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Buon compleanno Giuseppe!

Giuseppe Profeta e la sua collezione di vasi

Giuseppe Profeta e la sua collezione di vasi

di Giovanni Pizza 

Oggi brillano gli auguri a Giuseppe Profeta, che compie 99 anni, glieli rivolgo dalle pagine pubbliche di questa rivista online e sono auguri molteplici, visto che a novant’anni ha vinto il premio Costantino Nigra per l’antropologia culturale e non glieli avevo ancora fatti. Alcuni anni fa nel cuore della ripresa del lockdown, dedicai una recensione al suo saggio del 2020, che tiene conto dell’articolo che apparve su “Lares” sull’acqua, i vasi e la vascolarizzazione universale. Mi rispose subito con una mail di ringraziamento che custodisco gelosamente. Con l’occasione pubblichiamo una versione integrale di quella recensione. L’edizione ridotta apparve sulla rivista “Anuac”.

Nato nel 1924, Profeta è il decano degli antropologi del folklore, ha recuperato inediti di Pitrè, ha diretto Istituti e molto si potrebbe dire di lui, anche attraversando le sue numerosissime opere. Egli ha vissuto un’altra Università con connessioni nazionali e reti internazionali. Ha tenuto rapporti soprattutto con la Germania per la bibliografia “volkskundlike” ed è Maestro culturale d’Abruzzo dirigendo collane abruzzesi, presiedendo premi per la Regione e la sua cultura e raccogliendo, nel tempo, una vastissima sezione di libri di argomento abruzzese nella sua biblioteca. Ha dedicato gli anni anche a collezionare vasi e conche, abruzzesi e no, e di recente a Teramo ha donato gli oltre quindicimila volumi e riviste della sua biblioteca al pubblico, svuotando un intero appartamento. Cerca sempre di unire ragione e sentimento e, per questo, è un antropologo al quale le nuove generazioni dovrebbero guardare con maggiore attenzione.

Giungano dunque felici gli auguri a un ragazzo del Novecento cui mi piacerebbe poter dare del tu perché, se è vero che novantanovenni si nasce, “io modestamente…”, come recita l’augurio di un bel monologo teatrale del Cut di Perugia. 

9788831922401_0_536_0_75L’acqua e il vaso nella vascolarità universale 

Dedicato Ai maestri insigni Paolo Toschi, Giovanni Bronzini, Alberto Cirese, preceduto da una bella Prefazione di Pietro Clemente, con in esergo una splendida frase tratta dal Codice Leicester di Leonardo da Vinci (che, seguendo una procedura analitica piuttosto diffusa all’epoca, fa delle metafore un sistema di relazioni fisiche reali tra “macrocosmo” e “microcosmo”, tra corpo e mondo), si apre questo ultimo libro di Giuseppe Profeta (Ortona, Menabò, 2020). Come ci invita a fare l’autorevole premessa, è utile e bello comparare il saggio con i numerosi lavori precedenti del medesimo autore prodotti negli anni.

L’acqua e il vaso, infatti, porta decisamente a compimento interpretativo lo studio che diede vita a un importante contributo apparso sulla rivista antropologica “Lares” nel 1973 con il titolo La logica del recipiente e l’antropomorfismo vascolare. Uno scritto dove peraltro la metafora corporea, fondante nella lettura antropologica comparata dei vasi, era già perfettamente individuata, tanto da dare luogo a un libro apparso l’anno successivo in Abruzzo.

L’Abruzzo è la terra dalla quale Profeta scrive sempre dosando perfettamente le sue interpretazioni simboliche con la sensibilità per lo studio dei materialismi culturali. Quando eccedeva con la prima opzione era talora anche rispettosamente criticato. Si vedano ad esempio le discussioni nelle varie opere di Profeta fra l’autore e lo storico delle religioni italiano Alfonso M. di Nola. Nel rapporto con di Nola, studioso che a sua volta tanto amava i santi d’Abruzzo e san Domenico di Cocullo in particolare [1], Profeta era intervenuto prima con brevi scritti e poi con ponderosi volumi nei quali, come ricordavo anni fa [2], instaurò un dialogo fermo e fecondo con l’etnografo e storico delle pratiche religiose popolari abruzzesi. Esso si fondava su un profondo rispetto reciproco, ancorché sulla non condivisione delle rispettive posizioni interpretative. Uomini d’altri tempi, si direbbe.

Nondimeno la profondità dell’analisi e l’accortezza del metodo, mosse entrambe da una conoscenza enciclopedica, si percepiscono notevolmente anche adesso, leggendo queste nuove pagine. Sono valori a mio avviso fondamentali per gli antropologi “figli”, per noi, cioè per la generazione nata al volgere degli anni Sessanta del secolo scorso, quella che per prima ha svolto il Dottorato di ricerca in Italia.

