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Breve storia della comunità ebraica del Bahrain: dal primo insediamento agli Accordi di Abramo

Esterno della Sinagoga prima del restauro, 2019 (ph. Agnese Tati)

Esterno della Sinagoga prima del restauro, 2019 (ph. Agnese Tatì)

di  Agnese Tatì 

Introduzione

Questo articolo vuol esaminare, attraverso una ricostruzione storico-antropologica, il ruolo della piccola comunità ebraica del Regno del Bahrain nel suo sviluppo storico e nella sua rilevanza religiosa e politica attuale. A partire dal XIX secolo, le prime famiglie si trasferirono nell’arcipelago, considerato come luogo ‘sicuro’ e ‘ricco’ ma anche come punto di passaggio verso lidi economicamente più vantaggiosi, fino alla costituzione di una vera e propria comunità ancora oggi attiva.

Il delinearsi di una vita ebraica in Bahrain deve essere anche collegato al dinamismo culturale e commerciale ebraico sviluppatosi a partire dalla metà del XVIII secolo che coinvolse diverse comunità ebraiche, in particolare quella irachena, e che si estese fino alla Cina. Nel ripercorrere le complesse dinamiche che hanno determinato la presenza storica di questa comunità, le più recenti vicende geopolitiche dell’area del Golfo, nello specifico la storica firma degli Accordi di Abramo, hanno investito la comunità ebraica di un ruolo politico e culturale significativo. Sebbene la dimensione transnazionale ebraica, che coinvolgeva tanto il Golfo quanto l’Europa e il Sudest Asiatico (con centri quali Londra, Bombay, Cochin, Calcutta, Singapore, Burma e Shangai), si fosse dispersa tra il susseguirsi di stravolgimenti geopolitici, ancora oggi nella recente composizione ebraica del Golfo è possibile rintracciare tale caratteristica.

Ingresso della Sinagoga dopo il restauro, 2021 (ph. Agnese Tati)

Ingresso della Sinagoga dopo il restauro, 2021 (ph. Agnese Tatì)

Alla ricostruzione storica è affiancata un’analisi etnografica della comunità e dei suoi spazi sacri elaborata a partire da diversi soggiorni nella capitale bahreinita, Manama, avvenuti tra il 2018 e il 2021, la conduzione di alcune interviste ai membri della comunità e infine lo studio di fonti primarie redatte da alcuni membri della comunità. È stato possibile ricostruire tale storia a partire dal libro From Our Beginning to Present Days (2008) di Nancy Kheoduri, membro della comunità ebraica del Bahrain. Tale volume è stato utilizzato come fonte primaria per l’avvio della ricerca e ha fornito del materiale fondamentale, contenendo una raccolta di foto, racconti e documenti della comunità dalla fine del XIX secolo fino al 2008. Il libro fornisce inoltre informazioni preliminari preziose sugli spazi frequentati della comunità, indicando il nome delle principali vie nel Souq di Manama, un tempo cuore pulsante della vita culturale e politica del Regno, fino a ripercorrere la storia di alcune famiglie ebraiche rimaste in Bahrain anche dopo il 1947 – una data traumatica e determinante per la storia della piccola comunità.

I soggiorni hanno permesso infine di poter dare maggiore organicità a quanto descritto nel libro, soprattutto per quel che riguarda un orientamento nello spazio e nel contesto culturale attuali del Bahrain. Le interviste sono state fondamentali nel cercare di individuare degli orizzonti di senso su un piano culturale e religioso dei rappresentanti della comunità: il loro tentativo di interpretazione della storia e del passato della comunità tramite narrazioni personali o collettive, il loro posizionamento politico e istituzionale nel contesto nazionale e regionale del Golfo – il detto e il non detto diventano importanti chiavi di lettura – fino ad arrivare a informazioni sensibili e delicate di carattere intimo e familiare e che aprono un sipario sulle aspettative e sulle preoccupazioni dei cittadini ebrei bahreiniti. Infine la mia ricerca ha avuto un inaspettato, ma proficuo, cambio di rotta grazie al casuale incontro con un gruppo di israeliani di origine bahreinita in visita in Bahrain nel dicembre 2021 per rinsaldare il legame con la piccola comunità ebraica. Grazie a questo incontro sono riuscita a raccogliere prezioso materiale storico-antropologico e a descrivere più efficacemente alcuni passaggi temporali che con la sola analisi storiografica sarebbero rimasti solo accennati: mi riferisco in particolare all’emigrazione di molte famiglie ebraiche subito dopo il 1947. 

Interno della Sinagoga dopo il restauro, 2021 (ph. Agnese Tati)

Interno della Sinagoga dopo il restauro, 2021 (ph. Agnese Tatì)

Dal primo insediamento al 1947: una rete commerciale transnazionale

Il Golfo [1] è una vasta area geografica che comprende numerosi Stati contemporanei, fin dai tempi antichi centro del commercio globale [2], e caratterizzata da una notevole eterogeneità culturale e religiosa. Le comunità ebraiche vantano una presenza storica millenaria, documentata dai racconti biblici, dal Talmud babilonese e da numerose fonti arabe islamiche. Città irachene e iraniane come Babilonia e Susa furono centri della vita culturale ebraica dal V all’XI secolo e.v., prima che Baghdad diventasse la capitale imperiale. Diversamente dall’Europa, tra l’XI e il XVI secolo e.v. le comunità ebraiche nei Paesi islamici godevano di maggiori libertà religiose e sociali, essendo considerati Ahl al-Kitab (popolo del libro) e sottoposti alle regole della Dhimma. Questo status garantiva diritti come l’elezione a cariche statali, il possesso di proprietà terriere e la difesa nei tribunali musulmani, sebbene non mancassero delle restrizioni sociali e cultuali. Una presenza ebraica nell’arcipelago del Bahrain  [3] (intesa come area geografica più estesa) è attestata fin dal XII secolo e.v. grazie ai resoconti di Beniamino da Tuleda, che menzionava comunità ebraiche a Qays e Al-Qatifa (Jacobs, 2014). Il centro ebraico più influente della regione era Baghdad, considerato un punto di riferimento sia religioso che culturale. Gli ebrei provenienti dall’Iran, dall’Afghanistan e dall’India erano noti come baghdadi grazie al loro stretto legame con la comunità di Baghdad, specialmente dal punto di vista religioso. Questo termine veniva anche impiegato come termine generico per riferirsi alle comunità di commercianti e imprenditori ebrei a capo della rete ebraica transnazionale che contribuì alla formazione di comunità satellite ebraiche in India, a Singapore e in Cina che mantenevano forti legami con Baghdad. Queste comunità, bensì, non erano periferiche, ma parte di un circuito multicentrico in cui Baghdad rappresentava il nucleo spirituale. Famiglie prominenti come i Sassoon, Ezra, Elias, Gubbay, Kadoorie, Meyer e Abraham stabilirono comunità satellite che rimasero strettamente collegate a Baghdad, continuando a promuovere spostamenti e commerci fino alla migrazione di massa e la dissoluzione della comunità irachena come centro ebraico regionale post-1947 (Goldstein, 2019). Queste famiglie erano molto legate anche al Bahrain, che costituiva un punto di passaggio strategico.

