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Bambini vicari

Palazzolo Acreide, festa s. Sebastiano

Palazzolo Acreide, festa s. Sebastiano

di Angelo Cucco

Convivono nel nostro modo di pensare due diverse idee di bambino: una reputata più moderna lo equipara agli adulti ed una, altrettanto diffusa, pur considerandolo parte della società, lo rappresenta come soggetto “diverso”. Il neonato non è più figura liminale ad un passo tra vita e morte ma piuttosto è già un cittadino con precisi diritti e doveri. Questo ci mostrano, ad esempio, la resa illegale della vecchia consuetudine di non rivelare all’anagrafe le nascite finché le condizioni del bambino non apparivano stabili e l’introduzione di numerosi certificati e documenti [1] (tra cui alcuni da rinnovare a scadenza) che inquadrano il bambino in precise coordinate. Sembrerebbe davvero che la nuova creatura non sia più un estraneo alla società (semmai lo sia stato del tutto) ma ne sia parte a tutti gli effetti. Tuttavia, non è venuta meno la paura che qualcosa possa colpire il bambino inaspettatamente, che siano malattie o magàrie poco importa. Il neonato non è capace di esprimere i suoi bisogni e sofferenze, non può difendersi. È l’adulto che deve prendersene cura e, in certa misura, custodirlo in società.

Per motivi analoghi si tende, nel periodo dell’istruzione primaria, ad affrontare temi sociali e morali che un tempo erano appannaggio esclusivo degli adulti, li si indottrina sul mondo. Ma in che modo? E se si discute tanto sui modi e su cosa insegnare, come nella contemporanea discussione sulle tematiche gender, siamo davvero convinti che i bambini non abbiano uno status diverso dal nostro? L’indorare la pillola, per non sconvolgere il loro modo innocente di vedere e sognare, non segnala forse una presa di coscienza che separa due mondi?

Leggiamo nella Convenzione per i diritti dell’Infanzia all’articolo 1: «Ai sensi della presente Convenzione si intende per fanciullo ogni essere umano avente un’età inferiore a diciott’anni, salvo se abbia raggiunto prima la maturità in virtù della legislazione applicabile». Sembrerebbe dunque che la differenza sia solo anagrafica e la maturità abbia una base legislativa. Il concetto di maturità indica tuttavia che vi è comunque un margine, un confine, sebbene sia reso meno netto. Il bambino smette di essere bambino ad un certo punto della sua vita e in quel momento entra a far parte della comunità degli adulti, che sia il compimento della maggiore età o altri segni distintivi. La separazione resta. Non è un caso che i 18 anni [2] siano segnati da una festa importante e da alcuni momenti successivi a cui si dà grande rilevanza (come poter prendere la patente): è un rito di passaggio di status. In diversi passi della stessa Convenzione si segnala la necessità di tutela, il bisogno dei genitori o di tutori. La necessità stessa di una Convenzione per l’Infanzia segnala una diversità, vi sono dei marcatori di differenza. Simile ragionamento mi sembra sia stato fatto da quelle femministe che auspicano la fine del femminismo stesso, vedendovi la fine della differenza o che hanno deciso di categorizzare la donna in contrapposizione all’uomo in maniera netta [3].

La psicologia dell’età evolutiva segnala alcune fasi che il bambino attraversa in cui si intersecano abilità biologiche e attività relazionali che lo portano a svilupparsi. Questa ipotesi non sembra allontanarsi dall’idea secondo cui il bambino compie dei riti di passaggio (in determinati momenti della vita) che lo introducono, passo passo, alla società degli adulti [4]. Nel vivere comune insomma, il bambino è il fulcro di più attenzioni. Sebbene concettualmente e teoricamente pensato come una “persona compiuta”, si tende praticamente ad inserirlo in una categoria diversa, in una sezione della società in cui sono in vigore altre regole [5] e che comunque non ha pieno controllo del sé. La stessa legislazione prevede pene meno severe per i minorenni e una protezione molto accentuata per gli stessi (affidamenti, controlli alle famiglie ecc.).

Il bambino è da proteggere. Il bambino essenzialmente è da guidare verso la società degli adulti in maniera compiuta anche perché è in potenza il futuro della società stessa. Posta in questi termini l’iniziale affermazione sembra prendere forma migliore. Come potremmo spiegare altrimenti la tenerezza e la mobilitazione verso bambini in difficoltà che supera, anche emotivamente, qualsiasi sforzo verso adulti nelle pari condizioni? Il bambino ha qualcosa in sé che lo rende necessariamente diverso da noi. Cosa c’è di diverso in un bimbo morto naufrago o che imbraccia le armi? Perché sentiamo una stretta al cuore nel vederlo? Si ride quando un bambino scimmiotta gli atteggiamenti di un adulto e i bambini si possono travestire da adulti a carnevale (o in alcune feste particolari), e se si fa indossare ad un bambino vestiti da “grande” lo si ammira con sorpresa, ripetendo la classica frase “sembri un giovanotto!”. Sembri appunto, ma non lo sei. Esistono dunque “cose” da bambini e “cose” da adulti: su questa dualità, sullo scambio momentaneo e sugli status e le visioni che mettono in gioco si basa la ritualità che li coinvolge.

L’analisi che segue, parziale e riduttiva rispetto alla vastità dell’argomento, tende a verificare questa ipotesi tramite alcuni esempi tratti dalla cultura popolare e tradizionale siciliana.

