di Pietro Clemente
Come sopravvivere a quel che sta succedendo? Gli USA si sono alleati con Mosca contro l’Europa. Le prospettive che ci si offrono non sono certo confortanti: o la guerra in casa o la sottomissione ai due potenti tiranni. Prospettive che il Presidente Mattarella ha intuito nelle frasi contro le quali Putin si è (per interposta persona) offensivamente e provocatoriamente rivolto. Stiamo entrando in una fase dove i grandi cattivi domineranno e dove i piccoli buoni perderanno completamente attenzione.
Mi è sempre più difficile scrivere per il CIP un editoriale sensato che possa tenere insieme i temi dello sviluppo locale del nuovo abitare le zone interne con le attuali politiche dominanti. Di fronte alla politica dell’Università, della Scuola, della cultura del governo mi sembra necessario ritrovare una linea di battaglia culturale comune. Di non recedere dalla critica, di condividere la necessità del dissenso. In questo quadro è evidente che lo sviluppo delle aree interne diventa sempre più difficile se non addirittura inesistente. Anche se qualcosa forse si muove. Come ex insegnante che ha dedicato la sua vita all’educazione dei giovani, ora mi orienterò su suggestioni e reazioni relative alla Scuola, cercando di non dimenticare la specificità della rassegna del centro in periferia.
La trincea
Riporto dal web una lettera del Liceo Tasso di Roma:
“Egregio Ministro, Le scrivo di nuovo dalla desolazione della “trincea”: quella in cui ogni giorno, con le studentesse e gli studenti, combattiamo l’eterna guerra contro la semplificazione e la superficialità. Oggi, però, le scrivo per ringraziarla delle Linee guida sull’insegnamento dell’educazione civica che ci ha inviato all’inizio dell’anno scolastico. Da oggi abbiamo un punto fermo nel nostro lavoro di docenti ed educatori: ci dirigeremo nella direzione esattamente opposta a quanto ci indica.
L’educazione civica, secondo lei deve «incoraggiare lo spirito di imprenditorialità, nella consapevolezza dell’importanza della proprietà privata». In modo quasi ossessivo nel documento traccia l’idea di una sorta di “educazione alla proprietà”. Ma cosa dovremmo farci di questo slogan? Stiamo oltrepassando finanche il senso del ridicolo, andando oltre la teoria delle tre “i” di berlusconiana memoria (inglese, impresa, internet)……E ci consenta, da educatori democratici, di trascurare le sue Linee guida, per illuminare le coscienze dei giovani con le parole di don Milani: «Se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri, allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri».
Egregio Ministro, dal momento che la costruzione di una cittadinanza consapevole avviene anche attraverso l’esercizio della memoria storica e civile, Lei ci ha inviato una circolare con cui ha bandito un concorso per le scuole con lo scopo di celebrare la «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo». Il titolo del concorso: «1945: la guerra è finita!».
Incredibile! Il 25 aprile 1945 che, prima dell’era Valditara, era semplicemente e banalmente la «liberazione dal nazifascismo» ora diventa un momento della «Giornata Nazionale delle Vittime Civili delle Guerre e dei Conflitti nel Mondo»”.
Riporto ancora dal web un commento dall’Università, area linguistica:
“Chi ha paura di Tullio De Mauro? Linguista di reputazione internazionale, autore di opere fondamentali, intellettuale pubblico e ministro, è stato tra i primi accademici italiani a rivolgersi al mondo della scuola nel tentativo di liberare l’insegnamento linguistico dal ciarpame normativo di secoli. Promotore di innumerevoli iniziative, ha creato il Giscel, l’associazione focalizzata sull’educazione linguistica che, nel suo cammino insieme a De Mauro, ha sempre puntato a cambiare il modo di “fare italiano” a scuola. Ebbene, a dispetto di questo suo enorme lavoro, capita ora che De Mauro venga additato come uno dei mali d’Italia… Oggi alla lista si aggiunge la pedagogista Loredana Perla, che liquida come “infauste” le Dieci tesi di De Mauro e del Giscel (“Rebus” di Raitre, 9.2.2025), dall’alto del suo ruolo di presidente della commissione (di cui fa parte anche Galli della Loggia) incaricata da Valditara di redigere nuovi programmi per ogni ordine di scuola,.Come hanno anticipato i media, Valditara vorrebbe dare ruolo centrale allo studio della grammatica, della storia italiana e delle glorie nazionali, reintrodurre un po’ di latino, lo studio a memoria delle poesie ecc. Di tutte queste cose si può discutere. Il guaio è che questo cumulo di “innovazioni” sarebbe urgente perché gli insoddisfacenti risultati che la scuola italiana dà nelle indagini internazionali (come quelle dell’Ocse) sarebbero dovuti appunto a De Mauro e alle Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica del Giscel. In particolare, lo si accusa di aver indotto la scuola a trascurare l’insegnamento grammaticale e, più in generale, di aver favorito una sorta di lassismo, che spiegherebbe le tante ignoranze di studenti e di adulti. Anche del loro analfabetismo funzionale, secondo Perla (“Gazzetta del Mezzogiorno” 13.02.2025), sarebbe responsabile De Mauro, che invece, inascoltato, ha richiamato per decenni la necessità di curare pure l’educazione degli adulti, come si vede da “La cultura degli italiani” (intervista a cura di Francesco Erbani, 2004). Forse le Dieci tesi sono definite brutalmente “infauste” perché, con l’aggettivo democratiche, rinviano esplicitamente all’art. 3 della nostra Costituzione? Anche perciò sono invece ancora attualissime (basta leggerle per rendersene conto) e De Mauro a suo tempo le discusse con molte associazioni di insegnanti tra le più attive e qualificate, accogliendone molti suggerimenti”.