Non ci sono notizie di una stabile presenza ebraica nel Bahrain fino al 1873, quando un ebreo individuato come Naseem dall’Iraq venne registrato come proprietario di un negozio di alimentari nel Souq di Manama. Il primo ebreo a risiedere stabilmente fu Saleh Eliyahou Yadgar, trasferitosi da Bassora. Nel XIX secolo, un modesto numero di famiglie ebraiche si trasferì nel Bahrain, integrandosi nel contesto politico e sociale di Manama. Dal 1920, con la nascita degli organi municipali, le famiglie ebraiche erano attive nel commercio e nella Manama Municipality, raggiungendo il massimo splendore tra il 1920 e il 1947, con una comunità stimata di 1.500 membri.

Spazio interno della Sinagoga, dicembre 2021 (ph. Agnese Tati)

Spazio interno della Sinagoga, dicembre 2021 (ph. Agnese Tatì)

Le famiglie ebraiche presenti in Bahrain provenivano principalmente da Iraq e Iran, ma anche dall’India e dal Kuwait ed alcune di queste erano parte dell’élite commerciale che si estendeva dall’Europa fino alla Cina. Negli anni ’40 e ’50 gli ebrei possedevano molti esercizi commerciali nel cuore di Manama in un’area denominata Sikkat Al-Yahoud, oggi invece conosciuta come Al-Muttanabi Avenue. Adiacente alla zona, cuore della vita economica ebraica, sorgeva la sinagoga nota come Millet El Musawiya.

Gli ebrei del Bahrain acquisirono la cittadinanza grazie alla Bahrain Nationality and Property Law del 1937, e fino al 1947 furono una componente attiva e ben integrata della società. Come per gli ebrei iracheni che erano parte attiva della vita politica e sociale irachena nelle prime decadi del 1900, contribuendo allo sviluppo economico, sociale e culturale del Paese, gli ebrei del Bahrain furono accolti nel sistema cittadino e successivamente nazionale.

Tuttavia, le condizioni cambiarono dopo la ratifica della risoluzione 181 delle Nazioni Unite nel 1947, che approvava la creazione dello Stato di Israele. Il 2 dicembre 1947 una manifestazione di protesta contro questa decisione degenerò in un attacco violento alla comunità ebraica di Manama, con saccheggi, incendi e la morte di una donna. La popolazione bahreinita e la famiglia Al Khalifa condannarono duramente l’accaduto, dimostrando solidarietà verso i concittadini ebrei. 

Parochet donata della famiglia di Shimon Cohen. Rappresentazione di Gerusalemme con in fondo il Bet Hamikdas Tempio di Gerusalemme, al centro la colomba, simbolo della pace (ph. Agnese Tati)

Parochet donata della famiglia di Shimon Cohen. Rappresentazione di Gerusalemme con in fondo il Bet Hamikdas Tempio di Gerusalemme, al centro la colomba, simbolo della pace (ph. Agnese Tatì)

L’emigrazione dal Bahrain

Dal 1947 la comunità ebraica del Bahrain iniziò a emigrare a causa di un crescente clima di diffidenza, alimentato dagli eventi traumatici di dicembre 1947 e dal conflitto israelo-palestinese. Questo conflitto ha avuto ripercussioni politiche in tutti i Paesi arabi, portando a discriminazioni, detenzioni e espulsioni forzate delle comunità ebraiche in Paesi come Iraq, Egitto e Libia. Le autorità bahreinite, tuttavia, hanno permesso agli ebrei di emigrare portando con sé i propri beni, pur impedendo il loro ritorno con la decadenza del passaporto e la minaccia di reclusione.

L’esodo degli ebrei bahreiniti coincide con fasi cruciali del conflitto israelo-arabo. Tra il 1949 e il 1953, diverse famiglie si trasferirono in Israele, tra cui quella di Shimon Cohen, rabbino capo. Tra il 1960 e la metà degli anni Settanta, un significativo numero di ebrei emigrò verso Regno Unito, Stati Uniti e Canada, spinti dal clima di insicurezza sociale ed economica inasprito dalla presenza inglese e dall’aggravarsi del conflitto israelo-palestinese.

Il Bahrain mantenne inizialmente una posizione distaccata rispetto a Israele, non partecipando attivamente al conflitto e annunciando nel 1949 l’accoglienza di un piccolo numero di profughi palestinesi. La politica della famiglia reale rimase allineata al resto del mondo arabo, ma con toni meno aggressivi. Tuttavia, il fermento politico popolare sostenne fin da subito la causa palestinese.

Durante la Guerra dei Sei Giorni, il Bahrain rischiò una sommossa popolare, che fu sedata personalmente dallo Sheikh Isa bin Salman Al Khalifa. Lo Sheikh ribadì il suo sostegno agli alleati arabi e offrì di pagare le spese di viaggio per i volontari disposti a combattere per la causa palestinese. Dopo l’indipendenza dal Regno Unito nel 1971, lo Sheikh continuò a sostenere una soluzione araba al conflitto israelo-palestinese. Negli anni Settanta il Bahrain affrontò disordini causati da gruppi radicali come il Marxist Popular Front for the Liberation of the Arab Gulf (PFLOAG) e la Palestinian Black September Organization. Dopo il 1973, il Bahrain inviò la Bahrain Defence Force a supporto dell’Arabia Saudita nella “Gloriosa Guerra del Ramadan” [4] e inaugurò una sede dell’OLP (Joyce, 2012).

All’inizio degli anni ’80 rimanevano in Bahrain solo poche famiglie ebraiche, che preservavano l’osservanza religiosa in modo privato o frequentando comunità all’estero. Interviste con membri della famiglia Nonoo nel 2021 rivelano che la memoria traumatica del dicembre 1947 ha profondamente influenzato il comportamento della comunità ebraica, spingendola a mantenere un profilo defilato a causa della paura e dell’insicurezza derivanti dalle tensioni sociali e politiche del Paese. 