Madonna del Carmine, Ballarò, Palermo

Madonna del Carmine, Ballarò, Palermo

Riti di protezione dei bambini

Siamo soliti associare al bambino concetti come instabilità, pericolo, precarietà e relative ansie e premure. La cura del bambino si basa dunque su espedienti allo scopo di ammortizzare o neutralizzare i rischi che possono essere tanto antichi quanto nuovi. Ancor prima di nascere il bambino è assorbito in una aurea di pericolo che contagia anche la madre [6]. Precauzioni e riti sono reputati necessari a garantire un felice esito del parto che resta un momento di congiunzione tra la vita e la morte, un lasso di tempo in cui due vite combattono contro le avversità. È proprio per il dolore fisico, l’ansia e i pericoli che nel parlare comune definiamo “un parto” una situazione o un problema che ci ha tenuti sul filo del rasoio per tanto tempo, che ci ha stancati fisicamente e moralmente, che ci ha messi in pericolo e provato più volte.

Durante il periodo della gestazione, come spesso accade in altri ambiti, pensiero medico-scientifico e pensiero magico si trovano a condividere gli spazi originando curiosi sincretismi. Così accanto alle analisi, alle amniocentesi e alle ecografie trovano ancora posto credenze che tendono a collegare strettamente la madre e il feto: non mettere collane per evitare che al bambino si attorcigli il cordone ombelicale al collo, non guardare animali o persone brutte o con difetti fisici, evitare gli spaventi bruschi e cercare di indovinare il sesso del nascituro tramite la forma della pancia o sistemi divinatori di altro tipo. Le privazioni di cibi dettate dai medici (carne e pesce crudo, insaccati ecc.) si affiancano alle credenze intorno al bisogno di esaudire le voglie alimentari affinché al bambino non si chiazzi la pelle con l’immagine dell’alimento desiderato.

Il bambino va inoltre protetto da sguardi maligni e invidiosi e non è raro che la madre porti addosso fiocchetti rossi o immagini sacre a questo scopo. Per la protezione ci si affida anche ai Santi e alla Madonna, alcuni indicati come protettori delle donne gravide ed altri come aiuto nel parto. Tra questi la Madonna della Catena, Sant’Anna, San Francesco di Paola.

Una volta partorito, affidare il bambino alla potenza divina per proteggerlo è essenziale. Secondo il pensiero tradizionale, prima del battesimo il bambino è più cagionevole. Un tempo, infatti, si tendeva a battezzare presto, entro i quaranta giorni dalla nascita anche per la paura che potesse morire non battezzato e qualora apparisse malaticcio o nato in condizioni rischiose era la stessa levatrice a battezzarlo appena nato (vattisimu o vancu). Il battesimo era molto più importante che la rivelazione all’anagrafe. Affidarlo ai santi tuttavia è tutt’altra cosa, un vero battesimo sociale che vede il neonato presentato sia alla figura sacra che alla comunità che in quel culto si riconosce. È il caso dei tanti bambini innalzati sui fercoli di Sicilia durante le processioni o recati trionfalmente in chiesa per essere posti ai piedi di un simulacro. A Palazzolo Acreide i bimbi sono alzati sui fercoli nudi e ricoperti di offerte in denaro, in altri casi come la Madonna delle Grazie a Gela o San Rocco a Butera, il bambino è spogliato davanti al Santo e il vestitino offerto come ex voto. Anche vestito normalmente il bambino può essere presentato alla protezione divina ed è fatto sedere sul fercolo (come a Ficarra per la festa dell’Annunziata) o sulle aste, può essere alzato da un addetto fino a toccare il simulacro (come nel caso delle processioni palermitane e dei comuni vicini) [7] o, in chiesa, avvicinato al simulacro dagli stessi genitori (come avviene a Castelbuono durante la festa di Sant’Anna). Bambini erniosi erano posti sui fercoli di numerosi santi siciliani (san Corrado ad Avola e Noto) e bimbi epilettici trovavano posto sulla vara di san Vincenzo Ferreri a Castelbuono. Inoltre i bimbi possono essere vestiti con abiti votivi identici alla figura sacra come a Noto per san Corrado, a Trapani in onore all’Addolorata, a Messina per sant’Antonio, a Caccamo per il Beato Giovanni e per santa Rita ecc.

Venerdì Santo, Marsala

Venerdì Santo, Palermo

Preservare il bambino dal male, tuttavia, vuol dire anche ricorrere ad amuleti e avere precauzioni particolari. Fiocchi rossi, collanine con il corallo o cornetti della fortuna si pensa possano preservare dal malocchio. Immagini sacre poste nella carrozzina o sotto il materassino proteggono il bimbo nel sonno. Grani di sale messi sotto la culla allontano spiriti malvagi. Chicchi di grano, monetine, confetti e ceci gettati per strada il giorno del battesimo o della nascita si crede possano portare prosperità. Non si ricama nulla di nero nel corredino dei neonati e le operazioni di ricamo non si iniziano di lunedì o venerdì e meno che mai in agosto. Le donne mestruate si devono astenere dal toccare il neonato per evitare che si chiazzi di rosso. Ad ogni sbadiglio si simula di mettere del sale sulla bocca per evitare che entrino spiriti nefasti e ad ogni starnuto, per simile motivo, si esclama “Gesuzzu” o “Gesù e Maria” ecc.

