CIP
di Mario Calidoni
Alcuni anni fa il “Museo del Mondo Piccolo” di Fontanelle di Roccabianca (PR) promosse, con le scuole di prossimità del ciclo primario, una esperienza di ricerca sulle raccolte-collezioni diffuse nelle case e nei piccoli musei del “Mondo Piccolo”, come Giovannino Guareschi chiama «quella fettaccia di terra che sta tra il Po e l’Appennino», la mitica Bassa dei romanzi guareschiani di Peppone e Don Camillo. Una attività che portò i ragazzi alla scoperta di un mondo inaspettato.
Furono soprattutto case, case che accolgono raccolte di collezionisti occasionali delle cose più disparate, case di campagna che hanno perso la loro funzione produttiva e dove rimangono memorie concrete di spazi e oggetti, ma pur sempre case amate e vissute, costruite come ambienti di piccoli sogni e di costruzione di piccoli mondi. Case che entravano in dialogo con il museo e con la scuola. Era anche la scoperta di “luoghi” che raccontavano storie di permanenza e di abbandono in un territorio di pianura irrigua dove la civiltà contadina ha segnato profondamente la memoria ma, nello stesso tempo, ha segnato pure la separazione e l’oblio. Per i ragazzi, quella esperienza li convinse che la casa poteva essere:
Museo del tempo, dove si susseguono gli “allestimenti” con nuovi ambienti e nuovi spazi che si aggiungono, si modificano, si eliminano. Spazi familiari e spazi individuali, spazi interni e spazi esterni. Chi di noi non ricorda perfettamente la distribuzione degli spazi della casa dove ha vissuto, come sono cambiati, allestiti, in funzione di particolari esigenze comuni e /o personali? La casa è luogo della biografia personale e incide sul senso di tempo e spazio fondamentale per lo sviluppo della personalità. Quanti, raccontando i tempi della loro formazione, fanno riferimento ai luoghi della casa dell’infanzia e dell’adolescenza nella ambiguità del ricordo?
Museo delle cose, che occupano particolari angoli o spazi più o meno ampi e costituiscono i “pezzi forti” del museo perché inamovibili e fissi. Oppure nascosti e importanti per quei membri della famiglia che li sentono come propri e non condivisibili, segno di un tempo ormai completamente dimenticato dai più. Quegli oggetti d’affezione che segnano il valore delle cose e il loro significato nella vita di ciascuno, fossero strumenti del lavoro contadino o oggetti del quotidiano della casa che si andavano man mano riducendo con l’invasione dell’“usa e getta”. Ikea, che vuole il cambiamento affannoso delle cose, rovescia nella sua pubblicità questo sentimento. «Ti ringrazio mamma per avermi costretto a cambiare, mi insegni a diventare grande….». Un atteggiamento dove lo sviluppo e la sostituzione prevalgono sulla conservazione e la rigenerazione o meglio il riuso come si inizia a dire oggi per andare oltre il “riciclo”.
Museo di storie da raccontare. Storie relative ai cambiamenti intervenuti negli spazi, storie di accoglienza nei diversi angoli della casa e/o di rifiuto in rapporto alla qualità delle relazioni tra i diversi membri della famiglia e di coloro che la frequentano. Si tratta di storie buone quando la casa è abitata perché condivisa; storie difficili quando la casa, come spazio di senso, è negata. D’altra parte diverse esperienze pedagogiche valorizzano nell’insegnamento la storia della famiglia come la storia della casa e il sostegno di esperienze di autobiografia come contesto per l’apprendimento.
Ma la casa, in questa visione, è anche una grande macchina della distinzione e del privato, come casa borghese, casa operaia, casa popolare, casa contadina ecc., un caleidoscopio di culture e di realtà. I ragazzi, in particolare i ragazzi della fascia d’età del ciclo primario, ne hanno fatto esperienza nel periodo del Covid quando la scuola si è metaforicamente trasferita appunto a casa di ciascun alunno con la DAD (didattica a distanza) e ne sono stati vissuti pesantemente i limiti con perdita di socialità e di senso della comunità e quando l’idea di casa è stata messa a dura prova.
