«Nietzsche ha aperto positivamente la via» 1. Così incede Cacciari nel dispiegare la sua interpretazione dell’opera Der Mann ohne Eigenschaften (L’uomo senza qualità) di Musil. Paradiso e naufragio è un saggio speleologico del romanzo. Prima di rispondere alla domanda chi è l’uomo senza qualità? bisogna comprendere chi è il Nietzsche a cui Cacciari lega indissolubilmente l’ermeneutica dell’opera musiliana: il Nietzsche logico-philosophicus del saggio Krisis (1976) 2, ovvero il filosofo che ha rilevato che l’ordine della indeterminata dimensione oltrepassante i confini del dicibile – quando «tacciono i pensieri» – non può rientrare nel dominio delle Leggi a priori; lo stesso Nietzsche che «insiste sulla positiva artificialità del nesso causale, sul carattere convenzionale-costruttivo delle leggi scientifiche».
La chiave di lettura principale dell’opera di Musil – scrittore il cui stile incarna la straordinaria problematicità del suo tempo 3 –, che Cacciari riprende dal proprio bagaglio speculativo, affonda le proprie radici nel dispiegamento della cosiddetta crisi del Negatives Denken, evento ri-fondativo, e non distruttivo, del pensiero occidentale che il filosofo pone all’insegna di Nietzsche seguito da Wittgenstein e Heidegger: la fine della razionalità classica e dialettica sancisce una nuova epoca di pensiero dello spirito europeo. Musil colloca in particolar modo matematica e fisica su questa strada. Pertanto, è possibile definire il saggio di Cacciari una interpretazione nietzscheana del romanzo in questione, laddove emerge l’evidenza di un’impossibilità della scienza, tratto determinante, che risiede nella sua stessa impotenza ad «andare oltre il rendere “semplicemente insopportabili le vecchie espressioni metafisiche e morali del genere umano”».
Urge, dunque, un pensiero che sia capace di rinnovare della morale, della letteratura e della filosofia, in forza della necessità del tempo, quanto la scienza stessa ha riconosciuto e considerato. L’autore formula la domanda che la lettura dell’opera di Musil impone: come può avvenire ciò? E a quali nuove aporie darà vita questo nuovo indirizzo dello spirito?
Cacciari vede nell’opera musiliana il dramma dello spirito del tempo, di quel tempo, l’era in cui la crisi dei fondamenti giunse, attraverso il teorema di Gödel, al proprio trionfale epilogo epistemologico. Ma l’epilogo, qui, è anche un nuovo inizio. In questo dramma epocale Der Mann ohne Eigenschaften assurge alla funzione di ponte, «e un ponte esiste per congiungere rive opposte, lungo il quale è necessario procedere, pur sapendo, nel procedere stesso, che esso è già crollato (e cioè che la sua originaria intenzione, volta a definire appunto la possibilità del congiungimento delle rive opposte, si è già dimostrata inattuabile)». Le difficoltà ultime dell’esplorazione ermeneutica dell’opera conducono alla comprensione del perché il romanzo si concluda con un naufragio inteso come ricerca del ponte crollato, ovvero del non-detto che ne edifica, stabilizza e, allo stesso tempo, scuote la struttura.
Il romanzo di Musil, secondo l’interpretazione del filosofo, è un tentativo di afferrare concettualmente (Begreifen) l’esistenza – per adoperare i concetti dell’ermeneutica gadameriana – collocata e immersa nella sua storicità, dove l’esperienza vitale (Lebenserfahrung) è, nel medesimo tempo, esperienza fondamentale (Grunderfahrung) cosicché le tensioni storiche, in cui non solo si sviluppa la narrazione ma che sono esse stesse narrazione, siano esperienza del mondo (Welterfahrung) da cui scaturisce la pretesa di verità (Wahrheitsanspruch) che rende l’esserci affamato di sapere, assetato di salvezza. Qui la verità mantiene un rapporto problematico con la pretesa di scientificità (Wirkungsgeschichtliches Bewußtsein). Non è anche quest’ultima, in quanto proviene dall’uomo e rivolta all’uomo, un tentativo di salvezza? Non ha essa come principio primo e fine ultimo la volontà di trovare/creare una via d’uscita?