Sefer Hatorah regalato al Re Hamad Bin Isa Al Khalifa, 25 giugno 2020 da Jared Kushner, conservato all'interno dell'Haron Ha Qodesh (ph. Agnese Tati)

Sefer Hatorah regalato al Re Hamad Bin Isa Al Khalifa, 25 giugno 2020 da Jared Kushner, conservato all’interno dell’Haron Ha Qodesh (ph. Agnese Tatì)

Dagli anni Duemila agli Accordi di Abramo

La storica comunità ebraica dagli anni Duemila è stata chiamata a rivestire un ruolo strategico molto importante a sostegno di alcune decisioni politiche interne. Lo Sheikh Hamd bin Isa Al Khalifa ha infatti nominato come senatori della Shura tre membri della piccola comunità ebraica: un uomo d’affari bahreinita; un’imprenditrice e attivista per i diritti civili, poi nominata ambasciatrice negli Stati Uniti d’America [5]; Nancy Khedouri, imprenditrice e autrice del libro From Our Beginning to Present Days. Ancora nel 2002 lo Sheikh Hamad in una visita ufficiale a Londra ha ricevuto un gruppo di ebrei del Bahrain emigrati in Inghilterra esprimendo il suo orgoglio nei confronti degli ex cittadini ebrei del Bahrain e affermando di rispettare la religione ebraica e i suoi fedeli con la promessa di ripristinare la legge del possesso del doppio passaporto bahreinita-britannico. Lo Sheikh ha dato prova di distinguere chiaramente e senza imbarazzo l’appartenenza alla religione ebraica dalla questione israeliana, rimanendo un oppositore delle politiche di Israele [6]. D’altronde i rapporti tra alcune famiglie ebraiche e la famiglia reale si erano mantenuti buoni, come nel caso della famiglia Sweiry, nonostante le politiche antiebraiche di altri alleati arabi.

Questi fatti sono interpretabili come un primo tentativo di riportare al centro un recente passato in cui i membri della comunità ebraica erano parte degli organi politici e istituzionali del Regno. La realizzazione della campagna itinerante This is Bahrain nel 2014 e l’istituzione del King Hamad Global Center nel 2017 hanno facilitato la diffusione di questa narrazione nazionale e, grazie alla loro azione di soft power, tali iniziative hanno permesso la creazione di legami prepolitici con importanti rappresentanze del mondo ebraico (Fahy, 2018). Un interlocutore privilegiato è stato il rabbino Marvin Heir, direttore del Simon Wiesenthal Center di Los Angeles [7]. Nell’ambito del piano di pace in Medio Oriente promosso dal presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump nel 2017, nel giugno 2020 Manama ha ospitato un workshop intitolato Peace to Prosperity, volto a presentare la proposta economica statunitense (Goren, 2019). In quell’occasione, la sinagoga è stata aperta dopo anni di inattività per permettere agli ospiti di fede ebraica, presenti alla conferenza, di recitare le preghiere dello Shabbat alla presenza di Houda Nonoo, co-responsabile della comunità, e del rabbino Marvin Heir.

Dettaglio della rivestitura della Bimah, Albero di ulivo che genera due frutti, olive  e melograni, pace e prosperità (ph. Agnese Tati)

Dettaglio della rivestitura della Bimah, Albero di ulivo che genera due frutti, olive e melograni, pace e prosperità (ph. Agnese Tatì)

L’avvicinamento del Bahrain al mondo ebraico internazionale è stato favorito dalla politica estera statunitense, durante la presidenza trumpiana, che ha posto la difesa della libertà religiosa al vertice dell’agenda di politica estera circondandosi di attori religiosi rappresentanti e promotori di tale diritto (Jeong, 2021). Il peso che la comunità ebraica ha ricoperto a partire dagli inizi del 2000 è in parte condizionato dal ruolo internazionale assunto dal Bahrain in merito alla sicurezza e la stabilità della regione. Prima ancora della firma degli Accordi di Abramo i Paesi del Golfo, ognuno con la propria strategia, hanno instaurato un dialogo diretto o indiretto con Israele e più in generale con il mondo ebraico, in particolare in seguito alla firma del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) tra l’Iran e i cinque membri permanenti dell’United Nation Security Council (Jeong, 2021). La paura condivisa, degli Stati del Golfo e di Israele, era quella di vedere l’Iran ascendere a potenza più influente della regione. Come scrive M. Quamar (2020) la percezione della minaccia spinge molti Paesi a stringere alleanze e accordi con partner impensabili, valutando la capacità militare e strategica di questi in favore del mantenimento della sicurezza Council (Jeong, 2021). In questo contesto, in cui gli aspetti politici e culturali agiscono insieme, la comunità ebraica autoctona del Bahrain ha assunto un ruolo culturalmente strategico soprattutto per i nuovi sviluppi geopolitici determinati dagli Accordi di Abramo. 

Ebrahim Nonoo accoglie il Roots Journey nella Sinagoga. Accanto a lui in piedi una nipote del Rav Shimo Cohen trduce in ebraico, 10 dicembre 2021 (ph. Agnese Tati)

Ebrahim Nonoo accoglie il Roots Journey nella Sinagoga. Accanto a lui in piedi una nipote del Rav Shimo Cohen trduce in ebraico, 10 dicembre 2021 (ph. Agnese Tatì)

Gli Accordi di Abramo e il loro impatto culturale

Il 15 settembre 2020 gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrain hanno firmato gli Accordi di Abramo con Israele alla presenza del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, alla Casa Bianca. Tale accordo è il tentativo di creare una strategia di sicurezza regionale e diplomatica offrendo un nuovo assetto politico e culturale: si agisce, oltre che su criteri di alleanza politica, anche su un piano culturale e religioso a partire dalle affinità culturali delle religioni abramitiche. Gli accordi di Abramo sono composti di due parti: la prima, Accords Declaration, sancisce la nascita di un’intesa culturale che possa permettere la creazione di una nuova dimensione di dialogo e cooperazione tra Stati che per decenni sono stati ai poli opposti di un conflitto politico identitario; la seconda, i patti bilaterali stipulati tra i paesi firmatari, mirano a identificare le aree di collaborazione per rafforzare i legami concreti e trasversali tra le popolazioni coinvolte (Baldelli e Monoriti, 2022).

Gli Accordi hanno avuto un impatto economico, culturale e sociale significativo, favorendo il turismo tra le due regioni grazie a procedure di visto semplificate. Eventi simbolici, come la costruzione dell’Abrahamic Family House ad Abu Dhabi, hanno avuto la finalità di sensibilizzare l’opinione pubblica e a dare un contenuto ideologico e culturale agli Accordi.

