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Aspettando gli esami di maturità 2019

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Bologna (ph. Alex)

di Lella Di Marco

La scena dell’incontro è Bologna, il quartiere san Donato che non è periferia ma continuazione del centro. Per sua struttura urbanistica, perché vicina al centro storico, perché sede di strutture sociali e associazioni molto attive, studentati universitari, facoltà di Agraria, nuovi centri economici come FICO, la Regione Emilia Romagna, circoli Arci legati alla tradizione di attività antifascista tipica di una certa tradizione bolognese, un camplus, un centro interculturale, sale studio e poi tante associazioni migranti attive anche sul territorio.

È il quartiere con il più alto numero di immigrati provenienti da etnie diverse, espressione di molta ricchezza culturale e umana ma anche di bisogni e attenzione. Intensa e attenta l’attività politica e amministrativa che fa capo al Presidente del Consiglio di Quartiere che comunque non sempre è sufficiente ed adeguata ai problemi che emergono e che sono in continua trasformazione, come le stesse persone che li esprimono. Residenti o di passaggio, che arrivano, si fermano o ripartono subito. C’è una fenomenologia dei luoghi, delle aggregazioni umane, delle situazioni nuove emergenti in continua mutazione che andrebbe studiata. Sembra quasi il fenomeno dell’alba o del tramonto o delle nuvole che i pittori non riescono a dipingere per il loro mutamento repentino e che sono costretti a filmare o fotografare l’attimo fuggente… per completare il loro lavoro.

Allora, in tal senso, probabilmente anche le mie riflessioni pur “circoscritte e limitate” possono essere utili come frammento di una realtà in perenne movimento ma viva.

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Bologna (ph. Alex)

Valutazioni di una inguaribile ottimista

Molti di quei ragazzi li conosco da anni, alcuni da quando frequentavano la scuola materna. Parecchi vivono nel quartiere, altri arrivati da quartieri limitrofi o addirittura da fuori Bologna, richiamati da qualche compagno di scuola. Alcuni sono stati incontrati in laboratori interculturali che abbiamo condotto nelle scuole o al Centro interculturale Zonarelli, negli anni.

Quest’anno però il tutto è stato organizzato in un circolo Arci (che ci ha concesso soltanto lo spazio fisico e l’uso del bar) spontaneamente, senza l’ingerenza delle istituzioni, «per studiare assieme alcuni classici della letteratura del 900 e discutere di qualche argomento sulle attuali dinamiche socio -politiche- economiche». Magari anche per contrastare, sicuri di una maggiore preparazione, l’ansia degli esami. L’iniziativa è stata molto partecipata: ragazzi e ragazze che si sono sentiti liberi di esporre fragilità emotive, qualche incomprensione relativamente ad alcuni argomenti del programma, l’incognita del nuovo format di esami, il conteggio rigorosamente aritmetico per la valutazione finale, la paura di non superare il test universitario per essere ammessi in facoltà.

Tutto questo è in fondo normale anche se amplificato dalle notizie dei media, tanto per sottolineare come gli esami di maturità, evento che comunque è sempre stato e continua ad essere ansiogeno in quanto Rito di passaggio, transizione ad un altro periodo della vita. Forse con maggiori responsabilità ma con cambiamenti. Altre ritualità. Credo proprio che nella nostra società siano spariti tutti i riti che segnavano il passaggio dei giovani, sia maschi che femmine, verso l’Adultità per quanto non si può certo dire che un giovane  tra i 18 e 20 anni possa essere considerato adulto    nel senso di maturo, anche se da poco maggiorenne.

Non saprei né intendo definire i giovani di oggi, come categoria, come genere sociale e intellettuale nella dinamica antropologica. Ho prestato attenzione al loro rapporto con lo studio, con la conoscenza, con il sapere. A come si collocano all’interno della società. A come riescono a vedere “l’altro”, a come si pongono nei confronti della scuola, delle relazioni umane nel loro complesso, degli obblighi, dei doveri, dei diritti. Della responsabilità individuale e collettiva.