Credenze particolari legano inoltre i bambini ad esseri magici e ad alcune malattie. È il caso delle fate o spirdi che nelle Madonie giocano pericolosamente con i neonati potendone causare malformazioni. Altri esseri presenti nelle case possono spaventare i neonati facendoli piangere senza apparente motivo o proteggerli dai pericoli. I neonati sono infatti pensati capaci di vedere tanto i defunti che le altre entità, segno chiaro della loro non appartenenza alla sfera degli adulti. Questa credenza è diffusa anche ai giorni nostri e si attribuisce al bambino, alla sua fantasia e alla sua ingenuità una maggiore possibilità di contatto con modi altri, magici, oltre natura [8]. Tra le malattie invece è comune l’idea che un forte spavento possa far risvegliare i vermi [9], esseri che in condizioni normali dormono all’interno del corpo umano. Per farli placare è necessario un rito più o meno articolato detto comunemente cirmu, che ha diverse varianti in Sicilia.

Riti in cui i bambini sono protagonisti

La festa è il momento in cui la società mette in mostra se stessa, le ansie, le speranze e i rapporti tra le varie parti che la compongono  [10]. Proprio durante le feste, dunque, è possibile cogliere meglio la concezione che si ha dei bambini tramite i riti che li coinvolgono e li rendono attori necessari. La Sicilia tradizionale è ricchissima di esempi. Occorre però distinguere tra le feste organizzate dai bambini e quelle in cui essi sono coinvolti tramite doni, vesti particolari, processioni ecc. Ci occuperemo innanzitutto di questo secondo caso evidenziando come i bambini ricoprano ruoli vicariali insieme a categorie sociali emarginate, quali i poveri e gli stranieri (forestieri). Non è un caso infatti se sono i destinatari di doni e cibi sacri e se possono indossare i panni dei santi. Bambini e poveri acquistano un valore, uno status, momentaneo e diverso similmente a quanto accadeva in Grecia durante le Antesterie quando i bambini, vicari dei morti, venivano omaggiati con doni e libagioni [11]. La vicinanza ai trapassati non dovrebbe stupirci così tanto se, tramite il nome e il cognome, cerchiamo di tramandare per generazione il ricordo degli antenati: il bambino, nascendo, si inserisce tra i vivi ma anche nella lunga storia di chi ormai vivo non è.

Proprio dalla festa dei Morti potremmo iniziare il nostro piccolo viaggio. In Sicilia è viva l’idea che tra fine ottobre e i primi di novembre si apra uno spiraglio tra il regno dei morti e il mondo dei vivi [12]. Varco necessario affinché la vita continui ad essere tale grazie al contatto con la non-vita [13]. I morti che tornano sono garanzia della rigenerazione della natura, sono portatori di fertilità oltre l’approssimarsi dell’inverno. Sono loro che custodiranno il grano seminato e con esso la sopravvivenza della comunità. I morti sono dunque potenze che vanno ingraziate ed onorate, che hanno uno status tutto loro di non-vivi ma che vivono e ragionano secondo le logiche umane: una comunità altra che annualmente torna a far visita [14]. I morti comunque non sono visibili a tutti e solo in rare occasioni, quali le famose processioni di anime raccontate in tutta l’Isola o nei sogni, si palesano. Vederli e partecipare dei loro riti però mette a repentaglio il vivente che, spesso, racconta di essere stato invitato ad allontanarsi per tutelarsi. Come offrire dunque i giusti onori a figure con cui non ci si può rapportare fisicamente?

Oltre alle visite al cimitero e alle tavole preparate in casa aspettando il loro arrivo, sono bambini e poveri [15] a rappresentarli e a ricevere i doni ad essi destinati. Il racconto palermitano che si fa ai bambini spiegando i regali e il cannistru (composto oltre che di dolci anche di semente e frutti) credo sia esemplificativo. Si dice che i morti tornino per i bambini ed ai bambini portino doni in cambio di un piatto di lenticchie, un po’ di calore e qualche altra vivanda. Si raccomanda ai bambini di dormire altrimenti i morti gratteranno loro i piedi con una grattugia perché i morti non vanno visti. In realtà gli adulti sanno bene da dove provengono i regali, pongono dunque una barriera fatta di un piccolo inganno tra la loro consapevolezza e il credere dei bambini. Scoprire che non sono i morti ma gli adulti a portare i doni equivale ad un passo verso la comunità piena e cosciente, la quale riconosce nei bambini dei vicari ignari dei morti, delle creature ad uno stato diverso, incoscienti del loro stesso, fondamentale, ruolo. Tramite poveri e bambini si consuma il pasto e si onorano i morti. Doni arrivano ai bambini e tramite i bambini sono offerti a figure altre per la prosperità. Ai bambini si donavano anche nastrini e medagline, ottenute grazie ad un obolo presso i santuari, dicendo che glieli mandavano i santi o la madonna. Non diversamente oggi raccontiamo ai nostri bambini di Babbo Natale [16].

