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Eros Fiammetti, Efesto in Val Camonica

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

di Silvia Mazzucchelli 

Nell’antro oscuro di una fucina da tre punti diversi appaiono tre scie abbaglianti. Una ha la forma di una falce, l’altra di una goccia, l’altra di un’elicoide. Si fondono in una. Non si capisce se siano luce, fiamma, metallo rovente, o se terra aria e fuoco si siano fuse in un liquido che cola al suolo, che subito si rapprende e si spegne. Forse è il segno di un dio che vive nelle viscere della terra, un dio che ha insegnato a questi uomini a produrre il ferro perché possano usarlo per lavorare e vivere.  

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

Pochi attimi dopo questo scatto, l’epifania si conclude, il dio va a nascondersi in un crogiolo, in un mucchio di carbone, tra gli strumenti anneriti o in mezzo alle cataste di attrezzi appena forgiati. E intanto che aspetta di manifestarsi ancora, trattiene il suo alito incandescente sotto l’eterno fragore delle cascate d’acqua che si abbattono sulle pale che muovono enormi martelli.

A questa foto ne accosto subito un’altra. Un fabbro sta sagomando sull’incudine l’incavo per il manico di un badile. La foto è mossa, ma si intuisce che il fabbro è giovane, che ha una sigaretta tra le labbra e un martello nella mano destra. L’unico oggetto perfettamente definito e leggibile è l’incudine. È un indizio importante. Quel braccio vibrante di energia un giorno sarà costretto a riposare e quella sigaretta dopo qualche minuto sarà cenere: tutto in quell’officina è destinato a muoversi, a deteriorarsi e a perire, ma l’incudine sarà lì, a incarnare con il suo peso e la sua immobilità la coscienza visibile e condivisa della comunità.     

Paesaggio (ph. Eros Fiammetti)

Paesaggio (ph. Eros Fiammetti)

Tutta la fotografia di Eros Fiammetti potrebbe collocarsi tra questi due scatti. Il primo è l’apparizione, il mistero, l’accidente fuori dalla storia, la creazione fantasmatica; il secondo è la visione, la realtà in movimento, il ritmo del tempo scandito dal martello, l’odore del carbone e del metallo rovente. Del resto le due foto abitano lo stesso spazio. Nell’immaginario di Eros Fiammetti, la Val Grigna con le sue fusine ed Astrio in Valcamonica, che frequenta dal 1932, coincidono con una geografia ideale, un microcosmo costruito pezzo su pezzo con le sue esperienze, i suoi desideri e i suoi sentimenti. «Una parte delle immagini è dedicata a quel mondo che mi appartiene, ma che, per ordine naturale delle cose, non c’è più. (…) I personaggi raccontano la storia di queste montagne, le loro facce solcate dal tempo parlano di sofferenze e fatiche, ma anche di gioia di vivere, pur nella consapevolezza del duro quotidiano».

Astrio (ph. Erosa Fiammetti)

Astrio (ph. Erosa Fiammetti)

Di questo microcosmo la fotografia è una parte antica, che si è sedimentata e rafforzata con gli anni, sin da quando vive con i genitori in via San Faustino a Brescia, in una casa sopra lo studio fotografico Allegri. Da qui arrivavano a solleticargli le narici le esalazioni dei sali d’argento e gli iposolfiti di sodio lavorati nella camera oscura. Eros ci scherza sopra, e dice che sono stati quei vapori ad avergli trasmesso la passione per la fotografia e ancor più per la camera oscura. Forse non è andata esattamente così, ma la sua passione per la fotografia va di pari passo con la stagione dei giochi e delle prime scoperte.

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

Astrio (ph. Erosa Fiammetti)

Astrio (ph. Erosa Fiammetti)

Di questa impronta adolescenziale è sicuramente la voglia di utilizzare tutte le possibilità di uno strumento meccanico, al costo di un lungo apprendistato su cosa è, come è fatto, a cosa serve.  La freschezza del ricordo e la perizia tecnica che ancora oggi conserva sulle sue prime fotocamere sono una testimonianza ormai rara di un equilibrio tra mestiere e arte.

La parola mestiere ha la sua origine nella figura del servo, dell’aiutante, di chi rende concreto ogni possibile esito di esercizi “maggiori”, come quello dell’artista. Eros rivendica la sua manualità, l’origine materiale e materica della sua fotografia.