Inizio della  preghidera dell'Erev Shabbat, 10 dicembre 2021 (ph. Agnese Tati)

Inizio della preghidera dell’Erev Shabbat, 10 dicembre 2021 (ph. Agnese Tatì)

Il Bahrain ha rapidamente stabilito forti legami con Israele grazie alla sua comunità ebraica. Dopo la firma degli Accordi, le comunità ebraiche del Bahrain e degli Emirati Arabi Uniti sono diventate punti di riferimento per un nuovo dinamismo ebraico nella regione, coordinando attività religiose e di rappresentanza. Nel 2021 un gruppo di israeliani di origine bahreinita ha visitato il Paese, riunendo la famiglia di Shimon Cohen, emigrata in Israele negli anni Cinquanta, per pregare nella sinagoga e commemorare i defunti.

Il presidente della comunità ebraica bahreinita, Ebrahim Nonoo, ha ricevuto molte richieste da persone di origine bahreinita desiderose di tornare nel loro Paese d’origine. Questo ha portato alla raccolta di immagini storiche del Bahrain, ora esposte nella sinagoga ristrutturata.

A gennaio 2021 le comunità ebraiche del Bahrain e degli Emirati Arabi Uniti hanno formato l‘Association of Gulf Jewish Communities (AGJC) per facilitare le funzioni religiose. La vita religiosa si è intensificata, con celebrazioni dello Shabbat, Purim, un Bar Mitzvah e un matrimonio nella sinagoga di Manama nel 2021. La ristrutturazione della sinagoga e il ritorno delle famiglie di origine bahreinita hanno creato nuovi spazi di memoria e simboli di una nuova identità, fondando nuove relazioni religiose e culturali tra Bahrain e Israele. 

Preghiera mattutina dello Shabbat alla presenza del Chazan (ph. Agnese Tati)

Preghiera mattutina dello Shabbat alla presenza del Chazan (ph. Agnese Tatì)

Vita Religiosa della comunità

La vita religiosa della comunità è stata fin da sempre condizionata dalle vicissitudini politiche e sociali del Regno del Bahrain; si possono individuare tre periodi per meglio esaminarla: dall’arrivo al 1947; dal 1947 al 2000; dal 2000 agli Accordi di Abramo.

Come già accennato è difficile risalire a un numero esatto di ebrei residenti in Bahrain per il primo periodo: purtroppo, non disponendo di registri ufficiali, non è possibile stabilire un numero esatto di famiglie residenti [8] ne tantomeno è possibile determinare quante famiglie frequentassero la sinagoga.

In generale, un’attività religiosa comunitaria sembra aver avuto inizio con l’arrivo del rabbino Shimon Cohen intorno ai primi anni Venti del XX secolo che edificò la sinagoga. Questa fu fondata nel 1930 da due ricchi mercanti francesi e di religione ebraica, Pak e Victor Rosenthal, attivi nel commercio di perle tra l’India e l’Europa. Frequentando spesso il Bahrain, dove erano riusciti ad ottenere l’esclusiva sui migliori banchi di perle, entrarono in contatto Shimon Cohen, anch’egli impegnato nella stessa attività. In quegli anni la comunità non era ancora andata costituendosi poiché a mancare erano gli spazi consoni al rispetto della vita religiosa. Per questo i due mercanti europei decisero di comprare un appezzamento di terra che sarebbe stato destinato alla costruzione della sinagoga. Gli atti di vendita furono intestati a un membro della comunità, Khudoory Sayegh, mentre l’edificazione della sinagoga fu opera del rabbino Shimon Cohen.

Shimon Cohen, di origine iraniana, si trasferì in Bahrain nel 1925 dal Kuwait dove il padre, Yacov Cohen, era il rabbino capo di una piccola comunità. Data l’esiguità di questa comunità e non potendo contare economicamente sull’attività di rabbino [9], iniziò a commerciare verso il Bahrain dove scoprì che alcune famiglie ebraiche si erano stabilite nell’arcipelago. La presenza di questo giovane rabbino diede il via alla vita religiosa ebraica nel Paese: era il responsabile dello studio e dell’insegnamento della Torah e dei testi sacri, del culto e delle cerimonie più importanti; era inoltre un mohel (colui che può effettuare il rito del Brit Milah, circoncisione) e uno shochet (macellatore rituale). Il libro From Our Beginning to Present Days riferisce della costituzione di due scuole ebraiche: quella della sinagoga e una legata alla casa privata di un membro della comunità, Abu Abid. Sulla struttura originaria della sinagoga purtroppo non sono ancora stati rinvenuti dati certi (foto, carteggi relativi alla sua costruzione) ma è possibile ricostruirne un’immagine: era un edificio molto semplice che ben si raccordava con lo stile del Souq e che presentava dei simboli religiosi al suo esterno [10].

Cimitero visto dall'alto, 2021 (ph. Adi Yona)

Cimitero visto dall’alto, 2021 (ph. Adi Yona)

La rivolta violenta contro la comunità ebraica nel dicembre 1947 causò la chiusura della Sinagoga che fu vandalizzata e privata dei rotoli della Torah perdendo di conseguenza la sua sacralità. La dissacrazione costituì un atto grave che ebbe un profondo impatto sulla famiglia del rabbino Shimon Cohen e di quelle a lui vicino.

Il portato simbolico dell’evento può essere letto alla luce di tre eventi fondamentali della storia ebraica: l’esilio babilonese che determinò la prima distruzione del Bet Hamiqdash (il Tempio di Gerusalemme) e la prima diaspora ebraica, la dissacrazione di Antioco IV Epifanio e la successiva rivolta dei Maccabei, la seconda distruzione del tempio ad opera dei Romani. L’ebraismo ha costituito il suo culto e la sua identità religiosa su questi eventi drammatici che ruotano intorno alla distruzione del Tempio.

Dopo il 1947 molte famiglie ebraiche lasciarono il Paese con conseguenze importanti sulla vita religiosa della comunità. La prima famiglia a espatriare fu proprio quella del rabbino Shimon Cohen, vittima diretta della rivolta, che appartenendo a un rango sacerdotale subì l’attacco più profondamente. Si può ipotizzare che altri due fattori possano aver spinto Shimon Cohen e le altre famiglie a emigrare: l’impossibilità di ripristinare una vita religiosa adeguata e sicura, dati i costi e le difficoltà della ricostruzione della sinagoga di fronte a esigenze impellenti più gravi, e il clima geopolitico della regione aggravato dalla questione israelo-palestinese.

