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Braudel e le migrazioni. Dialogo con Ivetic

braudel-symposium-program_page-0004di Roberta Morosini 

In occasione del Seminario di studi su La Méditerranée (1949) di F. Braudel, Paradigms and Possibilities after 75 Years tenutosi presso l’Università di Stanford e di Berkeley il 15-16 novembre, sono stata invitata a partecipare a una tavola rotonda per discutere di  “mobilità” in Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II  (1949) di Braudel, pubblicato in inglese per Republic of Letters, la rivista di Stanford Humanites Center.

Un simposio  del Center for Medieval and Early Modern Studies (CMEMS) dell’Università di Stanford e di UC Berkeley.

In questo contesto ne discuto con Egido Ivetic, professore ordinario di Storia moderna nell’Università degli Studi di Padova, studioso tra i più illustri della storia del Mediterraneo, autore di numerose pubblicazioni, tra le quali ci limitiamo a segnalare le più recenti: Storia dell’Adriatico. Un mare e la sua civiltà (Bologna, il Mulino, 2019); Italia e Balcani. Storia di una prossimità (Bologna, il Mulino, 2021); Il Mediterraneo e l’Italia. Dal mare nostrum alla centralità comprimaria (Soveria Mannelli, Rubbettino, 2022); Il grande racconto del Mediterraneo (Bologna, il Mulino, 2022); Studiare la storia del Mediterraneo (Bologna, il Mulino, 2024). 

9788815285577-1000Roberta Morosini. Professor Ivetic, grazie per aver accettato di ripensare con me, studiosa di letteratura mediterranea medievale e moderna,  Braudel e la mobilità. Più che domande le mie sono riflessioni che condivido con Lei, storico del Mediterraneo.

Braudel offre una mappa geopolitica del Mediterraneo attraverso gli spostamenti, l’interazione della società con la geografia in termini di Reciprocità.  Questa è, se capisco bene, un’immagine di storia-totale dove in quel mondo oggetto di studio «tutto influisce su tutto in modo reciproco». L’economia è anche politica, cultura e società. Emerge così un’immagine di società, prima ancora che di storia, totalmente aperta alla contingenza e in alcun modo determinata a priori da un qualche principio originario o struttura latente. Come struttura temporale che si oppone all’evenemenziale (solo «polvere» per Braudel), si realizza quasi geologicamente, dalla interazione delle società con la geografia. Quanto incide questa osmosi e reciprocità sulla mobilità nel Mediterraneo?

Egido Ivetic. Braudel in Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, il suo primo capolavoro, inizia con L’ambiente (la prima parte), ossia la geografia che corrisponde, nella sua interpretazione, alla lunga durata, alla storia profonda e strutturale del Mediterraneo. La mobilità umana, lo spostarsi da un luogo all’altro, è trattata non come un tema specifico bensì come un tratto scontato a seconda dei contesti che sono indagati, passati in rassegna nel grande affresco. Ci sono i montanari che scendono in pianura e arrivano in città magari per vendere qualcosa, per fare lavori e poi ritornare, sono movimenti stagionali. Qualcuno, certo, diventa parte della città, si urbanizza, ma sono poche cifre.  Braudel tra i primi ragionò sulla diaspora montanara, come un tratto che accomunava le varie sponde del Mediterraneo, che sono definite, si sa, dalle montagne. Non a caso intitola un paragrafo tra quelli iniziali: La vita montanara, prima storia del Mediterraneo? Seguono capitoli dedicati alle pianure e qui emerge la transumanza, a partire dalla sua diffusa pratica in Castiglia, forse la più famosa. E poi Braudel enumera i nomadismi stagionali che connotano la mobilità tra il Sahara e le rive mediterranee, oppure i nomadismi stagionali nei Balcani. 