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

Fusine (ph. Eros Fiammetti)

I volti dei lavoratori delle fusine sono solcati da righe di materiale ferroso: non esprimono sporco, povertà o sofferenza, sono il segno di una dignità umana fondata sulla consapevolezza di avere un’identità sociale. Dall’ossido di ferro al ritratto della persona, questo è il tratto personale che gli riesce di tracciare tra mestiere e arte, tra visione e apparizione, tra un’incudine e una scintilla di fuoco. I fusinatori sono detti “serpentatori” per il loro «stare fra le verghe roventi, saettanti come serpenti impazziti».

Ragazzi (ph. Eros Fiammetti)

Ragazze (ph. Eros Fiammetti)

La sua prima macchina, racconta Eros nella sua autobiografia Ma questa è un’altra storia (Grafo, 2022), è stata una Box-Kodak formato 6×9 appartenuta a suo padre, poco più di una scatola nera con pochissimi meccanismi: un obiettivo ad ottica fissa (diaframma 11, tempo di esposizione 1/100), un piccolo mirino dove era difficilissimo inquadrare il soggetto. Ma questa scatola nera è esattamente come la nera fucina del fabbro, luoghi del non visto e dell’imprevisto, la notte da dove può spuntare improvvisamente un sole che acceca. Da questo momento per Eros possedere una macchina migliore diventa un obiettivo imprescindibile, soprattutto una fotocamera che si possa usare anche senza la luce del sole.

Abruzzo (ph. Eros Fiammetti)

Abruzzo (ph. Eros Fiammetti)

La Closter diventa l’oggetto del desiderio e finalmente riesce a comprarla a rate. È talmente entusiasta che gli pare un sogno: «l’apertura di diaframma è di tutto rispetto, da 3.5 a 16, quindi ha la possibilità di svariate combinazioni per ogni condizione di luce, anche quella di una candela! Ma quello che conta di più è che monta un rullino 24×36 da ben 36 pose. Strabiliante, per me abituato alla Box Kodak da otto fotogrammi!».

Avere a disposizione la classica pellicola a 35 millimetri con il rullino più capiente a disposizione è un passo avanti verso l’autonomia, ma la vera svolta arriva con la decisione di allestire una camera oscura nella cucina di casa. Intanto acquista una Super Ikonta 6×6 con cui scatta una serie di fotografie a Venezia, una delle quali viene segnalata ad un concorso fotografico al Dopolavoro della OM, presso il quale Eros vedrà anche la mostra The Family of Man. Questa mostra, allestita da Edward Steichen nel 1955, dove «i visitatori guardano le fotografie e le persone fotografate guardano i visitatori» sarà una folgorazione: gli farà capire cosa significa costruire una storia con le immagini. «

Astrio (ph. Eros Fiammetta)

Astrio (ph. Eros Fiammetta)

Alcune foto le ho ancora presenti, come quella della nebulosa posta all’ingresso, la foto di grande formato di un ammasso stellare, a rappresentare la creazione del mondo. Il secondo pannello, sempre di grande formato, rappresenta la genesi: una bambina nuda su un letto di edera, l’apparizione della figura umana, geniale! Poi la fotografia di un girotondo di bambini in un vecchio cimitero irlandese e molte altre». Se si devono cercare le radici ideali ed estetiche della fotografia di Fiammetti, forse bisogna guardare proprio alla sua interpretazione della famiglia umana.

E non bisogna pensare alla singola foto, ma al racconto, alla storia che si dipana, «fra noi nessuno parla ancora di reportage, io non so nemmeno cosa vuol dire». L’amico fotografo Arturo Crescini chiama i suoi lavori “storie minime”, che «alla luce dell’esperienza sono veri reportage: sette, otto fotografie per raccontare». Per Eros raccontare significa avvicinarsi al soggetto, conoscerne la storia, essere prossimo alla vicenda umana: «per le fusine della Val Grigna, ho cominciato con il chiedere del loro lavoro, della loro produzione, del pericolo e della fatica. Dopo aver notato l’ora della colazione di mezza mattina, un bel giorno mi sono presentato con un fiaschetto di vino, pane e mortadella e ho chiesto di poter fare colazione con loro, così per qualche tempo, fino a che sono diventato invisibile. Così ho fatto per l’Ippica di Campo Marte, per lo sfratto, per i cercatori di periferia e altri racconti».

Cercatori (ph. Erosa Fiammetti)t

Cercatori (ph. Eros Fiammetti)

Qualcuno, parlando della sua poetica fotografica, ha parlato di neorealismo. Se con questa parola si deve intendere l’espressione artistica di istanze politiche e sociali maturate durante e dopo la Resistenza, probabilmente non coglie il senso più profondo del suo lavoro. Se ci si sofferma a guardare con attenzione le situazioni e i volti delle persone ritratte, non si avverte una tensione emotiva, un accenno di sofferenza o di denuncia, oppure, al contrario, non si vedono sorrisi di solidarietà e partecipazione. Fiammetti rimane prossimo ma defilato dallo sguardo ideologico che dovrebbe produrre in chi guarda un impulso dinamico, coinvolgerlo in un conflitto prima morale e poi politico.

