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Centro e periferia nell’orizzonte mediterraneo

Mappa delle rotte commmerciali disegnata da Martin Jan Mansson

Mappa delle rotte commerciali disegnata da Martin Jan Mansson

di Andrea Bagalà 

In un precedente articolo [1] ho trattato, brevemente e con umana dose di errori, la breve storia del Neoborbonismo, un fenomeno di revanscismo storico che, da qualche anno, ha impegnato accademici e dilettanti in un acceso dibattito sul Meridione al tempo dei Borbone. Non stupirà sapere che proprio i social network sono stati amplificatori di una retorica filoborbonica che ha spinto alcuni storici a fare chiarezza sulle ragioni, spesso legittime, paventate da cultori e ammiratori dei “primati” del Regno delle due Sicilie, vero motore ideologico dei neoborbonici. Al vaglio storiografico, però, come può essere immaginato, ciò che è rimasto non è altro che la rabbia per l’irrisolta questione meridionale, che è forse ciò che li ha spinti alla ricerca di un appiglio storico salvifico. Certo, grazie a loro è cresciuto l’interesse accademico per la storia industriale del Mezzogiorno d’Italia nel XVIII e XIX secolo ma, setacciata la crusca, pare che le curiosità degli storiografi della materia siano venute meno. E quindi? Rimane la questione meridionale. Atavica, annosa ma soprattutto irrisolta, dibattuta dai più illustri intellettuali dell’Italia post-risorgimentale e dai più recenti politologi d’ogni latitudine con risultati eterogenei. 

Una prospettiva geostorica del problema nella linea del tempo 

Una traccia che è stata poco battuta dai cultori del tema degli ultimi due secoli è quella storico-geografica, che se intrecciata con quella storico-politica suggerisce interessanti prospettive. In che senso geografica? Sia chiaro, innanzitutto, che il discorso tratta squisitamente il punto di vista occidentale e sarà breve, risultando forse approssimativo e generalista. L’obiettivo, però, è quello di far percepire il senso di periferia applicato al Mezzogiorno d’Italia su una lunga direttrice temporale. 

Consideriamo in una prospettiva lineare la storia dell’uomo dai tempi della Rift Valley – e quindi della comparsa progressiva dei Sapiens – al terzo millennio. Si provi a immaginare ora, dunque, quali regioni del mondo siano stati baricentro culturale, commerciale e politico nel corso di questi lunghi millenni e si consideri quante volte il Meridione d’Italia sia stato, per l’appunto di questo, centro o periferia. 

Archimede dirige le difese di Siracusa, di Thomas Ralph Spence, 1895

Archimede dirige le difese di Siracusa, di Thomas Ralph Spence, 1895

L’antichità mediterranea 

Ecco, si superi facilmente l’età della pietra, da quella paleolitica che ha donato al Sud i sorprendenti megaliti a Montalbano Elicona a quella del Neolitico che ha qualche espressione storica importante nel Mediterraneo italiano (dalle civiltà nuragiche a quelle dell’Appennino campano-lucano e senza tralasciare quelle siciliane). Si considerino, invece, i secoli delle civiltà mesopotamiche e mediterranee, a ridosso dei quali sorgono le città più antiche dello stivale italico: Cagliari, Palermo, Cuma, Reggio Calabria, Crotone e diverse altre. Certo, nessun popolo autoctono d’Italia è riuscito a creare un abitato modernamente “civile” alla stregua del resto del mondo occidentale del tempo, bisognerà aspettare gli Etruschi per questo. Però, indubbiamente, i commercianti fenici con i loro empori e i coloni greci d’origine cretese con la loro tradizione diedero avvio a un periodo fiorente nel meridione d’Europa e d’Italia sia sotto l’aspetto agronomico che manifatturiero.

Si pensi solamente ai maestosi paesaggi dei terrazzamenti vitivinicoli delle coste meridionali e i verdissimi territori degli uliveti tra il Cilento e la Bovesìa dell’Italia attuale, certamente frutto di un percorso lunghissimo degli agricoltori e contadini che ha origine proprio nella colonizzazione di cui si è appena detto. E proprio il sapere agronomico ha contribuito a traghettare il sud Italia dei popoli autoctoni verso un aumento demografico che ha avuto una grossa eco nel periodo della Magna Grecia. Gli abitanti delle poleis avevano un rapporto intrecciato con la chora, periferia agricola delle città, che foraggiava le tavole dei cittadini con una solidissima dieta già caratteristicamente mediterranea, fatta di grani, cereali, legumi della tradizione mesopotamica mediata dai Fenici e proteine animali nelle carni di bovini e capre, tutt’ora allevamenti tradizionali di quella parte della Calabria che ha vissuto la grecità anche nei lunghi secoli bizantini. 