Sempre dal web, riporto il commento di una coordinatrice pedagogica che opera in Toscana riguardo a L’educazione civica per la scuola dell’infanzia:
“per quanto riguarda la scuola dell’infanzia hanno semplicemente preso le indicazioni nazionali sui campi di esperienza e le hanno declinate a loro immagine e somiglianza. Per esempio nel campo di esperienza IL SE E L’ALTRO non si fa cenno nemmeno alla lontana ad altre culture. Nel campo di esperienza IL CORPO E IL MOVIMENTO si parla di alimentazione, salute e igiene e si saltano a piè pari tutti i valori legati all’educazione all’aperto, agli studi sulle emozioni e sul corpo, alla psicomotricità etc…Nel campo IMMAGINI SUONI E COLORI ci si limita all’attenzione e cura per il bello e il patrimonio artistico mentre si toglie spazio al valore della creatività. Nel campo i DISCORSI E LE PAROLE non si fa menzione degli infiniti linguaggi possibili, ma neanche banalmente delle diverse lingue di una società multiculturale. Ma l’ambito più reazionario è LA CONOSCENZA DEL MONDO, dove si parla di acquisizione, attraverso il gioco simbolico, di competenze di compravendita e regole stradali e non si fa menzione dell’aspetto della scoperta come esplorazione del mondo, non si fa menzione al bambino come persona, con la sua dignità e i suoi diritti.
Da questo documento emerge l’idea di un bambino che deve imitare l’adulto e semplicemente rispettare le regole degli adulti. Si ritorna ad un adultocentrismo che era stato abbandonato da decenni dalla pedagogia. Per non parlare infine della griglia finale di verifica, che sembra un casellario a crocette vigente negli anni trenta. Che cosa si intende quando si dice che il bambino non ha raggiunto alcuni obiettivi. Si vuole significare che è un disadattato sociale?”.
Dal web e dai giornali riporto il caso di un insegnante di Firenze che è stato colpito da un provvedimento amministrativo da parte del Ministero per avere scritto nella sua personale pagina Facebook la locuzione “porcoiddio” riferita al nuovo nome del Ministero della cultura e del merito. E il giudice cui ha fatto ricorso gli ha dato torto rilevando, sulla base delle norme in atto, gli estremi di un comportamento moralmente scorretto per un insegnante. Anche il giudice sembra condividere l’assenza di diritto di espressione del dipendente verso la sua amministrazione e che la locuzione stessa sia una “offesa al sentimento religioso”. Da residente in Toscana da ormai 50 anni, affermo che è assolutamente normale che un toscano usi in momenti di rabbia esclamazioni blasfeme. E poi mi sembra del tutto normale che un dipendente abbia il diritto di criticare i difetti del suo luogo di lavoro. Si percepisce nell’atteggiamento del Ministro una svolta autoritaria. Un insegnante prima di fare una critica ci deve pensare bene, perché può essere citato e sospeso dall’insegnamento e dallo stipendio come è successo nel caso qui descritto. Va detto inoltre che l’insegnante in questione era molto attivo e presente nella gestione della scuola.
Mi domando se il Ministro voglia scoraggiare quella partecipazione che dagli anni settanta ha aperto la scuola al dialogo con le famiglie e la società. Sono sicuro che anche Don Lorenzo Milani (benché non toscano, ma assai toscanizzato) si sarebbe fatto scappare un ‘porcoiddio’, davanti alla rinascita del ‘merito’ come parola monumento e simbolo della discriminazione sociale. Mi pare evidente che l’espressione blasfema ha solo un carattere di sfogo emotivo, senza nessuna implicazione di offesa alla divinità. Io non ho mai bestemmiato ma ho invidiato chi l’ha fatto di fronte al nuovo nome del Ministero dove la vera bestemmia è la parola “merito”, parola che è come una porta tagliafuoco, come un macigno sul mondo della scuola.