Con l’emigrazione del rabbino e delle famiglie a lui vicine sembrerebbe essere cessata ogni attività di educazione religiosa [11]. L’esiguità della comunità a partire dagli anni ’80 ha influito in maniera drastica sulla vita religiosa comunitaria che si è caratterizzata in una dimensione privata o con la frequentazione di comunità all’estero (Khedouri, 2007). L’impossibilità di raggiungere il mynian (quorum di dieci uomini per la preghiera) e la mancanza dei Rotoli della Torah hanno determinato il disuso della sinagoga che solo occasionalmente è stata aperta al pubblico. L’attività religiosa della comunità è stata ripresa solo a partire dal 2017 in modo sempre più continuativo. Quella del Bahrain per molti anni è stata l’unica comunità ebraica riconosciuta e attiva nel Vicino Oriente, a esclusione delle comunità in Iran. Negli EAU dal 2013 [12] si è andata consolidando una presenza ebraica costante quando alcune delle famiglie ebraiche, trasferitesi per motivi lavorativi, hanno istituito una piccola Shul adibita a sinagoga. Infine, con la firma degli Accordi di Abramo nel settembre 2020, la presenza ebraica nel Golfo si è istituzionalizzata con la creazione dell’Association of Gulf Jewish Communities (AGJC) di cui anche la comunità ebraica del Bahrain è parte. Essere inglobati in questa dimensione regionale allo stesso tempo cosmopolita e dinamica, essendo la comunità emiratina composta di espatriati, ha dato un nuovo impulso alla vita religiosa ebraica dalla piccola comunità. La sinagoga di Manama, l’unica ad avere gli spazi adibiti per accogliere delle cerimonie, è stata utilizzata in più occasioni per svolgere le preghiere con la presenza di ebrei dalla regione e dall’estero. Dopo settant’anni dall’ultimo utlizzo, nel giugno 2019, in occasione della conferenza Peace to Prosperity Workshop a Manama, la sinagoga ha ospitato la celebrazione dello Shabbat alla presenza di giornalisti e figure diplomatiche di religione ebraica. Il 15 settembre 2020 il senior advisor del Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump, Jared Kushner, ha donato al Re Hamad bin Isa Al Khalifa dei Rotoli della Torah, poi offerti alla sinagoga in occasione della sua ristrutturazione. Nell’estate 2021, infine, la sinagoga è stata completamente rinnovata e rinominata Bait Eseret Hadiberot (House of Ten Commandments).  

Tombe delle mogli e del figlio del Rabbino Shimon Cohen (ph. Adi Yona)

Tombe delle mogli e del figlio del Rabbino Shimon Cohen (ph. Adi Yona)

Il cimitero

Nella città Manama, al di fuori dell’antico Souq, sorge un piccolo cimitero ebraico adiacente a quello cristiano appartenente alla cattedrale evangelica di St. Christopher e poco distante da un cimitero islamico. Non è possibile risalire a una data della costruzione del cimitero, né informazioni su chi lo abbia costruito ma è in ogni caso una costruzione databile agli inizi del XX secolo dopo le numerose perdite in seguito a un’epidemia di colera [13]. Si può ipotizzare perciò che il cimitero sia stato costruito prima della nascita della sinagoga, anche se per ora non ci sono dati relativi alla ricorrenza e incidenza delle epidemie di colera prima e dopo la nascita degli organi cittadini. Il cimitero, di piccole dimensioni, si trova su una stradina senza uscita, non adibita al traffico delle autovetture.

All’ingresso del cancello dipinto di azzurro non è presente alcuna targa o iscrizione che possa indicare la specificità del luogo. In accordo con le disposizioni rabbiniche, i cimiteri devono essere costruiti ad una distanza minima di cinquanta metri dal centro abitato e se questo non è possibile devono essere recintati da un alto muro (Lanqueur, 1996). Il cimitero ebraico della comunità del Bahrain rispetta la regola della distanza rispetto al Souq. È delimitato da una recinzione in legno alta circa tre o quattro metri e non condivide con il cimitero cristiano alcun muro: un lembo di terra separa i due spazi a mo’ di confine. Il terreno adibito a cimitero non può essere convertito e utilizzato per altri scopi perché considerato luogo impuro. Le uniche funzioni religiose permesse sono quelle dedicate alla commemorazione del morto con la recitazione del Qaddish e dell’accensione delle candele (Skolnik F., Berenbaum M., 2007). Il cimitero è di piccole dimensioni e contiene sessanta o settanta cumoli tombali disposti verticalmente rispetto all’ingresso, proprio nel rispetto della comune pratica ebraica di rivolgere le tombe verso Gerusalemme. Le tombe più recenti sono distinguibili da quelle più vecchie per via della loro struttura che presenta una lastra di marmo posizionata in alto con un’incisione o una targa che indica il nome del defunto, la data di nascita e della morte. Le altre tombe sono semplicemente ricoperte di argilla che solidificandosi ha creato una spessa rivestitura a forma di tumulo con l’assenza di targhe, iscrizioni o lapidi.

Come emerso durante un’intervista, la comunità possedeva una pianta del cimitero sulla quale erano segnate le posizioni delle tombe delle diverse famiglie. Il motivo di tale usanza può essere spiegato da un punto di vista religioso oppure economico: la legge ebraica consiglia di astenersi dall’eccessiva decorazione funeraria per il rispetto del morto e per rimarcare l’accezione particolare del cimitero come luogo impuro; il secondo motivo potrebbe riferirsi alle condizioni economiche della comunità. Si potrebbe ipotizzare che alcune iscrizioni siano state incise sui tumuli o siano state apposte targhe “mobili” che sono andate perse o usurate nel corso degli anni, come ipotizzato dal libro di Nancy Khedouri nel quale sono presenti delle foto del cimitero dove sono delle targhe “mobili”, poste di fronte ad alcune tombe, sono difatti visibili. 

Bait Eseret ha-Diberot (The House of Ten Commandments) 

Prima del 2021, la sinagoga, situata nel cuore della parte antica di Manama, era stata precedentemente ristrutturata agli inizi degli anni Duemila [14]. L’edificio, visitato in ottobre 2018, presentava una pianta rettangolare con intonaco bianco all’esterno e degli archi ornamentali che richiamavano motivi dell’architettura araba. Appariva abbandonato e poco curato: una piccola porta d’ingresso e nessuna iscrizione o targa che specificasse la funzione dell’edificio. Gli interni invece, di cui ho potuto prendere visione solo grazie a foto e video di repertorio, presentavano la disposizione propria di una sinagoga. Era distinguibile uno spazio destinato all’Haron Ha- Qodesh e un altro distinto sul quale svolgere le funzioni cultuali, la bimah. Il restante spazio era adibito ai fedeli con alcune panche per permettere la partecipazione alle funzioni. Gli unici elementi decorativi presenti erano alcuni quadri disposti sulle pareti laterali, tra cui l’atto di vendita del terreno, Watheeqa, scritto a mano in lingua araba. La sinagoga era chiaramente destituita delle sue funzioni. Nel libro di Nancy Khedouri sono presenti delle foto dell’esterno della sinagoga prima e dopo la ristrutturazione avvenuta negli anni Duemila. Le prime foto sono relative al 1996 e mostrano un edificio in chiaro stato di abbandono: non intonacato, pubblicità affisse e una piccola porta chiusa da un lucchetto. Nella pagina successiva invece due foto relative al 2008 che presentano la stessa struttura così come appariva nel 2018.