A questa contingenza si collega poi l’idea di casa di cui sono portatori gli alunni stranieri anche se nati in Italia, che rispecchia altri mondi e altri rapporti tra il dentro e il fuori della casa come spazio e come rapporti umani.
L’interesse per una “nuova casa” è sempre più oggetto di riflessioni sociologiche, architettoniche. I grandi cambiamenti tecnologici e la crisi post pandemia la stanno sempre più trasformando in luogo digitale, e, nello stesso tempo, luogo di ricerca di relazione con l’ambiente naturale.
Molte scelte del design e dell’architettura vanno in queste direzioni. Nella casa entra il mondo tanto da far parlare di casa/ mondo ricca più di servizi /spazi comuni funzionali alla vita comune e alle necessità materiali, servizi digitali, servizi legati alla casa/ufficio per lo smartworking o il telelavoro.
In Finlandia una esperienza di educazione allo spazio relativamente alla casa ha messo a confronto bambini, architetti e artisti sul tema della casa del futuro, come la vorremmo. I due valori della velocità e della mobilità paiono i più rilevanti della contemporaneità e anche l’idea di casa ad essi si deve ispirare. Il progetto è quindi quello di un oggetto che può essere portato ovunque e che può adattarsi in tutti gli ambienti naturali, contenere uno o più persone nella maggior versatilità possibile. Con un rischio, che di nuovo possa chiudersi a riccio nella individualità più spinta senza alcuna memoria e continuità con il passato.
Per la scuola tutto questo è di grande stimolo per considerare:
- la casa come un potente strumento di educazione allo spazio e al rapporto costruito/ natura;
- la casa come grande patrimonio “originario e ancestrale” nelle sue forme, nei suoi oggetti, nelle sue forme per l’educazione alla umanità;
- la casa come strumento fondamentale per educare all’“abitare” come appartenenza e vita dei luoghi della città, del paese, della campagna ecc…
- la casa come connessione tra storia e storie.
E il museo? Le considerazioni sinora svolte portano a considerare il dialogo tra i mondi della casa, della scuola e del museo demo-etnoantropologico come mondi che necessitano di un dialogo forte, posti di fronte alla grande sfida dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo. L’antropologo Tim Ingold propone di guardare a questa sfida superando la logica del “costruire” con la logica dell’“abitare”, cioè pensare agli spazi di vita in grado di rispondere ai nostri sogni e bisogni umani, formativi e culturali. Una prospettiva che la scuola adotta quando propone esperienze di vita vissuta appunto a partire anche dalla Casa o dalla Scuola stessa. In tutte le forme di case/museo nutrite dall’immaginario e dalla vita delle cose e delle persone che le hanno abitate, il museo stesso riporta l’attenzione alla casa. Conservando la sua forma nel tempo, il suo essere oggetto di memoria per incontrare culture diverse nel tempo e nello spazio, la casa e la casa/museo rappresentano allora luoghi nei quali fare esperienza del cambiamento e della visione di mondi altri.
Almeno quattro paiono dunque i paradigmi con i quali affrontare il tema dell’“abitare” come compito formativo e pure come stimolo per la didattica e la progettualità della scuola e del museo, della casa/museo:
1. Patrimoni in relazione con la mia vita
Considerare Patrimonio i mondi della casa, della scuola e del museo, soprattutto di prossimità, che è presente nell’ambiente di vita, sollecita alla scoperta del senso dell’“abitare” come esperienza significativa di luogo, ambiente nascente della formazione all’appartenenza ai luoghi e al mondo, cioè stare bene nel luogo, “come a casa”. Patrimonializzare questi ambiti di vita significa dare loro il significato autentico e originario che hanno e che devono trasmettere. Patrimonializzare significa valorizzare l’idea di sostenibilità e dare valore al quotidiano nel cambiamento e nella consapevolezza.