Poggioreale, cena di San Giuseppe

Poggioreale, cena di San Giuseppe

Ragionamento simile sta alla base di altari, tavule, mense, cene, virgineddi che si addobbano in onore di alcuni santi. I più famosi sono sicuramente gli altari di San Giuseppe (con varie denominazioni locali) ma anche altre figure quali Sant’Antonio da Padova, San Francesco di Paola e alcuni santi patroni sono onorati con usi simili. Il rito consiste nell’allestire, per voto, degli altari carichi di cibo e pane e dei pranzi caritativi a cui partecipano, non a caso, bambini e poveri sia in numero prestabilito che a numero aperto. La prosperità simboleggiata dagli elementi disposti sugli altari è ancora una volta affidata a figure vicariali che mangiano in luogo del Santo. In alcuni paesi [17], per San Giuseppe, l’azione rituale prevede che i bambini o i poveri indossino gli abiti della Sacra Famiglia simulando la fuga in Egitto e, a volte, con parti teatralizzate e dialoghi con il padrone o padrona dell’altare. In questo caso, l’assimilazione alle figure sacre è palese e sembrerebbe che sia il loro abbigliamento a denotarne la diversità ed evocare la figura santa. Questo è sicuramente vero, ma la reverenza, la filiale devozione, il rispetto e le cortesie non vengono meno in quei paesi in cui non vi è un chiaro travestimento [18]. Sono sempre gli ospiti ad iniziare il pranzo e finché mangiano regna un clima di silenzio o preghiera interrotto solo dagli spari all’ingresso di una nuova portata e dai “viva San Giuseppe”. Ai bambini è addirittura consentito di benedire la tavola, il cibo, gli organizzatori e i presenti in nome ora di San Giuseppe ora di Gesù Bambino. A Poggioreale, ad esempio, tutti i presenti baciano le mani ai bambini-santi prima del pranzo, a Salaparuta e Castelbuono chi servirà il pranzo lava le mani ai bambini o ai poveri e gliele bacia. Alla fine del pranzo dei santi il cibo è offerto a tutti e a coloro che ne hanno bisogno si fanno doni alimentari o anche di indumenti e altro. Ovunque si facciano le tavole gli ospiti sono trattati con rispetto, come figure di rilievo, come portatori di prosperità.

Aldilà del rito, che meriterebbe una trattazione approfondita, notiamo come ancora una volta i bambini possano incarnare il sacro temuto, ingraziato, ringraziato. A Castelbuono aveva luogo un singolare pranzo\digiuno dei bambini il giorno di San Michele (lunedì dell’Angelo) quando, preparate per strada grandi tavolate, si invitavano i piccoli a consumare solo un pane intrecciato a ciambella con un uovo incastonato (cucciddratu cu l’uovu) e dell’acqua. Anche nell’atto del digiuno penitenziale sono loro, i bambini-vicari, ad essere attori principali. Bambini-sacri presenziano anche alla festa dell’Assunta a Randazzo [19]. Saranno loro a costituire il simulacro-vivente da portare in processione per le vie cittadine il 15 agosto e sono loro ad essere al centro dell’attenzione, con la vestizione, la messa e la processione mattutina, come figure sacre che perdono la loro entità di bambino in favore di quella divina (come nelle mense di San Giuseppe i bambini verranno chiamati con il nome della figura che impersonano). Durante la processione della vara, alta ben 18 metri, i bambini appesi a rappresentare il mistero dell’assunzione e dell’incoronazione di Maria, ricevono doni alimentari dagli adulti assiepati sui balconi e sulle terrazze e li raccolgono in borse che portano al braccio. È una pioggia di confetti, dolciumi, caramelle, bottigliette e lattine, pane ed ogni sorta di alimento. Ancora una volta un’offerta a figure-altre che, con il loro canto e il loro farsi trasportare stanno sacralizzando il paese.

Festa dell'Assunta, Randazzo

Festa dell’Assunta, Randazzo

Vara vivente con altrettanta attenzione ai bambini è quella dell’Annunziata a Fiumedinisi durante la quinquennale festa grande. La scelta dei bambini, la vestizione e soprattutto l’aura sacra che li avvolge durante l’intero svolgersi del rito rendono chiaro che vi è un di più dietro quegli abiti e quelle corone. Non si sono scelti degli adulti e, se anche si accettasse la comune spiegazione che i bambini sono più puri, non faremmo che ribadire differenze in positivo rispetto agli adulti e una maggiore aderenza all’ambito delle figure sacre. I bambini dunque come santi viventi e non i seicenteschi santolilli [20] (figure di santi-bambini) ma santi adulti impersonati da bambini. Evidenziamo a questo punto come uno status di purezza e di innocenza del bambino sia palese anche nel “culto” del neonato fino ai primi anni di età, tutto ciò che esce dal bambino è pìù puro, migliore, non contaminato, perfino feci e urina hanno altra valenza rispetto a quelle degli adulti e non sono viste con lo stesso disprezzo. Si pensi anche a come, il giorno del battesimo, il bambino sia rappresentato praticamente come un santo e all’uso di baciarlo come a riceverne benedizioni particolari.

Lo statuto di figure di contatto tra mondo ed ultraterreno era reso palese in riti come le funzioni celebrate dai bambini in cui essi, in un momentaneo sovvertimento dell’ordine, prendevano il posto degli adulti. L’uso, documentato in diversi luoghi della cristianità antica, era presente nella Palermo del XVI secolo, come raccontano il Pitrè [21] e il Villabianca [22]. Tra il 27 e il 28 dicembre, un bambino impersonava il vescovo e in suo nome benediceva, teneva omelia in Cattedrale, si recava in processione.  Ed ancora a Caccamo, la Domenica delle Palme, è possibile veder sfilare a dorso di asino un bambino ad impersonare Gesù (vestito però da chierichetto del vetus ordo detto russuliddu) ed impartire benedizioni [23]: è u Signuruzzu a cavaddu.

