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Burocrazia globale e migranti. Appunti per una rilettura di Gramsci e Marcuse

29335c61-981c-466e-865f-7c085edb8de4di Anna Maria Francioni 

La globalizzazione e il neoliberismo rappresentano due concetti interconnessi che hanno plasmato profondamente il panorama economico, politico e sociale nel corso degli ultimi decenni. Questi fenomeni sono stati accompagnati da un crescente rapporto di interdipendenza tra le economie mondiali, ma anche da una diffusa presenza amministrativa a livello globale. Esiste una relazione tra globalizzazione, neoliberismo e influenza degli apparati burocratici, che parte da una definizione di globalizzazione intesa come processo di ramificazione e connessione tra le nazioni attraverso scambi commerciali, flussi finanziari, comunicazioni e movimenti di persone.

Il neoliberismo, d’altra parte, è un’ideologia economica che promuove la liberalizzazione dei mercati, la riduzione dell’intervento dello Stato nell’economia e la corsa alla competizione. Queste forze articolate tra loro hanno portato anche a un aumento delle organizzazioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale (FMI), la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC). Tali istituzioni, pur svolgendo ruoli cruciali nella promozione della stabilità finanziaria e dello sviluppo economico, sono spesso caratterizzate da una complessa struttura burocratica, che non sempre si modella su organismi equi accessibili a tutti i Paesi allo stesso modo. Applicando questo approccio all’ambito globale, si potrebbe argomentare che la burocrazia a livello mondiale può portare a una perdita di sovranità e autonomia per le nazioni meno sviluppate, trasformandole in attori passivi nelle dinamiche globali.

Nel modello economico contemporaneo, il neoliberismo quale modello principale di governo e sviluppo, influenza il commercio e la produzione globale, individuando nella gestione mercantile un regime vincente di organizzazione sociale che segue la proposta di un capitalismo riformato. Si caratterizza, così, per l’utilizzo dello Stato come strumento per imporre l’ordine sociale, con i concetti di debito, aggiustamento strutturale e globalizzazione, analizzati nell’ottica di una nuova fase di espansione globale dei profitti.

Dal punto di vista economico, la globalizzazione neoliberista rappresenta l’attuale manifestazione del processo storico di espansione del capitalismo e dell’impatto delle sue leggi economiche, quali la centralizzazione, che si esprime in acquisti, fusioni e acquisizioni di strutture e poteri economici, e la concentrazione del capitale, che si attua con l’incremento delle vendite e l’espulsione dei concorrenti su scala globale. Oltre alla concentrazione del capitale, dall’analisi di tale modello emergono anche altre dimensioni del mercato capitalistico. Da un lato, la circolazione del capitale commerciale, inteso anche come capitale finanziario, si è ampliata al di là dello spazio nazionale di accumulazione, principalmente a causa del volume dei fondi mobilitati dai grandi attori finanziari, quali banche, fondi pensione e compagnie assicurative, andando a formare una massa di capitali che attraversa il mondo alla ricerca di rendimenti finanziari più elevati. Questo ha esercitato pressioni per l’aumento dei tassi di interesse nazionali e del rendimento del capitale produttivo, portando a un aumento del peso dei profitti e a una diminuzione dei benefici disponibili per stimolare il ciclo di accumulazione. Di conseguenza, sono stati ridotti i tassi di crescita tendenziali delle economie nazionali.

9788829004157Inoltre, la creazione di nuove condizioni per la valorizzazione del lavoro nei Paesi centrali ha richiesto la svalutazione dei beni di consumo operaio mediante delocalizzazioni e flussi internazionali di manodopera. In risposta a ciò, le migrazioni sono cresciute notevolmente, con un aumento significativo verso i Paesi sviluppati in Europa e Nord America. Si riscontra, altresì, l’aumento della competizione interna che ha portato alla precarizzazione e a un cambiamento strutturale, con le grandi imprese che mirano a creare un mercato mondiale di consumo di massa e della forza lavoro su scala internazionale. La competizione globale generatasi ha anche dato vita a nuove forme di povertà legate all’esclusione dalla nuova divisione internazionale del lavoro. La mondializzazione neoliberista favorisce, infatti, la crescita delle disuguaglianze, accentuando il divario tra i proprietari del capitale, nonché gestori del sistema da un lato, e la maggioranza della popolazione dall’altro.