2. Storie in relazione con la mia storia
“Un patrimonio di storie” è il titolo di un ampio racconto di esperienze di narrazioni al museo, qualsiasi museo sia esso di opere d’arte che demoetnoantropologico. Ettore, come sostiene Mario Turci, «realizza a pieno lo scambio di esperienze tra museografo, visitatore e informatore nel gioco di voci narrative» che si intersecano e che valorizzano la memoria autobiografica di tutte le figure coinvolte con uno scatto emotivo di grande valore formativo per il singolo alunno e per la comunità alla quale appartiene.
3. Storie e senso degli oggetti
Il dibattito culturale e antropologico in questi anni ha rinnovato l’interesse per gli oggetti come interfaccia di senso tra il soggetto e la vita mostrando la forza di “motori narrativi ed esperienziali” che posseggono. A scuola guardare agli oggetti musealizzati in questa prospettiva in un contesto completamente cambiato rispetto alla loro origine dove si fa strada l’oblio e l’insignificanza, contribuisce a fornire un solido punto di partenza per situare l’oggetto stesso nel tempo e nello spazio, nella diversità delle culture delle “case” e degli ambienti di vita.
4. Storie e azioni come epica del quotidiano
A scuola abbiamo imparato che epopea ed epica sono grandi narrazioni che mettono i protagonisti a confronto con il mondo e con se stessi. Considerare la scuola, la casa e il museo delle cose e degli oggetti come luoghi di una epopea significa pensare che gli spazi, gli ambienti e le cose che ci circondano nel quotidiano hanno sempre nascosto sogni e convinzioni, mentalità e ideali, delusioni e sconfitte ma pure vittorie e felicità. Si può raccontare l’epopea di un ambiente domestico, di uno spazio del bricolage, di ambienti annessi alla casa dove pare regnare confusione e abbandono ma dove si sono susseguite generazioni di attori e di storie.
Per il museo, per la scuola, per la casa, si aprono spazi di progettazione del lavoro didattico con i ragazzi molto ampi e stimolanti. «Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità. Operano e comunicano eticamente e professionalmente e con la partecipazione delle comunità, offrendo esperienze diversificate per l’educazione, il piacere, la riflessione e la condivisione di conoscenze». Così sottolinea la nuova definizione ICOM del termine museo che, nella misura in cui ospita, rassicura, nutre e accompagna la personalità dei ragazzi e delle ragazze, è capace di rielaborare le loro storie, le loro memorie per farle diventare significative quali sono.
Il museo Guatelli è la dimostrazione, al massimo grado, della possibilità di far parlare la casa con linguaggi plurali e il cartello che ancora si conserva al vecchio ingresso del museo dice “IL MUSEO È QUI”. Non è una serie di raccolte, un museo domestico, bensì la patrimonializzazione di una cultura. Oggi questa casa/museo è un “classico” nel senso culturale del termine, cioè un valore permanente che parla alla contemporaneità.
Ettore ha realizzato una casa/ museo rovesciando completamente l’immaginario collettivo di museo come luogo separato dalla vita quotidiana con i linguaggi della rappresentazione e della narrazione più attuali. Ha patrimonializzato la sua casa facendola diventare museo di una civiltà e raccolta di storie di persone vive.
Come è possibile a scuola far passare questa idea in un momento di grande cambiamento dell’esperienza scolastica e abitativa? E mentre sta radicalmente cambiando l’idea di casa e di scuola? La prospettiva potrebbe essere quella di guardare a casa/museo/scuola come patrimoni dialoganti e alla ricerca del percorso di senso dei tre mondi con esperienze concrete sul tempo, lo spazio, gli oggetti e la vita che questi mondi raccontano nella prossimità e nel mondo.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
_____________________________________________________________
Mario Calidoni, già insegnante e dirigente del Ministero dell’Istruzione, formatore, coordina progetti per l’educazione al Patrimonio e ne cura la documentazione. Attualmente membro del Comitato scientifico del “Museo Guatelli”, é consulente dell’Istituto Cervi per l’educazione al Paesaggio di cui cura la collana “Taccuini didattici”.
______________________________________________________________