Un mistico tutto filosofico e l’uomo matematico
Cacciari riprende e affronta il tema del mistico (molto caro alla sua teoresi) dove emerge, dispiegando tutta la sua forza semantica, la dimensione simbolica musiliana: il simbolo non rientrando nei confini del dicibile e del narrabile non dimora entro la misura della narrazione, la oltrepassa. Allora, cos’è narrazione? Essa «non si riduce perciò alla mera esposizione della misera esperienza dell’intelletto calcolante-riflettente, da un lato, e del vuoto anelito al suo superamento dall’altro. È l’intelletto nel suo stesso procedere a dover porre il problema della vis imaginativa».
Il mistico appartiene alla filosofia, alla sua Begriffgeschichte, alla νόησις. Pertanto, in Musil è possibile parlare di un mistico tutto filosofico la cui problematicità permea, e dà forma, alle pagine più critiche del romanzo, luogo in cui dimora l’antistare πολεμικός dei due mondi del sentimento generanti la tensione che costituisce il centro dell’opera musiliana. In quali termini è posta la Vergleichung, il confronto, tra questi due modi di vedere le cose e di farne esperienza? Se da una parte l’intelletto riduce le cose a fenomeni misurabili, classificabili e soggetti al controllo, all’esercizio della potentia, dall’altra vi è quell’universo del pensiero che si manifesta e irrompe laddove i pensieri esperiscono l’esaustione della parola, facendo «emergere una vita oscura della cosa, non misurabile razionalmente, non esprimibile a parole – e che tuttavia è vita.
I fratelli Ulrich e Agathe battono la fronte su questo πρόβλημα, naufragano nel tentativo di compenetrarlo; Ulrich sviluppa ciò che lo studente Törleß aveva intuito circa l’impossibilita di questa Vergleichung, elaborando una forma di pensiero in forza di un fondamento critico capace di comprendere altrimenti questo mondo. Quale mondo? Il mondo il cui punto di gravità, costituito dal groviglio, dalla concatenazione, di cose e di eventi, è comprensibile solo dalla scienza statistica che, attraverso la ragione matematizzante, è capace di calcolarne i casi, spiegarne i nessi profondi: la responsabilità della persona qui non ha più alcun valore.
La lettura cacciariana di Musil pone la domanda cogente: in forza di questo paradigma epocale, chi è l’uomo? Der mathematische Mensch, laddove matematica non è una spiegazione del mondo, ma il tentativo di esprimere con precisione la crisi dei fondamentali princìpi classici di spiegazione del mondo. La matematica di Ulrich, per conseguenza, «sembra in grado di “immaginare” con esattezza e coerenza proprio la “sconnessione”, i salti nell’ordito delle cose; è essa a esigere la costruzione dell’immaginario, e cioè che l’irrazionale venga rigorosamente pensato».
Paradossalmente, è grazie alla matematica – non concepita, certamente, come matematizzazione o razionalizzazione del mondo, del sentire, delle relazioni – che emerge l’impossibilità di ridurre gli aspetti caratterizzanti dell’esistenza a pure logiche formali. Essa, all’opposto, decostruisce il “paradiso” della ragione il cui rigore adesso è volto e concentrato a esprimere l’insuperabile, ovvero l’intrinseca dimensione acausale dei fatti. Lungi, dunque, dal rendere il mondo esclusivamente calcolante, logico. Sembrano arrivare sin qui le parole di Whitehead 4 secondo cui le certezze della scienza risultano essere sempre poste entro confini che le separano da ciò che ancora è inesplorato, irrisolto. Non comprendere questo aspetto vuol dire errare in un riduzionismo prospettico non considerante che una dottrina scientifica crolla, nell’immediato, una volta raggiunto un nuovo metodo di esperienza osservazionale.