Tale processo di internazionalizzazione delle forze produttive accentua la polarizzazione tra ricchi e poveri, aggravando lo sviluppo diseguale. Un elemento chiave di questo processo è lo scambio diseguale, secondo il quale, in condizioni simili di produttività, le differenze salariali tra i Paesi centrali e quelli periferici determinano un trasferimento netto di valore dalla periferia al centro nel commercio internazionale. In altre parole, il salario risulta maggiore della produttività. Questo fenomeno contribuisce significativamente all’accentuazione delle disparità e al perpetuarsi di un modello di sviluppo diseguale nel contesto della competizione economica globale[1].

Dopo aver preso in esame tali dimensioni, è fondamentale trattare anche la tematica degli aiuti allo sviluppo, intesi come soluzione al problema della disuguaglianza globale. Infatti, anche i finanziamenti erogati dai governi occidentali per sostenere la crescita dei Paesi del Terzo mondo, attualmente stimati a 128 miliardi di dollari annui, sono un dato da prendere sicuramente in considerazione per un’analisi puntuale. Tuttavia, questo dato può risultare fuorviante, poiché tale somma non compensa minimamente quella che ogni anno defluisce dalle economie del Terzo Mondo verso quelle occidentali. Questi flussi comprendono fughe di capitali, interessi sul debito, profitti derivanti dagli investimenti delle multinazionali occidentali all’estero, sfruttamento della manodopera, riduzione forzata dei costi del lavoro e delle merci, esenzioni fiscali, falsificazioni di transazioni commerciali e impatti dei cambiamenti climatici, in gran parte causati dal comportamento tenuto dai Paesi industrializzati negli ultimi decenni. Il meccanismo dello scambio diseguale, che si traduce in un’enorme discrepanza tra il valore reale del lavoro e delle merci vendute dai Paesi in via di sviluppo e il prezzo a cui vengono scambiate, contribuisce ulteriormente a tale disuguaglianza.

Affrontando tale analisi dal punto di vista storico, a partire dagli anni ’80, il Fondo monetario internazionale e la Banca Mondiale hanno imposto politiche economiche liberiste ai Paesi del Terzo Mondo, che si sono rivelate dannose per gli interessati e necessarie solamente per renderli dipendenti dalle principali potenze economiche mondiali.

9788842824961_0_0_536_0_75Per affrontare radicalmente la povertà e colmare il divario, sarebbe invece essenziale attaccare le fondamenta dell’attuale architettura gerarchica del sistema economico mondiale, partendo dalla cancellazione del debito dei Paesi in via di sviluppo, che li libererebbe dall’egemonia economica esercitata dall’Occidente. Questo porterebbe, di conseguenza, a un maggiore controllo sovrano sulle economie nazionali da parte di ogni Paese e, contemporaneamente, la possibilità di investire in settori cruciali come la sanità, l’istruzione e la lotta alla povertà. A tal proposito, la democratizzazione di istituzioni chiave come il Fondo monetario internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione mondiale del commercio è essenziale per garantire una rappresentanza più equa dei Paesi del sud nelle decisioni economiche globali. Ridistribuire il potere di voto, abolire il veto degli Stati Uniti e introdurre elezioni democratiche per i presidenti di queste istituzioni sono passi fondamentali verso un sistema più equo. Affinché anche il commercio internazionale diventi più equo, l’OMC dovrebbe, infine, promuovere scambi condotti con una intenzionale parzialità a favore dei Paesi poveri e garantire la trasparenza nei negoziati commerciali, vietando i vincoli di segretezza negli accordi di libero scambio, per consentire una maggiore partecipazione democratica [2] .

