessere generale delle popolazioni indigene del Nordamerica.
Timothy Stacy, nel suo libro Myth and Solidarity in the Modern World. Beyond Religious and Political Division (2018), ponendo attenzione all’ascesa della politica reazionaria in tutto il mondo a partire dal XXI secolo, prospetta nuovi modi di solidarietà all’interno di differenze religiose politiche ed economiche. Attingendo a un movimento teologico cristiano sempre più influente che l’autore identifica nel postliberalismo, Stacy afferma che il predominio della razionalità liberale e secolare ha accecato le persone rispetto al ruolo fondamentale della trascendenza e del mito nello sviluppo della solidarietà. Il risultato è l’atrofia oppure un ridimensionamento nei miti divisivi di fede, razza, nazione o status economico. Secondo Stacy, il liberalismo è una forza dominante in tutto il mondo, ma la sua risonanza nell’Occidente anglosassone, da cui ha origine, è relativamente poco esplorato. Il suo libro segue quindi due linee di indagine simultanee. In primo luogo, affronta uno studio genealogico delle iterazioni socio-scientifiche e politiche del rapporto tra fede e solidarietà nell’Occidente anglosassone, ponendo la teoria post-liberale in dialogo con la sociologia e l’antropologia della religione, della politica e dell’economia. In secondo luogo, attinge dalla ricerca etnografica all’interno di piccoli gruppi sociali a Londra che cercano di sviluppare la solidarietà di fronte alla differenza profondamente radicata.
Il concetto di solidarietà è sicuramente complesso ed ambiguo. Esso può includere idee di carità, altruismo, redistribuzione economica attraverso sistemi tributari e supporti politici, social policy, concessioni, finanziamenti, pratiche di erogazione di beni come cibo e vestiti, o forme di imprenditoria sociale, ONG e così via. Comunitarismo, uguaglianza e progresso stanno alla base del concetto moderno di solidarietà. Gli studi sociologici basati sulla tradizione marxista hanno rifiutato l’idea di una perpetuazione e di un mascheramento delle disuguaglianze economiche, sociali e politiche fondamentali, nonostante l’idea di una società senza classi come viene idealizzata in questi studi sia rimasta attaccata, in vario modo, ad un concetto di Stati-nazione (Simonič 2019).
Seguendo la teoria dei giochi in auge alla fine del XX secolo, la solidarietà sociologica ed economica è diventata una questione di scelta razionale tra alternative possibili al fine di appartenere ad un gruppo, chiamati in tali studi “comunità intenzionale”, che potrebbe portare ad un massimo profitto ad un individuo (Komter 2005). Nota Simonič (2019), che i primi studi di antropologia focalizzati sul tema della solidarietà, si rifacevano alle teorie sociologiche, di scienze politiche, di legge ed economia. Successivamente, gli antropologi iniziarono a studiare la solidarietà in riferimento a popolazioni extra europee e a comunità pre-industriali. Infatti, la persistenza in comunità di piccola scala e l’interazione faccia a faccia con gli interlocutori, hanno sicuramente influenzato irreversibilmente gli studi antropologici sulla solidarietà, i cui approcci hanno anche condizionato gli studi politici ed economici. Elinor Ostrom (2003, 2009), accettando la posizione di Robert Netting nel suo libro Balancing on an Alp (1981), ritiene che proprio in piccole comunità la sostenibilità facilita una gestione comune delle risorse del territorio. La studiosa vede, in particolare, alcuni aspetti interessanti al funzionamento della solidarietà relazionata all’uso di beni comuni in piccoli gruppi sociali. Riferendosi a Netting in rapporto allo studio di comunità alpine, il primo aspetto che Ostrom sottolinea è che i piccoli gruppi possono introdurre, o reintrodurre, pratiche socio-economiche alternative rispetto al mainstream. Inoltre, l’autrice sostiene che le teorie economiche (come il mercantilismo, l’economia classica e l’economia politica) sono state fortemente condizionate dall’ottica coloniale tipica della classe borghese e dalle organizzazioni ecclesiastiche.