Insomma il progetto scolastico ed educativo che viene dal Ministero dell’Istruzione rappresenta il tentativo di affossare l’esperienza didattica democratica e sperimentale. La scuola che si cerca di decostruire non è la scuola della ‘sinistra’ ma quella del progresso e dell’innovazione didattica lungo il Novecento, e in particolare il ribaltamento della pedagogia autoritaria, per cui al centro della scuola ci sono i bambini, i ragazzi, gli adolescenti, i giovani, non più oggetto di plasmazione dall’alto bensì soggetti di conoscenza attiva del mondo. Gli insegnanti e il Ministero hanno come scopo quello di creare le condizioni di un apprendimento nuovo e adeguato da parte dei giovani e non di imporre regole e contenuti dall’alto. Tutto questo Valditara sta negando a favore di una scuola vecchia e autoritaria. Chissà se ha mai letto Lettera a una professoressa della scuola di Barbiana? Usciva nel Maggio del 1967.
Se ne va nel vento
Lo scenario che mi si presenta davanti mi dice che devo adeguarmi ad un mondo molto cambiato. Stiamo entrando in una nuova epoca che presenta qualche somiglianza con i grandi conflitti internazionali e con le due Guerre mondiali. Negli anni 60, quando avevo 18 anni, il mio mondo era animato dalla lotta contro l’ingiustizia e dalla rivendicazione della attuazione della Costituzione. Dopo il 68 e la ribellione di studenti e giovani degli anni 70 sembrava che si fosse entrati in un tempo nuovo. Fino a pochi anni fa il conflitto dei mondi opposti dell’Est e dell’Ovest è stato all’interno di un controllato equilibrio e si erano aperte nuove grandi speranze con la caduta del muro di Berlino, la fine dell’URSS, la presidenza Obama. Ora tutto è cambiato e non so come ragionarci dentro.
Sono sgomento nel pensare al futuro. Mi aiuta pensare che Emilio Lussu, negli anni in cui il fascismo lo incarcerò e lo deportò, aveva una trentina d’anni e non perse mai la certezza che ci sarebbe stato di nuovo un mondo democratico e giusto. Dovette aspettare vent’anni e non smise mai di lottare. Penso a Lussu che, nonostante la grande differenza dì età che ci divideva, ho ammirato e sentito molto vicino come esempio di coerenza e di forza morale. Ma mentre Lussu aveva maturato delle certezze, io purtroppo non ne ho nessuna. Mi rendo conto che per età non potrò aspettare un nuovo mondo più giusto. Forse ci vorranno decenni.
Frequento delle lezioni di ginnastica dolce per anziani e il giovane fisioterapista che ci segue mette musiche degli anni della nostra giovinezza. Forse è un segno che un po’ della nostra storia di lotte contro la guerra e per i diritti resta nella musica e continui a trasmettersi. Quando il nostro fisioterapista ha messo Blowing in the wind di Bob Dylan
How many seas must a white dove sail
Before she sleeps in the sand?
Yes, and how many times must the cannonballs fly
Before they’re forever banned?
ho avuto la visione di un tempo in cui si formavano forti sintonie, grandi polifonie, a volte litigiose, ma che facevano vivere una atmosfera generale di cambiamento, di possibilità che la politica modificasse il mondo. Eravamo una collettività di tre generazioni guidate da quella più giovane che si muoveva per la realizzazione dei propri ideali, energie che la politica ha sprecato. All’epoca scoprivo la guerra di Algeria, la memoria dell’Olocausto e della Resistenza. Intorno vi era un grande fermento. Era forte il bisogno di uguaglianza, la ricerca di una maggiore libertà di linguaggi, di sentimenti che ebbe la sua più alta espressione nel 68. Tutto questo vive ancora in una canzone. E se in qualche modo vive sempre, è possibile che qualcosa succeda ancora. Che ispiri ancora nuovi sentimenti.
Ho scoperto da poco che la bellissima poesia di Mariangela Gualtieri “Bello mondo” prende spunto dalla Poesia dei Doni di Borges. Come lei stessa scrive, ha composto la poesia «con qualche parola presa da: Pessoa, Amelia Rosselli, Sant’Agostino, Ida Vallerugo, Ezra Pound, Malebranche, Giovanna Sicari, Arthur Rimbaud, Silvia Avallone, Wallace Stevens, Nelly Sachs e Dante Alighieri. Il rimanente sono versi miei».
