di Franco Pittau [1]
Nadia Deisori ha iniziato un suo articolo, dedicato all’emigrazione italiana in Canada, con la seguente riflessione: «Con uno tra i più alti livelli della qualità della vita registrata, un ecosistema economico innovativo e dinamico e un multiculturalismo da considerare un’eccellenza nel mondo, il Canada è il Paese di accoglienza privilegiato da molti lavoratori specializzati stranieri. Ciononostante, il flusso di italiani è in calo costante» [2]. È naturale chiedersi perché i giovani italiani, in possesso di una laurea e con una buona conoscenza dell’inglese o del francese, preferiscano, con poche eccezioni, svolgere al limite modeste mansioni in Europa anziché scegliere l’esperienza canadese, più impegnativa ma anche più promettente.
Anche in questo saggio ci chiediamo perché una meta come quella canadese, agognata da tanti migranti, non sia più considerata tale dagli italiani che si trasferiscono all’estero. A questo si aggiunge un altro interrogativo sulla collettività italiana in Canada, ormai molto bene integrata e anche numerosa dopo gli intensi flussi del secondo dopoguerra: quale significato essa può avere per l’Italia, essendo ormai più canadese che italiana.
Prenderemo in considerazione i diversi periodi della nostra storia migratoria verso quella sponda dell’Atlantico: dall’Unità d’Italia fino allo scoppio della Seconda guerra mondiale; i cinque anni del conflitto, che furono travagliati per la collettività a seguito della misura dell’internamento; i due decenni di intensi flussi dell’immediato dopoguerra; il drastico calo dei flussi dagli anni ’70 fino all’ultimo Novecento. Prima e dopo il Secondo conflitto furono dure le condizioni iniziali d’inserimento, superate però con un tenace impegno dalla collettività grazie anche al supporto della Chiesa cattolica. Questa parte si chiude con la presentazione dello scenario riscontrabile nel nuovo secolo segnato da una forte crescita della comunità per il suo dinamismo interno.
Dopo un sofferto inizio la collettività degli italo-canadesi, numerosi e ben integrati, riveste un certo peso nello scenario interno. L’inserimento non superficiale nella nuova società, salvaguardando il legame con le tradizioni d’origine, è stato reso possibile dalla scelta canadese del multiculturalismo, attuata nel 1971 e mantenuta senza ripensamenti fino ad oggi, tanto da proporsi come un modello nel mondo. A questo primo approfondimento ne seguirà un altro riguardante quella che gli stessi canadesi hanno definito l’Italian Heritage, dedicandole un mese per celebrarlo. La stessa lingua italiana, pur non così diffusa come nel passato, è stata dichiarata un patrimonio culturale della nazione. Vedremo in quale misura, a distanza di tempo, permane il ricordo di personaggi illustri del passato lontano o a noi più vicino, come anche il fascino delle Little Italies in diverse città canadesi, l’insegnamento della straordinaria affermazione di diversi italo-canadesi nel mondo accademico, artistico, letterario e imprenditoriale. A tutto questo fa da contrappunto, senza cancellarne la consistenza, la criminalità di stampo italiano.
La collettività italo-canadese è portatrice di una “italianità”, che merita di essere interpretata con concretezza, senza cadere nella retorica. Passando dagli aspetti storici e socio-culturali a quelli geopolitici, è opportuno chiedersi se la presenza italiana in Canada (e anche negli altri Paesi, naturalmente), possa essere un supporto per l’Italia del futuro a livello socio-culturale innanzi tutto (ma non esclusivamente), a condizione ovviamente che siano instaurati collegamenti di tipo nuovo con questo enorme giacimento di risorse umane che l’Italia ha all’estero. In questo modo la storia dell’emigrazione italiana si congiunge, con una serie di spunti quanto mai interessanti, alla riflessione sul futuro dell’Italia.
I primi flussi per lavoro dalla fine dell’Ottocento
Alle origini della colonizzazione del Canada troviamo dei nomi italiani: nel secolo XVI il navigatore Sebastiano Caboto con suo figlio Giovanni e Giovanni da Verrazzano, e nel secolo successivo, il missionario Francesco Giuseppe Bersani, figure di prestigio sulle quali ritorneremo. Agli inizi degli anni ’60 del Settecento, ponendo termine a una serie di scontri iniziati da lungo tempo, i francesi, sconfitti da ultimo (1760) nella battaglia di Montreal, dovettero cedere agli inglesi quasi tutti i loro possedimenti canadesi. Durante il loro periodo coloniale in Canada, i francesi non ebbero un forte sostegno dal loro governo, che promosse i consistenti flussi migratori e non mise a disposizione adeguati mezzi finanziari.
Nel 1812 le colonie canadesi furono coinvolte nella guerra anglo-americana. Le diverse Province operarono come se fossero nazioni a sé stanti e solo nel 1867, con la nascita della Confederazione iniziò a formarsi l’identità canadese, che si concluse nel 1931 con l’indipendenza dal Regno Unito sotto forma di una democrazia parlamentare indipendente dalla Gran Bretagna, la cui regina Elisabetta II è capo dello Stato.
I primi flussi d’italiani in Canada si ebbero tra la fine del periodo napoleonico e l’Unità d’Italia, quando lasciarono la Penisola da esuli molti protagonisti dei moti risorgimentali: tra questi esuli fu Giacomo Fornero, per il quale presso la prestigiosa università di Toronto si istituì la prima cattedra di lingue moderne (l’italiano per l’appunto). Verosimilmente si recarono in Canada anche altri fuorusciti, seppure non così numerosi come quelli rifugiatisi negli Stati Uniti. È di supporto a questa ipotesi il viaggio effettuato dal conte milanese, Francesco Arese (1805-1881). Questi, dopo aver partecipato ai moti risorgimentali del 1831, si rifugiò in Svizzera, dove conobbe Luigi Napoleone (che poi in Francia sarebbe diventato l’imperatore Napoleone III). Nel 1837 il conte milanese accompagnò Luigi Napoleone a New York, dove il conte Arese incontrò anche gli esuli lombardi. Poi, con Carlo Confalonieri (1786-1846), intraprese un lungo giro di visite negli Stati Uniti e anche in Canada, e qui si fermò a Toronto, Kingston e Montreal [3].
Gli italiani non erano inclusi tra le categorie dii immigrati graditi dai canadesi e, tuttavia, tra la fine del secolo XVIII e il nuovo secolo, continuarono a spostarsi in Canada gruppi di liguri, lombardi e veneti, regioni nelle quali il livello di sviluppo era ancora insoddisfacente [4]. Il primo censimento canadese che registrò la presenza italiana fu quello del 1871 (1.035 persone). L’impegnativa realizzazione della rete ferroviaria da una costa all’altra accompagnò, fin dagli anni ’80 dell’Ottocento, lo sviluppo del Paese e richiese l’impiego di migliaia di manovali immigrati, europei e cinesi. La loro paga era minima (1,5 o 2 dollari al giorno) e doveva bastare per tutte le loro necessità, incluso il costo dello spostamento verso i disagiati luoghi di lavoro, lontani dai centri abitati. A essere trattati peggio degli italiani e degli altri immigrati non anglo-celtici, erano i cinesi, che ricevevano un salario più basso e dovevano pagare tasse più alte e lasciarono nei cantieri migliaia di morti. Essi, in caso di licenziamento da parte della compagnia ferroviaria, non avendo i soldi per pagare il viaggio di ritorno (che per contratto avrebbe dovuto loro essere assicurato dalla compagnia), restavano sul territorio canadese in assoluta miseria. Negli anni 2000 questi aspetti drammatici della prima immigrazione hanno indotto il governo canadese a chiedere scusa alla comunità cino-canadese per il duro comportamento riservato ai loro antenati dalla Canadian Pacific Railway [5].
Durante questa fase anche gli italiani furono per lo più impegnati nei lavori ferroviari e svolsero mansioni umili in un contesto di disistima se non di disprezzo. Il Canada, da un lato, con la sua prima legge sull’immigrazione (approvata il 22 giugno 1869) cercò di trattenere gli immigrati e di inserirli nelle aree occidentali del Paese contrastando la loro tendenza a recarsi negli Stati Uniti, d’altro lato, mostrava una spiccata preferenza per chi proveniva dall’area britannico-irlandese o, comunque, dall’Europa del Nord. Gli italiani non ebbero una vita facile ma non si scoraggiarono: nel 1904, degli 8.576 lavoratori stagionali alle dipendenze della Canadian Pacific Railway, ben 3.144 erano italiani.
I primi anni del Novecento [6]
Nel 1901 il numero degli italiani era ancora contenuto (10.834), ma poi andò sensibilmente aumentando fino al Primo conflitto mondiale. Il porto di Halifax riversò nel Paese, in forte crescita e bisognoso di manodopera, una massa d’immigrati, raggiungendo l’acme nel 1914 (11.589). Fu in quegli anni che la collettività italiana assunse una sua piena visibilità, cosa che non avvenne nel secolo precedente. Bisogna aggiungere che neppure in quest’ultimo periodo la consistenza numerica dei residenti fu proporzionale al numero degli arrivi. Si è calcolato, infatti, che dal 1901 al 1918 oltre 120 mila italiani emigrarono in Canada, ma molti lo fecero da stagionali (specialmente per i lavori ferroviari), per cui non risultarono inseriti tra i residenti: la tendenza prevalente vedeva spostarsi degli uomini soli, senza familiari, per realizzare un progetto di migrazione temporanea (questi stagionali erano denominati taet emigrants).
Alle provenienze dal nord est dell’Italia si aggiunsero diverse regioni del Centro (Abruzzo e Molise) e del Sud (Calabria e Campania). Nel 1905, per meglio rispondere alle crescenti necessità della collettività italiana, fu istituita una filiale della Società Dante Alighieri a Toronto [7]. Anche i missionari italiani si occuparono delle esigenze linguistiche degli italiani con la promozione di appositi corsi. Gli italiani tendevano a concentrarsi nelle grandi città di Toronto e Montreal e anche in città più piccole come Vancouver, Hamilton, Niagara Falls, Windsor ed Ottawa. Nelle città essi non solo potevano lavorare nelle industrie (in continua crescita), ma avevano anche l’opportunità di esercitare i mestieri già praticati in Italia (barbieri, sarti, tappezzieri ecc.).
A Montreal, già negli ultimi decenni dell’Ottocento gli italiani svolsero un ruolo molto importante nel settore della ristorazione (e così avvenne anche in altri centri). Inoltre, nella metropoli del Québec, già operavano decine di artisti italiani, ai quali nel 1915 si sarebbe aggiunto il famoso pittore Guido Nincheri [8]. Che nel mondo del lavoro non tutto per loro andasse per il verso giusto fu confermato dalla creazione, nel 1905, di una commissione incaricata di un’indagine sui lavoratori italiani a Montreal al fine di accertare le eventuali irregolarità praticate dalle agenzie di reclutamento operanti per conto dei datori di lavoro.