Come ultimo elemento di analisi, si vuole riprendere, infine, la riflessione operata da Antonio Gramsci sulla burocrazia e riportata nel Quaderno 13 dei Quaderni dal carcere, alla sezione 36. Gramsci, infatti, in tale sezione esplora il ruolo cruciale dei funzionari “di carriera” nella storia delle forme politiche ed economiche, interrogandosi se la loro presenza sia necessaria o una degenerazione rispetto all’autogoverno. L’autore riflette sulla formazione di tali funzionari e la loro importanza nella scienza politica e nello sviluppo statuale. La discussione si amplia, poi, per esaminare la connessione tra la burocrazia e i concetti di centralismo organico e centralismo democratico. Si analizzano i reali rapporti economici e politici, delineando le diverse manifestazioni di centralismo in vari contesti: dalla vita statale alle relazioni interstatali e alle associazioni politiche ed economiche.

Gramsci porta alcuni esempi, partendo dall’analisi del predominio tedesco nella cultura e nella politica internazionale, che era in essere prima del 1914, e sottolinea la mancanza di un nesso organico e disciplinare in tale supremazia. Si esplora la distinzione tra teorie di centralismo organico che mirano al predominio di una parte sul tutto e quelle che rappresentano posizioni unilaterali di settari e fanatici. L’autore introduce il concetto di centralismo burocratico, evidenziando come la sua prevalenza nello Stato indichi un gruppo dirigente saturato che cerca di regolare o soffocare forze contrastanti. Riflette, poi, sulle manifestazioni morbose di questo centralismo, attribuendole a deficienze di iniziativa e responsabilità nel basso. Infine, Gramsci riflette sull’importanza del centralismo democratico come formula elastica, connettendo teoria e pratica, intellettuali e masse popolari. Si critica la concezione burocratica di unità e federazione, intesi come concetti stagnanti, promuovendo invece l’azione politica concreta per il progresso storico.

Il quadro concettuale che emerge dalle riflessioni di Gramsci può essere collegato anche alla situazione attuale dei migranti. Infatti, esaminare la burocrazia e i modelli di centralismo organico e democratico aiuta a comprendere le dinamiche di potere e controllo in ambito statale, che possono influenzare le politiche nei confronti dei richiedenti asilo e permette di analizzare la possibilità che vi siano alcuni Stati che possono affrontare le questioni legate all’immigrazione con una prospettiva assolutamente conservatrice, cercando di regolare o limitare le forze contrarie. Allo stesso modo, considerando l’importanza del centralismo democratico come formula elastica, si potrebbe sottolineare la necessità di un approccio che connetta teoria e pratica, coinvolgendo le persone nella loro interezza e ascoltando le necessità dei diretti interessati, evidenziando, così, l’importanza di una prospettiva inclusiva e collaborativa.

Quindi, un approccio centralista organico potrebbe evidenziare una regolamentazione più rigida e centralizzata, mentre un approccio democratico potrebbe promuovere una partecipazione più inclusiva e adattabile alle dinamiche reali dell’immigrazione.

s-l1600-1Se trasposta nella realtà contemporanea, la critica al centralismo burocratico proposta da Gramsci potrebbe, così, trovare riscontro nella tendenza di alcuni governi a gestire la questione migratoria con un’approvazione di leggi restrittive o procedure che complicano l’accesso dei migranti ai diritti e alle opportunità. Infine, la critica alla concezione burocratica di unità e federazione potrebbe suggerire la necessità di superare approcci rigidi e superficiali alle questioni migratorie, promuovendo invece una visione più organica e attiva che tenga conto della complessità della realtà odierna, derivata da un mondo fortemente interconnesso. Il contesto burocratico delineato dall’autore mette in luce anche la figura dei funzionari “di carriera” nel contesto delle politiche statali, che potrebbe essere riflessa nella gestione burocratica delle questioni migratorie, dove le procedure possono risultare complesse e ostacolare l’accesso a diritti fondamentali [3].

Anche Herbert Marcuse, filosofo della Scuola di Francoforte, ha sviluppato una profonda analisi critica della burocrazia nel contesto delle società avanzate. Secondo Marcuse, la burocrazia non è solo un apparato neutrale di gestione amministrativa, ma uno strumento di dominio che contribuisce a mantenere l’ordine esistente, legittimando le disuguaglianze e disumanizzando gli individui. Questo concetto emerge chiaramente nella sua opera L’uomo a una dimensione, dove descrive la società industriale avanzata come una società amministrata, definita da un sistema all’interno del quale le strutture burocratiche diventano un mezzo per controllare e conformare le persone alle logiche del profitto e della produttività, riducendo il loro spazio di autonomia e critica.