A oggi la struttura appare più curata con l’aggiunta di semplici dettagli che impreziosiscono l’edificio. La sua posizione rispetto alla strada crea un effetto ottico facendola sembrare posizionata a rombo. Rispetto alla ristrutturazione degli anni Duemila, è stato aggiunto un rivestimento di pietra grezza intorno alla parte bassa della sinagoga in contrasto con una speciale intonacatura bianca che crea un effetto di riflesso con la luce del sole. Due masharabiya in legno pregiato, tipiche strutture arabe di areazione per rinfrescare gli interni, impreziosiscono la semplice struttura esterna, al centro delle quali è posizionato il nuovo ingresso con un piccolo protiro in stile arabo. L’ingresso, prima anonimo e defilato, ora è munito di una piccola discesa. Il perimetro della sinagoga è munito di piccoli fari per consentire l’illuminazione serale.

Cimitero visto dall'ingresso (ph Time of Israel, giugno  2019)

Cimitero visto dall’ingresso (ph Time of Israel, giugno 2019)

Il dettaglio più importante è la presenza di una targa che indica il nome della sinagoga in arabo e in ebraico. Questo elemento costituisce un importante cambiamento per la comunità: è un segno di riconoscimento effettivo permettendo alla sinagoga riconoscibilità da un punto di vista religioso, dal momento che la sua struttura non basterebbe a identificarlo come tale. Anche gli interni sono stati tutti rinnovati a partire da pavimentazione e arredi. I nuovi infissi in vetro colorato creano un gioco di luci con il pavimento in marmo traslucido favorendo un’atmosfera più raccolta e solenne. L’ambiente è impreziosito da alcuni oggetti cultuali: una parochet (lett. rivestimento/ protezione) finemente decorata ricopre l’Haron Ha-Qodesh e un secondo rivestimento per la bimah in pendant con la prima. Questi due rivestimenti sono stati un regalo della famiglia di Shimon Cohen, disegnati a mano da Michi Silverstein, nipote di Shimon Cohen, e realizzati da una ricamatrice israeliana di tessuti pregiati per le sinagoghe. La parochet in velluto verde scuro presenta dei ricami in oro che riproducono Gerusalemme e il Tempio. In alto sono ricamate le mani di un cohen (lett. dall’ebraico la parola indica la figura sacerdotale) mentre impartisce la benedizione Birkat Hacohen. Al centro è disegnata una colomba con l’ulivo anch’essa incorniciata da un passo del Salmo 128,5: “ירושלים בטוב מציון הי יברכך” (Che Dio vi protegga da Gerusalemme). Poco più in basso una menorah (candelabro ebraico a sette braccia) stilizzata, il cui disegno è formato da alcune frasi in ebraico che indicano la provenienza dalla famiglia del Rabbino Shimon Cohen. Tradotto testualmente: «Il rabbino Shimon, figlio di Chanà e Yaacòv Hacohen ל”זצ (la cui memoria è benedetta dello Zadik) scomparso a Gerusalemme nel mese di Tevet 5735, è stato il leader della comunità ebraica del Bahrein dal momento della sua fondazione e ha lavorato per l’immigrazione della maggior parte della comunità in Israele nell’anno 1950. Che sia la sua anima in vita. Un omaggio dalla sua famiglia in Israele nella diaspora». Nei ricami che rappresentano il Tempio invece è presente un passo di Ezechiele 37, 26: להם וכרתי אתם יחיח עולם ברית שלום ברית, “Farò con loro un patto di amicizia, sarà con loro un patto eterno”. La Bimah, invece, presenta una scritta in ebraico ricamata in oro: “Per la pace e l’unione delle comunità di Bahrein e Israele”. Infine un disegno centrale rappresentante un albero di ulivo dal quale pendono le olive e melograni che sono simboli di pace e prosperità. Di fronte all’Haron Ha-Qodesh è appeso un lampadario in legno il cui gioco di luci proietta una Stella di Davide sulle pareti: si tratta di una versione moderna della Ner Tamid generalmente affissa sull’Haron Ha-Qodesh.

La disposizione delle panche segue la regola della distinzione di genere: di fronte la Bimah siedono gli uomini e nella parte opposta accanto al Haron Ha-Qodesh le donne. Su quest’ultima parete sono posizionati dodici quadri i quali sono una riproduzione delle famose dodici vetrate rappresentanti le dodici tribù di Israele realizzate da Chagall per la Sinagoga Hadassah della Hebrew Medical Center di Gerusalemme. Nella parte opposta è incastonata una libreria a mezza parete ricolma di libri liturgici come il Thumash che comprende la Torah e le cinque Megillots (cinque libri della Bibbia ebraica: Rut, Cantico dei Cantici, Qoelet, Lamentazioni, Libro di Esther), il Siddur del rito sefardita (libro delle preghiere giornaliere) e infine il Siddur Farhi [15]. Tutti i testi sono stati donati dalla U.S Commission for the Preservation of America’s Heritage Abroad, un’organizzazione governativa che ha il compito di individuare strutture quali cimiteri, edifici sacri e storici che sono parte integrante della cultura o identità per i cittadini statunitensi di origine straniera per promuoverne la conservazione. In seguito alla sua ristrutturazione, il 21 agosto 2021, la sinagoga ha ospitato una preghiera e un Bar Mitzvah raggiungendo il minyan con la collaborazione del chazan (lett. in ebraico cantore specializzato per il servizio in sinagoga) co-fondatore della comunità ebraica di Dubai. 