La documentazione sui flussi svoltisi a cavallo dei due secoli è contenuta nel “data base” Incoming Passengers Lists, 1865-1935. Questa raccolta, composta da diversi archivi, permette di consultare le liste dei passeggeri sbarcati. I dati raccolti riguardano non solo i porti canadesi ma anche alcuni statunitensi. Gli aspetti consultabili riportano il nome, la nazione di nascita del passeggero, l’età, il sesso, lo stato civile, l’intenzione di stabilirsi in Canada con la relativa destinazione, la professione, la capacità di leggere e di scrivere; il gruppo etnico, l’appartenenza religiosa, la data dell’arrivo, il porto d’imbarco, il nome della nave e la linea seguita.
Il periodo tra le due guerre [9]
Al Censimento del 1921 gli italiani furono 45.411 e 66.769 nel 1931, per attestarsi sulle 40 mila unità all’inizio della Seconda guerra mondiale. All’inizio degli anni ’20 i flussi conobbero un rallentamento perché il Canada, come fecero anche gli Stati Uniti, adottò misure per ridurre l’ingresso di nuovi immigrati. Alla fine dello stesso decennio cominciò a essere diffuso qualche giornale italiano e i consoli favorirono le testate simpatizzanti per il regime: in Canada furono poche sia le testate antifasciste sia le organizzazioni schierate contro la dittatura. L’uso dell’italiano fu molto implementato dal fascismo, che istituì le Case d’Italia, così come furono molto attive, al riguardo, le parrocchie cattoliche. L’importanza dell’italiano fu attestata anche dalla stampa a Toronto, nel 1938, di un Manuale pratico d’italiano, con illustrazioni e riferimenti alla vita quotidiana: autore dell’opera fu Tommaso Mar, un ardente fascista [10]. Riportiamo un interessante commento sulle caratteristiche di quel periodo: «Un decisivo incentivo al diffondersi dell’idioma nazionale si ebbe con l’avvento del fascismo. Le gerarchie locali, infatti, tradussero il bisogno di un’italianità da difendere e preservare lontano dalla patria soprattutto nell’apprendimento della lingua».
Negli anni ’30 si fecero sentire gli effetti della grande depressione anche sui flussi migratori e, comunque, il regime fascista non favoriva i flussi migratori verso l’estero e preferiva indirizzarli verso le colonie italiane in Africa. È nel periodo tra le due guerre che la vita degli italiani in Canada fu fortemente condizionata dagli eventi politici in patria. Mussolini e il fascismo godettero fino al 1935, anno dell’invasione dell’Etiopia, di un notevole apprezzamento in tutto il Canada e così l’opera di fascistizzazione risultò così ampia e incisiva da portare la maggioranza degli immigrati a iscriversi ai Fasci [11]. La valutazione positiva del fascismo fu rafforzata dalla firma, nel 1929, dei Patti Lateranensi con Papa Pio XI: questo accordo portò anche i preti italiani operanti tra gli emigrati a diventare spesso propagandisti del regime.
Il prestigio del governo italiano toccò il culmine quando, nel 1933, Italo Balbo ammarò con la sua squadra di idrovolanti vicino a Montreal. Nel Québec poi, una provincia sensibile al nazionalismo, la simpatia per Mussolini durò più a lungo. Qui le autorità locali e quella consolare italiana si trovarono in perfetto accordo, come attestò, nel 1935, la messa a disposizione dell’area pubblica per costruire la “Casa d’Italia”. Inoltre, il console italiano a Montreal riuscì a far sospendere con decisione federale, appoggiata dalle autorità locali, la pubblicazione della rivista diretta da Antonino Spada, l’unica testata antifascista del Canada francofono [12]. Contro Spada, che ne era direttore, non fu attuata la misura estrema dell’espulsione perché si tenne conto dei malumori che serpeggiavano alla base: anche questo antifascista era entrato regolarmente nel Paese per motivi di studio e non di lavoro. Per poter rimanere nel Paese a Spada fu comunque imposto di astenersi dall’attività giornalistica, che poté solo riprendere quando Mussolini, il suo governo e l’Italia furono considerati nemici: nel 1941, infatti, egli diede vita al giornale Il cittadino canadese.
Anche nelle province anglofone erano poche le testate antifasciste e l’informazione critica proveniva in prevalenza da testate pubblicate negli Stati Uniti, ma mai si riscontrò una corrente di pensiero antagonista così forte da impensierire il regime fascista. Pertanto, il fascismo ebbe buon gioco nel cogliere e volgere a suo favore il senso di emarginazione e la voglia di riscatto diffusa tra i lavoratori italiani emigrati. La propaganda fascista risvegliò l’orgoglio della loro tradizione, che si rifaceva retoricamente alla civiltà dell’antica Roma. Per questi umili lavoratori era finalmente motivo d’orgoglio constatare che il loro Paese s’imponeva politicamente a livello mondiale e, tra l’altro, erano considerati ambasciatori di questa nuova Italia [13]. Questa diffusa atmosfera di soddisfazione subì un duro contraccolpo allo scoppio della Seconda guerra mondiale, quando in Canada furono adottate misure contro i maggiori simpatizzanti del fascismo.
Una pessima accoglienza da parte dei canadesi [14]
In questa lunga prima fase l’accoglienza riservata agli italiani, a differenza di quella praticata nei confronti degli anglo-celtici, lasciò molto a desiderare. Specialmente nelle province anglofone si riscontrava un atteggiamento di scarsa disponibilità di fronte ai migranti provenienti dall’Europa meridionale, ritenuti l’espressione peggiore del Vecchio continente. Così la pensava anche Henri Borrasse (1868-1942), il politico che fondò il quotidiano Le Devoir che si batté per l’indipendenza politica dal Regno Unito e l’autonomia della comunità francofona [15]. Non mancano altri episodi attestanti la diffusione di un atteggiamento poco benevolo. A rendere non gradita la presenza dell’immigrato italiano influirono la scarsa affinità culturale rispetto ai discendenti dei coloni, il mancato possesso delle lingue locali, la bassa qualificazione, la differente confessione religiosa, e la diffusione degli stereotipi (gente di sangue, temperamento violento e propensione al crimine). Erano etichettati con il termine navies (etimologicamente abbreviazione di “navigatori”, coniato dagli inglesi per indicare in senso spregiativo i manovali addetti ai lavori nei tunnel).
Come riportato in evidenza dall’Association for the Memory of Italo-Candian Immigrants (AMICI), il periodo della prima emigrazione in Canada fu molto duro per gli italiani, che i canadesi preferivano considerare di passaggio, non avendoli inclusi tra le categorie degli immigrati graditi e accettandoli tutt’al più per il bisogno di manovali. Nel 1901, in una comunicazione inviata alla rete consolare italiana, il Governo federale qualificò gli italiani come “indesiderabili perché instabili”. In realtà, prima ancora del loro comportamento, era il loro ceppo etnico a suscitare tale diffidenza.
Nel 1928, nel corso di un incontro svoltosi presso il Canada Club di Londra, il Primo Ministro canadese W. L. Mackenzie King, in un colloquio col pari grado inglese Baldwin, ribadì la preferenza canadese per gli immigrati anglo-celtici: «Il Canada vuole soprattutto immigrati britannici dall’Inghilterra, dalla Scozia e dall’Irlanda senza restrizioni, più di ogni altro». Anche l’appartenenza degli italiani alla Chiesa cattolica fu un fattore che influì negativamente nelle province anglofone, tutte a maggioranza protestante. A Toronto, dove maggiormente risiedevano gli italiani, annualmente si organizzava il corteo degli Orangemen per commemorare la sconfitta dei cattolici irlandesi nella battaglia di Boyne nel 1690: una siffatta celebrazione non poteva che accrescere il senso d’isolamento degli italiani.
Il porto di Halifax, oltre un milione di sbarchi
Halifax è stato il principale luogo di arrivo degli immigrati [16]. Giovanni da Verrazzano, sbarcando nel 1556 in questa terra, le diede come nome Arcadia, poi cambiato in Nuova Scozia. Qui è tuttora insediata una comunità d’italo-canadesi e opera dal 1974 l’Italian Canadian Cultural Association (ICCA). I primi italiani lavorarono nelle acciaierie e nelle miniere di carbone dell’area, mentre ora gli inserimenti sono vari, come hanno raccontato Sam Migliori ed Evo Di Pietro nel volume Italian Lives, Cape Breton Memories.
Il porto di Halifax, che divenne il riferimento delle rotte dall’Europa settentrionale, svolse una funzione analoga a quella di Ellis Island negli Stati Uniti. Per arrivarvi i migranti europei si recavano prima in Gran Bretagna per poi salpare da Liverpool, Londra e Glasgow. Nei mesi invernali, quando le acque del fiume San Lorenzo erano gelate, i passeggeri diretti a Québec sbarcavano a Montreal. Si ravvisò la necessità di potenziare le strutture di accoglienza all’interno del porto già negli anni antecedenti la Prima guerra mondiale, specialmente dopo i 400 mila sbarchi nel 1913. Nonostante le carenze infrastrutturali fossero state lamentate da tempo, il periodo della guerra costituì un impedimento alla realizzazione del progetto di potenziamento e le nuove strutture portuali furono pronte solo alla fine degli anni ’20. Anche dopo gli anni del conflitto si presentarono ostacoli di altro tipo che causarono ulteriori ritardi e alla fine i lavori nel porto furono ultimati solo nel 1928.
Il nuovo terminale, noto come transit Pier 21, fu attrezzato con tutti i servizi necessari per l’accoglienza. Della nuova struttura facevano parte: una grande sala d’attesa in grado di ospitare centinaia di persone; un ristorante con una vasta sala da pranzo; gli uffici della Croce Rossa (le cui volontarie si occupavano delle madri in difficoltà e dei loro bambini), un piccolo ospedale; un asilo; un centro di detenzione; uno spaccio ed alcuni locali adibiti a dormitorio. Fu curato anche un più funzionale collegamento con la stazione ferroviaria perché era compito della Canadian Pacific Railway provvedere a smistare gli immigrati in tutte le destinazioni. Come avveniva anche in altri ambiti, un’attenzione prioritaria era destinata ai britannici, ai quali era riservato un percorso specifico di accoglienza, evitando loro di mischiarsi i con gli altri.
Nei primi anni la nuova struttura del Molo 21 servì per accogliere un certo numero di britannici e olandesi, sponsorizzati dai loro datori di lavoro, poi le conseguenze della “Grande Depressione” causarono la riduzione al minimo dei flussi. Scoppiato il Secondo conflitto mondiale, le nuove strutture furono utilizzate per imbarcare circa 480 mila soldati diretti verso i campi di combattimento in Europa. Durante il periodo bellico nel porto di Halifax arrivarono ingenti quantità di valute dei Paesi Alleati, interessati a metterle al sicuro. Arrivò anche una nave ospedale per i molti soldati bisognosi di cure. Terminata la guerra, Halifax era nuovamente pronta a ricevere i migranti, che, in effetti, arrivarono in gran numero: negli anni ’50 si trattò in prevalenza di italiani. In tre anni (dal 1928 al 1971) Halifax accolse un milione di migranti. L’ultimo ad attraccare con i migranti fu il transatlantico italiano ‘Cristoforo Colombo’ il 30 marzo 1970, cessando poi questo tipo di attività. Qui, nel 1999, è stato realizzato il Museo Nazionale Canadese della Migrazione [17].
