di Cesare Ajroldi
Proseguo con questo articolo la trattazione sull’architettura mediterranea, esplorata in numeri precedenti (n. 38 e n. 41) in relazione ai borghi rurali siciliani e all’esperienza di Fernand Pouillon ad Algeri e a Parigi. Il tema si inserisce in un contesto di grande interesse nei confronti della ricerca in Italia: in quel periodo, infatti, si sviluppa nel nostro Paese un’elaborazione originale, espressa in particolare sulle pagine di «Casabella-continuità» diretta da Ernesto Nathan Rogers, che sfocerà in una polemica esplicita con gli esponenti più rappresentativi dell’ortodossia del Movimento Moderno.
I maggiori protagonisti dell’architettura italiana di quegli anni, da Gardella ad Albini a Samonà, mostrano una attenzione al rapporto con la storia e con la città che li porta a risultati non in linea con una continuità assoluta con i Maestri dell’anteguerra, risultati che si concreteranno negli anni immediatamente successivi nella formazione di una scuola, la “Tendenza”.
Questo gruppo di architetti, il cui principale rappresentante è Aldo Rossi, caratterizzato da un riferimento alla teoria, alla razionalità, all’architettura della città (titolo questo del libro di Rossi del 1966), divenne un punto di riferimento del dibattito internazionale, per cui l’architettura italiana ebbe un ruolo di punta nei rapporti con l’Europa e con l’America.
In quegli anni, l’architettura spagnola mostra una grande attenzione agli sviluppi della ricerca italiana, che sono certamente riconoscibili negli esempi che seguono.
Successivamente, possiamo constatare che in qualche modo i rapporti si invertono, tanto che oggi l’esperienza in Spagna, sviluppatasi in forme di alta qualità (e anche con una alta quantità di realizzazioni dovuta al riconoscimento da parte delle istituzioni del valore dell’architettura, diversamente da quanto finora accaduto in Italia) costituisce un riferimento costante per il nostro Paese.
Le due case, insieme a quella Ugalde di qualche anno precedente e citata nel libro di Sartoris del 1956 Encyclopédie de l’architecture nouvelle. Ordre et climat méditerranéens (così come quella a Garraf di Sert degli anni trenta), sono tra le più significative nella produzione dell’architetto spagnolo forse maggiormente legato alle correnti internazionali della sua generazione: fa parte del Team X ed elabora insieme agli altri componenti del gruppo posizioni alternative alla osservanza “passiva” dei canoni del Movimento Moderno.
Rappresenta appieno quel raggruppamento che ha introdotto nuove nozioni nel dibattito degli anni cinquanta e sessanta, nel rapporto con la città, con il contesto, con l’utenza. Di lui scrive così Ignasi de Solà-Morales:
«La chiarezza labirintica che Aldo van Eyck ha enunciato come programma e che troviamo nella pittura di Pollock, Fautrier o Woolss è anche quella che copre gli spazi esterni, interni, sempre intermedi, spostandosi dalla casa Ugalde, a Caldes d’Estrac, agli alloggi del palazzo Girasol a Madrid. [...]. Ottenere una poesia dura e vibrante dalla flessibilità delle pareti, dal continuum spaziale, dai percorsi, dalla contrapposizione spezzata dei volumi, dalla moltiplicazione dinamica delle immagini senza accettare altri parametri sensibili rispetto a quelli di una percezione non intellettuale, ma comune, benjaminamente distratta, tali sembrano essere le caratteristiche che rendono il lavoro di questo architetto una potente testimonianza di uno degli ultimi progetti di un umanesimo volontario e tenacemente progettato»[1].
Sono d’altra parte evidenti, e li mette in luce anche Solà-Morales, i rapporti con la cultura architettonica italiana, con Rogers e Gardella in particolare, rapporti che hanno condotto a una forte omogeneità di alcune opere di grande rilievo.
Le due case hanno un impianto simile, con una ricca articolazione dei volumi dovuta alla complessa organizzazione degli spazi. Le bianche architetture si adagiano sul suolo: nella casa Rozes seguono le irregolarità della roccia proponendo un rapporto con la bellezza e la potenza del sito che ci sembra assai simile a due architetture simbolo della mediterraneità, la villa Oro a Napoli di Luigi Cusenza e la villa Malaparte a Capri di Adalberto Libera (e probabilmente di Curzio Malaparte), forse la più nota e citata, costruita in simbiosi con la roccia dell’isola e con una architettura singolare, che sembra nascere dal sito e si caratterizza con una scalinata che parte dal terreno e continua come parte della copertura.
