La globalizzazione offre l’esempio di un sistema complesso del mondo d’oggi, caratterizzato da interdipendenza, incertezza ed imprevedibilità, di cui la tratta è un epifenomeno, peraltro relativamente nuovo, se si considera che, precedentemente, gli unici strumenti giuridici erano quelli contro la schiavitù e il racket delle bianche. Perciò si brancolava un po’ nel buio di fronte ai nuovi e massicci fenomeni di sfruttamento del mondo globalizzato. Man mano si è venuta costruendo una legislazione sulla tratta, sia sovranazionale, sia nazionale.
Preliminarmente, mi preme chiarire subito che il concetto di tratta non è riferibile, come secondo uno stereotipo diffuso, soltanto a donne vittime dello sfruttamento sessuale, ma include bambini e anche adulti di sesso maschile. Si tratta, quindi, più in generale di una tratta delle persone e come tale considerato un crimine contro l’umanità, perché viola una serie di diritti umani. La tratta prolifera all’interno delle migrazioni e del lavoro nero, trovando ampio spazio nel bisogno di tante persone che vivono in condizioni di estrema povertà e disposte a vendersi come una comune merce. Trattandosi, perciò, di un fenomeno complesso, non basta affrontarlo soltanto con strategie repressive ma serve una politica di prevenzione, affiancata da assistenza concreta, di sostegno psicologico e d’inserimento sociale e lavorativo, anche al fine di fare emergere le responsabilità.
Per molti anni, l’unica istituzione a occuparsi del fenomeno è stata l’Unione Europea. Tra il 1990 e il 2000 ha prodotto una serie di risoluzioni e raccomandazioni, cui è seguito il Protocollo addizionale della Convenzioni delle Nazioni Unite, approvato a Palermo nel 2000 e recepito dall’Italia con la L. n. 146 del 16 marzo 2006, contro la criminalità organizzata «per prevenire, reprimere e punire la tratta di persone». La suddetta legge ha formalizzato l’ipotesi di reato transnazionale quando è implicato un gruppo criminale organizzato e operante in più Stati.
Nel 2002, la Dichiarazione di Bruxelles, a seguito della conferenza continentale organizzata dall’OIM (Organizzazione Internazionale Migrazioni), con la partecipazione di osservatori di tutto il mondo, ha messo a punto un piano di azione coordinato per prevenire, reprimere e assistere le vittime, in particolare donne e bambini. Anche il Trattato che istituisce la Costituzione europea considera la tratta di esseri umani e lo sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini una violazione dei diritti umani e tra i delitti più gravi. Una Convenzione del Consiglio d’Europa del maggio 2005 ha arricchito i Paesi membri di una prassi operativa comune sui contenuti del protocollo ONU di Palermo.
L’Italia è stata tra i primi Paesi ad adottare misure concrete per affrontare e arginare il fenomeno. In passato, l’unica legge esistente era la L. 20 febbraio 1958, n. 75 , nota come legge Merlin, la quale abolì la regolamentazione della prostituzione, chiudendo le case di tolleranza e introducendo i reati di sfruttamento, induzione e favoreggiamento della prostituzione. Dovevano passare 40 anni per giungere al D. Lgs del 25 luglio 1998, n. 286, noto come “Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”, il quale prevede, all’art. 18 che
«quando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall’articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero, ed emergano concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autorità, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti dell’organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione sociale».
Il regolamento di attuazione del DPR 394/1999 prevede l’istituzione di una commissione interministeriale per la selezione dei programmi di assistenza e integrazione sociale e la possibilità per le vittime di accedere a un programma di protezione sociale di durata di un anno, adattato alle esigenze e ai bisogni delle persone, tendente al recupero fisico e psicologico e all’inserimento al lavoro, nonché il registro delle associazioni, istituito presso il Ministero del Lavoro. La L. n. 228 dell’11 agosto 2003 ha ridisegnato alcuni reati, modificando gli artt. 600-602 e 416 c. p., come la riduzione in schiavitù, la tratta delle persone e il commercio degli schiavi, con inasprimento delle pene e sanzioni pecuniarie, con un aumento da un terzo alla metà se il reato è commesso a danno dei minori. La competenza per i crimini di tratta e riduzione in schiavitù è compito della direzione distrettuale antimafia.
Il DPR n. 334 del 18 ottobre 2004, con gli artt. 21 e 46, ha apportato alcune modifiche all’art. 18 del T. U. del 1998. L’art. 21 precisa che il permesso di soggiorno rilasciato ai sensi dell’art. 18 del T.U. sull’immigrazione può essere convertito in permesso di soggiorno per motivi di lavoro. L’art. 46 ha modificato l’art. 52 del DPR 394/99, riducendo da tre a due le sezioni nel registro delle associazioni: 1) associazioni ed enti che svolgono attività per favorire l’integrazione sociale degli stranieri; 2) associazioni ed enti abilitati all’assistenza e protezione sociale degli stranieri.
La recente L. 7 aprile 2017, n. 47 stabilisce che «i minori stranieri non accompagnati sono titolari dei diritti in materia di protezione dei minori a parità di trattamento con i minori di cittadinanza italiana o dell’Unione europea». L’art. 17 c. 2 recita che, «in caso di minori vittime di tratta si applicano, in ogni stato e grado del procedimento, le disposizioni dell’articolo 18, commi 2, 2-bis e 2-ter del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142 e dell’articolo 76, comma 4-quater, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, anche al fine di garantire al minore un’adeguata assistenza per il risarcimento del danno».
Per la valutazione dell’interesse superiore del minore occorre procedere all’ascolto del minore, tenendo conto della sua età, del suo grado di maturità e di sviluppo personale, anche al fine di conoscere le esperienze pregresse e valutare il rischio che il minore sia vittima di tratta di esseri umani, nonché alla verifica della possibilità di ricongiungimento familiare ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento UE n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013, purché corrisponda all’interesse superiore del minore.