A ogni modo, il Meridione del periodo greco è protagonista indiscusso del Mediterraneo centrale. Non può essere dimenticato, infatti, che poleis come Siracusa, Selinunte e Akragas abbiano giocato un ruolo fondamentale nel conflitto che in molti riconoscono come il più importante dell’antichità, la fase intermedia della Guerra del Peloponneso. Né può essere in tutta evidenza sottovalutato il contributo alla cultura occidentale di Archimede, Gorgia, Zenone, Zaleuco di Locri, Stesicoro, Ibico e centinaia di altre personalità nate, cresciute e vissute nei territori del meridione d’Italia. Detto ciò, il I millennio a.C. fu anche il periodo in cui nacque Roma e ciò cambiò per sempre il baricentro del Mediterraneo. 

Province romane di Mauretania Tingitana, Mauretania Caesariensis, oltre a Numidia ed Africa proconsolare (sopra), Tripolitania e Cerenaica (sotto).

Province romane di Mauretania Tingitana, Mauretania Caesariensis, oltre a Numidia ed Africa proconsolare (sopra), Tripolitania e Cirenaica (sotto).

Roma verso Sud 

Proprio la spaventosa crescita dell’Urbe e il contestuale declino del potere delle poleis greche della madrepatria (a causa di Persiani e Macedoni) segnò un indebolimento politico del Meridione. Casualmente, poi, fu proprio un greco a dare avvio alla lenta provincializzazione dell’area tirrenica e ionica d’Italia. La maldestra guerra condotta dal re epirota Pirro accorso in aiuto dei tarantini, infatti, diede l’occasione ai Romani di conoscere e poi conquistare i territori tra il Tavoliere delle Puglie e l’Aspromonte, e che portò i romani ad imporsi in quella che fu la Magna Grecia grazie alle celebri vittorie della Prima e Seconda guerra punica. È il III secolo a.C., la Calabria diventa il patrimonio boschivo romano (fondamentale per la costruzione della flotta navale, punto debole dell’esercito) e Sicilia e Sardegna prime province ufficiali dell’Urbe [2].

A questo punto, le espansioni militari romane si avviano verso quel processo che porterà Roma, nel giro di cinque secoli, ad avere l’egemonia politica e sociale dai territori occidentali della Betica fino all’Anatolia, così come dalla Lybia (l’antico Nordafrica) fino alla Bretagna, trattenendosi sempre cautelarmente distante dai territori oltre Reno. Il baricentro è sempre Roma e il Meridione d’Italia gode di ottima salute, considerato che rappresenta uno snodo portuale fondamentale per i granai africani, che foraggiano l’impero ma soprattutto l’Urbe.

Le cose cambiano e cominciano a farlo con il processo storico che porterà alle migrazioni barbariche di IV e V secolo d.C. La scelta di suddividere l’impero in quattro parti (il periodo della tetrarchia dioclezianea) e di istituire quattro nuove capitali, compromise per sempre l’importanza politica di Roma e, conseguentemente, dei territori del Sud Italia. Diocleziano in primis, percependo la necessità di centralizzare geograficamente la sfera politica dell’impero, innalzò lo status di Treviri, Milano, Nicomedia e Smirne a capitali dell’impero romano. Nuovamente, ciò segna la fine di Roma come baricentro politico del Mediterraneo e comincia a disignarsi una nuova geografia dell’impero in cui sono i territori del Nord Italia e dell’Europa orientale a sostituirla. Si pensi, poi, all’esito catastrofico delle migrazioni barbariche e alla caduta dell’Impero romano d’Occidente e si noterà bene come il fulcro socio-economico attuale d’Europa sia retaggio di questi profondi cambiamenti che diedero avvio al Medioevo. 