Il carattere passionale dell’emozione, la sua dimensione privata, immediata, rimarrà sempre al di là dei λόγοι: incomunicabile è il suo sentire, tremendo è il suo non-dicibile. Ecco che torna Nietzsche. Difatti, «con che diritto possiamo definire “legge” la descrizione logica di dati di fatto (Diari: 206)? Possiamo soltanto affermare che ad alcuni “contenuti di pensiero” è associato un senso dell’evidenza; «da questa situazione però non si può dedurre nulla per il caso in cui tali contenuti di pensiero non vengano posti» (ivi: 207)». Sempre in Krisis, Cacciari afferma che l’analisi critica è sorgente della necessità interpretativa scaturente dalla consapevolezza che verità non è la sostanza delle cose. Proprio qui la situazione diventa complessa: se il dato logico interviene nel mondo come un potere che tenta di ordinare il carattere diveniente degli enti, degli eventi e dei processi, cercando di formulare il non-formulabile, ne consegue che ciò che viene definita verità, in realtà, non è altro che questo processo di falsificazione 5 del diveniente. Nel cuore d’Europa ha luogo una crisi, e il Musil di Cacciari sembra incarnare lo scontro, laddove
«le aporie fondative della ricerca filosofica europea appaiono originariamente e indistricabilmente connesse alla historìa, alla testimonianza, sistematicamente condotta, delle vicende che producono l’esserci storico dell’Europa, nelle sue radici culturali e politiche, ma anche come ‘figura’ geografica, come determinazione dei suoi confini»6.
Der Mann ohne Eigenschaften è colui che risponde alla crisi facendo esperienza del «“tutto accade” nella forma del disincantamento statistico e sa combinare quest’ultima col senso della realtà possibile». Questo è il centro nevralgico della sua conoscenza del mondo, la prospettiva attraverso cui coglie la realtà, le sue contraddizioni, la sua Unvollkommenheit. Ma non è certamente la parola ultima. E dunque è possibile che dal grembo del disincanto si faccia strada un avvenire che divenga viepiù intellegibile esclusivamente attraverso i limiti della statistica; solo quest’ultima può delinearlo, può penetrarlo in modo più profondo del mero ‘realista’ poiché esagitata dalla sensibilità che avverte e rileva, che sente oltremodo, la radicale infondatezza di ogni caso, i suoi mutamenti. Il matematico (sarebbe più opportuno dire questo matematico di cui parla Musil) coglie, più di chiunque, e paradossalmente, la criticità del presente attraverso il suo sobrio disincanto. Nel suo mondo, il mondo formato dalla totalità dei casi, il punto critico è sempre dietro l’angolo, pronto a ergersi.
Cacciari legge Musil anche in chiave wittgensteiniana. Posto che il linguaggio è l’oggetto principale dell’attenzione filosofica di Wittgenstein, è nell’opera principale del filosofo austriaco, il Tractatus logico-philosopicus, che viene enunciata una delle tesi portanti della cosiddetta “prima fase” del suo cammino speculativo: «la proposizione rappresenta il sussistere e non sussistere degli stati di cose» 7, e attraverso i concetti di proposizione e fatto atomico viene spiegato l’isomorfismo referenzialistico del linguaggio simbolico 8. La vicinanza con il protagonista dell’opera di Musil è nella verità qui intesa come processus in infinitum, un continuo tentativo di determinare la cosa, e non una presa di coscienza: verità è «qualcosa che è da creare e che dà nome a un processo» 9. La verità, pertanto, è nella e della proposizione.
