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Censura, autocensura e libertà: tradurre Mohamed Choukri in italiano e in francese

Mahamed Choukri

Mohamed Choukri

di Hanane El Bakkali

Introduzione

Nel presente articolo affronto il tema della censura in rapporto alla traduzione. Tratto questo argomento da due punti di vista diversi ma complementari. Inizialmente, la mia attenzione si focalizza sulla traduzione in quanto operazione che porta alla liberazione della voce di un autore censurato e/o non accettato. Perché a molti letterati arabi viene impedito, per ragioni, morali e  politiche di pubblicare le loro opere nei loro Paesi d’origine, come è stato proprio il caso dello scrittore marocchino Mohamed Shukri [1] che, proprio grazie alla traduzione dei suoi romanzi si è svincolato e liberato dalla censura, costringendo il sistema culturale arabo/marocchino a riconoscere e rivalutare molte delle sue opere.

Vorrei anche sottolineare come questa stessa traduzione rischia di rappresentare uno spazio di (auto)censura, poiché i traduttori – come sostiene Richard Jacquemond (2008) – sono costretti a cedere a una sorta di censura del mercato editoriale – meno brutale, forse, di quella politica o religiosa – ma anche più perniciosa e difficile da combattere. Il traduttore, quindi, deve saper “negoziare” tale censura a seconda delle proprie convinzioni e intenzioni personali. A questo fine condurrò un’analisi contrastiva tra il romanzo Soco Chico (al-Sūq al-daḫilī / Il mercato interno) e la sua traduzione italiana effettuata nel 1997 da Maria Avino. Inoltre, a titolo di confronto, mi servirò anche della traduzione francese dello stesso scritto a cura di Mohamed El Ghoulabzouri del 1996, per sottolineare le attitudini del traduttore appartenente alla cultura araba marocchina rispetto a quelle della traduttrice italiana di fronte alla scrittura di Mohamed Shukri.

Mohamed Choukri e Mohammed Berrada

Mohamed Choukri e Mohammed Barrada

Mohamed Shukri: uno spartiacque nella letteratura araba contemporanea

Tra i più scandalosi scrittori della letteratura contemporanea araba emerge il marocchino Mohamed Shukri. Il primo a inaugurare una scrittura autobiografica nel mondo arabo, differente da quella tradizionale sia per i contenuti che per lo stile. Prima di Shukri pochi letterati potevano trattare della loro vita privata. E quando vi facevano riferimento, ciò avveniva sotto forma di accenni poco chiari, mentre Shukri ha avuto l’audacia e la determinazione di rendere la sua vita un libro aperto.

Pur sapendo di correre il rischio di essere escluso e censurato non ha esitato a servirsi della prima persona singolare per raccontare. L’Io narrante era per lui una scelta ideologica più che stilistica [2]: non voleva celarsi dietro altri pronomi si è assunto la responsabilità dei suoi scritti. In realtà, come osserva Mohamed Barrada [3], era difficile per lui rompere quel “legame” tra la prima persona narrante, gli avvenimenti passati, e sé stesso al momento della stesura dei testi.

Mentre la letteratura araba era abituata alla narrativa di autori quali Manfaluti, Mahfuz, al-Aqqad, ecc. – scritta in arabo standard (al-fuṣḥā), caratterizzata da uno stile letterario molto elegante e raffinato, e che trattava tematiche romantiche e nazionaliste – Shukri scriveva una letteratura ribelle contro tutte le norme e le consuetudini. È una letteratura «nuda» – espressione di Abduh Wāzin – che mette insieme il realismo di Mahfuz, l’insolita audacia di Jean Genet e la franchezza “piccante” di Paul Bowles e che rispecchia ovviamente una sofferenza vissuta anima e corpo [4].

Negli scritti di Shukri, per la prima volta, veniva utilizzato il linguaggio di strada: egli non esitava a chiamare le cose con il loro nome (in dialetto marocchino oppure in arabo standard) senza badare all’effetto “immorale” che questo poteva generare. I suoi eroi o piuttosto ‘anti-eroi’ incarnavano le caratteristiche di un picaro, ma un picaro alla marocchina, con peculiarità artistiche e culturali diverse da quello spagnolo [5].

Egli cercava di ridare al margine della società il suo valore, allontanandosi dalle tematiche che hanno preoccupato gli scrittori della sua epoca. Ha preferito scendere tra gli strati più bassi della società per farsi portavoce degli emarginati (i senzatetto, i disgraziati, le prostitute…), per portare alla luce le loro sofferenze, essendo stato uno di loro. Secondo il critico marocchino Hassan Bahrawi, Shukri ha sempre vissuto, fino all’ultimo istante «infrangendo le consuete regole di comportamento, di pensiero, d’espressione, trasgredendo i tabù sociali e le interdizioni letterarie, entrando senza permesso negli spazi vietati del non detto, moralmente e creativamente» [6].

Aveva infatti trascorso una vita difficile che l’avrebbe condotto alla follia e al suicidio [7]: vissuto sin da giovane età in ambienti di estremo degrado sociale e morale, esposto a ogni genere di vizio e turpitudine. Impegnarsi nell’attività di scrittore l’ha salvato dal rischio di perdere ogni speranza in una vita migliore a causa dell’abuso di alcol e nel consumo di droghe.

Dopo esser riuscito a svincolarsi dall’ignoranza – pur se in età avanzata [8] – e aver intrapreso l’esperienza dello studio, “scrivere” è diventato sinonimo di vivere e di sfogarsi. Anzi, era un mezzo per riconciliarsi con sé stesso e con il suo mondo; ma solo dopo aver giudicato tutti quanti, come afferma: «Scrivendo ho giudicato me stesso, la mia famiglia e la società con la legge del diavolo che mi ha fatto capire, prematuramente, il senso dello sfruttamento e dell’oppressione […]» [9].

