di Fabrizia Vazzana
Istanbul era una favola, come recita il titolo del lungo romanzo (2007, Baldini+Castoldi Editori) di Mario Levi, scrittore turco di origine ebraica, scomparso lo scorso gennaio.
Era, come quella sera d’estate in cui dal terrazzo di un bar nel quartiere di Galata, Levi seguiva il calare di un sole infuocato che spargeva i suoi nastri di luce vermiglia su Haliç, il Corno d’Oro.
Era, quando sentì le sue memorie riaffiorare attraverso ognuno dei sensi: le risate dei suoi amici d’infanzia, le canzoni che suonavano e cantavano gli adulti riuniti a bere acquavite, le tinte vivide dei frutti maturi sugli alberi, delle pietanze che la madre distribuiva nei giorni speciali.
Davanti a quel tramonto, aveva raccontato in un’intervista che Binevi Gazete ha pubblicato qualche giorno dopo la sua morte, Mario Levi aveva capito di voler scrivere la sua favola.
«Gli odori creano legami indissolubili con la nostra profondità, rievocano nitidamente le memorie più recondite».
Tra i suoi preferiti, il profumo dei panini col pesce grigliato, che si possono mangiare a tutte le ore nel quartiere di Karaköy, sponda che brulica da sempre di pescatori, viandanti, operai.
Si sente lo scampanìo dello storico tram rosso, che attraversa tutta via Istiklal, lunga un chilometro e mezzo, da un capo all’altro, cioè da piazza Taksim ai vicoletti che attorniano la torre di Galata, di proprietà dei genovesi fino alla conquista di Costantinopoli. Il sabato pomeriggio, ancora, con inestinguibile tenacia, si riuniscono, o ci provano, le Madri del Sabato, tra le mani le foto dei loro figli, figlie, mariti, mogli, padri, fratelli scomparsi in seguito ad irruzioni, prelievi, arresti sommari.
Istanbul, che ha dato i natali all’architetto italiano Giulio Mongeri (1873-1951), gli riconosce opere come la base del monumento che commemora la fondazione della Repubblica di Turchia nel 1923, progettato dallo scultore italiano Pietro Canonica (1869-1959), la Basilica di Sant’Antonio di Padova nella via Istiklal, e il Bulgur Palas, da poco riaperto al pubblico come biblioteca e centro culturale.
Attraversato il baccano variopinto di Karaköy, tra il fumo dei filetti grigliati e il miagolio di gatti vispi e ben pasciuti – probabilmente i più fortunati del mondo, da queste parti, trattati al pari di divinità – si va verso il ponte di Galata, legame simbolico con l’Istanbul ottomana storica di palazzi, bazar, antichi quartieri e mura centenarie, ci si imbatte nelle grandi e principali moschee. Non che ne manchino altrove: esempio più recente l’enorme moschea costruita in piazza Taksim, proprio di fronte a Gezi Park, aperta al pubblico il 28 maggio del 2021, anniversario delle proteste cittadine in difesa del parco che rischiava di essere sepolto dal cemento di un altro luccicante centro commerciale.
Ilponte di Galata ospita, nei suoi 500 metri, i binari del tram, una sfilza di ristoranti acchiappa turisti, le corsie pedonali e perfino lo spazio per piantare sedie e tavolini: ricorda un teatro a cielo aperto. Vecchi e giovani pescatori, schierati sulle balaustre azzurre, in barba ai cartelli rossi di divieto, trascorrono le ore più fresche aspettando che i pesci del Bosforo abbocchino all’amo. Cani assonnati si accontentano di quel segmento da una sponda all’altra per scortare i passanti in cambio di una carezza, un boccone, uno sguardo. Nei loro occhi, ancora i riflessi di quella favola mai svanita…
Il tram passa da Sirkeci, storico capolinea dei treni a lunga distanza che collegano la Turchia all’Europa come il famoso Orient Express, che ancora, due volte all’anno, attraversa i Balcani per raggiungere Parigi. Il fischio di partenza è preceduto dalla musica del mehterhâne, la banda di suonatori in costumi tradizionali.
A Santa Sofia, per secoli cattedrale cristiana bizantina e sede del Patriarcato di Costantinopoli, dal 10 luglio del 2020 si professa il culto islamico. Quel giorno, un decreto presidenziale ha sancito il passaggio da museo a moschea e garantito l’ingresso gratuito e separato per fini religiosi. Nel grande piazzale, intanto, migliaia di manifestanti, musulmani e non, scandiscono slogan contro la guerra, sventolano bandiere della Palestina.
Mentre i vicini greci subiscono l’affronto di dover pagare il biglietto d’ingresso per avere un accesso limitato alla parte superiore della tanto contesa Aya Sofia, l’antica chiesa di San Salvatore in Chora (V secolo), uno dei più importanti esempi di architettura bizantina sacra ancora esistenti, museo statale dal 1958, ora è aperta a fedeli e visitatori col nome di Moschea Kariye.
Nel sud-est del Paese, tra gli esempi si vedano Mardin – protetta dall’Unesco, prima città turca ad aver eletto un sindaco donna di religione cristiana nel 2014 – e Diyarbakır, sulle rive del Tigri, convivono madrase e chiesette siriache, minareti di pietra nera e cattedrali armene.
Così commentava il risultato delle elezioni di fine marzo il rieletto sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoğlu, del principale partito di opposizione, CHP:
«Oggi si apre una nuova porta per una nuova Turchia più libera e democratica. Gli armeni, i curdi, i circassi, gli aleviti, di questa città vivranno liberamente e faranno parte dei meccanismi decisionali. Questi risultati elettorali sono un importante messaggio al resto del mondo. Oggi gli occhi dei popoli orientati alla democrazia possono essere puntati su Istanbul»
Forse in quella promessa non c’è una Istanbul nuova, inaudita, irrealizzabile. Non c’è una favola, c’è ancora l’Istanbul com’era una volta.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
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Fabrizia Vazzana, ha studiato Lingua e Letteratura turca presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Ha completato i suoi studi con una tesi sui racconti dello scrittore armeno Migirdic Margosvan. All’indomani della laurea ha preso parte con il suo professore, Giampiero Bellingeri, al progetto di traduzione dei racconti dello scrittore turco Sait Faik Abasıyanık (1906-1954), pubblicati nel maggio 2021 dalla casa editrice Adelphi, nella raccolta intitolata Un uomo inutile. Ha tradotto racconti e poesie per la rivista online Kaleydoskop – Turchia, culture e società. Attualmente collabora come news producer presso la redazione di Rai Turchia, a Istanbul.
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