Matematica, Weltanschauungen e risentimento
Di tutta la molteplicità semantica dell’essere è rimasto solo l’aristotelico tó symbebekòs: è possibile costruire una scienza dell’accidentale? «L’interesse matematico-logico di Musil muove da questa domanda: essa dà inizio programmaticamente all’Uomo senza qualità. Il mondo è crogiuolo di casi fisici, meteorologici, psichici. Nulla esiste sempre, e tuttavia tutto per-lo-piú sì». Se il relativismo, inteso come impossibilità di giungere a qualsivoglia definizione, nonché apoteosi della negazione di ogni verità, sembra costituire l’unica risposta sensata allo spirito del tempo, il carattere dell’uomo senza qualità è esistentivamente corrispondente a questo stato di cose. Secondo il principio della ragione insufficiente (das Prinzip des unzureichenden Grundes) «egli sa in sé e di sé come variazioni minime possano produrre catastrofi, poiché sperimenta nella sua anima tale principio, che è appunto il fondamento più profondo di ogni parallelismo psico-fisico». Non è questo il medesimo problema di cui è vittima molta filosofia contemporanea (o pseudo tale), diluita nel vaniloquio autotelico, svuotata da una voluta debolezza del pensiero, incapace di un σύστημα (un tutto composto di varie parti, un sistema, consonanza di più toni, accordo, corpo), estranea a ogni μέθοδος, riluttante nei confronti del rigore metodologico?
L’azione che dà forma alla vocazione matematica sui generis dell’Uomo senza qualità consiste nel ripudiare la pretesa che matematica sia il linguaggio della natura: essa, invece, è la finzione necessaria «per porre in qualche ordine le relazioni tra gli enti e tra osservante e osservato. Il mondo delle relazioni e delle funzioni non ha, ontologicamente, alcun fundamentum inconcussum, e tuttavia il formalismo matematico sembra il solo in grado di rappresentarlo con rigore». Matematica, dunque, è un’illusione necessaria alla vita, e non il fondamento e la verità ultima del mondo.
È possibile estendere questo modus cognoscendi, per analogia, anche al mondo del sentimento? Cacciari afferma che da questa domanda sorge l’utopia del saggismo, unica forma letteraria capace di accogliere e sviluppare la volontà di esattezza che determina ogni procedura statistico-matematica. Si pone, pertanto, un aut-aut tra principio di ragione insufficiente e rimodulazione del senso del possibile in forza dell’assurdo desiderio di irrealtà: l’uomo senza qualità, la sua stessa esistenza, testimonia questo Πόλεμος.
Il potere che le visioni del mondo hanno nel dare forma alla realtà, alla storia, è un tema che rientra nell’ermeneutica cacciariana dell’opera di Musil, poiché tensione storica inesausta che guida e sconquassa tutto il Novecento. Secondo questa prospettiva, le vittime delle Weltanschauungen – va precisato che quest’ultime vengono definite dal filosofo prigioni – ne sono anche i primi complici. Al di là di ogni banale esemplificazione dicotomica, si fa strada una comprensione profonda dell’evento che smaschera la dialettica servo-padrone, che si evince quando si analizza superficialmente una visione del mondo, cercando di comprenderne i nessi causali, di penetrare nelle relazioni che la tengono in piedi. Conoscere le visioni del mondo a partire da questa precomprensione vuol dire coglierne il fondamento:
«chi non sa proclamare visioni del mondo non è essenzialmente colui che ha saputo criticarle, ironizzarle, ma colui che dispera ormai di poterle realizzare. Entusiasmo, fanatismo, dilettantismo, chiacchiera si accaniscono, allora, contro il malinconico; vogliono punirlo del suo presunto tradimento. E il malinconico elabora, come sua unica linea di difesa, un’ideologia fatta di risentita solitudine».
Se Ulrich è l’uomo senza qualità, Walter è l’uomo del risentimento, ovvero dell’ombra sempre in fermento in quell’esistenza che del mondo vuole solo le rappresentazioni e non la volontà, l’altro e non il qui e ora. Ecco il prezzo che deve pagare colui che non si riconosce nello spirito del tempo e che, per la propria inattualità, diviene postumo. Cacciari stesso problematizza questo rischio, in quanto inattualità non vuol dire solo fuggire dalla chiacchiera, evadere ogni curiositas, ma pure «senso del possibile, utopia di saggistica esattezza – che dischiuda verso non sappiamo dove». È bandita qui ogni presa di distanza nei confronti del mondo, ogni fuga dalla vita nell’ascesi che ne decreta il tradimento.