CANADA. Andamento della popolazione italiana e della collettività italiana nel Novecento | ||
1901 | Popolazione canadese | Collettività italiana |
1911 | 7.204.838 | 11.834 |
1921 | 8.788.483 | 45.411 |
1931 | 10.376.786 | 66.769 |
1941 | 11.506.655 | 112.625 |
1951 | 14.009.429 | 152.345 |
9061 | 18.238.247 | 459.351 |
1971 | 21.568.310 | 730.82o |
1981 | 24.343.180 | 747.970 |
1991 | 28.037.42o | 1.147.780 |
2001 | 30.007.094 | 1.370.370 |
FONTE: Dati ufficiali canadesi
La drammatica situazione durante la Seconda Guerra Mondiale
Durante il periodo bellico la collettività italiana residente in Canada dovette affrontare una situazione particolarmente difficile. Non tutti gli italiani nutrivano simpatia per il fascismo, ma i più ammiravano Mussolini, che era riuscito a riscuotere prestigio politico a livello internazionale e aveva enfatizzato il ruolo degli emigrati, considerati ambasciatori di un’Italia decisa a giocare un ruolo importante. La propaganda del regime aveva posto in risalto le realizzazioni al suo attivo ed enfatizzava il ristabilimento dell’ordine pubblico, ottenuto però con la soppressione della libertà.
All’estero, i responsabili delle strutture consolari italiane curavano una narrazione del regime instaurato in Italia priva di aspetti negativi e trovavano il sostegno nella stampa vicina al regime (e da esso sovvenzionata), promuovendo diverse attività sociali (come quelle del dopolavoro), istituendo le “Case d’Italia” e i “Fasci” e coltivando i rapporti con i fascisti canadesi [18]. A giustificazione di quest’atteggiamento è stato detto che tra la maggior parte della collettività italo-canadese, più che l’adesione al fascismo, si sentisse l’amor patrio, in ogni modo nel periodo suddetto non vi furono denunce contro italiani per minaccia alla sicurezza del Canada. Si tratta di una fase così delicata nella storia degli italiani in Canada, che è bene approfondire con il supporto degli studi storici [19].
Il fascismo favorì in tutti i modi tra gli emigrati italiani l’equiparazione tra l’orgoglio delle proprie origini e l’attaccamento al regime. In Canada, a differenza di quanto avvenne, ad esempio, in Francia, le organizzazioni antifasciste erano meno organizzate, disponendo di pochi organi di stampa, tra l’altro poco diffusi. Qui le notizie critiche sul fascismo circolavano poco a differenza di quanto avveniva tra gli italiani negli Stati Uniti. Avvenne così che l’apprezzamento riscosso da Mussolini a livello internazionale, dagli emigrati, fu sentito come una forma di riscatto psicologico delle loro sofferenze. È poi vero che l’opinione pubblica canadese fu a lungo favorevole a Mussolini, specialmente nel Québec, e che in tale periodo, molti italiani non avevano alcun timore di esternare la propria adesione al fascismo, che diversi non nascondevano la loro infatuazione, come nel caso di Libero Lattoni a Montreal. Mussolini raggiunse il massimo prestigio nel 1929 quando firmò i Patti Lateranensi con Papa Pio XI, attirando nella sua orbita anche il clero.
I successivi comportamenti di Mussolini e di Hitler portarono l’opinione pubblica canadese, ovviamente in sintonia con quella degli inglesi, a modificare radicalmente l’atteggiamento. Sono determinanti a tal fine le sanzioni della Società delle Nazioni Unite dopo la guerra in Etiopia, il Patto d’acciaio sottoscritto dall’Italia con la Germania e infine l’entrata in guerra al suo fianco.
Tra i membri della collettività italo-canadese vi furono quelli che avvertirono la difficile situazione che andava creandosi per il venir meno della sintonia con l’opinione pubblica canadese ospitante e diventarono più prudenti. Dopo che nel 1940 Mussolini entrò in guerra a fianco di Hitler, il 10 giugno 1940, il governo canadese di William Lyon Mackenzie ritenne necessario applicare le misure previste da un’apposita legge (War Measures Ac), che consentiva l’adozione di restrizioni della libertà personale anche per via amministrativa ai fini di salvaguardare la sicurezza nazionale, in quell’anno, nei confronti di quegli italiani e dei tedeschi (e, dopo l’attacco a Pearl Harbour, anche nei confronti dei giapponesi), ritenuti simpatizzanti dei governi dei Paesi in guerra con il Canada. Neppure queste misure indussero tutti gli italiani a essere più prudenti nel manifestare la loro adesione al fascismo, anche perché fino al 1942 l’andamento sui campi di battaglia continuava a essere favorevole ai nazi-fascisti.
È doveroso ricordare che, accanto a quelli che mantenevano la loro simpatia per il fascismo, vi furono anche molti canadesi di origine italiana che si arruolarono come volontari e in parte morirono sul campo in Europa. Mai comunque, come prima sottolineato, da parte degli italiani vi furono atti di spionaggio o di sabotaggio. A nostra volta aggiungiamo che vi furono anche quelli come il grande artista Guido Nincheri (autore, suo malgrado, di un affresco che raffigura il Duce, sul quale ritorneremo), che fu internato soli per pochi mesi: egli, infatti, dimostrò alla polizia l’infondatezza della sua vicinanza al fascismo. Comunque, le misure adottate colpirono le organizzazioni fasciste, che furono ritenute illegali e chiuse (e così anche fu fatto per diversi giornali). Inoltre tra i 600 e i 700 membri della collettività italiana furono internati presso il Camp 33 di Petawawa (il Campo 33, il più famoso) o presso quelli di Minto, di Nuovo Brunswick e Kananaskis, Alberta, e diversi altri [20]. Così ha scritto Luigi Mascheroni, professore emerito di studi italiani e canadesi alla Concordia University di Montreal [21]:
«Circa 600 persone (su 112.625 italo-canadesi) furono improvvisamente arrestate, senza un preciso capo d’accusa, portate in prigione e poi destinate ai campi di internamento, in particolare a Petawawa, in Ontario, per anni. Lavoravano sotto vigilanza, portavano una divisa con un grosso cerchio rosso, e nemmeno le guardie che li sorvegliavano sapevano quale fosse la loro colpa. Fu una vergogna. Al di là degli arresti, oltre 31mila persone, il 25% degli italo-canadesi, furono considerate enemy aliens, cioè stranieri nemici. A loro furono confiscati i beni, furono obbligati alla firma in caserma ogni settimana, fu reso loro difficile trovare lavoro. Di fatto fu una discriminazione sistematica verso tutti gli italiani».
È vero che, come la guerra è di per sé un atto irrazionale, così possono esserlo anche le misure di contrasto. Ambivalente è anche la riflessione sull’ampia simpatia mostrata al regime fascista (e non solo tra gli emigrati), da una parte comprensibile per le ragioni prima esposte e, dall’altra, problematica per diverse altre ragioni, quali le violenze del fascismo nella fase di salita al potere e anche dopo, la trasformazione del governo in dittatura nel 1925 con la soppressione dei partiti, la prigione, il confino agli oppositori (e, all’occorrenza, anche le uccisioni), le leggi razziali del 1938, le deportazioni in Germania degli ebrei e dei “lavoratori forzati” e l’opportunistica entrata in guerra con Hitler. Per pervenire a una serena valutazione di quanto avvenuto va ricordato, innanzi tutto, che misure simili a quelle praticate in Canada furono adottate nel Regno Unito, in Francia, negli Stati Uniti e in Australia: le aggressioni di Hitler e dei suoi alleati avevano suscitato una percezione drammatica del pericolo incombente. Serve anche uno sforzo di “decentramento”, sia per capire la posizione degli italiani, sia per capire quella dei canadesi in quella drammatica situazione, costretta a non restare inerte per rassicurare la popolazione e impedire la fine della democrazia. Dopo avere esposto le diverse accentuazioni con le quali è stato presentato quel periodo, è opportuno fare il punto.
Già durante l’ultima fase della guerra, e ancor di più dopo, per gli italo-canadesi ebbe inizio un profondo cambiamento. Essi, dolorosamente colpiti dalle severe misure restrittive adottate nei loro confronti da quello che avevano scelto come Paese di elezione e sentivano sempre più tale, furono indotti a ripudiare criticamente la propria italianità, solo momentaneamente identificata con il fascismo. Fu questo senso di sincero e profondo attaccamento al Canada che, nel dopoguerra, portò ripetutamente la collettività italo-canadese a considerare un’onta quella di essere stati inseriti nella categoria degli enemy alens della loro nuova patria. Con il senno di poi, prendendo in considerazione l’effettivo comportamento degli italiani nel periodo di guerra, le misure restrittive, seppure consentite in caso di conflitto, non sarebbero state necessarie. Probabilmente così la pensò anche il primo ministro Bryan Mulroney nel 1990, scusandosi per l’applicazione di tali misure precauzionali [22]. Questo uomo politico, partecipando al Congresso degli italo-canadesi, chiese scusa per gli errori che potevano essere stati commessi in quel periodo dalle autorità canadesi. Questo gesto fu apprezzato ma, nello stesso tempo, ritenuto insoddisfacente perché privo di quella formalità che lo avrebbe reso più efficace.
A venti anni di distanza, nel mese di maggio 2009, ripropose con energia la questione il parlamentare italo-canadese Massimo Pacetti. Questi, nato a Québec, fu eletto alla Camera dei Comuni nel 2002, restandovi fino al 2015: professionalmente aveva lavorato come contabile e interprete. Egli presentò un disegno di legge, avente come oggetto la condanna dell’internamento e del clima di sospetto attuato nei confronti degli italiani, il cui consistente apporto alla società canadese è andato sempre più aumentando [23]. La sua proposta di legge, approvata alla Camera dei Comuni, non superò le successive fasi necessarie per la sua trasformazione in legge e il dibattito sulla questione continuò.
Nel 2021 il primo ministro Justin Trudeau, intervenendo alla Camera dei Comuni (dove era stata approvata la misura dell’internamento), si fece carico di un formale atto di pacificazione, tanto più apprezzabile perché non si registrarono nei Paesi Alleati, che adottarono l’internamento, interventi riparatori così ufficiali. Le scuse di Trudeau hanno posto fine a questo triste passato, dal quale conviene trarre un proficuo ammaestramento. Innanzi tutto risalta la posizione degli immigrati, specialmente quando hanno mantenuto la cittadinanza originaria, come cittadini chiamati a vivere due fedeltà (al Paese di origine e a quello d’inserimento), secondo un equilibrio usualmente possibile, ma problematico quando i due Paesi entrano in conflitto. Bisogna, poi, chiedersi come si sarebbero comportate le autorità italiane durante il Secondo conflitto mondiale se in Italia vi fosse stata una consistente collettività di britannici o francesi o statunitensi, o australiani o canadesi.