È vero che dietro ai suoi primi tentativi si celava un sottile desiderio di appartenere al ceto degli intellettuali marocchini per conquistare stima e rispetto [10]. Tuttavia, questo stesso desiderio si è trasformato in una necessità esistenziale e in un impegno per difendere i mondi subalterni, emarginati, a cui apparteneva. Era convinto che la scrittura “angelica” piacesse a tutti e divertisse ma, secondo lui, non portasse alcun cambiamento. In un articolo intitolato “Il mio concetto per la biografia picaresca” afferma che la vera scrittura era capace di svelare realtà nascoste – sconvolgenti e spiacevoli. In effetti, egli era completamente conscio che la sua produzione non potesse piacere ai governi arabi che, soprattutto in quel periodo, volevano costantemente mantenere l’ordine [11].

Effettivamente, sin dai suoi primi racconti, la produzione letteraria di Shukri non è sempre stata la benvenuta, perché parlava eccessivamente di sessualità mentre descriveva la realtà marocchina in cui viveva. Già ne 1976, cercando di pubblicare il racconto La tenda si era scontrato con un rifiuto perché conteneva scene erotiche. Il racconto è stato in seguito pubblicato sulla rivista Al-ʾaqlām (Le penne), ma soltanto dopo averne eliminato una parte, dato che non si potevano pubblicare tali contenuti – immorali – su una rivista [12].

md22446992240La scrittura di Shukri si caratterizza per uno stile diretto, da fotografo, che non lascia perdere alcun dettaglio quando descrive e riporta realtà scioccanti, vissute di persona. Perciò, gli editori esitavano a investire nei suoi scritti ed egli quindi era costretto a pubblicarli a carico suo, come è stato il caso del suo primo romanzo autobiografico Il pane nudo. Il che ha stupito molti intellettuali: «come mai non ha trovato un solo editore che abbia avuto il coraggio e l’audacia di pubblicare questo libro dove la verità di un vissuto è sovversiva e rivoluzionaria», s’è chiesto, per esempio, lo scrittore Tahar Ben Jelloun nella sua introduzione alla traduzione francese dell’autobiografia di Shukri, per accusare non solo gli editori ma tutto un modo di pensare aggiungendo: «La censura è ormai installata nelle mentalità» [13].

La censura delle opere di Shukri è legata a un contesto storico particolare. In Marocco, la lotta per l’indipendenza contro il colonizzatore francese era accanita e il Paese cercava di unirsi. Non era accettato alcun tentativo di rimessa in questione di un qualsiasi aspetto della cultura marocchina, basti ricordare come è stato accolto Le passé simple di Driss Chraibi negli anni Cinquanta. Il contesto in cui è nato il romanzo marocchino in generale, inoltre, sia in arabo che in francese – spiega Fātiḥah al-Ṭāyb nel volume La traduzione nell’era dell’Altro – giustifica la reazione fortemente negativa del lettore marocchino contro ogni produzione che sembrava non servire la causa nazionale, oppure criticare la cultura locale. Dunque quest’area “conformista” ha potuto orientare la critica letteraria – ancora all’inizio – verso la restrizione della libertà della creazione rendendo la censura un atto normale e consueto [14].

31448La censura dell’autobiografia di Shukri

Con la pubblicazione de Il pane nudo un sogno a lungo soffocato sembrava realizzarsi. In una lettera a Shukri dell’aprile 1982, Mohamed Berrada – noto critico e letterato marocchino – descriveva le sue sensazioni sulla autobiografia del suo amico: «Sono stato ieri alla casa editrice e ho visto le copie de Il pane nudo impilate, non potevo crederci: il nostro sogno sta per realizzarsi e la tua autobiografia sarà nelle mani degli studenti, dei giovani, dei vecchi per avvicinarli alla vita di gran parte di quelli che incontrano per strada, senza curarsi della loro miseria, della loro solitudine o della loro deprivazione» [15].

L’autobiografia di Shukri era, quindi, portavoce di tutta una categoria di persone che viveva all’ombra e ai margini della società, senza che nessuno restasse loro attenzione. Barrada, che ha sempre sostenuto e incoraggiato Shukri nella sua esperienza di scrittura, esprimeva perciò la sua felicità nel vedere il libro nella sua forma cartacea, perché finalmente i lettori avrebbero avuto un’idea di quel mondo che gli era molto vicino, ma al contempo completamente lontano. Anzi, egli era molto ottimista e si aspettava che ci sarebbero state delle edizioni successive del libro che sarebbe andato presto esaurito sul mercato [16].

s-l1600Ma contrariamente alle sue aspettative, dopo la vendita di qualche centinaio di copie, il libro è stato censurato e tutte le copie rimaste sono state ritirate dalle librerie prima in Marocco, poi negli altri Paesi arabi. Effettivamente, in Egitto questo libro ha suscitato uno scandalo di cui ha sofferto Samia Mehriz che insegnava un corso di letteratura araba all’Università Americana del Cairo. Quando i genitori hanno scoperto che i loro figli – studenti di Mehriz – dovevano leggere Il pane nudo, hanno subito attaccato la professoressa accusandola di aver dato ai loro figli contenuti “pornografici” che avrebbero nuociuto alla loro moralità. Dopo un acceso dibattito – tra i difensori della professoressa contro ogni controllo patriarcale, dell’autonomia dell’università in quanto istituzione liberale, e coloro che vedevano nel libro la trasgressione di tutte le norme sociali, morali, religiose e anche letterarie – il libro, infine, è stato ritirato e censurato anche in Egitto per decisione parlamentare [17].