Se l’uomo senza qualità è niente perché tutto ciò che manifesta gli risulta estraneo, l’uomo del risentimento concepisce il possibile come superamento della possibilità che si concretizza nel reale: il possibile cessa di essere tale, divenendo saldo possesso. Nell’uomo del risentimento si es-agitano forze che, una volta svuotata la possibilità del proprio dramma, dell’ἀγών che la caratterizza, pretendono il possesso di ciò che desiderano. Questa pretesa, quando non è accompagnata o guidata da altre considerazioni di natura ontologico-esistenziale, oltre a costituire la più pericolosa forma di alienazione dalla realtà, dà voce allo stesso risentimento per cui l’unica soluzione sembrerebbe essere, fatta esperienza dell’impossibilità in cui naufraga la cieca velleità di possesso, il ritiro dalla vita in forza di un ideale ascetico preso in prestito da una spiritualità che con quella forma di risentimento, in realtà, non ha niente a che vedere. L’uomo del risentimento rifiuta di riconoscere il dominio supremo di Necessità, e dunque anche la necessità del proprio fallimento, la precarietà di ogni cosa. Egli è Rex et Sacerdos del proprio annientamento, le sue azioni e pensieri sono Cupio dissolvi. Beato può essere solo colui che s’inchina di fronte all’inevitabile: omnis negatio insĭdĭae est.
Chiarezza senz’ombra e desostanzalizzazione del mondo
Pure per l’uomo senza qualità è possibile un’originaria e incontrovertibile unità del sentire (Einheit des Empfindens), come si legge nell’ultimo capitolo dell’opera di Musil, trovato in bozze, dove si fa riferimento a una übermässige Klarheit, chiarezza senz’ombra, concetto che rimanda alla dimensione gnostica del romanzo: una luce incommensurabile. Tutto si fa luce. Una Klarheit che, in termini wittgensteiniani, non rientra nei limiti del linguaggio, del dicibile, e dal cui incombere riemerge il Mistico di cui si è già detto: «Forse mai, neppure nelle pagine più tarde, allorché cercava ormai disperandone di “concludere” il romanzo, Musil è venuto così ai ferri corti col problema del Mistico – e dunque con la costitutiva aporia che lo marca». L’incommensurabilità della chiarezza è nella propria determinazione mistica indicibile, sconosciuta al linguaggio nonché estranea alle sue possibilità.
Klarheit è anelito colmo di memoria e miseria appartenente al flusso del tempo, secondo il comando di Chrono. È dalla consapevolezza che l’uomo ha della sua essenza come temporalità nel mondo che si può realizzare la gioia d’esserci, una gioia che non zittisce i tumulti interiori che l’uomo prova d’innanzi alla propria finitudine. L’uomo è finitezza: solo in questa consapevolezza riposa l’ebbrezza che non distorce ma sacralizza l’angoscia per la morte dell’essente come sua dimensione autentica, che però non ha l’ultima parola. Dall’oscurità verso cui tende lo scolorimento dell’essente può irrompere la scintilla della gioia, della chiarità, che nasce dai luoghi più oscuri in cui l’esserci dimora. Lo scolorimento del tramonto che conduce all’oscurità è la morte. Ma la presa di coscienza della vita come vita che tramonta vuol dire che il tramonto, il crepuscolo, coincide con lo scolorimento che accompagna l’essente. La morte non è solo il decesso finale, ma assieme alla vita è fondamento dell’esistente. L’oscurità e la luce sono, assieme, l’accadere che si manifesta nell’esserci; evento che la metafisica stessa pone a suo fondamento: «La relazione tra la presenza e l’assenza è uno dei nuclei stessi della metafisica, la quale è un discorso sul visibile a partire dall’invisibile, Anche per questo, in relazione alla mente umana, la verità assume la struttura di una luce che affranca dall’errore»10.