Ringraziare desidero
per Borges, per Whitman, e Francesco d’Assisi,
che scrissero già questa poesia,
per il fatto che questa poesia è inesauribile
e si confonde con la somma delle creature
e non arriverà mai all’ultimo verso
e cambia secondo gli uomini.
In questo tempo, più difficile di altri, si fa fatica a ringraziare. Ma questa poesia è anche un invito a ritrovare una catena di umanità che possa essere inesauribile.
Riporto alcuni brani della legge su “Toscana diffusa” appena approvata dalla Regione Toscana. Penso che se ne parlerà nel prossimo numero.
“Toscana diffusa” rappresenta un nuovo concetto di sviluppo socio-economico-territoriale alla base del quale c’è il principio che a tutti i cittadini toscani, indipendentemente da dove vivono, devono essere offerte le stesse opportunità e gli stessi livelli di servizi, a cominciare dai collegamenti materiali e immateriali. L’obiettivo è rafforzare la coesione economica, sociale e territoriale attivando un insieme di strumenti volti a ridurre le disparità di sviluppo, non solo economico, tra diversi territori;
- 1. La Toscana diffusa è l’insieme dei territori caratterizzati da minima densità abitativa, maggiore difficoltà di collegamento alle più evidenti conurbazioni urbane comunque di grande rilievo storico, culturale, paesistico, ambientale, come definiti negli atti di programmazione regionale. 2. La presente legge persegue l’obiettivo di favorire condizioni adeguate per offrire pari opportunità di accesso alle reti di collegamento materiale e immateriale, ai servizi socio-sanitari e assistenziali, allo studio e alla formazione, al lavoro, all’insediamento ed all’esercizio delle attività produttive nonché all’offerta culturale e ai servizi digitali.
La Regione riconosce la coesione sociale e territoriale come elemento essenziale del proprio sviluppo ed orienta le proprie azioni per favorire lo sviluppo armonico e la rimozione degli squilibri tra i territori regionali; a tale fine:
- Al fine di contrastare il declino demografico dei comuni totalmente montani toscani con popolazione fino a diecimila abitanti, la Regione adotta misure di incentivazione finanziaria anche nella forma di contribuzione all’acquisto di immobili ad uso abitativo. 2. Usufruiscono delle misure di cui al comma 1 coloro che trasferiscono la propria residenza nei comuni interessati e si impegnano a non modificarla per almeno dieci anni. 3. La Giunta regionale disciplina le modalità di assegnazione e revoca delle misure di cui al comma 1 in coerenza con le disposizioni relative al fondo per lo sviluppo delle montagne italiane di cui all’articolo 1, commi 593 e 595, della l. 234/2021 che lo istituiscono, ne individuano le iniziative volte a ridurre i fenomeni di spopolamento e ne regolano la ripartizione fra le regioni. 4. La disciplina di cui al comma 3 tiene conto: a) dell’età anagrafica dei beneficiari della misura; b) del numero di figli minori conviventi; c) dell’indice di disagio dei comuni, in base all’allegato B della l.r. 68/2011.
Riporto qui di seguito alcune domande che Paola Atzeni mi ha girato e avete trovato nel mio editoriale dello scorso CIP n.71e che rimangono ancora inevase
Il buio della democrazia è visibile.
La destra è ampiamente popolare, la sinistra è impopolare [1].
Cosa impareremo?
Chi si assumerà le proprie responsabilità?
Chi dirà le parole indispensabili?
Chi farà le cose necessarie?
Chi tesserà tessuti resistenti di democrazia?
E infine ringraziare desidero Settimio Adriani con Emma Santarelli, Michela Buonvino, Paolo Carera, Paolo De Simonis, Giampiero Lupatelli, Liliana Melas, Paolo Nardini, Mario Spiganti, Angela Zolli, per il dono dei loro scritti a Dialoghi Mediterranei e al CIP n.72. Sono collaborazioni preziose, molto diverse tra loro, che confermano che il mondo delle scritture che portano il centro in periferia è vario, complesso, spesso dissonante, ma al cuore di un campo che aspetta di essere messo a fuoco e approfondito. Grazie, la scrittura è anche speranza.
Dialoghi Mediterranei, n. 72, marzo 2025
[1] Al proposito segnalo: il convegno “Sinistre e popoli: ripensare un rapporto inattuale”, organizzato dall’ Università di Pisa e dalla “Rivista di Antropologia Contemporanea” tenutosi l’11 e il 12 febbraio 2025.
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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); I Musei della Dea, Patron edizioni Bologna 2023). Nel 2018 ha ricevuto il Premio Cocchiara e nel 2022 il Premio Nigra alla carriera.
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