L’opposizione alla “novità scioccante” apportata da Shukri alla letteratura araba era anche violenta e aggressiva come nel caso dell’Iran dove l’ayatollah Khomeini ha giudicato che Shukri non poteva più essere un musulmano, anzi doveva essere condannato a morte [18]. Di conseguenza l’opera  ha dovuto aspettare dieci anni per riapparire nuovamente alla fiera del libro di Casablanca nel 2000, dove l’accoglienza è stata completamente diversa. Anzi, grazie alla censura Il pane nudo è diventato il libro più letto non soltanto in Marocco ma in tutto il mondo arabo. La scrittura di Shukri veniva rivalutata alla luce di nuovi approcci letterari (strutturali e psicologici in particolare) che attribuivano più flessibilità al concetto sociologico rigido, che non prendeva in considerazione i vari aspetti dell’opera letteraria.

Si è scoperto, dunque, il vero valore aggiunto della scrittura di Shukri, la quale coincideva, secondo Fātiḥah al-Ṭāyb, con quella produzione dell’avanguardia degli anni Settanta che cercava di rivedere e rinnovare il concetto della scrittura narrativa in Marocco. Da questo punto di vista Shukri ha svolto un ruolo importante nella liberazione della critica letteraria dalla dominazione di rigidi presupposti ideologici. Molti intellettuali – particolarmente in ambito accademico, incuriositi a causa della censura – hanno scelto di studiare le opere di Shukri applicando nuove prospettive teoriche, più estetiche e sempre meno ideologiche, soprattutto quando viene adottato il famoso scritto di Philippe Lejeune Il patto autobiografico. In questo modo, la scrittura ribelle di Shukri viene rivalutata e riletta nuovamente [19], senza staccarsi, tuttavia, dalla persona e dalla vita del suo autore.

71iknj0qu7l-_ac_uf10001000_ql80_dpweblab_Un caso umano vs un caso letterario

Quando si parla di Shukri, in gran parte della sua produzione narrativa, si deve tener conto che non si tratta soltanto di uno scrittore ma anche di un vero “caso umano”, per dirla con le parole di Isabella Camera D’Afflitto. È una persona che ha trascorso una vita piena di sofferenze e di umiliazioni, soprattutto durante l’infanzia, quando ha dovuto scoprire la città [20], la Tangeri internazionale e cosmopolita, nel periodo del protettorato francese e la dominazione spagnola al sud e al nord del Paese in particolare.

Sin da piccolo Shukri era costretto a frequentare i bassifondi e adattarsi ai loro ritmi per poter sopravvivere. Allora, invece di andare a scuola e godere dell’affetto e del calore familiare, si è trovato solo a far fronte a una vita spietata e vagabonda per i vicoli, i grandi suq, e al porto della grande città marittima. Egli, infatti, rappresenta l’esempio del «bambino marocchino di quest’area emarginata [che] diventa uomo fatto nel comportamento e nei lineamenti anche se ha ancora sei o sette anni» [21], afferma lo scrittore stesso.

Da quest’ottica, si può ritenere la sua narrazione – soprattutto nella sua autobiografia – una testimonianza di un tempo di estrema degradazione sociale e morale, più che un caso letterario: è quasi «un libro-denuncia» [22]. Egli stesso ne era un prodotto, una vittima e un testimone. Afferma: «Ritengo tutto quello che ho scritto nella mia autobiografia non sia una letteratura, piuttosto è un documento sociale di un certo periodo le cui ripercussioni negative stanno ancora devastando la nostra società» [23].

44822818La sua esperienza letteraria è maturata pian piano con la pratica – stilisticamente parlando – ma le prime opere erano troppo realistiche e si caratterizzavano per uno stile fotografico molto diretto. È la prima volta nella letteratura araba contemporanea che si parla della realtà con un’audacia simile. In quasi tutti i suoi scritti, regna un mondo di violenze e di umiliazioni. «È naturale per chi ha passato una vita così violenta come quella dello scrittore cresciuto all’ombra di un padre assassino, in mezzo a relitti umani, parlare e scrivere sulla violenza che lo ha segnato per tutta la vita» [24], afferma Camera D’Afflitto. Le tracce di forte violenza – attinta dai suoi ricordi e fatti vissuti – non mancano nelle pagine delle sue opere: «Passai la notte così, praticamente seduto, per la paura di essere violentato… Nel cuore della notte sentii un liquido caldo e giallastro inzupparmi. Bestemmiai contro il mondo intero, mentre la giumenta continuava, a brevi intervalli, a pisciare» (Il pane nudo: 101).

Lo stesso vale quando evoca le esperienze altrui, con cui era a stretto contatto: sono tutte persone “notturne”, come gli piaceva chiamarle. Egli le distingueva dalle persone “diurne” che si ritengono normali rispetto agli standard della società. Nella categoria notturna sono inclusi anche i pazzi come Maymun nel racconto intitolato Violenza sulla spiaggia. Maymun è trattato da tutti in modo disumano al punto che egli stesso diventa violento:

«Il maledetto [dice Maymun]. Mi insulta. Io so che cosa farò a questi camerieri. Voglio che tu sia presente per vedere – (immaginando di impugnare una spada) –. Li colpirò così. Non risparmierò nessuno di loro – (continuava a colpirli) –. Dopodiché, non mi importa se dovrò sparire, lascerò loro questa piazza» (ivi: 9-10).

20180722_134409-02907278162823237003-scaledRitrovare la libertà grazie alla traduzione

Il ruolo della traduzione nel liberare la voce dell’autore soprattutto nel suo primo scritto è stato molto importante, sebbene con effetto posteriore. Effettivamente, quando il libro è stato pubblicato in arabo nel 1983, erano già apparse tre traduzioni: inglese, francese e spagnola. Shukri non vedeva l’ora di pubblicare un suo libro, non gli importava tanto la lingua in cui sarebbe stato scritto. Perciò, nell’estate del 1971 non appena l’editore inglese Peter Owen gli propose di pubblicare la sua autobiografia quando ancora non si parlava di censura o di difficoltà di pubblicare il manoscritto – Paul Bowles gli aveva già raccontato dell’infanzia difficile di Shukri – egli non esitò ad accettare.