La critica di Ostrom può essere fatta risalire al “Manifesto del partito comunista” di Karl Marx e Friedrich Engels (1998) in cui gli autori sottolineano il fatto che la carità filantropica della classe borghese-socialista facilita e riproduce le gerarchie capitaliste esistenti. Molti teorici hanno fatto eco e sviluppato questa critica che denuncia come l’uso sbagliato della carità sia un costituente facilitatore e redentore dell’economia capitalista contemporanea (Žižek 2009). Per contro quindi, modelli alternativi in economia (che sono stati classificati, per esempio, con l’appellativo di eresie) sono stati considerati, e quindi sono potuti emergere, solo in tempi di crisi sociali ed ambientali. Esistono infatti esperienze concrete di pratiche di solidarietà in questi specifici momenti. Per esempio, al fine di superare i problemi causati dalla crisi globale finanziaria del 2008, molte persone iniziarono ad organizzarsi in comunità solidali proponendo modelli alternativi di produzione, scambio, distribuzione e consumo. I mainstream chiamarono tali comportamenti con l’appellativo di “pratiche economiche alternative” (Simonič 2019). Queste ultime erano promosse e condotte soprattutto da cooperative, agricoltori, imprese sociali ecc. (Simonič 2014a).
Nonostante l’emergere di alcuni studi, ancora oggi però l’antropologia continua a non assumere una posizione decisa sugli studi della solidarietà e continua a delegare le iniziative teoriche alla sociologia e all’economia. Ciononostante, nella disciplina antropologica abbiamo alcuni interessanti spunti concettuali che cercano di capire come lo scambio di valori tra esseri umani possa creare solidarietà sociale. Alcune riflessioni si soffermano sul fatto di come possiamo essere legati alle nostre comunità e ai nostri amici attraverso rapporti di debito e di spesa. Per esempio, quando facciamo un regalo con l’aspettativa di ricevere qualcosa in cambio, leghiamo il donatore e il ricevente in un rapporto sociale che si estende nello spazio e nel tempo (Simonič 2019). Questa riflessione affonda le radici nella teorizzazione di Marcel Mauss.
Come è noto, Mauss (1966 [1925]) infatti sosteneva che la solidarietà fosse un aspetto ideologico dell’ordine sociale predominante. La solidarietà può quindi emergere sia da un accordo contrattuale all’interno di una data società e mercato di scambio, oppure attraverso lo scambio del dono soprattutto all’interno di comunità extra europee (si pensi, per esempio, a famosi esempi etnografici come il circuito Kula o il Potlach). Secondo Mauss, anche i gesti di altruismo sono un tentativo per creare valore e stabilire, o rafforzare, rapporti di alleanza. L’antropologo sosteneva che nessun dono viene fatto altruisticamente, in quanto diamo per ricevere qualcosa in cambio.
L’antropologia economica ha proposto il concetto di reciprocità, intendendolo come un continuum di obblighi morali all’interno di un processo di scambio (Malinowski 2002 [1922]; Mauss 1966 [1925]; Lévi-Strauss 2015 [1955]; Polanyi 1957; Sahlins 1972). Certamente dopo Polanyi, l’antropologia economica iniziò a considerare la società e l’economia come strutture più complesse che non possono essere ridotte al mero raggiungimento di espliciti obiettivi per interessi economici (Gudeman 2005; Hann, Hart 2009; Hart, Laville, Cattani 2010). L’antropologia, in questo modo, ha aggiunto numerosi esempi di solidarietà studiati all’interno di diverse società che vanno dai cacciatori-raccoglitori agli allevatori, all’ambito domestico e della parentela, all’interno delle questioni di genere, nelle classi di età, nei rituali e, in generale, in variegate forme di economie informali. Dal punto di vista storico della teoria sociologica, l’uso del concetto di reciprocità fu utilizzato all’interno di micro scale, affidate agli studi antropologici, e in macro scale affrontate da ricerche sociologiche. Ciononostante, sottolinea Simonič (2019) questa divisione netta è semplicemente arbitraria tanto che sociologi si stanno sempre più interessando a questioni legate allo studio delle famiglie, fanno indagini in piccoli villaggi e in vari gruppi sociali di piccole dimensioni mentre, per contro, antropologi si stanno indirizzando anche verso l’analisi del funzionamento di amministrazioni che si collocano in contesti di interconnessioni globali (Armano 2022d).
Il concetto di reciprocità sembra quindi nutrire e sostanziare l’idea di solidarietà. Dal punto di vista antropologico è possibile riconoscere che sia la solidarietà che la reciprocità sono delle forze di integrazione sociali. Abbiamo cioè compreso come la solidarietà non riguarda solo l’empatia o la preoccupazione per gli altri. Alcuni studi dimostrano infatti come forme specifiche di oppressione riescano ad intersecarsi e dissimularsi con pratiche filantropiche. A tal proposito, al fine di esorcizzare il “complesso industriale del salvatore bianco”, Teju Cole (2012) sostiene l’importanza di comprendere la solidarietà attraverso la lente dell’indivisibilità della giustizia. Cole, in questa sua provocazione, esplora la continua proliferazione di fantasie, che lui chiama “bianche”, di conquista ed eroismo. Secondo l’autore, un “savoir bianco” è qualcuno che salva le comunità nere e razzializzate dalla loro oppressione. Una persona europea, o di origine europea, può permettersi in tal senso di andare in un Paese africano o sudamericano e soddisfare i suoi bisogni emotivi facendo del bene. Cole afferma che, con tali pratiche, una persona occidentale può affermare di salvare le popolazioni, ritenute economicamente svantaggiate, dalla violenza e dalla povertà mentre vive un’esperienza di villaggio.