Commemorazione delle tombe familiari Yakov Cohen recita il Qaddish (ph. Adi Yona)

Commemorazione delle tombe familiari Yakov Cohen recita il Qaddish (ph. Adi Yona)

Il Roots Journey e la nuova dimensione religiosa della sinagoga e del cimitero

Tra l’8 e il 12 dicembre 2021 un gruppo di cittadini israeliani e americani è stato ospite della Comunità ebraica del Bahrain. La maggior parte di questo numeroso gruppo, quaranta persone, era composto da figli, nipoti e pronipoti del rabbino Shimon Cohen mentre i restanti erano figli di ex cittadini ebrei del Bahrain che si trasferirono in Israele o Stati Uniti d’America a partire dal 1947.  La libera circolazione di merci e persone permessa dagli Accordi di Abramo ha fatto sì che queste famiglie siano potute entrare in Bahrain in sicurezza dando una forma e un contesto ai numerosi racconti di genitori, nonni e zii che lasciarono il Paese senza più fare ritorno. Il viaggio è stato organizzato da una nipote di Shimon Cohen, che all’indomani degli accordi si è subito messa in contatto con la famiglia Nonoo per organizzare una visita. Lo scopo del gruppo era quello di realizzare un viaggio che avesse l’obiettivo di ricercare le origini perdute e rinsaldare un legame con un luogo familiare e caro e allo stesso tempo sconosciuto; e involontariamente risanare in parte un trauma collettivo, personale e transgenerazionale. Durante il soggiorno infatti il gruppo, denominatosi Roots Journey, ha scelto come prima tappa il cimitero ebraico per la commemorazione sulle tombe di alcuni componenti delle famiglie in visita. La commemorazione in questo caso non è un semplice rispetto di una Mitzvah (comandamento) ma è un primo tentativo di connettersi al luogo dove il segno della presenza ebraica e familiare è in qualche modo rimasto intatto: tumoli sebbene semplici e senza lapidi che è stato possibile riconoscere grazie al ricordo. L’eccezionalità della commemorazione è stata poi messa in evidenza dall’ingresso di un Kohanim, il figlio di Shimon Cohen, in un luogo impuro come il cimitero. Infatti l’ultimo figlio della seconda moglie di Shimon Cohen ha potuto recitare il Qaddish sulla tomba della madre, Rachel, per la prima volta nella sua vita. Il gruppo ha inoltre intonato un canto ebraico, la canzone “See Rachel, see… all your sons came to the border” e realizzato delle targhe commemorative per le tombe riconosciute. Infine, sono state poste delle candele (zikaron) e dei sassi su alcune delle tombe.

Il giorno successivo il gruppo si è recato alla sinagoga per la celebrazione dello Shabbat. Prima dell’inizio della mincha (preghiera pomeridiana che apre lo Shabbat) il presidente della comunità insieme con l’organizzatrice del viaggio, e sua sorella, hanno raccontato la storia della sinagoga e della famiglia di Shimon Cohen; infine hanno proposto un collegamento tra la parashà Vayegash [16], ovvero l’incontro di Giuseppe con i suoi fratelli in Egitto, e la loro visita con l’auspicio di un felice e proficuo rapporto di fratellanza. L’ingresso dello Shabbat è stato accolto con l’accensione delle candele e con il suono dello shofar, che solitamente viene utilizzato per le celebrazioni solenni come Pesach e Kippur. Averlo utilizzato in questa occasione ha sottolineato la solennità e l’importanza del momento per i presenti.

Dalla sinagoga il gruppo si è spostato per la celebrazione della cena dello Shabbat in un hotel dove erano invitati anche l’ambasciatore israeliano del Bahrain, il chazan della comunità emiratina che aveva condotto la preghiera, Houda Nonoo e Nancy Khedouri. La mattina successiva in sinagoga si è tenuta la shacarit fino alla conclusione dei riti sinagogali mattutini previsti per lo Shabbat. Gli spazi della sinagoga e del cimitero sono stati in parte modificati dal gruppo Roots Journey che, con la loro volontà di ricercare le origini perdute e di creare un legame, vanno a costituirsi come parte integrante e fondamentale della piccola comunità ebraica del Bahrain, contribuendo al suo sviluppo identitario culturale e religioso. Le celebrazioni e le commemorazioni hanno perciò (ri)fondato una nuova dimensione della comunità e dei suoi spazi sacri stabilendo un legame diretto con un passato di pace e rispetto reciproco interrotto dall’evento traumatico del 1947. 

L<pidi più recdenti (ph Time of Israel, 2019)

Lapidi

Conclusioni

Le famiglie ebraiche si stabilirono in Bahrain all’inizio del XIX secolo, attratte da opportunità economiche. Consideravano il Bahrain un punto di passaggio verso destinazioni più vantaggiose. La loro integrazione nei consigli municipali e il rispetto per la diversità culturale e religiosa permisero la formazione di una comunità ebraica organizzata, guidata dal rabbino Shimon Cohen. Le concessioni di proprietà, l’inclusione politica e un clima di tolleranza favorirono lo sviluppo di un forte senso di appartenenza al Bahrain, che persiste tutt’oggi. Allo stesso tempo la comunità manteneva una forte vocazione transazionale.

Dopo il 1947, la comunità ebraica dovette adattarsi a nuove condizioni politiche e sociali, influenzando la vita religiosa. La vita religiosa, vissuta in contesti privati o all’estero, si mantenne soprattutto per le forti connessioni che la famiglie rimaste avevano tenuto con l’Europa e con le famiglie emigrate. Dagli anni 2000, i cambiamenti geopolitici e la promozione di narrazioni nazionali inclusive hanno rafforzato la visibilità della comunità ebraica nel Bahrain. La King Hamad Declaration del 2017 ha normalizzato la presenza ebraica, riconoscendola come parte integrante della storia del Bahrain. Gli Accordi di Abramo hanno dato alla comunità un ruolo strategico nella creazione di legami culturali e religiosi con i paesi firmatari.

Eventi religiosi e la ristrutturazione della sinagoga di Manama hanno evidenziato l’evoluzione storica della comunità, trasformandola da una piccola comunità marginale a una piuttosto attiva per oltre settant’anni. La sinagoga è diventata un archivio e uno spazio di condivisione di materiale storico, nonché un luogo di incontro per persone di ogni credo e cultura. Un edificio storico di proprietà della famiglia Salah Ali sarà riconvertito in un museo, l‘Heritage Bahraini Museum, che ospiterà la riproduzione di una casa tradizionale del Bahrain. La ristrutturazione della sinagoga, finanziata autonomamente dal presidente della comunità, si inserisce in un progetto più ampio di rivalutazione del Souq di Manama con lo scopo di risaltare il contributo della comunità alla crescita politica del Paese.

Negli ultimi due anni, la comunità ha intensificato le celebrazioni religiose con l’aiuto dell’AGJIC, coinvolgendo molte persone attraverso lo streaming delle festività. La festa di Purim del febbraio 2021 è stata seguita da duemila persone, e l’accensione delle candele dello Shabbat viene trasmessa in streaming ogni venerdì sera. Le celebrazioni sono aperte a un ampio pubblico, anche non ebraico. Nel febbraio 2022, le comunità ebraiche del Golfo hanno piantato alberi nel cimitero ebraico del Bahrain per Tu B’shvat, come simbolo di riconoscenza alle famiglie una volta parte della comunità ebraica bahreinita.