I primi due decenni del dopoguerra
Il Canada, così come avvenne per il Venezuela sul versante del Sud atlantico e per l’Australia sul versante dell’oceano Pacifico, fu lo sbocco per una massa di disoccupati italiani, che dopo la Seconda guerra mondiale non ebbero più la possibilità di recarsi negli Stati Uniti a causa delle sue politiche restrittive, mentre l’Argentina e il Brasile erano ormai meno attrattivi per il peggioramento della loro situazione economica.
Il Canada si rese conto che quanto fatto per modernizzare il proprio sistema produttivo e le infrastrutture era ancora inadeguato e che la popolazione era esigua rispetto all’immensità del territorio (11,5 milioni all’inizio del Secondo conflitto mondiale). Perciò il governo decise di favorire l’afflusso degli europei, questa volta senza limitarsi ai britannici e con un ampio accesso agli immigrati del sud Europa. A qualche anno di distanza dalla cessazione delle ostilità, il Canada riattivò i contatti con l’Italia e nel 1948 aprì la sua ambasciata a Roma, inclusiva di un ufficio immigrazione, essendo state abolite le restrizioni in precedenza fatte valere nei confronti degli italiani. Riprese a funzionare anche il collegamento tra Genova e il Canada, indispensabile per trasportare gli emigranti.
Il nuovo piano migratorio del governo canadese era ben articolato e prendeva in considerazione le pratiche amministrative, l’inserimento nella società, così come facilitava l’accesso alla cittadinanza, per la quale furono ritenuti sufficienti cinque anni di residenza. Per accogliere i nuovi arrivati erano pronte le strutture di prima accoglienza nel porto di Halifax (Pier 21), già adeguatamente rinnovate nel 1928 e ulteriormente perfezionate con l’ampliamento della sala destinata all’ascolto dei singoli immigrati. Gli italiani ripresero le vie dell’esodo, imbarcandosi a Genova e anche a Napoli. Il viaggio durava tredici giorni e il biglietto era spesso pagato da parenti o amici già residenti in Canada. Si partiva da diverse regioni italiane. Erano ricorrenti le infezioni contratte a bordo durante il viaggio, quando si cercava di comunicare con i propri dialetti, compito difficile per cui in Canada fu incrementato l’insegnamento dell’italiano. Questi lavoratori, appena sbarcati, erano condotti nel grande salone allestito presso il Pier 21 e sottoposti ai controlli di polizia e a quelli sanitari. Se l’esito era positivo, essi potevano raggiungere la propria destinazione con i treni della Canadian Pacific Railway a disposizione nella vicina stazione, mentre in caso contrario essi erano trattenuti per una notte nel centro di detenzione e poi rimpatriati.
Per l’incremento che stava conoscendo, dovuto ai nuovi arrivi e alla propria dinamica demografica, la collettività italiana aumentò in misura più accelerata rispetto a quanto avvenuto in precedenza, come attestato dai censimenti: 152.245 residenti nel 1951, 459.351 nel 1961, 730.830 nel 1971, 1.147.780 nel 1981 (sette volte di più rispetto al 1951). I primi arrivi del dopoguerra non lasciavano prevedere lo sviluppo che le intese bilaterali resero possibili. Le regioni maggiormente coinvolte furono quelle del centro-sud, in particolare Lazio, Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. In questi flussi erano inseriti anche i profughi provenienti dall’Istria e dalla Dalmazia, territori ceduti alla ex Jugoslavia in applicazione degli accordi di pace.
Negli anni ‘50, a spostarsi ogni anno per il Canada furono più di 26 mila italiani per un totale di 250.812 persone nel decennio, superando il numero degli italiani che nello stesso periodo si recarono negli Stati Uniti. Fu in questi anni che la collettività italiana superò per la prima volta l’incidenza dell’1% sull’intera popolazione canadese: 1,14% nel 1950 (con 112.623 italiani su una popolazione totale di 14.009.429). Negli anni ’60 si determinò un forte calo delle partenze (in media 18 mila ogni anno), ma ciò non impedì l’aumento della collettività e della sua incidenza percentuale sui residenti nel Paese, perché furono più numerose le nascite sul posto, segno inequivocabile che la collettività stava diventando sempre più italo-canadese.
Alla consistenza quantitativa dei flussi in questa prima fase non corrispose una maggiore facilità dell’inserimento. I primi italiani arrivati nel dopoguerra furono accompagnati presso famiglie di agricoltori nella Provincia di Alberta. Il loro contratto, stipulato in Italia, fissava una retribuzione molto bassa a fronte di lunghi orari di lavoro (fino a 6 ore al giorno), spesso ricevendo come cibo solo patate: comunque, gli italiani erano obbligati e rispettare le condizioni del contratto fino alla sua scadenza, ma una minoranza di essi riuscì anzitempo a sganciarsi e trovare un altro lavoro. Al duro lavoro si aggiungevano la rigidità del clima e l’isolamento sociale. Anche in questo periodo tra i datori di lavoro più attivi fu la Canadian Pacific Railway, bisognosa di manodopera per le attività di disboscamento in località remote, con sistemazione dei lavoratori in baracche.
Tra gli anni ’50 e ’60 l’autorizzazione all’ingresso degli italiani fu reso agevole dal ricorso alla sponsorizzazione da parte dei connazionali già risiedenti sul posto, che si impegnavano al loro mantenimento durante la fase dell’inserimento fino al raggiungimento di una propria autonomia. A spostarsi dall’Italia erano in prevalenza lavoratori non qualificati che, non appena riuscivano a insediarsi nelle città, potevano scegliere tra diversi tipi di lavoro, non solo nelle industrie o in edilizia ma anche un impiego autonomo come artigiano o commerciante o anche come piccolo imprenditore. Gli italiani, che erano arrivati in precedenza, raggiunsero uno standard di vita più soddisfacente e poterono investire maggiormente sull’istruzione dei figli, preparandoli a inserimenti più qualificati. Essi furono anche in grado di sponsorizzare l’arrivo dall’Italia di parenti e amici. Tuttavia. l’istituto della sponsorizzazione, indubbiamente efficace per favorire i flussi, presto non fu più in grado di assicurarne la qualificazione professionale perché, basandosi unicamente sui legami di parentela o d’amicizia, riusciva solo a trovare per i nuovi arrivati mansioni basse da svolgere. In questo periodo la collettività italiana era la più importante dopo quella anglofona e quella francofona, fondatrici del Paese, e finalmente iniziò a essere trattata in maniera più adeguata.
Espatriati italiani in Canada nel periodo 1946-1999
ANNI | Canada | ||
1940 | 74 | ||
1941 | 0 | ||
1942 | 0 | ||
1943 | 0 | ||
1944 | 0 | ||
1945 | 0 | ||
1946 | 0 | ||
1947 | 58 | ||
1948 | 2.406 | ||
1949 | 5.991 | ||
Subtotale 1940-1949 | 8.529 | ||
1950 | 7.135 | 1960 | 19.011 |
1951 | 21.467 | 1961 | 13.461 |
1952 | 18.742 | 1962 | 12.528 |
1953 | 22.610 | 1963 | 12.912 |
1954 | 23.440 | 1964 | 17.600 |
1955 | 19.282 | 1965 | 24.213 |
1956 | 28.008 | 1966 | 28.541 |
1957 | 24.536 | 1967 | 26.102 |
1958 | 28.502 | 1968 | 16.745 |
1959 | 23.734 | 1969 | 9.441 |
Subtotale 1950-1959 | 217.456 | Subtotale 1960-1969 | 180.554 |
FONTE: Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati ISTAT
Dagli anni ’70 alla fine del secolo
Nel corso degli anni ’70 le partenze annuali dall’Italia per il Canada scesero da 7 mila a mille, mentre si stabilizzarono intorno alle mille unità in tutti gli anni ’90. Nel 1971, in ragione dei precedenti arrivi e delle dinamiche demografiche interne, la collettività aumentò di 300 mila unità con 730.820 membri. Nel 1981 il livello quantitativo degli italiani fu stazionario (747.940) e ciò fu dovuto alla drastica riduzione dell’afflusso dall’Italia. Invece nel 1991, con 1.147.980 residenti italo-canadesi (incidenza del 4,1% sulla popolazione residente), si registrò un aumento di 40 mila unità dovuto, però, quasi interamente alle dinamiche demografiche interne e non agli arrivi: dal 1991 al 2000 gli italiani entrati furono solo 4.765.
Dal 1968 Il Canada ridusse drasticamente il ricorso alla sponsorizzazione, ampiamente utilizzata dagli italiani, e privilegiò invece il criterio della professionalità; peraltro dalla metà degli anni ‘70 in Italia si riscontrava una minore propensione all’esodo. Più che dall’Italia in questi anni gli immigrati arrivarono dal Medio Oriente, da diversi Paesi asiatici, dall’America Latina e dai Caraibi, come anche dall’Africa. Un altro chiaro indicatore del progetto migratorio a carattere stabile, oltre che dall’investimento sull’istruzione dei figli, era dato dal fatto che gli italiani erano proprietari di una casa in misura percentuale superiore a quella degli stessi canadesi.
Un forte aumento della collettività italo-canadese si ebbe nel 1991, quando per la prima volta fu superato un milione di membri (1.141.780), per lo più dovuto, come già accennato, alla sua forza di crescita interna. La stabilità dell’insediamento influì molto anche sull’evoluzione dell’associazionismo, che, da una parte, continuava a mantenere un forte legame con l’Italia, e, dall’altra, non poteva fare a meno di immergersi pienamente nella realtà canadese, diventata sempre più il centro degli interessi. Era inevitabile che le caratteristiche dell’associazionismo cambiassero, ma il compito di accompagnare questa evoluzione, con profonde implicazioni esistenziali e culturali, non fu facile per diverse ragioni, tra le quali: il frazionamento dei gruppi associativi, lo scarso interesse delle nuove generazioni a far parte delle aggregazioni a carattere etnico, la progressiva diminuzione dell’utilizzo dell’italiano, l’esigua entità dei nuovi arrivi e anche la mancanza di proposte innovative efficaci a livello sociale e istituzionale [24]. È invece, degna di attenzione la strategia di tutela previdenziale attuata dal governo italiano con il supporto degli enti previdenziali (in particolare dell’INPS) e dei grandi patronati di assistenza socio-previdenziale operanti anche all’estero. Fu, così, possibile risolvere i problemi delle pensioni dei protagonisti dei primi flussi del dopoguerra, sia che fossero restati sul posto, sia che fossero ritornati in Italia. Il rimedio al frazionamento delle carriere assicurative si ottenne con la firma di una convenzione bilaterale di sicurezza sociale basata sui principi della totalizzazione dei periodi contributivi accreditati nei due Paesi e sulla salvaguardia della parità di accesso alle prestazioni. La difficoltà della trattativa dipendeva dalla complessità della materia, complicata dal fatto che la Provincia autonoma del Quebec aveva una sua capacità di operare a livello internazionale in aggiunta alle competenze del Governo federale.