L'assedio di Pavia, i Franchi espugnano la capitale longobarda, affresco di Ignazio Danti, 1536

L’assedio di Pavia, i Franchi espugnano la capitale longobarda, affresco di Ignazio Danti, 1536

Medioevo taglia-gambe 

Com’è noto, l’impero romano d’Oriente abbandonò presto i territori occidentali per concentrarsi nei secoli VI, VII e VIII d.C. alla difesa dei propri confini minacciati da Unni a nord e Persiani e Arabi a sud-ovest. In effetti, superato il tentativo ultimo di Giustiniano di riunificare l’impero, i territori della sponda nord e sud del Mediterraneo hanno vissuto un periodo di instabilità politica per diversi secoli, sconquassati da guerre barbare e fratricide che hanno messo a dura prova l’economia dei popoli. Anche i Bizantini, coraggiosi difensori dell’eredità latina, non riuscirono da Ravenna (capitale più volte dell’impero romano occidentale) a risollevare le sorti del Meridione. Anzi, com’è noto, proprio lo scontro con i Goti (la cosiddetta Guerra greco-gotica), accelerò la dispersione demografica verso le campagne cominciata nel III secolo d.C. fino a ridurre a macerie il fragile territorio italiano mediterraneo. Il consolidamento del potere Longobardo in Italia e l’avvento europeo dei Franchi nella ex-Gallia, inoltre, aprirono un nuovo scenario geopolitico d’Europa, che vide come protagonisti i territori dell’Europa centrale a discapito di regioni che da nucleari diventarono periferiche. 

Siamo nel Medioevo, la società cambia a ritmi sostenuti e lo fa soprattutto nel cuore dell’Europa, incluso il Nord Italia. Sia chiaro che il Meridione ha anche vissuto fasi di aulicissima fioritura culturale durante questo periodo, si pensi solamente all’arte arabo-normanna o all’esperienza illuminante della corte federiciana che diede avvio alla storia della letteratura italiana. Però, nella prospettiva che si vuole proporre, è fondamentale comprendere come l’essere periferia di un luogo possa compromettere quasi irrimediabilmente la storia un di un territorio.

Così la Calabria del periodo dell’invasione araba in Sicilia. Chi difese il lontanissimo popolo calabrese dalle percussioni arabe dei sarakh (i saraceni) nel IX e X secolo d.C.? E chi difese l’intero Meridione? Nessuno, fu solo nell’846 che i Franchi carolingi si premurano di aiutare la penisola, ma solo perché fu Roma a subire un cocente saccheggio e fu utile fregiarsi del titolo di difensori della cristianità e della capitale della Chiesa, Roma per l’appunto. Inoltre, se l’Europa rispose con il fenomeno urbanistico dell’incastellamento alle incursioni arabe, l’“anarchica” Calabria seppe produrre una soluzione pragmatica che però allontanava gli abitanti delle città dalle strade che per secoli fecero da collante tra il Sud Italia e il centro dell’Europa. I calabresi, infatti, abbandonarono i centri abitati greco-romani delle coste tirreniche per rifugiarsi nei territori impervi e difficilmente raggiungibili dell’Appennino calabrese, tra Pollino e Aspromonte[3], tuttora esistenti come nuclei abitativi ed emarginati per ragioni economiche dalle infrastrutture moderne volute dallo Stato italiano unitario. 

Un ulteriore esempio potrebbero rappresentarlo le sorti delle principali Repubbliche marinare. Queste furono protagoniste indiscusse del commercio marittimo tra i secoli dell’Alto e Basso medioevo, e rappresentarono anche un argine importante anti-saraceno nel contesto storico di cui si è detto. Tra tutte, però, furono proprio le Repubbliche del meridione d’Italia, e in particolare Amalfi e Ragusa, a scomparire presto dalla scena commerciale internazionale e ad essere relegate a semplici città a vocazione commerciale rispetto alle più ricche Pisa e soprattutto Genova e Venezia, rappresentanti d’eccezione della ricchezza culturale ed economica dell’Italia medievale e moderna.