Cercatori (ph. Erosa Fiammetti)t

Cercatori (ph. Eros Fiammetti)

La sua fotografia è autenticamente etica, ma la sua polis si circoscrive in una dimensione personale. La sua Astrio è una città ideale che, a differenza dei modelli rinascimentali, ricca di dettagli architettonici e priva di uomini, è costruita sulle persone, rimanendo le case e le strade solo un pretesto per poterli fissare fisicamente. Sulla soglia della casa un giovane papà tiene in braccio suo figlio. Il suo sguardo è vivace, ma non esprime un sentimento, fosse anche un piccolo moto d’orgoglio. Dalla falce e dal rastrello attaccati alla parete si intuisce che fa il contadino, ma il cappello, la camicia, l’orologio da polso rassicurano. Qui non c’è ombra di lotta di classe.

Abruzzo (ph. Eros Fiammetti)

Abruzzo (ph. Eros Fiammetti)

Un altro uomo, più maturo, ci guarda dal buio dell’ingresso, non si capisce se per uscirne o rientrare. Indossa abiti da lavoro, abbastanza sporchi ma non cenciosi; anche lui ha un cappello, ma non ha l’aria da quarto stato. Il suo volto è una maschera inespressiva.

Due ragazzine vengono riprese con le spalle addossate alla casa. Sono amiche, una tiene il braccio sulla spalla dell’altra. Entrambe portano un vestito modesto e decoroso, e saranno state chiamate fuori mentre facevano lavori domestici, visto che una indossa il grembiule. Nei loro occhi non si legge sorpresa, eccitazione, fastidio, o ilarità. Anche in questo caso, i visi sono indecifrabili. Due fidanzatini si affacciano da un poggiolo. Si capisce che sono innamorati perché si sfiorano teneramente le mani. Lei in maglietta scura, lui in canottiera, guardano con intensità dentro l’obiettivo, disturbati dalla luce del sole che è alle spalle del fotografo. Ma nessun movimento del viso che denoti emozioni o sentimenti.

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

La rassegna può continuare con un bel ritratto di famiglia, madre e figlia sedute su una scala di legno e il capofamiglia, in piedi e con una mano in tasca, a denotare scioltezza e tranquillità; con i ritratti in interno di due anziane, con un doppio ritratto in esterni di due uomini seduti sopra una panca.

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Nella città di Fiammetti le persone in carne e ossa sembrano trasposizioni figurative di modelli canonici, delle figure di un presepe assolutamente necessarie alla realizzazione della rappresentazione collettiva, ma del tutto prive di una propria autonomia affettiva. In altre parole, la persona fotografata assume valore e ha motivo d’esistere non in quanto dotata di una sua peculiare soggettività, ma in quanto espressione di una individualità che appartiene ad una dimensione superiore, una sorta di realtà platonica, un idolo.

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Anche le scene e le pose, in questo profondo Nord di Fiammetti, sono ben lontane dal brusio di fondo che si “sente” nelle foto del profondo Sud, con i bambini che fanno caciara e le strade ingombre di persone e cose. Una bambina, con la testa reclinata appoggiata ad uno stipite di pietra e gli occhi appena malinconici, con il suo grembiulino, sosta sulla soglia di casa. In silenzio e in punta di piedi sembra voler annunciare al mondo la sua esistenza, prima di essere costretta a lasciare la sua casa per causa di uno sfratto. I suoi occhi sembrano dialogare con il ragazzino che lavora dentro la fusina, come se cercassero di superare le barriere e la distanza nello spazio e nel tempo, cercassero di condividere la tristezza, la fatica, l’infanzia privata della serenità e delle piccole gioie.

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Le immagini sono misurate, scarne ed essenziali, scolpite e cesellate fino a distillarne un’essenza di ieraticità. Gli studi fotografici, con le pose lunghe, gli scenari stereotipati e le espressioni del viso tassativamente corrispondenti alla funzione che l’occasione richiede, probabilmente sono un retaggio culturale che Fiammetti ha interiorizzato, e che va ad aggiungersi al suo universo di archetipi.