Nel novembre del 1977 Si arrivò alla firma, avvenuta a Toronto, di un primo Accordo di sicurezza sociale, valido sia per il Canada sia per la Provincia del Quebec (che gestisce autonomamente il proprio sistema pensionistico) Questo accordo, entrato in vigore il 1 gennaio 1979, continua a conservare la sua validità solo con il Quebec. Quindi con il Governo federale si firmò a Roma, il 22 maggio 1995, un altro accordo di sicurezza sociale, completato dal protocollo aggiuntivo del 22 maggio 2003: i due documenti bilaterali furono ratificati in Italia con la Legge 16 giugno 2015 n. 93. In pratica, divennero operativi solo otto anni dopo, nel 2011, anno in cui si è perfezionato e firmato l’Accordo Amministrativo (18 maggio 2011). Dopo una così lunga attesa le nuove norme entrarono in vigore in sostituzione, per il territorio federale, di quelle del 1977.
Espatriati italiani in Canada nel periodo 1946-1999
Anno | Espatri | Anno | Espatri | Anno | Espatri |
1970 | 7.249 | 1980 | 2.033 | 1990 | 1.076 |
1971 | 6.128 | 1981 | 2.014 | 1991 | 818 |
1972 | 5.207 | 1982 | 2.455 | 1992 | 714 |
1973 | 4.078 | 1983 | 1.785 | 1993 | 880 |
1974 | 4.421 | 1984 | 1.432 | 1994 | 970 |
1975 | 3.662 | 1985 | 1.818 | 1995 | 608 |
1976 | 3.586 | 1986 | 1.391 | 1996 | 632 |
1977 | 2.677 | 1987 | 1.405 | 1997 | 625 |
1978 | 2.243 | 1988 | 1.064 | 1998 | 640 |
1979 | 2.106 | 1989 | 978 | 1999 | 856 |
Subtotale 1970-1979 | 41.357 | Subtotale 1980-1989 | 16.375 | Subtotale 1990-1999 | 7.819 |
FONTE: Centro Studi e Ricerche IDOS. Elaborazioni su dati ISTAT
La collettività italo-canadese negli anni 2000
Prima di occuparci dei dati di stock e quelli di flusso, vediamo perché, anche dopo che si è lasciata l’Italia per il Canada, o si è nati sul posto, è fondato parlare di italo-canadesi e di “italianità”. Così si è espresso al riguardo un residente di seconda generazione, Gianni Pezzano, il 6 settembre 2020, intervenendo sul Corriere Canadese [25]:
«In cosa consiste esattamente la nostra italianità? Per la maggior parte ci teniamo ad una cultura molto vecchia, ma va al di là della musica e delle ricette: parlo dei modi di pensare, gli atteggiamenti, i costumi, le credenze, e soprattutto, il modo in cui si vede l’Italia, la culla della nostra storia. [… ] È bello far parte di due mondi diversi (forse anche di più!), e senza conoscere bene la storia familiare e culturale è davvero difficile poter andar avanti. […] Detto ciò, come si fa a capire bene l’Italia e la cultura italiana contemporanea se non si ha una buona conoscenza della lingua nazionale? […] Non ci si può neanche scordare delle radici – sono la nostra storia, fanno gran parte di ciò che siamo. Dobbiamo davvero tentare di farle sopravvivere».
Per quanto riguarda i nuovi arrivi va precisato che sono ormai consolidati i criteri di selezione a punti dei candidati all’ingresso stabile in Canada, che dal 1967 ha sostituito il sistema della sponsorizzazione. Il nuovo sistema assegna un maggior punteggio alle competenze in Information Technologies o in altri settori d’avanguardia, come anche apprezza la capacità di operare nei servizi. Insieme alla giovane età (tra i 19 e i 47 anni), si richiede un diploma universitario della durata almeno triennale. Inoltre, è fondamentale un’ottima conoscenza linguistica (inglese o il francese come prima lingua). Anche in Canada si presta grande attenzione a chi intende insediarsi come investitore. Sia tra gli investitori che tra i lavoratori qualificati sono, comunque, pochi gli italiani che scelgono il Canada.
Negli anni ‘2000 l’Anagrafe dei residenti italiani all’estero (AIRE) ha registrato 39 mila nuovi residenti in Canada, tra i lavoratori e i loro familiari. Nel primo decennio la media annuale delle iscrizioni è stata di 2.500 persone, con punte, in qualche anno, di mille unità in più. Si è trattato del 3,3% dei 748.658 italiani che in tutti gli uffici AIRE del mondo si sono iscritti a seguito di emigrazione dall’Italia. Nel secondo decennio la media annuale delle iscrizioni per espatrio ha coinvolto circa 1.500 persone. È aumentato il numero di chi si è registrato all’AIRE per emigrazione (complessivamente nel secondo decennio 71.590), mentre è diminuita l’incidenza sul totale di quelli che sono emigrati in Canada. Nei primi due decenni del secolo si sono registrati dall’AIRE per emigrazione dall’Italia 1.710.249 persone, delle quali il 2,2% è diretta in Canada (1 ogni 55). Il Canada si accoda ai primi dieci Paesi di destinazione degli emigrati italiani e tra i Paesi extra-europei viene dopo il Brasile, gli Stati Uniti e l’Australia.
Nell’archivio AIRE i cittadini italiani residenti in Canada, alla fine del 2019, sono risultati 140 mila con una leggera prevalenza dei maschi (quasi il 52%): meno di un decimo rispetto agli italo-canadesi. Secondo i dati censuali canadesi, la collettività italo-canadese è aumentata da 1.388.45 membri nel 2011 a 1.587.970 nel 2016, raggiungendo un’incidenza del 4,6% sulla totalità dei residenti nel Paese. L’aumento era stato di circa 10 mila unità l’anno tra il 2001 e il 2011 (da 1.270.270 a 1.338.420 del 2011). Invece, nel periodo 2011-2016 la media annuale di aumento è stata di 40 mila unità l’anno. Il superamento di 1,5 milioni di membri colloca gli italiani subito dopo queste collettività: inglese francese, scozzese, tedesca e cinese.
Al censimento del 2016 695.420 membri della collettività hanno dichiarato di avere solo un genitore di origine italiana, mentre per i restanti 892.550 entrambi i genitori sono di origine italiana. Le diverse percentuali di questi due gruppi attestano la riduzione dell’incidenza dei membri con entrambi i genitori di origine italiana, così come attesta che è andata attenuandosi l’endogamia [26]. La stragrande maggioranza degli italo-canadesi risiede nelle provincie dell’Ontario (oltre 900 mila), del Québec (oltre 300 mila) e British Columbia (100 mila). L’incidenza degli italo-canadesi supera il valore medio e raggiunge l’incidenza dell’8,2% nella grande area urbana di Toronto e il 7,3% in quella di Montreal, per attestarsi al di sopra del 10% a Hamilton, Niagara Region, Windsor.
Può darsi che nel futuro si accresca l’interesse dei giovani italiani per il Canada. Il 20 dicembre 2020 è stato siglato un accordo tra l’Italia e il Governo federale del Canada, che consente ai giovani italiani di seguire un iter agevolato per ottenere un visto, della durata massima di 24 mesi per lavorare o studiare in Canada. Più di 50 Paesi hanno sottoscritto accordi simili con il Canada nell’ambito del proprio programma International Experience Canada (IEC). Sono tre i percorsi d’ingresso in Canada previsti dal programma:
- Working-Holiday (la ben nota formula della vacanza lavoro);
- International Co-op (stage presso un datore di lavoro);
- Young Professionals (stage per studenti da parte di un datore di lavoro che opera nel campo dei loro studi).
Gli anni della pandemia da Covid 19 non sono stati propizi per la sperimentazione di queste opportunità, che ancora devono entrare in vigore.
ITALIA. Gli Italiani registrati all’AIRE per espatrio (2000-2019) | ||||||||||||||||||
2000 | 2001 | 2002 | 2003 | 2004 | 2005 | 2006 | 2007 | 2008 | 2009 | Totale | ||||||||
1.385 | 3.083 | 2.319 | 3.271 | 3.656 | 2.435 | 3.630 | 1.911 | 1.846 | 1.202 | 24.738 | ||||||||
2010 | 2011 | 2012 | 2013 | 2014 | 2015 | 2016 | 2017 | 2018 | 2019 | Totale | ||||||||
985 | 945 | 1.267 | 1.490 | 1.430 | 1.790 | 1.634 | 1.899 | 1.676 | 1.513 | |||||||||
FONTE: Elaborazioni Idos su dati AIRE
Il fenomeno delle “Little Italies” e i personaggi di spicco
È invalso l’uso del termine Little Italy per indicare i quartieri nei quali gli italiani si insediarono nelle prime fasi del loro insediamento. Questi quartieri propongono le caratteristiche urbanistiche e lo stile di vita che questi emigrati avevano nelle prime fasi del loro arrivo. Ai numerosi turisti in visita sono offerte, a complemento della suggestiva atmosfera storica, anche le eccellenze culinarie italiane con una diffusa rete di ristoranti [27]. A Toronto, ad esempio, dalla fine dell’Ottocento gli italiani iniziarono a scegliere le loro abitazioni attorno alla University Avenue e al College Street. In questa zona, vicina al centro della città, si svolsero in prevalenza le loro attività. I primi a inserirsi nel quartiere furono i fruttivendoli genovesi, gli scalpellini e gli scultori originari da Lucca, i musicisti di strada originari di diverse province italiane. A seguito dei numerosi arrivi avvenuti negli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, diversi italiani si spostarono verso Corso Italia e, poi, anche verso alcune zone periferiche.
Oggi la Little Italy di Toronto si presenta come una costellazione di negozi, chiese dedicate ai patroni delle zone di origine e vie intestate a celebri personaggi italiani [28]. Un particolare fascino esercita l’Italian Walk of Fame, unica in questa sua peculiarità, perché sul marciapiede le mattonelle portano i nomi di molti italiani famosi. Nel 1966 a College Street, nel cuore della Little Italy, Johnny Lombardo fondò Radio Chin, la prima radio multiculturale in Canada fondata da un italiano. In precedenza Lombardo aveva comprato spazio per le sue trasmissioni da radio che trasmettevano in lingua inglese. La parte della strada, dove si trova la sede delle trasmissioni della Radio (dal 1962 diretta dal figlio di Lombardo), è riconosciuta come Johnny Lombardi Way. A questo giornalista è stato dedicato anche un memoriale per il suo impegno nella diffusione della lingua italiana nel Paese del multiculturalismo.
A Montreal la Petite Italie è attraversata dal Boulevard Saint Laurent, dove si trovano numerosi negozi e ristoranti italiani. Qui l’Eglise de Notre Dame de la Defense fu costruita dagli immigrati provenienti da Campobasso per ricordare un’apparizione della Santa Vergine. a Casacalenda [29]. Qui Dan Iannuzzi, nel 1979, fondò la prima stazione televisiva multiculturale, un ulteriore segno della sintonia degli italiani con l’orientamento multiculturale del Paese. A Iannuzzi si deve anche la fondazione del giornale Corriere Canadese, distribuito giornalmente a casa [30]. A Montréal, nel 1962, si ebbe il primo tentativo di trasmissioni in italiano, effettuato però da un immigrato polacco. Infatti, Casimir Stanczykowkski ospitò nella sua stazione radio una trasmissione in lingua italiana, che fu molto seguita dalla collettività ma non dai giovani, per i quali si trovò un rimedio con un programma apposito [31].