Un riferimento gnostico, questo, che vede nella luce la dimensione del sacro che lo spirito del tempo, anche del nostro tempo, tende ad annichilire e a svuotare. Quella che il filosofo Byung-Chul Han definisce scomparsa dei riti (Vom Verschwindender Rituale) 11 è, in realtà, una desostanzializzazione della dimensione antropologico-rituale-cultuale. I riti non scompaiono, vengono sottoposti, semmai, a un progressivo indebolimento simbolico-semantico che ne fa permanere le forme, ma depauperate nella loro potenza performativa. La Klarheit che Cacciari rileva nell’opera di Musil è la manifestazione di quel sacro che «non è altrove, non è l’Altrove. Il sacro è nel mondo, è a esso immanente, è qui, ora, sempre, l’unità di materia, animalità, mondo» 12.
Allora non rimane che aggrapparsi all’affermazione di Rilke: tutto è metafora, fondamento non solo dell’opera di Musil, ma pure dell’interpretazione che Cacciari dà a quest’ultima:
«la metafora, “presa sul serio”, conduce oltre sé stessa: il Metaforico non è più scomponibile nei termini originari. L’itinerario ha messo capo ad uno stato nuovo del linguaggio. Grande è l’energia creatrice della metafora, e tuttavia nella sua predilezione da parte dell’uomo vi è qualcosa di tragicomico (‘eine gewisse Tragikomik’): essa dà sempre l’impressione che egli “non riesca a starsene tranquillo nel posto in cui si trova”. La metafora rimane essenzialmente segno di inquietudine irrisolta. Nella metafora le cose ondeggiano le une verso le altre, senza potersi definire, e la loro unità non è che il segno dell’assenza di un’autentica reciprocità. Metaforico in questo senso è anche, nel suo nocciolo, il linguaggio del saggismo».
La catastrofe culturale del XX secolo, problema storico del romanzo, viene affrontata da Musil secondo le sue fondamentali categorie, e dunque in modo figurativo. Va da sé che la sua opera non è un saggio di filosofia, ma le figure del romanzo mostrano un radicale cambiamento di stato di cose, il fallimento delle precedenti epistemologie.
L’evento decisivo per comprendere questo mutamento epocale di paradigma culturale è e rimane Nietzsche secondo la lettura logico-filosofica che Cacciari adopera per leggere l’opera musiliana. La traduzione italiana di Eigenschaften con qualità non esprime appieno il significato che Musil pone come caratteristica prima del protagonista Ulrich, matematico di professione. L’uomo senza qualità è, più correttamente, l’uomo senza proprietà (da Eigenschaft), è l’uomo che non possiede più, che non comprende più sinteticamente la cosa, poiché la cosa in sé non esiste. Un matematico la cui esistenza testimonia il processo di ‘desostanzializzazione’ del mondo, la crisi delle epistemologie che ha caratterizzato il Novecento. Eppure, dalla crisi non scaturisce una fuga estetica dalla vita, un abbandono del tentativo di comprendere-nonostante; essa dà vita a una scienza, a un nuovo metodo per comprendere, ancora una volta, il mondo e i suoi inestricabili elementi costituenti e costitutivi.
Schopenhauer afferma in Die Welt als Wille und Vorstellung (1819) che il tragico consiste nello «spontaneo togliersi di ciò che costituisce il fondamento del mondo». La prospettiva del filosofo pone in correlazione il contrasto della volontà che manifestano gli elementi costituenti del mondo: caso ed errore. L’aspetto più originale, che pertiene all’argomento qui sviluppato, è il risvolto teoretico ed esistentivo a cui giunge questa prospettiva. Se, come abbiamo visto fin qui, dell’opera di Musil Cacciari rileva l’evento decisivo, la desostanzalizzazione del mondo, tale evento è inserito in una crisi dei saperi che si è caratterizzata come un toglimento del fondamento da cui emerge, ad ogni modo, la volontà di salvezza. Pertanto, al contrario di quanto afferma Schopenhauer nello sviluppo dell’argomento in questione, se l’autocoscienza del volere giunge al suo ineluttabile destino, quest’ultimo non può essere rassegnazione.