La prima versione pubblicata, quindi, è stata quella inglese For Bread Alone nel 1972, molto prima della censura del testo in arabo (1983). Anche se non si può ritenere il lavoro di Bowles una vera e propria traduzione, piuttosto una “riscrittura” [25] in inglese. Il vantaggio di questa “traduzione” stava proprio nel far conoscere Shukri a livello internazionale al punto da spingere il grande scrittore francofono Tahar Ben Jelloun a tradurre l’autobiografia di Shukri direttamente dal manoscritto in arabo.

La traduzione francese pubblicata dalla casa editrice Francois Maspéro è stata la chiave della libertà di Shukri mentre veniva censurato. Subito dopo questa pubblicazione, infatti, Shukri è stato ospitato da diverse trasmissioni letterarie in Francia tra cui la nota “Apostrophes” diretta da Bernard Pivot; e la critica francese gli ha dedicato numerosi articoli [26]. Dopo la censura in Marocco, le traduzioni (verso 40 lingue circa) sono state fatte principalmente dall’inglese e dal francese (l’edizione italiana del 1989 a esempio è stata fatta dal francese). Questa diffusione del libro di Shukri ha influenzato gli intellettuali marocchini che hanno esercitato una pressione affinché Il pane nudo fosse liberato dalla censura e finalmente diffuso nella sua versione originaria. Questa battaglia è durata quasi dieci anni prima che si potesse trovare questo libro in libreria, e prima che lo stesso Shukri riprendesse a scrivere.

Quando ha ripreso a scrivere nel 1992, Shukri era più forte perché protetto dal potere della scrittura. Era famoso e nessuno gli avrebbe potuto togliere il diritto di esprimersi, di criticare e di denunciare aspetti negativi della società. Si era reso conto, infine, che la scrittura, non era solo un privilegio che porta alla celebrità ma, avrebbe anche potuto svolgere una funzione di denuncia contro gli abusi commessi verso la classe sociale oppressa a cui apparteneva [27]

186L’analisi contrastiva di “Soco Chico” [28]

Soco Chico è la seconda pubblicazione di Mohamed Shukri [29]. Anche questo scritto è stato colpito dalla censura. Dopo esser stato bloccato per quasi cinque anni [30] è uscito nelle librerie di Casablanca nel 1985, anche questa volta pubblicato in proprio dell’autore. Dopo aver narrato la sua infanzia e la sua adolescenza, Shukri ha fatto di Soco Chico uno specchio del suo stato coevo, proseguendo nella scrittura della sua autobiografia. Vi descrive, infatti, la crisi esistenziale che l’aveva spinto a licenziarsi dal suo lavoro a scuola per tornare a vagabondare con un gruppo di hippy stranieri.

In Soco Chico lo scrittore mantiene lo stesso stile e la stessa audacia nel riportare eventi e stati d’animo. Ha cercato di farne «una vecchia fotografia in bianco e nero, scattata nella prima metà degli anni Settanta e raffigurante una foto di gruppo» [31]. Un ritratto di cui Toni Maraini – nella presentazione alla traduzione italiana – ci ha fatto una dettagliata descrizione riassumendo i punti essenziali del romanzo.

Il mio interesse per Soco Chico ha due ragioni. Innanzitutto, mentre Il pane nudo, tradotto in 40 lingue è stato oggetto di innumerevoli studi, alle traduzioni di Soco Chico non è stato dedicato nessun studio – a mia conoscenza – almeno in italiano. Ho scelto di studiare proprio questo romanzo perché la sua traduzione italiana è condotta direttamente dal testo arabo, mentre Il pane nudo è stato tradotto in italiano dalla traduzione francese di Tahar Ben Jelloun, e la traduzione è stata molto criticata [32].

Ho scelto, inoltre, di analizzare il fenomeno di (auto)censura nelle traduzioni italiana e francese mettendole in confronto con il testo originale, allo scopo di paragonare le prestazioni e le scelte del traduttore arabo/marocchino con quelle della traduttrice italiana/ europea per verificare se l’appartenza o meno alla cultura dello scrittore avesse orientato le strategie traduttive scelte.

La traduzione italiana:

«Un ragazzo si è sfilato la scarpa e si è messo a picchiare il cane sul muso. […]. Un uomo ha esclamato ridendo: « Dagli un altro colpo, così si alza e se ne va da qui, oppure no, ammazzalo e facciamola finita ».
Infuriata, una straniera ha gridato in inglese:                                                                                                   
« Smettila! Perché lo picchi così? Che ti ha fatto questa povera bestia? ».                                                           
 Il giovane marocchino, che continuava ad accanirsi contro l’animale, le ha spiegato:
 « Morde, madame. Questo figlio di putana morde ». La donna non ha capito una parola. Il ragazzo si è rimesso la scarpa senza smettere di gridare +++[33], rivolto a chi gli stava attorno:
 Figlio di putana! Perfino lui ha chi lo difende. Viviamo in un’epoca dei cani”  […] » (ivi:22)

La traduzione francese:

Un jeune homme enlève son soulier, vise le museau du chien et le lui lance. […].
-   Frappe-le encore pour qu’il se lève et se débine. Ou cogne-le à mort, décide un homme, rigolard.
Une femme étrangère intervient avec fureur, en anglais:
-   Assez! Qu’est-ce qu’il vous a donc fait, ce pauvre animal, pour mériter ces coups?
Tout en continuant à taper de temps en temps sur le chien, le jeune homme XXX explique:
-   Il mord, madame. Il mord, ce fils de pute! 
Comme la femme ne comprend pas, il ramasse son soulier et s’adresse à la foule:
-   Ce fils de pute! Lui aussi, il a des protecteurs! On vit une époque de chiens. […] ! (Ivi: 10-11) .

