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Autoritratto di un paese

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di Michela Capra 

Il docufilm “Prato Bello” è l’ultimo lavoro di Paolo Vinati (Brescia, 1967) ed è ambientato nella piccola frazione montana di Belprato, situata a circa 800 mt. di altitudine nel Comune sparso di Pertica Alta, in Valle Sabbia. Laureato al DAMS di Bologna in Etnomusicologia, Vinati ha svolto diverse ricerche in Lombardia, Trentino Alto Adige, Austria, Montenegro e Croazia, pubblicando libri e curando diverse produzioni discografiche. Collaboratore di lungo corso con l’Istitut Ladin Micurà de Rü in Val Badia (BZ), dove da tempo vive con la famiglia, con questo film è tornato dopo molti anni a documentare un nuovo capitolo della sua terra d’origine, le Prealpi bresciane.

Rispetto ai lavori precedenti dedicati al canto di tradizione orale – si ricordano in particolare “Le us per aria” (2010), ambientato a Brione, e “Il sangue nel canto” (2011), girato a Serle – questo lavoro si discosta dalle finalità e dagli approcci filmici dedicati alla documentazione etnomusicologica. Da una parte sperimenta nuovi linguaggi del cinema sociale e dall’altra abbraccia un tema di grande attualità: quello del destino dei piccoli paesi di montagna non coinvolti dal turismo di massa e segnati dal graduale spopolamento e dall’abbandono delle tradizionali attività rurali avvenuto nel secondo Novecento, a seguito del processo di industrializzazione dei centri urbani e dei fondovalle.

Promotrice del progetto è stata l’Associazione locale “L’Anima della Pertica”, che ha partecipato a un bando della Cassa Rurale Adamello, Giudicarie, Valsabbia e Paganella e si è fatta da intermediaria tra l’autore e la popolazione del paese, che oggi conta poco più di cento abitanti. L’ambientazione del film risulta famigliare all’occhio di chi frequenta queste zone: un’antica borgata disposta a mezza costa, le cortine di case rivolte al sole e affacciate lungo la strada principale, la chiesa parrocchiale in posizione più elevata, il campo sportivo, le villette più recenti costruite ai margini del centro storico e tutt’attorno i piccoli appezzamenti di prato stabile, che ancora resistono all’inesorabile e graduale avanzata del bosco.

Belprato

Belprato

Il periodo dell’anno in cui le riprese sono state effettuate è però inusuale rispetto ai più comuni filmati promozionali sui borghi delle aree interne, ritratti perlopiù nei giorni di festa, tra prodotti tipici in bella mostra e sfilate in costume tradizionale: le scene sono state infatti volutamente girate in un bigio giorno infrasettimanale di novembre, lontano dai clamori dell’estate, quando villeggianti e oriundi hanno ormai chiuso porte e finestre delle seconde case. Non vi è nemmeno intenzionalmente cenno alla manifestazione che da una decina di anni a questa parte ha reso Belprato conosciuto come “Il Paese delle case dipinte”, evento estivo che riunisce artisti appassionati di murales per dipingere, col consenso dei proprietari, le facciate degli edifici, decorandole con soggetti dai temi e dagli stili più svariati.

Lungo tutto il film si percepisce un’atmosfera sospesa, a tratti irreale. La telecamera si sofferma per alcuni secondi su alcune delle persone più svariate che oggi abitano la contrada, impegnate in lavori quotidiani oppure ritratte in momenti di ozio, gioco o preghiera: un padre e un figlio muratori, ripresi mentre eseguono piccole manutenzioni edili, una vedova al cimitero, un uomo che fa la legna, una giovane donna impegnata nella produzione di marmellata casalinga, un piccolo allevatore di prima generazione intento nella produzione del formaggio, un pensionato ozioso seduto su una panchina mentre notizie di politica ed elezioni regionali escono da una radiolina portatile, alcuni bimbi che giocano informalmente a calcio, un gruppetto di giovani durante una partita a “pincanello” (il nostrano calciobalilla). Da fermi, poi, ne immortala i volti, fissi verso lo schermo per svariati secondi.

da Pratobello

da Prato Bello

A sottolineare la solitudine e il silenzio dei nostri giorni, una voce narrante accompagna le immagini di oggi: è quella di un’anziana del paese, che in prima persona, senza però mostrarsi mai, racconta della vita quotidiana di settant’anni fa, quando il borgo pullulava di vita famigliare e di comunità: i lavori nelle case e nei fienili, la fienagione dell’estate, l’emigrazione stagionale degli uomini che lasciavano il paese per andare a fare i muratori in Svizzera, le feste che scandivano il calendario agrario, civile e religioso. E poi, a partire dagli anni Sessanta, l’apertura delle fabbriche siderurgiche in città e l’emigrazione verso Brescia o i centri industriali dei fondovalle: Gardone, Lumezzane, Vestone, Casto, Odolo.