 Ho incontrato ragazzi e ragazze notevoli. Positivi. Con progetti esistenziali e politici. Né sdraiatibamboccioni. Responsabili, magari a tratti confusi. Dirò le particolarità di alcuni/e di loro che mi piace sintetizzare in Io-chi siamo, parafrasando l’espressione di un noto pedagogista «per intendere l’affermazione di un Io profondo», non come cultura del narcisismo in fuga dal sociale nella disillusione collettiva, ma di un Io ancora in costruzione dentro un ventaglio di realtà, spesso in contraddizioni fra di loro.

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Bologna (ph. Alex)

Leonardo ha frequentato con profitto gli anni del liceo, appassionandosi alle scienze umane – letteratura, storia, filosofia, diritto, economia – con l’obiettivo di approfondire la conoscenza in alcuni campi, che gli possano servire a capire meglio le dinamiche del quotidiano, sia soggettive che oggettive, che ritiene strutturalmente legate. Si definisce anarchico attivo, anticapitalista, essenzialista, minimalista, nemico dei consumi indotti, della mercificazione delle idee, dell’arte, delle persone come forza lavoro. Cerca forme di comunicazione libere ed è disposto a tutto per esprimere ciò che sente con graffiti, parole, musica. Ha contestato fortemente la segregazione in un museo dei murales di BLU voluta dal sindaco del Bologna per combattere il degrado della città. L’episodio ha suscitato clamore e l’ira dello stesso BLU il cui spirito nel dipingere era ed è profondamente diverso e quei murales li aveva regalati ad un centro sociale XM24 che proprio in questi giorni è stato sgombrato

Ernesto, nato in Italia da genitori provenienti dal Bangladesh, è determinatissimo a studiare medicina, laurearsi a Bologna e magari dopo una specializzazione a Londra andare a lavorare in USA. Il giovane tamil, con il senso della natura del suo Paese nel cuore, ha frequentato un istituto agrario, ricavando enormi stimoli a rafforzare la sua passione da esperienze in aziende agricole e realtà boschive sull’Appennino tosco-emiliano, legate all’alternanza scuola-lavoro. E mentre aiuta i suoi che gestiscono una friggitoria etnica, sorride felice di avere ottenuto il massimo dei voti e di essere stato ammesso alla Facoltà di agraria con indirizzo specialistico in Architettura dei boschi. Non manifesta particolari critiche nei confronti dell’Italia, dell’accoglienza dei migranti; è soltanto felice che nel suo Paese la guerra contro i Tamil sia cessata e che lui stia avendo l’opportunità di studiare e laurearsi in un campo che lo appassiona, senza essere discriminato e rifiutato.

Mohamed, di origine irachena, conta di diventare un ottimo chirurgo così da poter lavorare con dedizione in ogni parte del mondo dove nessuno gli possa più chiedere se è musulmano sciita o sunnita. Al servizio degli esseri umani. Senza il bisogno di mercificare la sua prestazione, di fronte ad individui bisognosi di cure

Kaled e Said con genitori palestinesi intendono studiare medicina ed esercitare la professione prestando le loro cure ai connazionali rimasti a Gaza, ma non disdegnano di poter rimanere a lavorare anche in Italia.

Alessandro ha il mito del nonno partigiano, della resistenza “tradita”, si batte contro l’attuale sistema politico-istituzionale – i tradimento di molti, la corruzione di altri che avrebbero dovuto puntare alla ri-nascita del Paese – ma non ha idee come fare e come aggregare o aggregarsi ad altri concittadini attivi. Vede negatività ovunque. Studia e lavora in una struttura per giovani. Intende specializzarsi in psicomotricità per aiutare i giovani in sport di autodifesa, per sviluppare le potenzialità del proprio corpo non disgiunte da una conoscenza e autoconsapevolezza profonde.