Il testo di partenza:

خلع شاب فردة حذائه وضرب بها وجه الكلب. […]. صرخ شخص ضاحكا:
-   أعطه ضربة أخرى كي ينهض ويذهب من هنا أو اضربه حتى يموت.
غاضبة صاحت إمرأة بالأنجليزية:
-   كفى! لماذا تضربه هكذا؟ ماذا فعل لك الحيوان المسكين؟
قال لها الشاب المغربي الذي يضرب الكلب بين لحظة وأخرى:
-   إنه يعض يا مدام. ولد القحبة يعض.
لم تفهم شيئاً. احتدى الشاب فردته. قال لمن حوله:
-   ولد القحبة حتى هو عنده من يحميه، إننا نعيش عصر الكلاب. […] .9

Dato il carattere internazionale che caratterizzava la Tangeri cosmopolita all’epoca di Shukri, gli occidentali di varie nazionalità facevano ormai parte del tessuto sociale della città – “paradiso artificiale” per tanti di loro. L’unica differenza era che essi occupavano la parte moderna e ricca della città, mentre gran parte dei tangerini viveva in condizioni miserabili nella vecchia medina.

41oit8msslPertanto, in una scena dove il dialogo è lo scambio tra un marocchino e una straniera, gli aggettivi di nazionalità diventano molto importanti. Non soltanto per poter identificare ciascun parlante, ma anche per mettere in rilievo la diversità di comportamento di ognuno di loro. Così si mette l’Io/il marocchino in confronto con l’Altro/lo straniero. L’Io che riflette la parte degradante di Tangeri e l’Altro che rispecchia la parte “mitica” della stessa città, secondo l’espressione di Toni Maraini. L’estratto ci esemplifica questa situazione paradossale: il giovane marocchino manifesta un comportamento non solo maleducato, ma anche disumano contro l’animale (il cane) picchiandolo; mentre la straniera inglese lo difende incarnando un comportamento civile e umano.

In questa scena Shukri disegna l’immagine di una parte della società tangerina /marocchina: quella categoria che viveva nella violenza. Il traduttore marocchino ha scelto di togliere/cancellare l’aggettivo di nazionalità “marocchino” contribuendo ad attenuare la recezione di questa verità. A mio parere, è una scelta strategica molto funzionale: sostituire “marocain” con “homme” per ottenere l’espressione francese “jeune homme”, che indica un adolescente o un adulto molto giovane [34], ma in ogni caso non maturo. Il che potrebbe spiegare l’azione del giovane come maleducazione più che come segno di una violenza subita dalla società e di un’umiliazione interiorizzata fino a diventare una convinzione «viviamo in un’epoca dei cani». Tuttavia, con l’omissione di “marocchino” si nasconde il contrasto tra “Io” e “Altro” che sta al centro della vita tangerina e della trama del romanzo stesso (Io-Ali/Altro-hippy). Il che porta a una generalizzazione dell’atteggiamento del giovane, tanto che l’atto di colpire il cane è condiviso e accettato dall’uomo che ha parlato in nome della folla incoraggiandolo perfino a uccidere la bestia.

La traduttrice italiana, invece, pur se ha scelto di mantenere quest’aggettivo, ha cercato di accentuare l’atteggiamento violento / negativo del giovane marocchino. Ella infatti aggiunge «senza smettere di gridare». Quest’espressione aumenta la sensazione di un comportamento maleducato e non solo violento e lascia intuire una disapprovazione contro questo atteggiamento e una compassione da parte sua nei confronti dell’animale.

Un altro esempio, che mette in evidenza la precarietà economica e sociale, di cui i bambini / ragazzi sono le prime vittime.

La traduzione italiana:

«Dov’è il pane e marmellata che ti avevo chiesto?» ha gridato a un tratto +++ a un ragazzo che si affannava davanti ai fornelli +++.
Il sudore scorreva sul viso del ragazzo. Le labbra carnose avevano un’espressione di stanchezza.
«Non vedi che mi sto ammazzando di fatica +++ ?» ha risposto stizzito. «Lavoro più di quanto dovrei. Lavoro più di te, io» (ivi:56).

La traduzione francese:

Et il hurle pour répéter les commandes aux commis derrière le comptoir.
-     Alors +++ ! Elle vient cette tartine?
Le jeune commis est gros et lippu, il transpire et dégouline.
-    Tu vois pas que je travaille, non? Tu le vois peut être pas mais +++ je bosse plus que toi, mon vieux +++ ! (ivi: 56-57).

Il testo di partenza:

قال للصبي وراء الحاجز:
-   أين الرغيف بالمربى الذي طلبت؟
العرق يسيل على وجه الصبي البدين. شفتاه غليظتان، متعبتان.
قال الصبي بعصبية:
-         ألا ترى؟ إنني أشتغل أكثر من اللازم. أشتغل أكثر منك. (ص. 57)

imagesNella scrittura di Shukri, c’è una critica diretta e una denuncia della situazione marginale in cui versava gran parte della popolazione marocchina a causa della povertà e dell’ignoranza. In questo esempio Shukri mette in evidenza il caso dei ragazzi che si trovano costretti a lavorare invece di andare a scuola e godere del diritto allo studio e alla spensieratezza, come è accaduto a Shukri stesso che ha dovuto lavorare sin da piccolo [35].