Analogamente, le idee di aiutare e di salvare, che stanno alla base del concetto di solidarietà devono, secondo l’autore, essere rivalutate e scorporate dai fini utilitaristici. Ribadisce Cole che il “salvatore bianco” costituisce un tropo persistente che si ripresenta anche all’interno di film e, in generale, nella televisione. Nello sfidare il razzismo, in realtà, finisce col distogliere l’attenzione dai problemi sistemici che impongono la pervasività della supremazia corporativa occidentale. Le affermazioni di Cole ricordano il contenuto di una lettera di Martin Luther King Jr. scritta da una prigione di Birmingham in cui egli affermava che l’ingiustizia è ovunque una minaccia alla giustizia. L’umanità sembra quindi, secondo le parole di Cole e Martin Luther King Jr., riunita in un unico mercato capitalista globale all’interno del quale si formano alcune eccezioni ibride.
Questo sistema di accumulazione è stato creato prima dal genocidio e dall’espropriazione delle popolazioni indigene e immediatamente dopo dalla schiavitù delle popolazioni africane. Per Cole, tale sistema è mantenuto dalla supremazia occidentale ed è rafforzato dal nazionalismo e dalla xenofobia che mantengono confini fisici, finanziari o simbolici, per regolare chi ha accesso alle risorse. Questo sistema è pressoché presente ovunque, anche all’interno delle istituzioni politiche ed accademiche. Ed è proprio qui che gli antropologi dovrebbero assumere una maggiormente consapevolezza di come i dilemmi della solidarietà continuino a rimanere sottovalutati anche durante le ricerche etnografiche. In maniera inconsapevole infatti spesso anche gli antropologi, nelle indagini sul campo, possono cadere implicitamente nell’errore di continuare a riprodurre le dinamiche di potere coloniali.
Alcuni suggerimenti di studi che hanno messo in luce questi aspetti incorporati nelle indagini antropologiche consentono di gettare qualche seme per reimmaginare forme di solidarietà sul campo. Per esempio, Benjamin Teitelbaum (2019), nel suo articolo “Collaborating with the Radical Right: Scholar-Informant Solidarity and the Case for an Immoral Anthropology”, indaga il contenuto morale e l’utilità epistemologica della solidarietà nella relazione studioso-informatore durante la ricerca etnografica. Egli sottolinea gli sforzi necessari per evidenziare il potenziale di risultati immorali quando gli etnografi danno la priorità agli interessi di coloro che studiano. Nel suo lavoro riconosce come la pratica etnografica possa essere sempre moralmente compromessa dalla gerarchia colonizzatrice che l’etnografo porta con sé sul campo. Ciononostante, Teitelbaum sostiene che proprio in tale rapporto potrebbe nascere una svolta epistemologica indispensabile in antropologia. Facendo riferimento alle sue esperienze di ricerca con gruppi di nazionalisti in Paesi nordici, l’autore dimostra come la solidarietà, utilizzata come lente concettuale, abbia messo in luce preoccupanti sostegni a cause politiche intrinsecamente malsane.
Pur trovandosi in contesti etnografici scomodi, Teitelbaum ha offerto però importanti conoscenze etnografiche che si possono ricavare solo dalla pratica del campo. Il maggiore contributo dell’articolo è quindi quello di documentare il potenziale di asimmetrie di potere e conflitto politico tra studiosi e informatori, attualmente onnipresente. Da qui la necessità di abbracciare la solidarietà e l’immoralità che ne deriva come due facce della stessa medaglia che devono necessariamente essere approfondite negli studi etnografici attraverso nuovi costrutti teorici. Pertanto, per lo studioso, le gerarchie di valore prodotte dai nostri attuali sistemi di globalizzazione normalizzano la schiavitù storica continuando a perpetuare forme di colonialismo, di imperialismo e di razzismo, nonché di altre pratiche di supremazia e violenza. Seppur inconsapevolmente, queste gerarchie condizionano come ci sentiamo con noi stessi e come ci relazioniamo con gli altri e il mondo, indipendentemente dal fatto che ci identifichiamo o meno con esse.
Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali. Ha pubblicato recentemente la monografia Esplorare valore e comprendere i limiti, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 3, Cisu editore (2022).
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