Il libro è organizzato in nove parti, che, stante una certa agilità del volume (116 pp.), corrispondono essenzialmente ad altrettanti densi capitoli, secondo il seguente indice: 1. Parte prima: L’acqua entra nel vaso che la accoglie e le dà forma, evitando la dispersione. Parte seconda: Il vaso riceve l’acqua e la salva poi, insieme, creano il sistema idro-vascolare che anima il globo terraqueo. Parte terza: Riflessioni e divagazioni su aspetti particolari della vascolarità. Parte quarta: Vari tipi di vascolarità: biologica, sonora, ecc. Parte quinta: Estetica e iconismo del vaso. Parte sesta: Meccanica ed estetica, ovvero utile e bello. Parte settima: Influsso della vascolarità sulle strutture del globo. Parte ottava: Filosofia vascolare. Parte nona: Riflessioni finali.  Infine, a tali tematiche si aggiunge, dopo la Bibliografia essenziale, in un’Appendice che fa da postfazione, un’utile riflessione sul collezionismo oggettuale culturale, inquadrata nella cornice antropologica proposta da Profeta: i vasi a forma di cuore, di Elisabetta Gulli Grigioni, dal titolo Il vaso cardiologico nell’ambito della logica del recipiente.

Come si vede dagli argomenti affrontati, questo lavoro, pur concentrato in poco più di cento pagine, non salta mai sul terreno della semplificazione. Tutt’altro. Esso denota, piuttosto una consapevole capacità di approfondimento sintetico, motivata dall’esigenza di sottolineare la pertinenza logica della proposta teorico-pratica: la cognizione del ciclo fisico dell’acqua tende a esaltare l’indole materiale di nozioni astratte come, ad esempio, quella dell’animismo, idea antica, ma che, nel ragionamento e nel suggestivo lessico di Profeta, trova una nuova vita concettuale e pratica, connessa alla produzione, alla soggettivazione e all’animazione di utensili ordinari: l’animismo diviene la capacità di agire di oggetti quotidiani.

Con Profeta è ignorato del tutto, volutamente e credo giustamente, il metodo adottato da quanti puntano a sviluppare un’esposizione che si arricchisce di riferimenti anche pertinenti, ma in fin dei conti dispersivi. Piuttosto egli predilige indugiare sulle intime logiche della ricerca stessa. Sui vasi e sull’acqua, sul recipiente e il suo contenuto. E anche sulle loro risonanze filosofiche. Ma la filosofia vascolare proposta non è una scienza umana accademica o manualistica. Piuttosto è la saggezza popolare, l’originario amore per un sapere fondato su «un pensare realistico e accorto» (ivi: 89).

lupariIn effetti troviamo in queste pagine l’ideale conclusione di uno studio di lungo periodo. Per questo esse sono di grande competenza: è una compiuta antropologia comparata dell’acqua e della vascolarità. Se al tempo delle antropo-logiche del recipiente, allora affrontate già in un’ottica comparativa, la lettura era rivolta al contenente e alle sue forme, ora invece si osserva prevalentemente il contenuto: l’acqua. In questo passaggio necessariamente Profeta tempera l’analisi strutturale, lo studio dell’arte e della cultura espressiva, della comunicazione poetica metaforica, con una maggiore sensibilità materialistico-culturale, anche se evidenzia pur sempre in maniera privilegiata il sistema di relazioni che in chiave sociale i tropi stabiliscono nei discorsi e nelle pratiche umane universali. Tutto avviene come se le affermazioni di Profeta trovassero fondamento negli elemetargedanken di un Adolf Bastian, cioè nella piena consapevolezza (quasi presocratica, ma in grado di prefigurare le strutture elementari della mente di un Claude Lévi-Strauss), che l’acqua costituisca un elemento naturale fondativo e indispensabile per la vita umana e per il pianeta intero. Una risonanza, quest’ultima, che rende il libro di Profeta ancora più attuale al tempo in cui si dibatte dell’ambiente in termini di “antropocene o no?”.

È interessante notare come l’arte si offra bene alla comprensione antropologica su questi argomenti. Come, ad esempio, quando si riflette sulle figurazioni cubiste di Picasso e della sua creatività pittorica per scoprire che lì si cela l’intuito di quella che è più di un’analogia tra vaso e corporeità, umana e animale. D’altronde, questa potenza simbolica dell’acqua, che nel nesso con il corpo umano riesce a metaforizzare anche l’amore, era già tutta compresa in un canto armeno tradotto nell’anno 1961 da un giovane Alfonso M. di Nola: «Vorrei liquefarmi, / in acqua mutarmi, / confondermi ai fiumi dall’onda abbondante, / risalire alla sorgente dei fiumi. / E la mia bella verrebbe a riempire la brocca, / nella brocca fluirei gorgogliando. / Ella sosterrebbe la brocca sulla spalla: / io le sgocciolerei per i seni»[3].