94f5c04cover38722L’idea è che le migrazioni siano parte scontata della circolazione di un organismo, che è il Mediterraneo, il quale si fonda inevitabilmente, in quanto mare sistema, sulla circolazione di uomini e beni. Sono fenomeni che si ripetono su scala minima e quella regionale di stagione in stagione. Non c’è un esodo, una grande migrazione che trasforma i connotati demografici di un contesto, quanto molte migrazioni capillari, individuali, che permettono adattamenti. Questo è stato il Mediterraneo del secolo XVI. Braudel segue questo schema per le montagne, per le pianure e per i contesti marittimi, soprattutto quelli insulari. Qui affronta il tema degli emigranti insulari. Poi ci sono, certo, le emigrazioni commerciali, quelle che corrispondono alle colonie dei mercanti che si stabiliscono negli empori di Levante, i famosi fondaci, che ebbero la loro extraterritorialità. Ed è così – secondo logiche precise e negoziate tra le parti – che avviene l’incontro tra europei/cristiani e musulmani, secondo dinamiche in cui le ragioni economiche hanno la priorità su tutto. Sono dinamiche scandite dal tempo premoderno. Braudel sottolinea come nel mondo preindustriale le stagioni definivano il ritmo di tutto, come il ciclo stagionale va inteso alla maniera di un determinismo che condizionava la vita economica. Il ciclo si riproponeva di anno in anno. Così anche nel caso della mobilità, essa va vista come un ciclo che si ripete, che è noto e che è parte del tutto. Ma si tratta di mobilità quasi sempre individuale, famigliare, o di gruppi circoscritti, mobilità concordata, sempre anticipata da consolidate modalità della vita economica, mobilità che i mondi mediterranei del XVI secolo, strutturati per civiltà, accolgono e fanno proprio rimanendo grosso modo sempre se stessi. Nell’epoca che studia Braudel, il secondo Cinquecento, il Mediterraneo cristiano e il Mediterraneo ottomano/musulmano convivono ognuno nel proprio solco storico.

6e7950acover29997R.M. Con la geografia storica di Braudel intesa nelle sue mutazioni di lunga  e media durata
si passa dallo studio degli «eventi» a quello delle «strutture», delle interconnessioni che permettono il recupero di alcuni soggetti relegati ai margini della storia. In che modo da storico del Mediterraneo pensa che questa caratteristica della mobilità possa reintegrare, come Lei auspica nei suoi libri, una riflessione sul Mediterraneo nelle aule universitarie che vada oltre le mode, e invitare a una riflessione sulla migrazione a cui Lei dedica un capitolo nel suo bel libro Il grande racconto del Mediterraneo (Il Mulino, 2022).  

E.I. Braudel ci invita a riflettere sulla capillarità, sui piccoli passaggi; e non diversamente, Peregrine Horden e Nicholas Purcell, ragionano sui movimenti minori e minimi, per esempio il cabotaggio nella navigazione, e la grande importanza che essa ha avuto per la vita mediterranea rispetto alla grande navigazione, che è più documentata, più evidente e quindi più studiata. Studi recenti hanno sottolineato l’importanza delle colonizzazioni organizzate nei secoli XVI-XVIII, ossia lo spostamento di intere comunità, migrazione concordata con le autorità sovrane per ripopolare i territori abbandonati e spopolati del Mediterraneo. Si tratta, ad esempio, di comunità di ortodossi greci e albanesi che si erano spostate nel regno di Napoli. Queste colonizzazioni spesso si sono concluse con un fallimento. Ad ogni modo oggi abbiamo un’idea più chiara sulla mobilità nel Mediterraneo moderno. Conosciamo meglio l’afflusso verso i porti maghrebini dei rinnegati europei, ad esempio. Tuttavia, nel complesso, non furono fenomeni di numeri importanti. Il Mediterraneo moderno fu dinamico sul piano dei commerci, non possiamo parlare di decadenza, e fu tutto sommato conservatore sul piano sociale. La logica del Mediterraneo non contemplava il progresso nella nostra accezione, del post Ottocento, quanto il mero sopravvivere, il riuscire a mantenere/conservare ciò che si ha e ciò che si è.

R. M. In che modo l’idea di connettività di Purcell e Horden che lega come su una mappa luoghi distanti in chiave acustica oltre che motoria, non raggiunge l’aspetto centrale della poetica storica di Braudel? Quale può essere l’urgenza di rivalutare Braudel ora che Purcell e Horden (Il mare che corrompe. Per una storia del Mediterraneo dall’età del ferro all’età moderna, Carocci 2024) hanno introdotto l’idea di connettività, una connessione spaziale che non tiene conto del fattore tempo?