La traduttrice italiana non si è limitata a riportare quest’immagine come tale, ma ha preferito aggiungere un’espressione che intensifica la sofferenza del ragazzo: «si affannava», cambiando “dietro il bancone” (del caffè) con “davanti ai fornelli”. Ha aggiunto anche la locuzione avverbiale “a un tratto” che interrompe l’andamento degli avvenimenti, oltre ad avere un effetto psicologico negativo generato dalla sorpresa. Ha inserito anche l’espressione forte “mi sto ammazzando di fatica” per dare la sensazione di chi «sfacchina tanto da perdere la salute» [36]. Il che potrebbe coinvolgere il lettore italiano soprattutto quando legata alla forma indeterminativa “un ragazzo”, che permette di generalizzare l’esperienza descritta.

Quanto al traduttore marocchino/arabo, ha cercato di rendere il dialogo il più colloquiale possibile, aggiungendo anch’egli espressioni e cambiandone altre perché si adattassero e rispecchiassero il livello sociale dei parlanti, anche se Shukri – proprio in questo brano – si è dimostrato molto neutro e non ha messo l’accento su nessun dettaglio particolare. Il traduttore ha scelto di tradurre “ṣabī” (صبي) con “commis”, che porta già in sé il significato di un servitore o un impiegato modesto. Ha utilizzato “tu vois pas peut être”, “j’ai jamais dit” troncando la struttura francese della negazione con l’eliminazione della particella “ne” prima del verbo. E, per aumentare il grado di familiarità del discorso, ha inserito espressioni come “je bosse”, “mon vieux”, “Elle vient la tartine”. In tal modo il traduttore ha avvicinato il testo al lettore francese più del necessario dato che la situazione non lo richiede.

Shukri trovava difficoltà a pubblicare i suoi scritti prevalentemente perché descrive minuziosamente scene sessuali. Nel tradurle i traduttori hanno fatto scelte traduttive diverse; ma entrambi oscillano sempre tra l’omissione e l’inclusione di qualche espressione rispetto al testo originale. Questa “manipolazione” dipende dalle loro posizioni circa l’atteggiamento sessuale e da cosa vogliono trasmettere a chi legge. Ecco, alcuni esempi.

La traduzione italiana:

«Le versavo il vino tra i seni che lei stringeva come poppe +++ tra le mani. Io lo bevevo e mi divertivo a vederglielo scivolare giù tra le cosce +++» (ivi:54).

La traduzione francese:

«Je fais couler du vin entre ses seins qu’elle ramasse de ses deux mains. Je bois en suivant le cour du ruisseau» (ivi: 53).

Il testo di partenza:

أصب الخمرة بين نهديها المضمومتين XXX بيديها. أشرب ثم أتبع مسار الساقية XXXX. 52

Davanti a questa scena il traduttore marocchino ha scelto di tradurre “letteralmente” la descrizione fatta dal narratore, mentre la traduttrice italiana ha reso la scena più “erotica”. Effettivamente, Avino ha aggiunto una frase intera. Di solito, l’uso di un paragone serve a chiarire un concetto facendo una similitudine con un altro concetto ben noto per chi legge. Il problema è che il contesto è già chiaro e non necessita spiegazioni ulteriori. Inoltre, parafrasando le parole del narratore, la traduttrice ha trovato più spazio per coinvolgere il lettore: “mi divertivo a vederglielo scivolare giù tra le cosce”. Si è servita di una sorta di “disfemismo” che può incuriosire il lettore inserendo “tra le cosce”, per non nominare direttamente la parte del corpo intesa.

 La traduzione italiana:

«Ieri ho fatto l’amore con Karin e oggi forse lo farò con Eva, o forse con entrambe» (ivi: 58). 

La traduzione francese: 

«La nuit dernière, j’ai fait l’amour avec Karine. Cette nuit, je coucherai peut-être avec Eva, XXX».

Il testo di partenza:

أمس نمت مع كارين واليوم ربما سأنام مع إيفا أو معهما معا. (ص. 59)

In questo esempio la traduttrice italiana ha tradotto “alla lettera” il discorso del narratore, mentre il traduttore arabo ne ha tolto una parte. L’espressione “o forse con entrambe” non è strana in questo romanzo nel quale si descrivono dettagliatamente scene in cui si fa l’amore in ammucchiata. 

Mohammed cro

Mohammed Choukri

Conclusione

Tirando le somme possiamo concludere con le parole del famoso teorico della traduzione André Lefevere: «Nobody ever speaks or writes in complete freedom, at least if they want to be listened to, read and understood»[37]. Allora non esiste una completa libertà scrivendo o anche riscrivendo – nel caso del traduttore – purché si finge di essere liberi.

Analizzare il fenomeno della (auto)censura in una traduzione ci consente di scoprire i limiti della libertà che viene concessa al traduttore in un dato sistema culturale, in una data epoca storica. Chi traduce, infatti, è sempre stato soggetto al controllo dei vari organismi del potere; anzi è il potere a manipolare l’attività di traduzione stessa – se non globalmente almeno in parte. Proprio quest’idea che viene sottolineata nel capitolo intitolato “Translators and the reins of power” nel Translators through History:

«Power initiates translation, or at least controls it. Translators may find themselves smitten with the beauty of a certain text, particularly if it is a literary text. Even if they are moved to transpose that text into their own language, they will find that they seldom have full control over the outcome. If their work is to have any impact at all, they will still have to persuade an institution of power – if only a publishing house, or an editor of a literary journal – to disseminate the translation» [38]. 

Il processo di autocensura, in particolare, non è sempre il risultato di una pressione esterna, in molti casi è legato al soggetto traducente stesso. Infatti, dall’analisi effettuata in questo studio è emerso che il traduttore potrebbe attenuare o intensificare alcuni concetti secondo i propri principi morali, ideologici, culturali, ecc. (che possono essere anche quelli dell’editore). La scrittura di Mohamed Shukri ci offre un esempio molto utile, soprattutto quando si tratta di sessualità, aspetto intrinseco della sua produzione letteraria. Allora quando si eliminano termini sessuali o se ne aggiungono altri, in traduzione, ciò rivela – come sottolinea José Santaemilia – molto spesso una personale attitudine del traduttore di fronte ai comportamenti sessuali e alle loro verbalizzazioni. Egli afferma: «The translator basically transfers into his/her rewriting the level of acceptability or respectability he/she accords to certain sex-related words or phrases» [39].