Agganciandoci a tale riflessione, è interessante analizzare anche come, secondo Marcuse, la burocrazia moderna si leghi strettamente al processo di razionalizzazione, in cui l’efficienza e il controllo diventano obiettivi primari. Tuttavia, questa razionalità burocratica è spesso irrazionale dal punto di vista umano, poiché ignora i bisogni autentici delle persone, sostituendoli con necessità artificiali create dal sistema economico dominante. Questo aspetto può essere collegato direttamente alle dinamiche attuali della globalizzazione neoliberista, dove gli apparati burocratici internazionali e statali sono spesso orientati a servire gli interessi del capitale globale piuttosto che le esigenze delle persone [4].

71a5otafn9l-_ac_uf10001000_ql80_La critica di Marcuse qui riportata assume una particolare rilevanza se applicata alla situazione dei migranti oggi. Le politiche migratorie di molti Paesi si basano, infatti, su un approccio burocratico che spesso ostacola l’integrazione e limita i diritti dei soggetti migranti. Ad esempio, i complessi procedimenti amministrativi per ottenere asilo o permessi di soggiorno rappresentano una manifestazione concreta di come la burocrazia possa disumanizzare gli individui, trattandoli come numeri piuttosto che come persone con bisogni e diritti. L’approccio burocratico alle migrazioni, criticato implicitamente da Marcuse, si esplicita, così, nella creazione di sistemi di “accoglienza” che risultano inefficienti e alienanti, centri di detenzione o modelli definiti da lunghi estenuanti processi per ottenere lo status di rifugiato. La burocrazia diviene strumento di esclusione e controllo, piuttosto che un mezzo per garantire giustizia e dignità, trasformando le vite dei migranti in numeri e statistiche,  esasperando il processo di deumanizzazione a loro carico, troppo spesso già in atto a livello propagandistico e mediatico.

Marcuse sottolineava che la liberazione dall’oppressione burocratica postula non solo la critica del sistema esistente, ma anche la costruzione di nuove forme di organizzazione sociale basate sulla solidarietà e sulla soddisfazione dei bisogni reali. Applicando questa idea alla situazione odierna, emerge l’importanza di politiche migratorie che vadano oltre la logica del controllo amministrativo e promuovano invece l’inclusione, il rispetto dei diritti umani e la partecipazione attiva dei migranti nelle società di accoglienza.

La riflessione combinata di Gramsci e Marcuse offre strumenti utili per comprendere e affrontare le sfide poste dalla globalizzazione, dal neoliberismo e dalle migrazioni. Se Gramsci invita a superare le rigidità del centralismo burocratico attraverso un approccio democratico e inclusivo, Marcuse avverte dei pericoli di una razionalità amministrativa che può soffocare l’umanità e il cambiamento. In un mondo in cui le disuguaglianze economiche e sociali sono sempre più evidenti, queste prospettive possono ispirare nuove strategie per costruire una società più giusta e solidale, che ponga al centro le persone, e non le strutture di potere. 

Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2024 
Note
[1] Mollona, M., Papa, C., Redini, V., Siniscalchi, V., (2021), Antropologia delle imprese, Lavoro, reti, merci, Roma, Carrocci. 
2] Hickel, J., (2018), The divide. Guida per risolvere la disuguaglianza globale, Milano, Il Saggiatore.
[3] Gramsci, A., (1975), Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi.
[4] H. Marcuse, (1067), L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, trad. it. L. Gallino e T. G. Gallino, Torino, Einaudi.

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Anna Maria Francioni, laureata in antropologia culturale ed etnologia all’Università di Bologna con votazione 110/110L, il suo principale tema di ricerca è la burocrazia rivolta ai migranti. Si occupa di progetti all’interno di CAS e cooperative di accoglienza. Ha pubblicato un libro a novembre 2023 con la casa editrice Dialoghi dal titolo: Le parole degli altri per un approccio etnopragmatico alla relatività linguistica.

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