Sono ancora bambini a fermare i fercoli processionali durante la vulata di l’ancili recitando, vestiti da angioletti e sospesi tra due case mediante corde e carrucole, salutazioni o preghiere. In altre zone i bambini non vengono appesi ma recitano le proprie orazioni da piccoli palchetti, carri o dai balconi, ad Adrano sono ragazzini a impersonare le figure dell’angelicata, e ragazzini (ad oggi anche più grandi) prendevano posto sui carri viventi di Belpasso (in onore a Santa Lucia) e di Pedara (in onore all’Annunziata), due angeli-bambini sanciscono l’incontro dei fercoli della Madonna Annunziata e Gesù Risorto a Comiso. La sostanza non cambia, sono sempre loro ad essere intermediari eletti, vicari santi. Santi-bambini sfilano a Ciminna il giorno del precetto dei malati e a Misilmeri il Venerdì Santo e la Domenica di Pasqua. Bambini-angioletti partecipano alle processioni di Petralia Sottana (Pasqua), Casalotto (San Filippo), Priolo Gargallo (Angelo Custode), Marsala (Giovedì Santo). A Palermo i bambini sono vestiti da Nazareni (Gesù che porta la croce) o Addolorate il Venerdì Santo, Santa Rosalia, cacciatore ed angelo per il festino o ancora da tre pastorelli nelle processioni della Madonna di Fatima.  Due bambine estratte a sorte e ornate di monili d’oro sono poste in un sontuoso tempietto ricolmo di gioielli (ciliu dell’oro, ve n’è un altro del pane) ad Alì per la decennale festa grande di Sant’Agata impersonando la Santa intenta a tessere e Santa Caterina che le passa le spole. La cosa interessante è che l’oro che costituisce l’ornamento è frutto di una questua tra i devoti, una sorta di offerta pro-tempore di cui godono le bambine-sante.

Venerdì Santo della Soledad, Palermo

Venerdì Santo della Soledad, Palermo

Recente, ma non meno significativa, è la processione dei Santi-bambini di Mezzojuso che si conclude con il rogo di un fantoccio rappresentante il male e l’arrivo di un simulacro di San Michele. Questa festa, nata per contrastare Halloween, sembra mettere in scena esattamente la capacità dei bambini di farsi santi, oltre ad essere correlabile ad un voler canalizzare l’uso dei travestimenti verso figure positive e a mettere in scena diverse dinamiche sociali. Esistono poi processioni fatte appositamente per i bambini, processioni a loro misura. Ai bambini di Gangi è affidata la processione delle scope per purificare il percorso della Madonna del Carmelo. E sempre a Gangi, il giorno dello Spirito Santo, sono i bambini (maschi) a portare la statua di San Luigi Gonzaga [24]. Similmente accade a Castronovo di Sicilia, per la festa del Crocifisso.  A Geraci Siculo i fanciulli precedono il Crocifisso nella festa di maggio e, camminando all’indietro battendosi con una piccola disciplina, invocano costantemente “Pani e Paradisu, misericordia Signuri!”.

A Castelbuono, durante la festa del Cuore di Gesù (prima per la Madonna della Scala), ha luogo la processione dei rami d’alloro decorati con fiocchi rossi (a cimidda addaviri), da sempre riservata ai bambini. Il fatto che l’alloro sia portato in processione dai bambini dietro al quadro del Sacro Cuore lo rende, secondo gli abitanti, benedetto e viene infatti distribuito insieme a quello benedetto regolarmente dal sacerdote. Analogamente avviene nel Vivula Vivula che si svolge il mercoledì precedente alla Domenica delle Palme a Ciminna e in cui un gran numero di bambini conduce rami di ulivo decorati al grido di Vivula Vivula (o viva l’aliva). A Barcellona Pozzo di Gotto i bambini animano la processione di Gesù Bambino il 6 gennaio vestiti da pacchiani, picurare e regine. Una processione più recente, ma che ha assunto un forte valore per la comunità di Sferracavallo, è quella dei Santi Medici dei bambini. Sono infatti bambini e ragazzini a portare per le strade un fercolo più piccolo di quello ufficiale ma con identiche modalità di trasporto, ballata e processione. Questa processione in onore dei santi Cosma e Damiano è ritenuta portatrice di bene allo stesso modo di quella maggiore se, nell’edizione 2015, un pescatore ha preteso che si spostassero alcune auto perché i santi dovevano vedere le barche.

festa dei santi Cosma e Damiano, Sferracavallo

Festa dei santi Cosma e Damiano, Sferracavallo

Riepilogando, dunque, i bambini possono partecipare alle processioni degli adulti in vari modi:

  • Emulandoli, e recando piccoli simulacri davanti a quello ufficiale. È il caso di alcune varicedde di Palermo (come per l’Assunta dei Cappuccini il 15 agosto o la Madonna Immacolata di Montegrappa), della Madonna del Lume a Porticello, di Sant’Anna a Floresta ecc. O portando santi affidati a loro.
  • Come ex-voto vivente e spesso vestiti con un abito votivo particolare (sempre più spesso abitini della confraternita in miniatura);
  • Recando in mano qualcosa di diverso come rami, pani, tamburi o particolari luminarie come nel caso della processione della novena di Sant’Anna a Castelbuono ( i cuoppi);
  • Cantando particolari canzoni come nella processione dei Misteri di Trapani;
  • Questuando durante la processione o prima della festa come avveniva a Castelbuono per la San Giovanni Battista, con l’abito da sangiuvannuzzi;
  • Presenziando su carri o fercoli processionali, come nel caso degli angioletti sul carro di Sant’Antonio a Messina.

Gli esempi riportati, seppure limitati e non esaustivi, credo confermino l’idea iniziale che, nella ritualità siciliana, il bambino ha un suo proprio spazio e incarna in forma vicariale potenze altre e necessarie [25]. Proprio tramite i riti, e il ruolo giocato dai bambini in essi, ci accorgiamo di come non facciano parte della comunità degli adulti in maniera completa e proprio per questo sono reputati speciali, intermediari, figure di confine. Laddove vi è una differenza si crea il gap necessario a creare l’Alterità e questa è resa funzionale a livello rituale. L’altro, che sia bambino, straniero, donna, povero o qualsiasi altra categoria sociale emarginata, non è parte del Noi.