In buona sostanza, i punti chiave e ricorrenti della legislazione riguardano la prevenzione e la lotta alla tratta di esseri umani, finalizzata a qualsiasi tipo di sfruttamento e la protezione, sostegno, assistenza e reinserimento delle vittime. La legislazione italiana ha recepito gli standard internazionali, con particolare attenzione per la tutela e protezione delle vittime di tratta, così incentivando la fuoruscita delle vittime dai circuiti di sfruttamento.
Come ho già detto, la legislazione prevede la possibilità per la vittima di tratta di accesso ad un programma di protezione sociale della durata di un anno, adattato alle esigenze della persona, con l’obiettivo di farle conseguire un buon livello di autonomia attraverso un percorso d’inserimento socio-lavorativo. Si ipotizza un percorso in diverse fasi, che prevede innanzitutto il recupero fisico e psicologico della vittima, processi d’integrazione e d’inclusione sociale ed interventi finalizzati all’orientamento e all’inserimento socio-lavorativo, tramite l’apprendimento della lingua italiana, corsi di formazione, borse di lavoro e tutoraggio guidato nelle aziende. Naturalmente non tutto è così semplice e bisogna fare i conti con le condizioni oggettive del mercato di lavoro e con le condizioni di precarizzazione del lavoro. Inoltre, occorre dire che le maggiori difficoltà d’inserimento sono per le ragazze, le quali vengono impiegate, per lo più, in attività di tipo assistenziale (lavori domestici o servizi alle persone).
Bisogna anche dire che la maggior parte dei Paesi di destinazione tendono ad ospitare le vittime per un breve periodo, per poi incoraggiarle a rientrare nel loro Paese d’origine. L’Italia è l’unica nazione che dà la possibilità d’intraprendere un percorso di formazione o lavoro. Tuttavia, per le donne e i minori, vittime della tratta, che vogliono ritornare al loro Paese di origine è previsto, attraverso stanziamenti previsti dall’art. 18 del T.U., un’azione coordinata del Ministero degli Interni con l’OIM, volta a effettuare il rimpatrio, attivando anche un percorso di reintegrazione sociale nei Paesi di origine.
Gli aspetti critici riguardano la mancanza di omogeneità interpretativa e soprattutto applicativa sul territorio nazionale della legislazione, in particolare per quanto concerne il rilascio del permesso di soggiorno, che spesso ha causato ritardi e reso difficile il percorso di protezione sociale, nonostante la circolare 2 gennaio 2006 abbia sollecitato una maggiore cooperazione dei livelli istituzionali e un’accelerazione dei processi.
Insomma, è il caso di dire, come spesso avviene in Italia, che le buone leggi non mancano ma spesso restano non applicate in tutto o in parte. Basti pensare alle tante strade delle città che attraversiamo, disseminate di donne nere, vittime di tratta e costrette a prostituirsi senza che nessun organo dello Stato intervenga per fare applicare la legge. Ritengo che sia necessario un maggior coinvolgimento del Ministero degli Esteri d’intesa con quello delle pari opportunità per una più efficace azione di sensibilizzazione (vere e proprie campagne informative) nei Paesi di origine sui rischi cui vanno incontro le persone che si affidano alle organizzazioni criminali di trafficanti.
La lotta alla tratta di persone condivide molti aspetti della lotta alla mafia, sia perché spesso sono le stesse associazioni mafiose a macchiarsi di questo crimine, sia perché le vittime di tratta sono soggette agli stessi soprusi e violenze cui sono costrette le vittime di mafia. Non è un caso che la competenza a indagare per i crimini di tratta e di riduzione in schiavitù sia compito esclusivo di organi specializzati, come le Direzioni distrettuali antimafia, che hanno sede presso le Procure dei capoluoghi di regione e sono coordinate dalla Direzione Nazionale Antimafia. Perciò è necessario un coordinamento tra le DNA e le Procure ordinarie per quanto riguarda le indagini relative alla tratta di persone e l’immigrazione clandestina.
Per quanto riguarda le problematiche psicologiche, si può dire, senza alcuna reticenza e senza timore di esagerare, che la tratta è un’esperienza traumatica devastante dal punto di vista fisico, psichico e sociale. Le persone che emigrano hanno un immaginario idealizzato per sè e gli altri e una sublimazione del sacrificio, che le dispongono ad affrontare ogni sofferenza (stress, solitudine, mancanza di affetti, condizioni igieniche, sanitarie ed alimentari precarie).
La tratta comporta disgregazione della personalità, fenomeni di spersonalizzazione e di conseguente perdita d’identità. Allo sradicamento sociale, alla solitudine, alle difficoltà di lingua si aggiunge la terribile esperienza della tratta, che rappresenta il segnale di una sconfitta, la distruzione del sogno, del progetto, a cui si reagisce e si compensa con dispositivi di difesa. Dai meccanismi d’idealizzazione e di sublimazione si passa a quelli di rimozione, di confusione e dispersione d’identità, con perdita di fiducia, trasferiti a tutte le relazioni, e perfino meccanismi d’identificazione con l’aggressore, ma anche depressione, aggressività verso se stessi e gli altri.
Sono problematiche quelle della tratta che spesso liquidiamo con superficialità e indifferenza, quando non approdiamo a un senso di fastidio e perfino d’intolleranza. Ma quel che è più grave è che leader di partiti, attraverso semplificazioni e costruendo false informazioni e slogan, inducono paure e sollecitano i sentimenti più oscuri della psiche, coltivando i semi di un vero e proprio razzismo.
Dialoghi Mediterranei, n.27, settembre 2017
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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014).
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