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Bologna (ph. Alex)

Andrea ama l’ambiente, la natura, il buon cibo, vorrebbe continuare il lavoro in campagna di suo nonno ma pensa che l’alimentazione oggi sia diventata una scienza e che la tradizione orale di padre in figlio non basti più. Occorre conoscere le nuove colture, i pesticidi, le importazioni, la produzione a chilometro zero, saper mangiare cibi di stagione, combattere l’obesità in aumento, così pensa ad un corso di studi in Scienza dell’alimentazione per saper dosare i cibi, riconoscerli, combinare i prodotti, saperli cucinare. Il cibo come antropologia può essere alla base della bio-cucina da usare oltre che come nutrimento e piacere del gusto anche come prevenzione o cura di alcune malattie che stanno diventando endemiche.

Giulio non è soddisfatto di come funziona il Paese Italia, della gestione statale delle finanze e dell’economia. Ritiene che si possa cambiare il tutto gestendo la situazione con la specializzazione negli studi come esperto del settore.

Sara, siriana rifugiata a Bologna con tutta la famiglia, si esprime correttamente in italiano, conosce bene l’arabo e l’inglese. Anche lei con la passione della medicina, non disdegna l’idea di continuare come ricercatrice anche a Bologna

Mariem, nata a Bologna da madre egiziana e padre pugliese, vede il futuro dei suoi studi e della sua professione nel settore pediatrico-psicologico. Avendo scoperto che fra i bambini, soprattutto di origine straniera, sono in aumento le malattie di apprendimento come la dislessia, conta di riuscire a lavorare nel campo della psicoterapia e logopedia. Non trascura tuttavia i suoi interessi per le lingue straniere e la scrittura letteraria e tutte le pratiche per la cura del corpo, compreso il trucco della tradizione femminile egiziana.

JOI ha frequentato il liceo scientifico e soprattutto nello studio del latino ha individuato una passione da tramutarsi in possibile lavoro. Attratta dalla cultura romana, dall’archeologia, dall’arte, avendo già fatto formazione ed esperienza con il FAI nelle giornate di apertura dei musei, intende frequentare il DAMS per un futuro insegnamento delle discipline artistiche. Nel senso di poter insegnare in attività teoriche e laboratoriali a saper leggere un’opera d’arte per potersi impossessare della felicità che la sua fruizione riesce a produrre sia nei bambini che negli adulti.

Olfa, di origine tunisina, attiva nella Associazione dei giovani musulmani, vede la sua futura professione come ponte fra la Tunisia e l’Europa. Vuole studiare lingue con la specializzazione in arabo classico per poter fare la mediatrice culturale e poter sviluppare progetti di diffusione della conoscenza della storia e della realtà politico sociale economica della Tunisia.

Kadijia, di origine marocchina, ama il nostro Paese per le opportunità di emancipazione attraverso lo studio che le sta offrendo. Ama la danza e il teatro e in tali settori ha già intrapreso a frequentare dei laboratori espressivi. Vorrebbe lavorare in tale campo magari per assistere i portatori di deficit fisico.

Fatima con genitori marocchini è sufficientemente integrata soprattutto nelle relazioni con altri giovani, mantenendo fede agli insegnamenti della famiglia, intende studiare Scienza della formazione e specializzarsi nello studio dell’arabo classico, per potere infine insegnare.

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Bologna (ph. Alex)

Questi alcuni elementi su cui riflettere. Per parlare di giovani bisogna conoscerli. Stare assieme a loro per capirli, condividendo le stesse esperienze anche se, con spirito diverso.  Dai nostri ripetuti incontri sono venuti fuori due categorie di giovani: quelli di origine migrante più determinati nelle scelte, vuoi come percorso di emancipazione personale vuoi come riscatto, affermazione sociale, emancipazione degli stessi genitori che li sostengono e in un certo sensi li tutelano. Significativa la scelta per i musulmani di voler esercitare la professione di medico, in corrispondenza a certi enunciati del Corano che raccomandano la cura del corpo, l’assistenza agli ammalati, il prestare comunque opera di cura e di solidarietà a fratelli e sorelle in difficoltà. Tra l’altro anche le ragazze di origine migrante rivendicano il diritto allo studio per ottenere un ruolo di maggiore libertà sociale e il riconoscimento e il rispetto come persona.