Paradiso e naufragio, infine, diventano sistole e diastole dell’avventura umana; la vicenda dell’uomo matematico annuncia la desostanzalizzazione che ancora oggi permea le strutture sociali, politiche, esistenziali, economiche, individuali e comunitarie in cui Homo sapiens è immerso. Desostanzalizzazione del mondo come processo ininterrotto a cui, al crollare delle interpretazioni determinanti la vita fino quel momento, non segue mai l’annientamento, bensì l’esigenza della vita che vuole ancora e sempre vivere, che non si rassegna alla caducità e precarietà delle strutture gnoseologiche che essa stessa ha edificate, per crearne altre, e altre ancora, fino al giorno in cui l’astro si raggelerà e gli animali intelligenti dovranno morire 13.
Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre 2022
Note
[1] M. Cacciari, Paradiso e naufragio, Einaudi, Torino 2022: 14.
[2] Cfr. Id., Krisis, Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein, Feltrinelli, Milano 1976. Bisogna considerare anche il mutamento di prospettiva, in particolar modo per quanto riguarda Wittgenstein, che ha luogo nel pensiero di Cacciari in Id., Labirinto filosofico, Adelphi, Milano 2014.
[3] Cfr. Id., Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, Adelphi, Milano 1980: 93.
[4] Cfr. A. N. Whitehead, Scienza e filosofia (Science and Philosophy), trad. di S. Federici, Castelvecchi, Roma 2014.
[5] Cfr. M. Cacciari, Krisis, cit.: 63.
[6] Id., Geo-filosofia dell’Europa, Adelphi, Milano 1969: 13.
[7] Cfr. L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus (Logisch-philosophische Abhandlung, 1922), trad. di A.G. Conte, Einaudi, Torino 1989, 4.1: 55.
[8] S. Venezia, La misura della finitezza. Evento e linguaggio in Heidegger e Wittgenstein, Mimesis, Milano-Udine 2013: 36.
[9] M. Cacciari, Krisis, cit.: 63.
[10] A. G. Biuso, La metafisica si dice in molti modi, in «Rassegna storiografica decennale», vol. I, Limina Mentis, Monza 2018: 182.
[11] Cfr. B.-C. Han, La scomparsa dei riti (Vom Verschwindender Rituale, 2019), trad. di S. Aglan-Buttazzi, Nottetempo, Milano 2021.
[12] A. G. Biuso., Tempo e materia. Una metafisica, L. S. Olschki, Firenze 2020: 85.
[13] F. Nietzsche, Su verità e menzogna in senso extramorale (Über Wahrheit und Lüge im außermoralischen Sinn, 1873), trad. di G. Colli, in «Opere», Adelphi, Milano 1973, vol. III /2: 355.
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Stefano Piazzese, ha conseguito la laurea magistrale in Scienze filosofiche con una tesi dal titolo Eschilo: un’ermeneutica del tragico, presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Gli autori sui quali si è formato sono principalmente: Eschilo, Platone, Agostino, Kierkegaard, Nietzsche, Dilthey, Thomas Mann, Wittgenstein, Heidegger, Karl Barth, Gadamer, Paul Ricoeur. I diversi ambiti teoretici che ha esplorato riguardano la teologia del Novecento, l’analitica esistenziale heideggeriana assunta dalla teologia di Bultmann, e dunque il rapporto tra teologia cristiana e filosofia. Ha approfondito anche il confronto tra Wittgenstein e Heidegger in relazione alla questione del linguaggio e si è infine occupato della dimensione filosofica della poesia tragica eschilea, prendendo le mosse dalle lezioni di filologia che Nietzsche tenne a Basilea dal 1875 al 1878.
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