La Little Italy di Ottawa è situata tra Preston Street e Gladsone Avenue (chiamata anche via Marconi). Qui, nel mese di giugno, dal 1975, si organizza annualmente, l’Italian week festival dedicato alla cultura italiana [32]. In Canada vi sono anche alcune città, nelle quali gli italo-canadesi hanno sui residenti un’incidenza molto alta. Gli esempi più significativi sono due città della grande area di Toronto: Vaughan, (una città di 306 mila abitanti, ultimamente in grande crescita, mentre nel 1935 contava appena i 5 mila abitanti) e King (una città più piccola): Vaughan e King accolgono, rispettivamente 104 mila e 10 mila italo-canadesi, i quali incidono per il 34% sui residenti totali in ciascuno dei due comuni. Si tratta delle incidenze più alte riscontrabili in Canada. A Vaughan un sesto dei residenti parla italiano a seguito dei contatti avuti con i membri della collettività italo-canadese. A Woodbridge, un quartiere di Vaughan, vivono (con i loro discendenti) molti pensionati italiani, quelli che furono i protagonisti dei primi flussi del dopoguerra: qui l’incidenza italiana arriva al 55%. In questo quartiere i canadesi non raggiungono l’incidenza del 10 %, perché sono numerosi anche i membri di altre collettività di immigrati, per lo più provenienti dell’Est Europa [33].
Ci soffermiamo su alcune figure di spicco tra i navigatori, i missionari e gli esuli politici (e anche di militari, dei quali qui non ci occupiamo)[34]. Giovanni Caboto (1445-1498), navigatore originario di Gaeta ma diventato cittadino veneziano, si pose al servizio del re inglese Enrico VII. Egli ampliò verso il nord le esplorazioni iniziate da Cristoforo Colombo. E portò con sé il figlio Sebastiano (1484-1537), che, dopo la morte del padre, ne continuò il progetto. Giovanni fece due spedizioni (nel 1497 e nel 1498), giungendo nel Labrador e costeggiando la Groenlandia meridionale, acquisendo così la consapevolezza della vastità del continente nordamericano. Furono pertanto poste le basi per la futura colonizzazione inglese del Nord America, che servirono anche da stimolo per la ricerca di un passaggio a nord-ovest per recarsi nell’Estremo Oriente. Su questo grande navigatore e su altre figure del passato si è soffermato lo storico Robert F. Harney nella sua ricerca Caboto and other parentela: The usesn n/ the Italian-Canada.
Giovanni da Verrazzano (1485-1528), toscano di nobile famiglia, nel 1524 esplorò, per conto del re francese Francesco I, le coste degli Stati Uniti e del Canada, tra la Florida e Terranova, andando alla ricerca di una nuova rotta per l’Oceano Pacifico e verso la Cina. Egli fornì descrizioni dettagliate delle sue esplorazioni e diede al Canada il nome di “Nuova Francia”. Nel Quebec, verso la metà degli anni ‘20, i rapporti non furono idilliaci, perché gli italiani andavano enfatizzando le esplorazioni di Caboto in Canada e ciò, agli occhi delle autorità locali, sembrava sminuire il ruolo del francese Charter nella scoperta del Paese. Questa contrapposizione dopo alcuni anni si attenuò e tra le autorità del Québec e quelle consolari italiani si addivenne a una grande sintonia.
Va ricordato anche la presenza dei missionari italiani in Canada, che prima si occuparono della predicazione cristiana tra gli indigeni e poi dell’assistenza spirituale agli immigrati cattolici. Caratterizzato da una notevole dedizione alla popolazione locale fu il gesuita romano Francesco Giuseppe Bersani (1612-1662), molto apprezzato anche come esploratore, cartografo e astronomo. Operò tra gli uroni, nella regione dei grandi laghi. Dopo essersi preparato a Parigi, nel 1642 si recò nella “nuova Francia”, soggiornando inizialmente tra i coloni del Québec. La sua missione tra gli uroni fu ostacolata dalle incursioni degli irochesi, che lo fecero prigioniero e gli mutilarono le mani. Fu venduto schiavo a coloni olandesi, che lo riportarono in Europa. Da qui, riacquistata la libertà, nel 1644 ripartì per il Canada, dove riprese il suo difficile lavoro missionario tra gli uroni, imparandone la lingua e abituandosi ai loro costumi. Purtroppo gli uroni furono quasi completamente sterminati dagli irochesi e i superstiti, nel 1650, furono trasferiti nel Québec. L’anno successivo padre Bersani rientrò in Europa. Le sue descrizioni geografiche (tra l’altro, fu il primo a descrivere le cascate del Niagara), con le relative mappature, sono state ritenute di grande interesse. Nel 1653 pubblicò a Macerata una Breve relatione d’alcune missioni de’ PP. della Compagnia di Gesù nella Nuova Francia. Il padre Bersani, così come fecero gli altri Padri gesuiti francesi impegnati nel Québec, inizialmente non voluti dai responsabili preposti alla colonizzazione, diede un importante contributo alla conoscenza di quella colonia. Les relations des jésuites: aux sources de l’histoire de la Nouvelle France iniziarono a essere pubblicate a Parigi a partire dal 1652, in considerazione della loro importanza [35].
Nell’opera di evangelizzazione tra gli uroni e gli irochesi vanno ricordare i santi martiri canadesi: i sacerdoti gesuiti Giovanni de Brébeuf e Isacco Jacque e dei loro compagni, che trovarono la morte nel 1649. Alla vigilia delle moderne migrazioni per lavoro si trasferì in Canada il modenese Giacomo Fornero, un carbonaro costretto a recarsi in esilio, che divenne il primo professore di lingue moderne all’Università di Toronto, dove ottenne la cattedra d’italiano su designazione del governatore dell’Ontario. E nel 1854 egli diede inizio all’insegnamento dell’italiano come lingua di cultura. Sul suo ruolo pionieristico si è soffermato Anthony Molica, presidente dell’associazione la AATI (American Association of Teachers of Italian), che però non fornisce particolari biografici su Fornero [36].
Nella documentazione in precedenza citata (cfr. nota 7), partendo da questo pioniere dello studio dell’italiano che insegnò presso il più importante ateneo canadese, si evidenzia che, all’inizio del Novecento, l’università estese la possibilità di apprendere l’italiano anche agli esterni, in ciò aiutato dai sacerdoti cattolici e dai pastori protestanti e, dopo la sua fondazione nel 1905, dalla Società Dante Alighieri. Si raggiunse un’impostazione più strutturata per effetto del Memorandum del 10 giugno 1977, successivamente integrato, che ha consentito alle università canadesi il programma di lingue etniche fin dal 1° luglio 1977. Va segnalato che nell’immediato dopoguerra presso l’Università di Toronto, Emilio Goggio si adoperò molto per la diffusione dell’italiano e, per il suo grande prestigio, divenne anche direttore del Dipartimento linguistico, che gli intestò la cattedra d’italiano (Emilio Goggio Chair in Italian Studies) [37]. Per tale diffusione collaborarono, insieme alla Società Dante Alighieri, anche le aggregazioni del mondo sociale e religioso.
Ai rappresentanti della cultura, accademica e letteraria merita di essere associato un giornalista di ampie vedute, che spese la sua vita per promuovere la sensibilità multiculturale e le singole collettività. Si tratta dell’autore e produttore editoriale e televisivo Dan Iannuzzi (1934-2004), ricordato come “un gigante dei media”. Italo-canadese di terza generazione, nacque a Montreal ma poi si trasferì a Toronto. La sua persona, il suo impegno imprenditoriale e la sua chiaroveggenza multiculturale gli procurarono un generale plauso, che si tradusse in una cospicua serie di onorificenze attestanti la riconoscenza della collettività italo-canadese e delle autorità e di diverse organizzazioni canadesi per la sua azione pionieristica nel campo della comunicazione multiculturale. A seguito di un attacco cardiaco morì a Roma, appena settantenne, dove si era recato per ragioni di lavoro. Il 2 giugno 1954 (data simbolica, essendo quel giorno in Italia dedicato alla Festa della Repubblica), Iannuzzi fondò, insieme ad Arturo Scotti, il Corriere Canadese, testata giornaliera distribuita nelle Province di Toronto e del Quebec. Dopo aver prodotto, dal 1972 al 1979, programmi multi linguistici per altre emittenti televisive, egli decise di operare in proprio. Come editore pubblicò i giornali anche per la collettività spagnola e per quella ungherese e per gli italiani, oltre al Corriere Canadese, anche la rivista insieme.
Nella grande città di Toronto si è distinto il locale Centro Scuola e Cultura Italiana, costituito nel 1976 con lo scopo di approfondire la storia, la cultura italo-canadese, favorire l’apprendimento e la diffusione dell’italiano e prestare attenzione alle implicazioni sociali che si riscontrano.
Come si può immaginare vi è una nutrita presenza di italo-canadesi nelle università ed è significativa la loro presenza in numerosi altri ambiti socio-culturali: l’impronta lasciata dalla collettività che i canadesi hanno definito l’Italian Heritage, è di così ampia portata da meritare una trattazione a parte. Un utile riferimento per condurre approfondimenti è il Centro di studi Canadesi Alfredo Rizzardi (dal nome del professore che a lungo ha diretto la struttura), fondato nel 1997, presso l’Università Alma Mater di Bologna, che ha svolto un ruolo importante per la promozione della cultura canadese nella sua globalità, una struttura di incontro e di dialogo per letterati, artisti e studiosi canadesi e italiani. Il Centro bolognese si caratterizza per il proposito di coordinare la ricerca e lo studio della cultura e della letteratura canadese su una base interdisciplinare, con particolare interesse alle discipline letterarie, storiche, politiche, filosofiche, geografiche, antropologiche, sociologiche, e per le arti visive e musicali.
Concludiamo questa riflessione sulla nascita e sull’evoluzione della presenza italiana in Canada con un approfondimento sul multiculturalismo, una scelta fatta dal Paese da oltre mezzo secolo con cui è riuscito a rimediare alle carenze iniziali.
Il multiculturalismo, anima della politica migratoria canadese [38]
Il Canada è, a livello mondiale, l’alfiere del multiculturalismo. Questa politica innovativa fu adottata dal Canada nel 1971, un anno prima che l’Australia prendesse una decisione analoga. In entrambi i Paesi fu ridimensionata la priorità fatta valere a favore degli immigrati anglo-celtici. Peraltro, non si può non tenere conto che in Canada tale esclusività rivelò la sua criticità già prima delle migrazioni di massa, essendo presenti sul posto, dai tempi dell’insediamento coloniale, insieme ai britannici, anche i membri di una forte comunità francofona nel Québec. I canadesi francofoni, dopo l’assoggettamento agli inglesi, rivendicarono una loro autonomia sul piano culturale e religioso, e in parte anche politico [39]. Si è pervenuti al rispetto di parte di queste richieste con il riconoscimento del Québec come Provincia autonoma, dotata di ampi poteri.