Ragazzi (ph. Erosa Fiammetti)

Ragazze (ph. Eros Fiammetti)

Un bambino che rimane orfano in tenera età, che ha difficoltà a frequentare la scuola, che a Brescia vive alla periferia della città e dentro i suoi labili margini sociali, che respira l’indottrinamento da Balilla e assiste allo scoppio della guerra, non avrà ottime ragioni per costruire e idealizzare un suo mondo che, tra l’altro, ha già avuto occasione di vedere e ammirare ad Astrio?

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Sfratto (ph. Eros Fiammetti)

Qui non esiste una divisione tra lo spazio privato, quello sociale e quello del lavoro; le pietre sono sempre dello stesso colore e le costruzioni usano le stesse tecniche, uguali da secoli. Il vecchio che riposa sulla panca e la vecchietta che lavora seduta sul masso esistono da sempre e per sempre, e non ha senso chiedersi quale sia la loro effettiva collocazione topografica: stanno e basta.

L’idea del presepe ritorna nel riconoscere le foto degli esterni come quinte teatrali. La splendida composizione del fienile con la sua perfetta simmetria e la nota idillica dei conigli appartiene ad una realtà trasfigurata, ad un topos dell’anima. Appena dietro una casa o un fienile ecco gli spazi aperti dell’orto o del prato, dove si fa intima la comunanza tra piante, animali e uomini, espressioni fraterne di una stessa madre, nella poetica cosmologia di Fiammetti. Gli uomini non hanno connotazioni di ceto, semmai di mestiere, come si capisce dalla polvere di ferro che annerisce le facce di chi lavora nelle fucine.

Ragazzi (ph. Erosa Fiammetti)

Ragazze (ph. Eros Fiammetti)

Autoscrontro (ph. Eros Fiammetti)

Autoscrontro (ph. Eros Fiammetti)

Con la faccia sporca ci sono anche due ragazzi, poco più che bambini, uno con la bocca chiusa, l’altro con le labbra appena aperte, che in modo appena appena diverso esprimono non tanto la fatica fisica, quanto il rammarico della rinuncia al gioco. Quello semplice, paesano e spericolato di due assi di legno incrociate montate sui cuscinetti a sfera, i “cargioi” a sfidare ciottoli, pendenze, ostacoli e compagni di gioco. Con l’ambizione di provare l’emozione del luna park di città, a posare da duri e scafati sul palcoscenico luminoso e colorato dell’autoscontro, cercando di attirate l’attenzione di qualche fanciulla. Chissà se il fotografo, ormai uomo, avrà potuto rispecchiarsi negli occhi di quei ragazzi, non rinunciando a vedere il mondo a modo suo.

Astrio (ph. Erosa Fiammetti)

Astrio (ph. Eros Fiammetti)

Un suo modo di vederlo Eros Fiammetti certamente ce l’ha, prima di tutto scegliendo la pellicola in bianco e nero. Un linguaggio che tende a cogliere solo l’essenziale e, allo stesso tempo, a restituire e amplificare le omissioni attraverso una più intensa e attiva partecipazione alla lettura dell’immagine. Il suo bianco e nero, tuttavia, non si limita a sostituire il colore con le consuete sfumature di grigio, ma si spinge a contrasti molto più accentuati, quasi xilografici, vicini alla soglia di un dualismo bianco/nero che è ricco di significato. «Il mondo è a colori, ma i sentimenti sono in bianco in nero», come avrebbe potuto dire Mario Giacomelli, che Eros ammirava profondamente e che considerava un modello a cui ispirarsi.

Perché vuol dire preferire una visione semplice e immediatamente accessibile, che non significa ignorare la complessità del reale o pensarlo in termini manichei. Un bianco e nero “assoluto” significa, in definitiva, un monocolore, un solo pigmento nero su una superficie bianca, che equivale alla scrittura, un riportare la fotografia al suo senso primordiale. I pochi paesaggi di Fiammetti, tutti luoghi consueti e familiari, arieggiano la pura calligrafia, il tentativo di riportare la natura ad un solo segno che ne contiene infiniti altri. 

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023 

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 Silvia Mazzucchelli, laureata in Scienze umanistiche, ha conseguito un master in Culture moderne comparate e un dottorato in Teoria e analisi del testo presso l’Università di Bergamo. Ha pubblicato due saggi dedicati alla fotografa e scrittrice Claude Cahun. Della stessa autrice ha curato Les paris sont ouverts (Wunderkammer, 2018) e scritto il saggio introduttivo per la traduzione in italiano del pamphlet. Ha collaborato con numerose riviste, fa parte della redazione della rivista on line Doppiozero. Da circa due anni sta conducendo uno studio analitico sul lavoro fotografico e poetico di Giulia Niccolai.

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