La comunità ebraica del Bahrain è diventata un attore religioso indipendente, forte della sua storia e identità, svolgendo un triplice ruolo: garante del mondo ebraico del Golfo, responsabile dei legami trasversali creati dagli Accordi di Abramo grazie anche  alla vocazione transnazionale e  promotrice della narrazione nazionale del Bahrain. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, Settembre 2024 
Note
[1]   Recentemente è stato aperto un dibattito riguardo la corretta denominazione per riferirsi alla vasta regione presa in esame. I termini “arabo” o “persico”, in riferimento al Golfo, hanno assunto una forte connotazione politica in seguito alle vicende storiche degli ultimi quarant’anni. In questo contributo, pertanto, utilizzerò la più neutra denominazione “Golfo” evitando le implicazioni politiche.
[2] Per “globale” si intende un processo storico di connessioni, di realtà incrociate e in movimento; ma anche una storia di interdipendenza tra più aree geografiche e culturali. S. Conrad individua tre paradigmi riferiti alla storia globale. Il secondo è quello che meglio si adatta alla descrizione del Golfo come sistema economico e culturale connesso e integrato: «A second paradigm in the field puts the focus on Exchange and connections. This is the most popular form that research has taken in recent years. The common thread connecting these kinds of studies is the general insight that no society, nation, or civilization exists in isolation. From earliest times onward, human life on the planet was characterized by mobility and interaction. Therefore, such movements are the privileged subjects of a global history understood primarily as the history of entanglements. This infatuation with connectivity complements, and thus corrects, what we could call the frugality of earlier frameworks in which the intellectual journey came to a halt at the borders of the nation-state, empire, or civilization» (Conrad, 2016).
[3] Il nome Bahrain per tutto il periodo classico era utilizzato per indicare una vasta area geografica che si estendeva da Bassora fino all’Oman. L’antico nome dell’attuale Bahrain era Awal. Il nome Bahrain, riferito specificatamente all’arcipelago, è stato impiegato a partire dal periodo compreso tra i secoli XV e XVI. Molti viaggiatori medievali, perciò, si riferiscono al Bahrain come ad una zona più ampia (Pott 1985: 706).
[4] Anche conosciuta come guerra dello Yom Kippur.
[5] La nomina di Houda Ezra Nonoo è stata la prima donna a ricoprire tale incarico in Bahrain e la prima donna di religione ebraica ad essere nominata per tale carica in tutti i paesi arabi.
[6] «Speaking at the United Nations, on November 29, 2002, Deputy Permanent Representative of the Kingdom of Bahrain, Mohammed Saleh, condemned Israeli aggression against the Palestinians. According to the Bahraini representative, Israel maintained settlement policies that gathered people from all over the world to replace expelled Palestinians. “It continued its war crimes, crimes against humanity and State terrorism against the Palestinian people, who were suffering bitterly from Israeli practices» (Joyce 2012: 114).
[7] Anche trattandosi di un centro con sede negli USA, la vicinanza di questo ad Israele è molto forte e nell’occasione il Re ha espresso il suo rammarico per il boicottaggio nei confronti di Israele augurandosi di poter permettere voli tra Bahrain e Israele. D. Lieber, Bahrain’s king opposes Arab boycott of Israel, Time of Israel, 18 September 2017. URL: https://www.timesofisrael.com/bahrains-king-opposes-arabboycott-of-israel-jewish-leader-s
[8] Charles Belgrave, funzionario inglese, scriveva nel suo libro autobiografico nei primi anni ‘20: «There was a Jewish Community in Bahrain three and four hundred person who lived in Manama171 ». Quanto fosse precisa questa stima non si può stabilire come rimane il dubbio di quella fornita da Nancy Khedouri, millecinquecento ebrei, relativamente allo stesso periodo. Charles Belgrave si riferisce alla sola Manama senza menzionare Muharraq, primo insediamento urbano del Bahrain e residenza della famiglia Al Khalifa. Le fonti di C. Berlgrave e N. Khedouri rimangono per ora oscure. La crescita demografica registrata per la città di Manama dal 1920 fino al 1950 può far ipotizzare che la comunità crebbe rispetto ai trecento e i quattrocento ebrei a cui si riferisce il funzionario britannico.
[9] I rabbini capi delle comunità erano generalmente stipendiati dai membri stessi grazie ad un versamento mensile. Le comunità più grandi riuscivano a mantenere anche la famiglia del rabbino.
[10] Queste informazioni sono state tratte da un’intervista avvenuta nel dicembre 2022 con una nipote del rabbino Shimon Cohen testimone diretta dei racconti del nonno.
[11] Non è stato possibile rintracciare la famiglia di Abu Adib.
[12] Ross Kriel, attuale presidente del Consiglio ebraico delle comunità del Golfo, è un cittadino sudafricano trasferitosi nel 2013 a Dubai per motivi lavorativi.
[13] Il libro di N. Khedouri fornisce una sola informazione sul cimitero relativa alla presenza di numerose tombe di bambini che secondo Daud Abraham Nonoo, nonno dell’attuale presidente della comunità, erano state scavate in seguito ad una epidemia di colera agli inizi del ‘900.
[14] Si può ipotizzare un’altra ristrutturazione avvenuta in seguito alla distruzione nel 1947 che con probabilità ha avuto lo scopo di ripulire e preservare l’edificio ma non di sistemarlo per uso religioso.
[15] Il Siddur Farhi potrebbe essere considerato un tardo prodotto della tradizione giudeo-islamica. Si tratta di un Siddur, libro di preghiere giornaliero in ebraico con il testo a fronte arabo. In appendice al Siddur sono aggiunte ventiquattro pagine che spiegano al lettore la difficoltà di traduzione di alcuni termini.
[16] Parasha, porzione settimanale della Torah che viene letta durante lo Shabbat; Vayigash, undicesima porzione settimanale della Torah che nei mesi dicembre/gennaio corrisponde al capitolo 44 di Genesi 
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Agnese Tatì, dottoranda in Storia e Culture d’Europa alla Sapienza di Roma con una tesi dal titolo ha conseguito la laurea magistrale   ”Comunità ebraiche orientali di Londra (Edot ha-mizrachi) tra gli anni ’50 -’80 del 1900″. A Gennaio 2022 si è laureata in studi storici religiosi sempre presso l’Università Sapienza di Roma con una tesi sulla storia della comunità ebraica del Bahrain. Nel maggio 2022 ha pubblicato un breve articolo scientifico per il centro di ricerca Cemas Sapienza “Il ruolo della comunità ebraica del Bahrain dalle sue origini agli Accordi di Abramo”. Ha conseguito un percorso di perfezionamento all’estero di sei mesi nel 2023 presso la Bar Ilan University (Israele) seguendo corsi sul giudaismo rabbinico, sulla storia religiosa e sociale dello Stato di Israele e di ebraico moderno (Ulpan)

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