Inoltre, in Canada, prima ancora dell’arrivo dei colonizzatori inglesi e francesi, vivevano le popolazioni aborigene, costituite dagli Inuit (cioè dagli eschimesi) e, riconosciute come tali solo tardivamente, dai Métis (parola di origine spagnola equivalente a “mezzosangue”). La presenza di Papa Francesco nell’ultima settimana del mese di luglio 2022 ha rivestito un significato molto simbolico e ha fatto riflettere sull’urgente necessità di una riconciliazione. Il Pontefice ha stigmatizzato l’oppressione coloniale paragonabile a un genocidio e a un attacco radicale alla loro cultura (anche con la complicità di strutture pastorali cristiane) e il bisogno di riconciliazione [40].
Alle comunità aborigene, a quella anglofona e a quella francofona si aggiunsero, nella seconda metà dell’Ottocento. i migranti europei, in prevalenza anglo-celtici o europei del Nord Europa, ma poi anche l’arrivo d’italiani e cinesi. Dopo la Seconda Guerra mondiale, è andata rafforzandosi notevolmente nei flussi in entrata la componente asiatica, con una forte crescita degli indiani e dei filippini, in aggiunta ai cinesi. Queste sono le diverse realtà culturali che il multiculturalismo canadese si è proposto di unire armoniosamente, salvaguardando l’unità dell’ordinamento federale nonostante la molteplicità delle espressioni culturali. Accanto ai fattori etnici, culturali, linguistici e religiosi vi sono quelli di natura demografica, economica e occupazionale che, pur comportando una dipendenza dall’estero, non sono stati considerati un peso, bensì sono stati accettati e valorizzati per fare del Canada un Paese prospero, unito e culturalmente diversificato. Come accennato, nel passato vi furono le lamentele dei francofoni e delle popolazioni indigene e poi anche quelle degli immigrati non britannici. Questa insoddisfazione trovò una composizione nell’ambito della politica multiculturale, con particolari accorgimenti per le popolazioni aborigene e per le comunità del Québec, riservando il multiculturalismo per gli immigrati.
Il Canada ha riconosciuto l’immigrazione come una delle basi indispensabili per il suo progresso prima ancora di attuare la scelta del multiculturalismo, sulla quale certamente ha influito la molteplicità delle presenze. Dall’Europa, da ultimo turbata dall’inedita situazione bellica sul suo territorio e da un cinquantennio ormai per la pressione migratoria, si guarda con una certa invidia a questo Paese, che da oltre due secoli non ha dovuto subire gli orrori della guerra e gode della sicurezza, sia al confine con gli Stati Uniti, sia lungo le sue coste, protette dalla vastità dei due oceani.
Qui l’afflusso dei lavoratori stranieri è volutamente previsto secondo un preordinato programma di quote d’ingresso, stabilite per far fronte al fabbisogno quantitativo e qualitativo del proprio mercato occupazionale. L’apertura ai flussi di lavoratori e l’accoglienza dei profughi hanno fatto sì che, da anni ormai, un quarto della popolazione residente sia nata all’estero o abbia un antenato nato all’estero. È previsto un ulteriore aumento di tale percentuale al 35% attraverso i nuovi flussi. Fino alla Seconda guerra mondiale gli emigranti arrivati in Canada provenivamo in prevalenza dall’Inghilterra, dalla Scozia, dall’’Irlanda, dalla Germania e anche dall’Italia, dalla Cina e dall’Ucraina. Dagli anni ’70 è stata ampia l’apertura ai Paesi asiatici, per cui è andata potenziandosi la diversità multiculturale, della quale si è tenuto conto nella scelta del multiculturalismo.
Per il periodo 2021-2023 è stato previsto dal Governo canadese il rilascio di 1 milione e 200 mila visti per ingresso permanente. Dal 1967 ad oggi, solo cinque volte tali ingressi sono stati più di 300 mila. Le ultime tre volte ciò è avvenuto nel 2018 e nel 2019, essendo in atto una palese accelerazione del piano migratorio. La programmazione di 2.3 milioni di visti permanenti consentirà alla popolazione canadese (27, 6 milioni all’inizio del 2021) di aumentare del 3%. Il 60% dei nuovi visti sarà concesso a lavoratori qualificati, 300 mila visti a familiari di vecchi e nuovi residenti, 181 mila rifugiati, 17 mila visti a persone di protezione umanitaria [41].
La gestione di questa crescente diversità di tradizioni, culture e religioni non sarebbe stata agevole senza l’adozione del multiculturalismo. Questa storica scelta, fatta dal primo ministro del governo federale, Pierre Trudeau (1991-2000), fu consolidata dai successivi governi nell’ottica di ridurre le disuguaglianze e valorizzare la specificità delle diverse comunità, tenendo in conto che si è trattato di una scelta della nazione e non di un singolo uomo politico o di un singolo partito. A precisare i contenuti del multiculturalismo fu, nel 1982, la Canadian Charter of Rights and Freedom. Quindi nel 1985 intervenne la legge dedicata alla Broadcasting Policy Reflecting Canada’s Linguistic and Cultural Diversity per favorire le trasmissioni nelle lingue non ufficiali. Nel 1988, sotto il governo guidato da Brian Mulroney, fu approvato il Multiculturalism Act, che definì i diversi aspetti sociali e giuridici del multiculturalismo.
Nel suo complesso la politica multiculturale ha inteso mostrare agli immigrati e ai loro discendenti che le loro culture hanno una valenza autonoma rispetto alle tradizioni canadesi. La loro coesione va salvaguardata ed esse meritano, all’interno della cornice federale, di essere valorizzate e coordinate attraverso il dialogo. È stata, così, ridimensionata la priorità del riferimento anglo-celtico.
La variante interculturale del Quebec [42].
Il fruttuoso cammino, percorso a livello federale con il multiculturalismo, non fu ritenuto sufficiente dalla Provincia francofona del Quebec, che volle fare ulteriori passi avanti con l’adozione, limitatamente al suo ambito territoriale, dell’interculturalismo. Questa impostazione sollecitò i gruppi etnici presenti nel Québec a non chiudersi nella loro specificità, bensì ad aprirsi al dialogo, allo scambio e alla contaminazione delle loro tradizioni. Secondo alcuni commentatori non si tratterebbe di una politica sostanzialmente diversa dal multiculturalismo bensì un approfondimento dei suoi obiettivi, dell’accentuazione di alcune sue valenze a partire dal punto di vista di chi risiede nel Québec [43].
Senz’altro bisogna tenere conto nella decisa volontà del Québec di distinguersi, rispetto alla maggioranza anglofona, con un proprio approccio alla politica socio-culturale rivolta agli immigrati: pertanto, sulla scelta dell’interculturalismo hanno influito anche le implicazioni politiche derivanti dal rapporto dialettico vigente tra la Provincia autonoma del Québec e il Governo federale, che nel recente passato portò anche a proporre la soluzione estrema del separatismo. Alla luce di questi complessi intrecci si può capire che la Provincia del Québec non rimase del tutto soddisfatta quando, nel 1977, si pervenne al riconoscimento del francese come lingua ufficiale con l’approvazione della Charte de la langue française [44].
Per rispondere alle attese non appagate dei quebecchesi il governo di Ottawa, fin dal 1991, attribuì alla Provincia del Québec ampi spazi di autonomia per gestire questioni interne (a livello previdenziale, ad esempio) e questioni riguardanti gli immigrati (ad esempio, nella concessione dei visti d’ingresso permanente). Secondo le autorità della Provincia del Québec le aperture multiculturali furono unilateralmente decise dalla comunità anglofone senza riconoscere la “nazione francofona”, che invece insieme a quella anglofona costituisce l’unico Stato canadese. Ai loro occhi fu fatto un passo falso perché il Governo federale considerò i francofoni, anch’essi all’origine nel moderno Canada, una semplice presenza equiparabile (o poco più) alle diverse comunità immigrate insediatesi dopo. Sarebbe stata necessaria la decisione concordata nella scelta del multiculturalismo.
Pertanto, secondo la Provincia autonoma del Québec la politica interculturale quebecchese deve considerarsi fondante nei confronti degli immigrati giunti nel Québec, così come lo è stato il multiculturalismo proposto dagli anglofoni a livello federale. In tal modo si è inteso recuperare il mancato protagonismo iniziale. L’interculturalismo, quindi, è considerato una sorta di atto fondante del Québec moderno, così come per il Canada lo è stato il multiculturalismo [45]. Che l’interculturalismo sia una proposta originale o, al contrario, si tratti di una enfasi posta sui diversi aspetti del multiculturalismo, non si possono che leggere con piacere le considerazioni di Gérard Bouchard, che è il maggior teorico dell’interculturalismo [46] . Quest’autore avvince il lettore quando si sofferma sulla ricchezza dell’incontro tra le culture. Egli insiste sulla promozione di una loro dinamica cittadinanza. Per Bouchard questi ampi orizzonti sono alla base dell’interculturalismo, che i responsabili politici hanno scelto come specifica strategia della Provincia autonoma nei confronti degli immigrati [47]. In buona sostanza, il multiculturalismo e l’interculturalismo sono stati due tentativi fruttuosi di gestire la presenza immigrata in Canada e hanno influito positivamente sulla regolamentazione e la gestione degli aspetti culturali, sociali e giuridici, mentre in Europa, per diverse ragioni, si considera sempre più l’immigrazione come una minaccia da cui difendersi. Inizialmente tra i membri della collettività italo-canadese, che negli anni ’70 era quella più numerosa dopo gli anglofoni e francofoni, si riscontrò una certa diffidenza di fronte alle aperture multiculturali, mentre in seguito la collettività si avvalse delle nuove opportunità per far valere le sue rivendicazioni [48]. Inoltre, la consistenza numerica del gruppo, che indubbiamente, ne favoriva l’influenza, consentì agli italo-canadesi di essere un fattore d’equilibrio tra le due culture fondanti del Canada (quella della comunità anglofona e quella della comunità francofona) [49].
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
Note
[1] Questo articolo sarà seguito nel prossimo numero di Dialoghi Mediterranei da un articolo dedicato all’eredità socio-culturale lasciata dagli italiani in Canada
[2]https://www.centrostudiitaliacanada.it/articles/immigrazione_in_canada_terra_promessa_per_skilled_workers_asiatici_e_italiani_ancora_in_calo-166/
[3] Cfr. “Esuli milanesi, https://dspace.unitus.it/bitstream/2067/2158/1/Testo%20Sanfilippo%20Milano.pdf
M Ernesto Milani, L’emigrazione lombarda nel Nord America, cfr. www.lombardinelmondo.org (consultato il 16 .re 2018).
[4] Cfr. Ernesto Milani, L’emigrazione lombarda nel Nord America, cfr. www.lombardinelmondo.org(consultato il 16 ottobre 2018).
[5] Tra le diverse pubblicazioni dedicate all’argomento, cfr. ad esempio: Innis, H. A.,]. A History of the Canalian Pacific Railway, University of Toronto Press, Toronto, 1971.