Il contrasto tra presente e passato si fa evidente, a tratti lacerante. Le fatiche, la povertà, ma anche la solidarietà, la semplicità, la cura del territorio della società contadina di metà Novecento stridono di fronte alla condizione attuale di maggior benessere, ma anche di individualismo e solitudine, precarietà e incertezza sul futuro. Da questo accostamento emerge un eloquentissimo ritratto del percorso economico-sociale italiano del secolo scorso e dei nostri tempi. Tutto è accaduto anche a Belprato, che si fa specchio delle complesse trasformazioni degli ultimi decenni, che fa nascere interrogativi e suscita nello spettatore differenti spunti di riflessione. Se da una parte i lunghi silenzi e la fissità delle immagini amplificano una generale sensazione di disagio, dall’altra l’osservazione antiretorica dell’esistente e la sottrazione di suoni e immagini lasciano spazio al sentire del singolo, instillando dubbi, curiosità, interpretazioni. Se volutamente sono stati evitati i linguaggi del semplice reportage, il film si fa comunque sia documento fotografico della realtà di oggi che della narrazione orale del passato.

L’apparente immobilismo degli ultimi anni è sfatato dalla presenza di nuovi, insospettabili residenti, che inducono interrogativi sul futuro dei piccoli borghi di montagna, lontano dagli idealismi della restanza e della ritornanza così in voga di questi tempi: si tratta di alcuni giovani venuti dalla città, arrivati quassù perché attratti dalla vita semplice della montagna “minore” e dai piccoli lavori rurali, nonché di una donna ucraina, scappata da Mariupol’ distrutta dalla guerra. È col canto solitario e poetico di quest’ultima che si chiude il documentario, evocando il tempo in cui anche le donne di Belprato erano solite cantare in compagnia, suggerendo da una parte la continuità tra passato e presente seppur nelle rispettive diversità e dall’altra richiamando gli eventi e i drammi della nostra epoca.

410939829_859259266208517_8189935221819383041_nPrato Bello”, che ha recentemente vinto il premio della giuria al Dolomiti Film Festival di Cortina d’Ampezzo, è stato proiettato per la prima volta nell’aprile 2023 proprio a Belprato. Per l’occasione, un folto pubblico si è radunato al Circolo “Il Punto d’Incontro”, l’unico luogo di ritrovo animato dai volontari della stessa Associazione promotrice del documentario. Dopo la proiezione, chi scrive ha avuto l’onere di trarre alcune osservazioni finali e di raccogliere i commenti del pubblico. Ciò che più ha colpito me, gli organizzatori e il regista che era presente alla serata è stata l’eterogeneità delle impressioni e dei giudizi: chi aveva partecipato al film si è rivisto per la prima volta, divertito, compiaciuto, forse un poco imbarazzato; in alcuni residenti delle frazioni vicine vedere persone conosciute ritratte nella loro per certi versi disarmante quotidianità ha provocato ilarità e risate; alcuni belpratesi, specialmente i più anziani, hanno ammesso di non essersi riconosciuti in questo inedito ritratto di sé, probabilmente percepito troppo distante dalla propria ideale auto-rappresentazione; i nuovi residenti più giovani sono invece sembrati i più curiosi ed entusiasti. 

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024 

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Michela Capra, ricercatrice e animatrice culturale nel settore dei Beni culturali demoetnoantropologici e, in particolare, della storia socio-economica e della cultura materiale preindustriale di ambito prealpino lombardo. Dal 2001 collabora all’animazione e alla didattica del Museo del Ferro di San Bartolomeo, primo polo espositivo del Museo dell’Industria e del Lavoro di Brescia (musil). Dal 2004 è Conservatrice del Museo Etnografico “Giacomo Bergomi” di Montichiari (BS). Ha svolto numerose ricerche di storia orale e lavori di catalogazione scientifica BDM in territorio bresciano e non solo. È autrice dei volumi Per seminare guardavamo la luna. Testimonianze di vita contadina e cultura materiale rurale nel Parco delle Colline di Brescia (Grafo, 2008), I saperi della montagna. Mestieri tradizionali e cultura materiale in alta Valle Trompia attraverso il racconto e la collezione di Costanzo Caim (Grafo, 2013) e Vi sono due fiumi in questa parte di chiusure. Economia, società e cultura materiale nell’antico Comune di San Bartolomeo (Brescia) e guida ai luoghi di interesse storico (Fondazione Civiltà Bresciana, 2020).

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