Su questo molto dipende anche dalle famiglie di provenienza. Chi può mantenere i figli all’Università li spinge a studiare medicina o ingegneria o informatica, sempre ovviamente seguendo la buona volontà ad impegnarsi del figlio. C’è anche chi figlio di migranti, costretto dai genitori a studiare medicina, non riuscendo ad essere inserito in Italia, viene mandato a studiare in Ucraina nelle università private, dove arrivare alla laurea è molto più facile che in Italia.

Mi hanno sorpresa anche i ragazzi italiani nel senso che riescono a fare affermazioni molto forti e significative su come va il mondo, pur non avendo alle spalle molte letture né guide teoriche.  Mi sembra, per dire, sensata la loro opinione che l’arte non può essere mercificata, deportata nei musei e diventare privilegio di pochi. Come l’affermazione che tutti hanno diritto alla libera espressione ma che ai giovani non sembra del tutto consentito. Come non sono loro consentiti luoghi per una aggregazione spontanea autoorganizzata senza controlli e divieti istituzionali. Ritengono i graffiti o le scritte sui muri conseguenza di politiche paternaliste e “non costruttive” nei confronti dei giovani che sono costretti ad incontrarsi per strada o in luoghi abbandonati e degradati, con i rischi che ciò comporta. Del resto, indipendentemente dal decreto sicurezza Salvini, la situazione a Bologna diventa sempre più repressiva: fioccano i fermi ed anche multe e arresti per i graffitari, soprattutto se “beccati” nel centro storico dove si sta facendo una notevole pulizia-restauro sotto i portici   in attesa di presentazione di richiesta all’Unesco di riconoscimento del luogo come patrimonio dell’umanità. Stessa consapevolezza sulla distruzione del Pianeta con le colpe riconosciute ai potenti della terra che derubano i cittadini anche dello spazio vitale, della salute, del cibo, dei diritti, della vita.

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Bologna (ph. Alex)

I ragazzi non recitano slogan ma ne sono convinti al punto che qualcuno di loro ritiene che intanto ciascuno può cominciare dalle proprie scelte, dai consumi, dal rifiuto di nutrirsi di cadaveri di animali, pur in assenza di una organizzazione di contrasto, diffusa fra la gente. In tutti ho notato la consapevolezza della gravità del momento storico, il rigetto della politica alla quale siamo abituati, la sfiducia nei partiti, la non accettazione della rappresentanza parlamentare. Chi aveva appena compiuto i 18 anni alle ultime elezioni ha scelto di non votare.

Confusione? Sfiducia? Senso di estraneità ad un mondo che non si occupa di loro? I giovani e le giovani di oggi sono tutto questo, nonostante la vitalità e la positività, ma sono anche altro. Lo avvertono sulla pelle anche se non sanno riconoscere le colpe di chi, intellettuale, produce idee tossiche, «suonando il piffero a chi ha il potere», tanto per citare Vittorini e il filosofo Geymonat.

 Leggono poco, cercano il sapere, vogliono conoscere, desiderano relazioni sane, vere senza soffocare i loro sentimenti. Non considerano il libro l’unica fonte di conoscenza ma ricercano l’esperienza diretta con altre realtà, il confronto con portatori e portatrici di altre culture, con altri popoli. Uscendo dalle gabbie dell’identità etnica, dai nazionalismi, dalla logica dei porti chiusi e dell’«aiutiamoli a casa loro».  Ascoltano musica REP e TRAP, adorano Zero-calcare   e riescono a sognare un mondo diverso, senza violenza e spargimento di sangue, a cominciare dal cambiare se stessi. Loro ci sono e gli altri?

Dialoghi Mediterranei, n. 39, settembre 2019

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Lella Di Marco, laureata in filosofia all’Università di Palermo, emigrata a Bologna dove vive, per insegnare nella scuola secondaria. Da sempre attiva nel movimento degli insegnanti, è fra le fondatrici delle riviste Eco-Ecole e dell’associazione “Scholefuturo”. Si occupa di problemi legati all’immigrazione, ai diritti umani, all’ambiente, al genere. È fra le fondatrici dell’associazione Annassim.

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