Riti organizzati dai bambini

La presenza di bambini o ragazzi ai riti può anche essere totale. Esistono infatti usi legati e organizzati esclusivamente da loro, in cui gli adulti non si intromettono se non marginalmente. Mascherate, questue e riti legati al fuoco sembrano offrire un buon campo di analisi. Va precisato subito che nel caso dei riti che prendo ad analizzare è fortissima la divisione sessuale dei bambini. In alcuni casi erano (e in certa misura ancora sono) i maschi ad essere protagonisti-organizzatori, altri erano riti tipicamente femminili e solitamente più ritirati e meno chiassosi, più ordinati.

Su bambini vestiti da Santi o Angeli abbiamo già detto, tuttavia nel periodo di Carnevale (che varia di paese in paese in un tempo compreso dal 6 gennaio al sabato successivo alle Ceneri) frotte di ragazzini (un tempo solo maschi) si travestono nei modi più svariati e partecipano all’inversione dell’ordine classico del Carnevale. In molti centri delle Madonie, ad esempio, gruppi di adolescenti mascherati scorazzano per le strade creando scompiglio, facendo scherzi. Per Carnevale è consentito prendere in giro gli adulti, tirare coriandoli (un tempo anche uova) e fare chiasso senza limiti. La regola che alle maschere possa essere perdonato qualche eccesso sembra ancora valida. Bambini, ragazzini, giovanotti mascherati: la simbologia si accresce. In una festa alla cui base sta l’inversione, il ritorno di potenze altre, il bisogno di vitalità, il caos, perché si ripristini il cosmos, anche le frotte di “altri sociali” sono chiamati a interpretare il loro ruolo.

A Castelbuono si consente ai più giovani una pubblica satira degli adulti (a maschira) un tempo considerata una vera e propria inversione dell’ordine, consentita, non a caso, ai giovani mascarati (cosiddetti a prescindere dal reale travestimento) e nel frangente del Carnevale, che è anche il momento di simulati matrimoni, battestimi e funerali messi in scena soprattutto dai ragazzi, i quali ricoprono i ruoli di entrambi i sessi. In tantissimi comuni dell’Isola, si impegnavano a creare fantocci (detti Cannilivari, Nannu, Nanna, Nunnu ecc.) che, dopo essere stati portati in trionfo in allegria, venivano accompagnati in un funerale tragicomico e arsi su un rogo. La presenza delle fiamme accese dai ragazzi accentua il valore vitalistico del Carnevale e, consumando i pupazzi che lo rappresentano, ne sprigionano l’energia [26].

I ragazzi sono protagonisti di altri riti in cui è presente il fuoco e, a volte, anche un fantoccio.
Fantocci si portano in corteo funebre a Bisacquino il giorno dell’Immacolata (detti i pidduzzi) e vengono poi bruciati ritualmente in spazi aperti o davanti le chiese. Secondo gli abitanti più adulti, la morte dei pidduzzi simboleggia la vittoria dell’Immacolata sul male, ma ben sappiamo quanto questo rito purificatorio-vitalistico organizzato da un gruppo sociale altro (quello dei bambini appunto) possa in realtà svelare concezioni più profonde! Tuttavia mantenendo vera la spiegazione tradizionale, perché sono proprio i bambini e non gli adulti a dover occuparsi della morte e rogo del pidduzzu-demone?

 Festa dell'Assunta dei Cappuccini, Palermo

Festa dell’Assunta dei Cappuccini, Palermo

Pupazzi erano preparati dai ragazzi madoniti in occasione del Capodanno. La tradizione vuole che in quei giorni (soprattutto tra il 30 e il 31) un’anziana figura discenda nei paesi e porti doni ai bambini. Essa prende nome di Vecchia o Vecchia Nzipita o Strina, ed era ampiamente festeggiata dai ragazzini. A Castelbuono si costruivano tantissimi pupazzi rappresentanti la vecchia nzipita che per diversi giorni erano portati in processione per le vie del paese mentre i bambini questuavano dolciumi rumorosamente. I fantocci potevano essere bruciati o smembrati, confermando il loro valore augurale. Simili riti avevano luogo a Gratteri, Cefalù ed Isnello (dove è presente ancora la questua). In tutti i casi erano comunque ragazzini gli officianti del rito! A loro era affidato il compito di gestire questa figura benefica che, di notte, avrebbe poi portato doni e dolciumi non diversamente da quanto accade per i morti a Palermo. Ancora una volta i bambini da attori diventano vicari. La vecchia, dunque, può essere letta anche come un altro personaggio da assimilare a Babbo Natale e ai morti: la verità sulla sua esistenza reale o quantomeno sul suo arrivo in casa a portare regali [27] è di confine tra il mondo adulto e quello dei bambini.

Altri fuochi sono privi di pupazzi ma altrettanto interessanti: vampe, vamparotti, luminarie ecc. che illuminano le feste siciliane sono spesso organizzate dai ragazzi. Se ne accendevano a Castelbuono il giorno di San Michele (Lunedì dell’Angelo), a Ciminna la notte del Triunfu dell’Immacolata (ad oggi a cura di un comitato), ad Isnello per Natale, a Cianciana per Santa Lucia, si accendono il 24 novembre a Santa Caterina Villermosa, la notte dell’Immacolata a San Biagio Platani, il primo marzo a Corleone in onore a San Leoluca ecc. Le più famose e diffuse sono sicuramente le vampe di San Giuseppe, fuochi rituali che si accedono la notte precedente la festa per mano di bambini e ragazzini. I.E. Buttitta ci avverte che «molti dei riti ignici odierni che hanno come partecipanti attivi bambini o ragazzi, possono essere letti come riti di passaggio da una classe d’età a un’altra: lo statuto sociale dei giovani fino ad allora incerto, viene ridefinito dalla prova del fuoco e da una serie di atti che la precedono tra cui, per esempio, la prova di coraggio che si eplicita nel furto della legna. Nel caso dei bambini potrebbe leggersi un passaggio più forte: da un’esistenza non ancora affrancata dal regno dei morti a quella dei viventi»[28], confermando la nostra ipotesi e conferendo al rito ignico una grande importanza come passaggio di stato. In altri paesi, come a Tortorici per San Sebastiano, l’uso del fuoco come banco di prova per i ragazzi è più marcato: bisognava saltarvi sopra.