Il libro fa un salto di ulteriore qualità allorché Profeta amplia la sua analisi ed emerge che il contenuto liquido, l’acqua, allo studio delle relazioni con il suo contenente, il vaso, su un piano globale spinge l’autore a osservare la fabbricazione sul pianeta terraqueo del sistema idro-vascolare. Questo si rivela in grado di agire sulla vita umana e sul mondo naturale indipendentemente dalle variabili storiche e culturali. Profeta studia, cioè, con efficacia comparativa, la circolazione delle acque, l’affinità simbolica che si va a instaurare tra vaso, corpo e mondo in un intreccio non solo metaforico, ma anche fisico. Egli estende così le sue ricerche alla vascolarità meccanica, aspetto appena accennato in quei lavori precedenti, che avevano privilegiato la forma estetica dei vasi e sottovalutato le tecniche della loro produzione. Vi è ora una maggiore attenzione, quasi marxiana, alla produzione materiale dei vasi.

A mio modesto avviso questa ampia ricerca comparata sui contenuti liquidi dei recipienti vascolari nel mondo, o sui sistemi che garantiscono la circolazione della preziosissima acqua, avrebbe potuto estendersi anche alla dimensione intimamente politica di questo elemento, fino a toccare eventi importanti come i referendum popolari italiani sul paradosso della privatizzazione dell’acqua, che ne decretarono la natura di bene comune indispensabile. Sarà un caso, ma intercettati dalla vena creativa di una trasmissione televisiva politicamente impegnata come Propaganda live, condotta su La 7 da Diego Bianchi, il valore comune di indispensabilità dell’acqua e la funzione “politica” dei vasi che la contengono, è emersa in tutta la sua ironica profondità nell’intervista al “Vaso degli Esteri” che con la voce inconfondibile del noto ex presidente del Consiglio dei Ministri d’Italia, Enrico Letta, ha sostenuto l’importanza mondiale di una simile risorsa.

Secondo Profeta: «L’acqua liquida penetra e inonda il vaso solido, che la riceve e contiene, mentre insieme creano il grande sistema idro-vascolare che, favorito dalla gravità universale, dall’eterno ritorno dei liquidi, dal ritmo dinamico polifunzionale “Empire gli spazi vuoti e vuotare gli spazi pieni”, anima la vita del globo terraqueo parallelamente e in comunione con l’eterno ritorno degli astri e delle stagioni» (ivi: 19).

Qui categorie avversate talora dai marxismi nostrani – come quella dell’eterno ritorno – vanno a braccetto con l’esigenza, più volte indicata, di passare da uno studio privilegiato della sovra-struttura estetico-iconica a un’analisi della struttura meccanica, ed economica, aggiungo. Un monito da parte di un grande maestro a coniugare passione e ragione, che forse le antropologie contemporanee internazionali farebbero bene ad ascoltare maggiormente.

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] Alfonso M. di Nola, Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Torino, Boringhieri, 1976.
[2] Si veda la recensione al libro di Profeta Il serpente sull’altare. Il patronato antifebbrile di San Domenico di Cocullo e la sua metamorfosi antimorso. Ecologia e demopsicologia di un culto, L’Aquila, Japadre Editore, 1998, intitolata Cocullo rivisitata: sul dialogo fra Giuseppe Profeta e Alfonso Maria di Nola, apparsa su “AM”, 7-8 / ottobre 1999: 390-392 [ora in internet: http://www.amantropologiamedica.unipg.it/index.php/am/article/view/88/].
[3] Alfonso M.  di Nola, Canti erotici dei primitivi, Parma, Guanda, 196: 74.

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Giovanni Pizza, professore ordinario di Antropologia culturale, Antropologia medica e direttore della Scuola di specializzazione in beni demoetnoantropologici nell’Università di Perugia. È membro del consiglio direttivo della Società italiana di Antropologia medica. Ha insegnato in diverse Università italiane ed europee ed è stato visiting professor presso la University of Southern Denmark (Danimarca) e la University of Pècs (Ungheria). È autore di diverse pubblicazioni tra le quali Antropologia medica. Saperi, pratiche e politiche del corpo (2005), Embodiment and the State. Health, Biopolitics and the Intimate Life of State Powers (con H. Johannessen, 2009), Presenze internazionali. Prospettive etnografiche sulla dimensione fisico-politica delle migrazioni in Italia (con A. F. Ravenda, 2012), La vergine e il ragno. Etnografia della possessione europea (2012), Il tarantismo oggi. Antropologia, politica, cultura (2015), L’antropologia di Gramsci (2020), Antropologia culturale e sociale. Concetti, storia e prospettive (con B. Palumbo, 2023).

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