Parlare di autocensura legata a una pressione diretta – nei casi studiati – è molto improbabile, perché entrambe le traduzioni sono state effettuate da traduttori che vivono in Europa e edite da case editrici europee. Gli estratti analizzati sono soltanto degli esempi, tuttavia molto rappresentativi. La “manipolazione” dei traduttori nel testo di partenza oscilla – come abbiamo costatato – tra l’omissione e l’aggiunta di elementi funzionali alla ricezione culturale della produzione di Shukri.

È più probabile l’idea dell’influenza della personalità del traduttore stesso nell’orientare l’operazione della traduzione secondo le sue attitudini verso la cultura araba. Il traduttore arabo, pur traducendo per un pubblico francese – inclusi anche tutti i francofoni tra cui l’élite marocchina – ha dimostrato una riservatezza circa l’immagine socioculturale del marocchino, rimanendo legato allo stile e alle tematiche di Shukri. La traduttrice italiana, invece, ha fatto udire la voce di Mohamed Shukri in Italia traducendo direttamente dall’arabo il suo Soco Chico, confermando il mondo di cui narra lo stesso autore, aggiungendo alcuni dettagli per rispondere alle aspettative del lettore italiano /europeo.

Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024 
Note
[1] Il nome dell’autore sarà scritto in tre modi un po’ diversi a seconda di come riportato nei testi consultati: Mohamed Choukri (il più usato, soprattutto in lingua francese), Muhammad Shukri (uso più semplificato particolarmente in italiano) e Muḥammad Šukrī (trascrizione scientifica).
[2] Muḥammad Šukrī, Mafhūmī lī al-sīra al-šuṭārya (La mia percezione della biografia picaresca), in al-Ādāb, n. 2-3, 1980: 111.
[3] Muḥammad Barrāda, Muḥammad Šukrī, Ward wa ramād (Rose e cenere: lettere), Matbaʿat Dār al-Manāhil, al-Ribāt, 2000: 39.
[4] ʿAbduh Wāzin, Muḥammad Šukrī yarḥal tārikan adab al-faḍīḥa (Muḥammad Šukrī è partito lasciando una letteratura scandalosa), in Maǧarra, n. 7, 2003: 56.
[5] Secondo Fātiḥah al-Ṭāyb, il personaggio centrale nel romanzo picaresco marocchino si caratterizza per la profonda consapevolezza delle sue origini e per non cercare di appartenere al ceto borghese – come fa il picaro spagnolo – sebbene i suoi sforzi per vincere le innumerevoli difficoltà affrontate. Di più, non percepisce il suo passato in quanto un peccato per il quale ci vuole un ‘indulgenza’. Anzi, il picaro marocchino è totalmente cosciente che dietro tutto quello che ha vissuto stanno ragioni tangibili legate al periodo storico in cui vive.
[6] Saʿīdah Šarīf, Muḥammad Šukrī: Kātib al-maḥẓūrāt alla-ḏī aʿāda li al-hāmiš alaqahu (Mohamed Shukri: Scrittore di tabù che ha ridato al margine il suo bagliore), in ʿĀlam al-kitāb, n. 34, giugno 2019: 45.
[7] Muḥammad Barrādah,  Muḥammad Šukrī, Ward wa ramād, op. cit.: 21.
[8] Quando ha cominciato a studiare nel 1956 frequentò la scuola elementare a Larache, diventando poi egli stesso un maestro.
[9] Muḥammad Šukrī, Mafhūmī li al-sīrah al-šuṭāryah, ibidem.
[10] Mohamed Alouta, Choukri Mohamed: La géographie secrète de Tanger (Intervista), in: Horizons Maghrébins – Le droit à la mémoire, N°31-32, 1996: 163.
[11] Muḥammad Šukrī, Mafhūmī li al-sīrah al-šuṭāryah, ibidem.
[12] ʿAbd al-Raḥmān Maǧīd al-Rabīʿī, Muʿalim Muḥammad Šukrī yataḥaddaṯ ʿanhu (Il maestro di Muḥammad Šukrī parla di sé), in Afkār, n. 294, 2013 : 125.
[13] Tahar Ben Jelloun, préface de Le Pain nu, Éditions François Maspero, Paris, 1980: 8.
[14] Fātiḥah al-Ṭāyb, at-tarǧamah fi zaman al-āḫar, op. cit,: 63.
[15] Muḥammad Barrādah,  Muḥammad Šukrī, Ward wa ramād, op. cit.: 56.
[16] Ibidem.
[17] Ettobi Mustapha, Traduire la culture arabe en anglais et en français: Al-Khubz Al-hafi de Mohamed Choukri traduit par Paul Bowlse et Tahar Ben Jelloun (étude traductologique), Mémoire présenté en 2004 au département d’études françaises, Université Concordia Montréal, Québec, Canada:18.
[18] Muḥammad ʿAz Dīn al-Tāzī, Faḍāʾ al-hāmiš fī riwāyat Al-sūq al-dākhilī li Muḥammad Šukrī, in Āfāq, n. 77-78, 2010: 63.
[19] Fātiḥah al-Ṭāyb, At-tarǧama fi zaman al-āḫar, op. cit: 66.
[20] Negli anni Quaranta lo scrittore ha dovuto – insieme alla sua famiglia – lasciare il Paese di origine (Ben Chikr) nel Rif del Marocco per sfuggire alla fame e trasferirsi a Tangeri. Il padre, inseguito, venne arrestato per non aver voluto unirsi alle truppe spagnole nella guerra civile. Così Shukri si è trovato da solo in balia del destino. Si veda: Muḥammad Barrādah, Taqdīm Majnūn al-Ward (presentazione de Il folle delle rose) di Muḥammad Šukrī, Āfāq al-kitāba, al-Qāhira (seconda edizione), 1997: 7.
[21] Muḥammad Šukrī, Mafhūmī li al-sīrah al-šuṭāryah, ibidem.