Dicevamo delle questue. I bambini siciliani ne facevano diverse. In alcuni paesi si questuava il primo gennaio e i bambini visitavano le case dei parenti dicendo «Bon capudannu e bon capu di misi, i cosi duci dunni su misi?» o minacciando  «Si nun mi dati lu cicireddu a vostru maritu ci cadi l’aceddu». In altri, come a Palermo, a Trapani, a Palazzolo Acreide, a Monterosso Almo ecc., le questue infantili (sempre maschili) assumevano un carattere sacro e di imitazione degli adulti: è il caso dei fercoli in miniatura. I bambini e ragazzini palermitani costruivano (e costruiscono) le varicedde (famose erano quelle dell’Assunta) sfruttando qualsiasi tipo di materiale ottenuto per questua. La varicedda, una volta terminata, sarà protagonista di processioni-questue in cui i fanciulli imitano il suono della campana, le grida processionali e le sonorità della banda. Processioni in miniatura, quasi un gioco, ma preso molto sul serio dai bambini e anche dagli adulti che credevano fossero foriere di buon auspicio. Anche a Trapani, gruppetti di ragazzini organizzano piccoli fercoli durante la settimana Santa o per la festa di San Francesco di Paola e li portano trionfalmente per le strade raccogliendo offerte.

Madonna della Pietà, Trapani

Madonna della Pietà, Trapani

Una festa in cui erano le ragazze ad essere protagoniste (sebbene non esclusive) era quella di San Giovanni con il relativo rito del commaratico. Stretto in diversi modi, il commaratico creava un rapporto forte e duraturo, sacro. Poteva stringersi anche fra adulti ma l’uso era diffusissimo tra le bambine che arrivavano ad avere diverse comari. Anche alcune processioni erano femminili, sebbene solitamente mai affidate alle sole bambine, come nel caso di Castelbuono. Per la festa dell’Annunziata era uso che le bambine ospiti delle suore (orfanelle o povere) distribuissero fiori bianchi in cambio di piccole offerte, mentre per la festa di Sant’Agnese erano sempre le bambine, vestite di bianco, a portare il simulacro della santa da una casa privata alla chiesa e viceversa. Fanciulle vestite di bianco o le orfanelle erano infine invitate, dietro offerta, a presenziare ai cortei funebri. Si evidenzia come sempre più spesso venga meno la differenza sessuale tra i ragazzi e così, tanto nelle rigattiate di Villafranca o a Calamonaci [29], quanto sotto le varicedde di Palermo, quanto nella preparazione delle vampe, non manca la presenza femminile.

Conclusioni

Il bambino è dunque fuori dalla società? Alla fine di questo excursus sembrerebbe di poter rispondere che il bambino è posto ritualmente al margine della società e anche ai nostri giorni lo statuto di bambino ha delle caratteristiche e particolarità rispetto a quello di adulto. Ho portato qualche esempio rituale, ne avremmo potuti illustrare molti altri, e ho omesso molta della cura domestica e personale legata alla figura del bambino, delle feste del primo mestruo (di cui si è accennato) o degli usi legati, più recentemente, ai diciottesimi e al primo anno di età. Tuttavia, lo scopo era quello di ragionare sul doppio statuto che il bambino ha ai nostri giorni: membro e non membro della società. Pensare però alla società degli adulti come compatta è un errore. In effetti anche all’interno di essa vi sono delle frammentazioni e anche queste vengono messe in gioco durante i riti: «I subalterni per sesso (donne), età (bambini), per ceto (poveri) divengono, nel tempo della cerimonia, egemoni» [30]. Donne che preparano pani, uomini che cantano per le strade, poveri che questuano in nome dei morti, bambini che mangiano come se fossero Santi, sono tutte parti necessarie alla società che, scomponendosi, si riconosce di volta in volta in altri, che si articola in più attori, che affida la propria forza al rito.