La presenza di un patio, inoltre, costituisce un ulteriore segno di appartenenza a questa cultura, così come vedremo di seguito nella casa Moratiel.
La casa, situata nell’urbanizzazione di Ciudad Diagonal, un quartiere residenziale di Barcellona basato sull’idea di città giardino, è una delle più note dell’epoca: è stata accostata alle architetture «di Mies, Le Corbusier, Wright, Neutra, Breuer, Johnson, Figini e Pollini, Rietveld, Van Doesburg…». Ma si sente anche «il profumo di Brunelleschi e Alberti, delle case con atrio pompeiane»[2].
In effetti l’edificio si inserisce con evidenza in una ricerca di architettura che si confronta con le punte più avanzate del Movimento Moderno. È sopraelevata rispetto alla strada, e si presenta come un oggetto composto di volumi elementari, che riprendono un procedimento di tipo neoplastico: quelli sulla terrazza realizzano la definizione di Le Corbusier dei volumi puri sotto la luce. E la presenza del patio centrale giustifica l’accostamento con le case pompeiane.
La casa è stata abbandonata dai proprietari negli anni novanta, e ha subìto non poche profonde trasformazioni. Successivamente è stata restaurata (1998-2000) da Enric Batlle e Joan Roig, che hanno trovato una situazione molto compromessa, e hanno ricostituito gli spazi originari basandosi sui documenti reperiti.
Hanno ripristinato il patio, che era stato trasformato in bagno, e, a causa delle mutate condizioni al contorno, nei rapporti con le case contigue e nella necessità di definire il giardino, hanno inserito altri due patii, uno laterale su cui si apre la cucina e uno nella parte posteriore, a somiglianza delle case a tre corti di Mies.
I due architetti hanno poi fatto riferimento alle splendide fotografie in bianco e nero pubblicate all’epoca, analizzando successivamente le architetture catalane di quel periodo ed evidenziando in queste un uso del colore maggiormente diffuso rispetto ad altre esperienze coeve.
Hanno ritrovato le tracce dei colori originari e scelto di dipingere di rosso pompeiano il muro di sinistra per chi guarda dalla strada, lasciando il bianco per quello di destra.
«Oggi, nonostante l’attenzione posta nella ricerca della policromia originale, la villa sorprende chi la conosceva solo attraverso le foto. Forse ridipingerla attingendo alla gamma dei grigi e dei neri sarebbe stato l’atteggiamento più rispettoso, non tanto verso la casa, quanto verso l’immagine che tutti ne avevamo» [3].
Così, in modo fortemente problematico, Joan Roig conclude la presentazione su «Casabella» del lavoro di restauro, che ci ha potuto restituire un’architettura di alto valore e a forte rischio di irriconoscibilità.
Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Note
[1] Ignasi de Solà-Morales, José Antonio Coderch en la cultura arquitectonica europea, in J.A. Coderch de Sentmenat (a cura di Carles Fochs), Editorial Gustavo Gili, Barcellona 1989.
[2] Antonio Armesto, Casa Moratiel (MMI), in Sostres Arquitecte – Arquitecto (a cura di Antonio Armesto e Carles Martí Arís), Centre de Documentació del COAC, Barcellona 1999.
[3] Joan Roig, Note sulla ricostruzione della casa MMI, «Casabella» n.690, 2001.
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Cesare Ajroldi, ha cominciato la propria carriera accademica con Alberto Samonà, diventando in seguito professore ordinario, direttore del Dipartimento di Storia e progetto nell’architettura all’Università di Palermo, oltre che coordinatore del dottorato in Progettazione architettonica con sede nel capoluogo siciliano. Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali dal 1970 al 2004, ottenendo il II premio per lo ZEN e l’Università di Cagliari (1972, capogruppo G. Samonà). Tra le opere più recenti, la scuola media a Niscemi (realizzata) e il progetto di Autostazione Sud a Palermo. Tra le pubblicazioni più recenti: Monumento e progetto a Palermo (Roma, 2005), Expo Lisboa 1998 Paris-Palermo (Roma, 2007), Per una storia della Facoltà di Architettura di Palermo (Roma, 2007), Innovazione in Architettura (Palermo, 2008), La Sicilia i sogni le città. Giuseppe Samonà e la ricerca di architettura (2014).
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