[6] Aa.Vv., Gli emigrati italiani in Canada nel primo Novecento, in Studi emigrazione, 22,1985: 77ss.
[7] Sulla nascita e sull’opera svolta dalla Società Dante Alighieri a Toronto, cfr, si veda, la breve sintesi storica curata dai Centro Scuola e Cultura Italiana di Montreal: centroscuola.ca/dante_ita.html
[8] Questa presenza viene attestata, ad esmepio, da:due classici contributi: Harney R.F. Dalla Frontiera aile Little Italies. Gli italiani in Canada 1800-1945, Roma, Bonacci, 1984; Ramirez B., Les Premiers Italiens de Montreal. L’origine de la petite Italie dl/ QI/ebec,Montreal, Boreal Express, 1984.
[9] Bruti Liberati L., “La comunità italo-canadese tra le due grandi guerre”, in Fondazione Giacomo Brodolini, Gli italiani fuori d’Italia: gli emigrati italiani nei movimenti operai dei paesi d’adozione 1880-1940, Milano, Franco Angeli, 1983: 397-418.
[10] Una lingua da insegnare e da imparare”, Corriere Canadese, 23 novembre 2021. https://www.corriere.ca/cultura-e-spettacoli/una-lingua-da-insegnare-e-imparare/
[11] Salvatore F., Il fascismo e gli italiani in Canada, in “Storia contemporanea”, XXVII, n, 5, ottobre 1996: 866-857.
[13] Salvatore F., Il fascismo e gli italiani in Canada, in “Storia contemporanea”, XXVII, n, 5, ottobre 1996: 866-857.
[14] È significativo il titolo di questo saggio storico: Harney F. R., From the shores of the Hardship: Italians in Canada, Centro canadese scuola e cultura italiana, Welland (Ontario), Soleil, 1993.
[15] Odoardo Di Santo, “Multiculturalismo: il volto civile del Canada”, https://int.search.myway.com/search/GGmain.jhtmlrdo.
[16] Così la città è stata definita in un articolo online del 24 maggio 2021, curato da Vittorio Giordano col titolo “Halifax parla italiano”.
[17] Cfr. www.pier21.ca.; Zorde I., Constructin National History at Pier 21, University of Toronto, 20\, disponibile su Https://tspace.library.utoronto.ca/bitstream/1807/16044/1/MQ63225.pdf.
[18] http://www.italiancanadianww2.ca/it/theme/detail/fascism_in_canada.
[19] Salvatore F., Il fascismo e gli italiani in Canada, in “Storia contemporanea”, XXVII, n, 5, ottobre 1996: 833-862.
[20] http://www.italiancanadianww2.ca/it/theme/detail/internment_camps
[21] Il nuovo Giornale.it, 29 maggio 2021
[22] Questo uomo politico fu citato dal cantante italo brasiliano Michel Bubé, che ebbe la cittadinanza italiana da parte della madre (Amber Santaga), Il giovane cantante, nel 2015, partecipò al Festival di San Remo e la domenica successiva, intervistato alla Rai dal giornalista Bonolis, disse che Mulroney lo aveva fatto cantare al matrimonio della figlia e, essendo rimasto molto contento, gli fece conoscere dei discografici che gli facilitarono la carriera.
[23] Merita attenzione sulla “puntigliosità” dell’oggetto del disegno di legge C-302 del 2009: “Legge per riconoscere l’ingiustizia che è stata fatta alle persone di origine italiana attraverso il loro internamento”, la percezione che li vedeva nemici del Canada durante la Seconda guerra mondiale, oltre che per promuovere l’istruzione sulla storia italo-canadese (del valore di $ 2,5 milioni).
[24] I problemi dell’associazionismo sono affrontati in alcuni capitoli della ricerca che il Centro studi e ricerche Idos ha condotto per Il Ministero degli affari Esteri – Direzione generale degli italiani all’estero e politiche migratorie: Idos, a cura di Pittau F., Gli italiani all’estero; collettività storiche e nuove mobilità, n. 14, 2020, Affari Sociali Internazionali.
[25]https://thedailycases.com/italo-canadese-una-richiesta-alla-seconda-generazione-italian-canadian-a-request-to-the-second-generation/
[26] Al censimento del 1996 i residenti con entrambi i genitori italiani erano il doppio rispetto a quelli con un solo genitore italiano (729.455 rispetto a 387.723).
[27] Harney R.F., Dalla frontiera alle Little Italies. Gli italiani in Canada 1800-1945, Bonacci, Roma, 1984. https://www.liligo.it/magazine-viaggiatore/le-little-italy-nel-mondo-college-street-a-toronto-26750.html
[28] Cfr. tra numerosi siti dedicati alle immagini : https://www.tripadvisor.it/ Attraction_Review-g155019- d155492-Reviews-Little_Italy- Toronto_Ontario.html, Per un commenti sull’insediamento: “Little Italy, Toronto, https://en.wikipedia.org/ wiki/Little_Italy,_Toronto. Di Salvo M., L’italianità della Little Italy di Toronto: heritage, legacy and affection, https://jps.library.utoronto.ca/index.php/italiancan/article/view/39388.
[29] Cfr. il sito petiteitalie.com. Per un approfondimento: Ramirez Br., Les premiers Italiens de Montréal. L’origine de la Petite Italie du Québec, Montréal, Boréal Express, 1984.
[30] Stanczykowski, Casimir D. (1927-1981) operò a Montreal e fu un precursore della comunicazione multilinguistica, mentre nel 1962 fondò la stazione CHLP, la prima stazione radio multilinguistica in Canada: così come questi fu un precursore nell’ambito della radiofonia multilinguistica, Dan Iannuzzi lo fu in ambito televisivo.
[31] Nel settore della carta stampata ci fu un precedente a Montreal, dove nel 1950 Alfredo Gagliardi fondò l Il Corriere italiano, preceduto nel 1941 dalla nascita de Il cittadino canadese.
[32] https://www.expedia.it/Ottawa-Little-Italy.dx6220858
[33] Città più italiana in Nord America: Vaughan in Canada con 300 mila abitanti ha il 31% di italiani e il 17.5% che conosce la lingua, secondo il censimento del 2016,
https://www.reddi,t.com/r/italy/comments/aar1dw/la_citt%C3%A0_pi%C3%B9_italiana_in_nord_america_vaughan_in/
[35] Queste relazioni sono raccolte e consultabili nel portale https://bibliostoria.com/2010/12/13/les-relations-des-jesuites-in-canada-1632-1702/.In considerazione della loro importanza, lo storico Reuben Gold Thwaites (1853-1913) le tradusse in inglese.
[36] Mollica A., “L’insegnamento dell’italiano in Canada”,
http://www.culturitalia.info/ARCHIVIO/siena/96_1/MOLLICA.HTM
[37] “Una lingua da insegnare e da imparare”, Corriere Canadese, 23 novembre 2021. https://www.corriere.ca/cultura-e-spettacoli/una-lingua-da-insegnare-e-imparare/
[38] Harvey F., “Les communautés culturelles et le multiculturalism: une comparaison des politiques québécoise et canadienne, in Lacroix, Jean Michel e Caccia, Fulvio, a cura di, Métamorphoses d’une utopie, Paris, Presses de la Sorbonne Nouvelle, Paris, 1992: 159-173. Cfr. anche Brutti Liberati L., Storia del Canada, Bompiani Milano, 2019.Della seconda edizione, ricca di aggiornamenti uscita nel 2021, è coautore Luca Codignola. L’opera aiuta a capire l’evoluzione e il ruolo del Canada, che non è e non si considera un’appendice dell’ingombrante vicino statunitense.
[39] Fin dall’inizio la contrapposizione tra anglofoni e francofoni non era solo socio-culturale, era anche religiosa. Solo nel 1774 i cattolici furono autorizzati a professare liberamente la loro fede dalle autorità protestanti. Questo ritardo nella pratica della tolleranza rifletteva le contrapposizioni esistenti in Europa: cfr. Pittau F. (a cura), Storia della tolleranza religiosa dall’impero romano ad oggi, Edizioni Idos, Roma, 208.
[40]https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2022-07/canada-interventi-trudeau-simon-indigeni-papa- francesco.html;https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/rai-3-la-triste-veritasui-nativi-del-canada; https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/rai-3-la-triste-veritasui-nativi-del-canada.
[41] https://www.ilpost.it/2021/05/07/canada-vuole-piu-migranti-economia/
[42] Harvey F., “Les communautés culturelles et le multiculturalism: une comparaison des politiques québécoise et canadienne, in Lacroix, Jean Michel e Caccia, Fulvio, a cura di, Métamorphoses d’une utopie, Paris, Presses de la Sorbonne Nouvelle, Paris, 1992: 159-173.
[43] Cfr. ad es. Segura E, “L’interculturalisme québécois, alternative au multiculturalisme canadien ? Voie québécoise ou voix québécoise”, https://www.cairn.info/revue-humanisme-et-entreprise-2011-5-page-81.htm
[44] Al censimento del 2011 8.858.980 residenti hanno dichiarato l’inglese come madrelingua e 7.054.975 il francese.
[45] Questo è il pensiero dei promotori dell’interculturalismo: cfr. G. Bouchard, Y. Lamonde, La Nation dans tous ses États. Le Québec en comparaison, Éd. L’Harmattan, Paris/Montréal 1997.
[46] Bouchard G., L’interculturalisme. Un point de vue québécois, Éd. Le Boréal, Montréal.
[47] L’origine e la peculiarità dell’interculturalismo del Quebec sono ampiamente spiegati in una pubblicazione del Centro studi e ricerche Idos e dell’Università Lavcal di Québec Ville: Pittau F., Vacaru N, (a cura), Migrazioni e integrazione tra le due sponde dell’Atlantico, Edizioni Idos, Roma, 2013. Il volume è stato ultimato dopo che una delegazione di Idos, composta da Luca Di Sciullo e Franco Pittau, si recò per una settimana a Québec Ville presso l’Università Laval, su invito di Nadia Vacaru, docente alla Facoltà di scienze religiose per condurre approfondimenti sul posto e tenere delle conferenze.
[48] Cfr. Alcune figure del passato, Di Santo, “Multiculturalismo: il volto civile del Canada”, in https://int.search.myway.com/search.
[49] Va ricordato, trattandosi di un fattore funzionale al perfezionamento del ragionamento esposto in questo paragrafo, che alle elezioni provinciali del 1° ottobre 2021 nella Provincia del Québec è prevalso per la prima volta un partito conservatore del centrodestra, che ha impostato la campagna elettorale contro gli immigrati.
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Franco Pittau, dottore in filosofia, è studioso del fenomeno migratorio fin dagli anni ’70, quando ha condotto un’esperienza sul campo, in Belgio e in Germania. È stato ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario del genere realizzato in Italia). Già responsabile del Centro studi e ricerche IDOS (Immigrazione Dossier Statistico), continua la sua collaborazione come Presidente onorario. È membro del Comitato organizzatore del Master in Economia Diritto Intercultura presso l’università di Roma Tor Vergata e scrive su riviste specialistiche sui temi dell’emigrazione e dell’immigrazione.
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