Dialoghi Mediterranei, n.17, gennaio 2016
Note
[1] Leggiamo nell’art. 7 della Convenzione per i diritti dell’Infanzia: «Il fanciullo è registrato immediatamente al momento della sua nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi».
[2] Impossibile non fare almeno un cenno alle feste organizzate per le ragazze che hanno avuto il primo mestruo. Ricevono gli auguri, fiori e regali e vengono indicate come “signorine” e non più bambine. La comparsa del mestruo è la conferma tangibile di un passaggio di stato.
[3] Le femministe della seconda ondata (a partire dal 1968) si sono battute perché venga riconosciuta una uguaglianza di genere. Si sono cercate le somiglianze nell’universo femminile e se ne sono esaltati gli aspetti. La terza ondata femminista, invece, ha riportato in auge le differenze interne nel “mondo delle donne” e, suscitando dibattiti sulla violenza, malattie, emarginazioni ecc., ha anche posto l’accento sul bisogno di non categorizzare le donne. Simone de Beauvoir sosterrà il crearsi culturale della donna e analizzerà come l’ottenere un’eguaglianza di diritti non corrisponde ad una eguaglianza effettiva.
[4] Cfr. Van Gennep A., 1909, I Riti di passaggio, trad. it a cura Remotti,  2012, Bollati Boringhieri, Torino.
[5] A volte, anche di altri registri linguistici fatti di suoni onomatopeici e parole storpiate. Esempi di questi linguaggi per bambini si ritrovano già in Pitrè, altri sono ancora in uso o nuovi. Ad esempio, cocò per indicare la gallina o l’uovo, brum brum la macchina, cicì l’uccellino.
[6] Apprensione e preoccupazione non sono diminuite con il migliorare delle tecniche ospedaliere e delle condizioni in cui avviene il parto.
[7] È d’obbligo segnalare il crescente numero di bambini di colore che vengono alzati ai Santi nei quartieri popolari di Palermo, segno di un’integrazione nel tessuto cittadino e nella ritualità devozionale.
[8] Lo dimostrano i numerosi film e libri con protagonisti bambini che vivono avventure fantastiche grazie alla loro capacità di sognare e di vedere ciò che agli adulti è nascosto.
[9] Cfr. Guggino E., 2006, Fate, sibille e altre strane donne, Sellerio editore, Palermo.
[10] Cfr. Brelich A., Buttitta I.E., 2015, Introduzione allo studio dei calendari festivi, Editori Riuniti, Roma.
[11] Cfr. Buttitta I. E., 2013, Continuità delle forme e mutamento dei sensi. Ricerche e analisi del simbolismo         festivo, Bonanno, Palermo: 139-140.
[12] Anche in Russia si credeva in un congiungimento tra i due mondi, sopratutto durante le celebrazioni della Radunica (data variabile di regione in regione ma sempre compresa tra la settimana di Pasqua e la settimana di San Tommaso, la prima dopo Pasqua) che prevedevano visite e libagioni sulle tombe (birra, burro, sementi, vino, frittate e uova fatte rotolare), nonché la preparazione di cibi rituali come la kut’ja zuppa fatta con cereali o riso non macinati. Cfr. Propp V. Ja, 1978, Feste Agrarie Russe, una ricerca storio-etnografica, trad. it a cura Bruzzese R., Dedalo, Bari.
[13] Cfr. Buttitta I.E., 2006, I morti e il grano. Tempi del lavoro e ritmi delle feste, Meltemi Roma.
[14] ibidem.
[15] Ai poveri si offriva, e in parte si offre, un obolo in soldi o più spesso in pane ed alimenti come a Caronia. A Castelbuono, ad esempio, per tutto il mese di novembre si offrivano pani detti armuzzi o uastidduzzi di morti a tutti coloro che li elemosinavano per le strade.
[16] Anche in altre parti della Sicilia si raccontano ai bambini storie simili. Nell’Agrigentino, ad esempio, i morti lasciano i regali nelle scarpe.
[17] Lévi-Strauss C., 1995, Babbo Natale giustiziato, trad. it. a cura di Caruso, Sellerio, Palermo.
[18] Barrafranca, Borgetto (non tutti), Carlentini, Cianciana, Ciminna, Dattilo, Lentini, Malfa, Siculiana, Scicli, Sutera, Terrasini ecc.
[19] Il loro status di figure altre è comunque segnalato dai nomi: Virginiddi, Santi, Apostuli, ecc.
[20] Scaramella P., 1997, I Santolilli, Culti dell’infanzia e santità infantile a Napoli alla fine del XVII secolo, Edizioni di Storia e Letteratura, Napoli.
[21] cfr. Pitrè G., 1881, Spettacoli e feste popolari siciliane, rist. anast. Il Vespro, Palermo, 1978.
[22] Villabianca, 1989,  Processioni di Palermo sacre e profane, a cura di Mazzè, Giada, Palermo.
[23] La cerimonia, un tempo, era ancora più articolata. Si svolgeva il mercoledì precedente alla Domenica delle Palme e la processione cittadina era preceduta da un giro delle campagne del Signuruzzu.
[24] In questo caso particolare i bambini sono inseriti nella ritualità complessiva. Tutti nel paese portano in quell’occasione una statua, compresi i bambini. D’altro canto, crescendo, si lasciano le aste (cususi) di San Luigi in favore di altri santi reputati da adulti.
 [25] Cfr. Buttitta I. E., 2013, Continuità delle forme e mutamento dei sensi. cit..
 [26] Cfr. Buttitta I. E., 2002, Le fiamme dei santi. Usi rituali del fuoco nelle feste siciliane, Meltemi, Roma.
[27] Diversamente dal rito processionale che era appannaggio dei maschi, i regali arrivavano indistintamente a tutti.
[28] Cfr. Buttitta I. E., 2002, Le fiamme dei santi, cit. Cfr anche Lombardo L., 2009, Vampariglie. Fuochi e feste popolari in Sicilia, Fondazione Buttitta, Palermo.
[29] Di cui non si è trattato perché riguardano una fascia d’età superiore.
[30] Cfr. Buttitta I.E., 2006, I morti e il grano, cit.: 177.
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Angelo Cucco, laureato in beni demoetnoantropologici e laureando in Studi storici, antropologici. e geografici, collabora con diversi siti internet e con associazioni locali per diffondere la conoscenza del patrimonio immateriale siciliano (www.isolainfesta.it, www.castelbuono.org, www.terradamare.org). Ha partecipato come relatore a diversi convegni sulla valorizzazione delle feste e delle tradizioni popolari.

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