[22] Isabella Camera D’Afflitto, Il pane nudo di Mohamed Choukri: recensione, in Africa, Anno 45, No. 1 (Marzo 1990): 165.
[23] Muḥammad Šukrī, Mafhūmī li al-sīrah al-šuṭāryah, ibidem.
[24] Isabella Camera D’Afflitto, Il pane nudo di Mohamed Choukri, ibidem.
[25] Ogni volta che Shukri scriveva in arabo qualche capitolo della sua autobiografia lo dettava inseguito a Bowles in spagnolo o in francese. Si veda: Muḥammad Šukrī, Hakaḏā aktub (Così scrivo), al-Maǧarra, n. 7, 2003: 74-75.
[26] ʿAbd al-Qādir al-Šāwī, Sulṭat al-wāqiʿiyya (Il potere del realismo), Manšūrāt ittiḥād al-kuttāb al-ʿarab, Dimašq, 1981: 272.
[27] Mohamed Alouta, Choukri Mohamed: La géographie secrète de Tanger, ibidem.
[28] In questa analisi adotto tre versioni:
- La traduzione italiana: Shukri Muhammad, Soco Chico, traduzione dall’arabo di Maria Avino, presentazione di Toni Maraini, Jouvence, Roma, 1997.
- La traduzione francese: Choukri Mohamed, Zoco chico, traduit de l’arabe par Mohamed El Ghoulabzouri, D. Devillez éditeur, Bruxelles, 1996.
-  L’originale arabo: Šukrī Muḥammad, Al-Sūq al-daḫilī (Il mercato interno), Manšūrāt al-ǧamal, Almānya, 2006 (seconda edizione).
[29] È l’unico romanzo che assimila le caratteristiche del genere romanzesco. Lo scrittore stesso l’ho ha dichiarato romanzo e non autobiografia.
[30] Soco Chico era pronto a esser pubblicato in lingua araba dal 1980 e a causa della censura del primo romanzo autobiografico nessun editore osava pubblicare un altro scritto di Shukri.
[31] «In primo piano c’è il protagonista, ‘Ali, insegnante scosso da una crisi esistenziale e (ri) approdato da Larashe a Tangeri per un breve periodo di vacanza; appena seduto, egli già sembra in procinto di rimettersi in cammino. Dietro di lui (e come lui seduti al caffè Central di Soco Chico) un gruppo indistinto di donne, ragazze e uomini. Degli occidentali? Proprio così. A venir documentata è la loro presenza di hippy, prevalentemente anglosassoni, arrivati a Tangeri in cerca di un paradiso ormai logoro e agonizzante. Con laconica efficacia Shukri ne descrive il velleitario, narcisistico, confuso ed epidermico vagare in una città e un paese che essi non capiscono e non conoscono, né vogliono conoscere, ma soltanto usare come scenario di cartapesta per una sordida favola di bambini capricciosi. Soggiogato dalla loro apparente libertà (di vagare, fumare, bere, drogarsi, fare l’amore in partouses di gruppo), e membro effimero e pittoresco di questo gruppo di hippy, ‘Ali si lascerà trascinare da uno di loro in una rocambolesca e sordida avventura di rapina, assassino e morte. L’avventura si conclude male» (Soco Chico: 9).
[32] Si vedano, per esempio, le osservazioni di Isabella Camera D’Afflitto alla traduzione di Mario Fortunato: Isabella Camera d’Afflitto, Il pane nudo di Mohamed Choukri: recensione, op. cit.
[33] (+++) indica un’aggiunta rispetto al testo originale, mentre (xxx) ne indica una sottrazione.
[34] https://www.larousse.fr/dictionnaires/francais/jeune/44891
[35] Ha provato molteplici lavori ancora bambino: lustrascarpe, venditore di giornali e verdura, lava piatti nei ristoranti e nei bar, ha provato anche a rubare insieme a piccoli banditi, guida turistica, imitava le canzoni di Mohamed Abd al ‘Wahhab nei bar. (Si veda : Muḥammad Barrādah, Taqdīm “Majnūn al-Ward”, op. cit: 7).
[36] https://www.treccani.it/vocabolario/ammazzare/
[37] Citato in: Loreta Ulvydiene, Andreas Huber and Zivile Agurkyte, Communicative Anthropology, Relativism in Literature and Modes of Censorship in Translation, in Anthropologist, 25(3), (2016): 295.
[38] Jean Delisle, Judith Woodsworth (Edited and directed by), Translators through History, John Benjamins Publishing Company, Amsterdam/Philadelphia, 2012: 128.
[39] Santaemilia, J. (2008). The Translation of Sex-Related Language: The Danger(s) Of Self-Censorship(s). TTR, 21(2): 227.  https://doi.org/10.7202/037497ar

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Hanane El Bakkali, docente di lingua e letteratura italiana, ha ottenuto il dottorato di ricerca presso l’università Mohammed 5 di Rabat. Specializzata nella letteratura comparata, particolarmente negli studi della traduzione, si occupa di questioni relative allo scambio culturale e al dialogo tra le due sponde del Mediterraneo, specialmente tra Marocco e Italia. Ha partecipato a vari convegni internazionali. La sua ultima pubblicazione è stata nel 2022 sulla rivista specializzata in letteratura araba in Italia «ArabLit» con il titolo «Il prestito: un processo di acculturazione (esempi di letteratura araba tradotta in italiano)».

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