9788829020607-768x1127E. I. Horden e Purcell hanno proposto un’epistemologia per la storia del Mediterraneo, sono andati oltre Braudel. Parlano di frammentazione, precarietà e connettività quali paradigmi su cui si fonda il Mediterraneo inteso sempre come organismo. Organismo perché ebbe la capacità di adattarsi ai vari passaggi storici rimanendo sempre lo stesso su un piano strutturale tra il 1000 a.C. e grosso modo il 1800 d.C. Con l’Ottocento tutto cambia, la modernità trasforma pure il Mediterraneo che diventa qualcosa di segmentato secondo le logiche Stato-nazionali. Così si arriva al giorno d’oggi. Oggi il Mediterraneo è prima di tutto geopolitica, poi tutto il resto. In merito convengono gli storici. Non era così prima, per un paio di millenni, il Mediterraneo era quello che chiamo “sistema di sistemi”. Ma quello era, appunto, un altro Mediterraneo, che studiamo.

R. M. Quanto conta “l’esilio” di Braudel nella sua concezione della ‘mobilità’ che informa il suo Mediterraneo?

E. I. L’esilio, nei secoli XVI-XVIII, fa parte del destino degli individui, meno dei “destini collettivi”, per usare un’espressione di Braudel. Certo, abbiamo la cacciata degli ebrei nel 1492 e poi dei moriscos dalla Spagna cattolica. Sono fatti noti. Questi esilî di intere comunità, di 200-300 mila persone, hanno avvantaggiato l’impero ottomano, hanno rafforzato sul piano economico le città nordafricane e quelle balcaniche. Occorre però essere precisi, distinguere tra la mobilità territoriale, che è economica e sociale, e l’esilio, che ha connotazioni più profonde, ossia politiche, religiose, culturali e infine anche simboliche. Sono fatti, gli esilî, nel senso che sono eccezionali, mentre la mobilità è un fenomeno, poiché è strutturale, almeno nei secoli XVI-XVIII. Dall’Ottocento ad oggi le cose cambiano. Abbiamo l’immigrazione massiccia di francesi in Algeria, di italiani in Tunisia, abbiamo lo scambio di intere popolazioni nel 1923 tra Turchia e Grecia, si trattava di milioni di persone; abbiamo milioni di francesi che abbandonano l’Algeria nel 1960-62. L’esilio di massa si ripropone dopo ogni guerra. Oggi il Sud globale bussa alle porte dell’Occidente, cioè l’Unione Europea, in concreto l’Italia, proprio nel Mediterraneo. Questo è il nostro tempo: l’esilio è diventato un fenomeno di massa.     

Dialoghi Mediterranei, n. 71, gennaio 2025 
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Roberta Morosini, professore Ordinario presso UCLA (USA), ha  insegnato presso l’Università L’Orientale di Napoli e Wake Forest University. Si occupa di “Umanesimo blu” come in Il mare salato. Il Mediterraneo di Dante, Petrarca e Boccaccio (Viella, 2020, finalista MARetica 2021) e nella sua prossima monografia Dante’s Blu Humanism. The Mediterranean-Archipelago. Rivers and Sea of Exile in the Commedia. Studia in chiave pan-Mediterranea i rapporti cristiani-musulmani (Dante, il Profeta e il Libro, L’Erma di Breschneider, 2018 e ora in inglese Dante, Moses and the Book of Islam, 2024), gli attraversamenti delle donne, e in generale la rappresentazione artistica del mare nel Trecento e negli Isolari del Rinascimento.  Tra le sue recenti pubblicazioni, Dante, Fra’ Macario e i calzari di Gesù-Francesco a Bosa. L’incontro dei tre vivi e dei tre morti (Mediando, 2021), Rotte di poesia e rotte di civiltà. Il Mediterraneo degli Dei nella «Genealogia» di Boccaccio e Piero di Cosimo (Castelvecchi, 2021), I cieli naviganti. Domenico Rea, Boccaccio e Napoli (Mediando, 2023).

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