A questo punto, sarà più semplice focalizzarsi sull’esperienza politica e sociale vissuta dai popoli del centro Europa tra i secoli XI e XV per comprendere le ragioni che si vogliono rappresentare in questo articolo. Mentre il Meridione rimaneva appannaggio di dinastie monarchiche e nobiliari che si tramandavano poteri e ricchezze senza che il popolo partecipasse attivamente alla vita politica delle città (si considerino, se lo si ritiene, un’eccezione i Vespri siciliani), i territori del Nord Italia vissero diverse esperienze sociali tuttora fondamentali nelle società moderne dell’intera Europa. Ci riferiamo allo sviluppo dei Comuni tra il XIII e XIV secolo d.C. tra nord e centro Italia, reggenze autonome di città fomentate da un moderno esercizio democratico in forte opposizione alla nobiltà e alla cultura imperiale e monarchica del tempo. Si consideri, inoltre, proprio in questo contesto, l’antesignano modello sindacale delle corporazioni delle arti e dei mestieri che sta alla base del moderno sistema di tutela dei lavoratori propugnato da Marx ed Engels in tutta Europa, e fiorito proprio nell’età comunale in un’area geografica che corrisponde all’attuale centro Europa, tra Toscana e Baden-Wurttemberg, dalla Renania alla Sassonia: insomma, nei territori centrali del Vecchio Continente, mai negli Stati periferici. 

Torre saracena di Palmi costruita nel 1549

Torre saracena di Palmi costruita nel 1549

Il Mezzogiorno non moderno 

La storia moderna non cambiò le sorti del Meridione d’Italia. In effetti, indubbiamente, i primi secoli della modernità ebbero come protagonisti diversi popoli d’Europa ma non gli italiani. Le abnormi ricchezze provenienti dalle colonie delle recenti scoperte geografiche, infatti, ingrossarono le casse di Spagna, Portogallo, Francia, Gran Bretagna e delle emergenti Province Unite. Nel panorama italiano, solo la Repubblica di Venezia resistette come concorrente in ambito commerciale grazie a un costante impegno militare nei territori dell’oriente europeo e dell’occidente asiatico. Il Meridione, invece, visse sotto l’egemonia di diverse dinastie europee, senza però sovvertire lo status quo economico-sociale che, a questo punto, può essere definito senza remora come antiquatamente latifondista.

Sorvolando i secoli, la solfa non cambia. Sebbene il Sud Italia abbia rappresentato, e nello specifico Napoli, l’origine delle moderne scienze economiche e abbia vissuto un periodo di auge culturale grazie al genere letterario del melodramma, la società del Mezzogiorno non è riuscita a sfruttare a pieno, sempre a causa del problema periferico rispetto all’Europa, il periodo sconvolgente della rivoluzione francese. Sia chiaro, l’Illuminismo si diffuse anche al Sud, ne sono un esempio Domenico Grimaldi, Antonio Genovesi e numerosi altri intellettuali napoletani. Il popolo, però, non mutò e pare non sia stato attraversato dagli sconvolgimenti della rivoluzione francese. Inoltre, la risolutiva e salvifica campagna militare del cardinale calabrese Fabrizio Ruffo nel periodo napoleonico sembrò un sintomo di cristiana resilienza piuttosto che un tentativo di riscatto del Meridione e di imposizione nel panorama europeo internazionale. Fu, però, la Restaurazione e il conseguente periodo risorgimentale a smuovere l’orgoglio delle popolazioni meridionali, che contribuirono tra il 1820 e il 1861 all’unità d’Italia. Sulla monarchia Borbonica e il meridionalismo otto-novecentesco, rinvio all’articolo sul neoborbonismo che ho già pubblicato su questa rivista. 

10263823_small-900x600La nascita del meridionalismo 

Le sorti della parte bassa della penisola sono drammaticamente sprofondate ancor più di quello che si potesse pensare dopo l’Unità d’Italia. Nella fattispecie, i tentativi di ammodernare il Regno delle Due Sicilie fatti da Francesco II di Borbone si scontrarono frontalmente con la realtà politica postunitaria. L’Italia unita, infatti, ereditò una pesante contrazione economica dovuta all’impiego di risorse per le guerre contro l’Austria e a diversi altri fattori. A pagarne le conseguenze fu soprattutto il Meridione, a causa del fatto che la classe politica del tempo non seppe metterne a fuoco i problemi strutturali, sebbene già dalle sedute parlamentarie dei primi anni si vagheggiavano le parole “risolvere la questione meridionale”. Gli approcci furono diversi ma mai risolutivi. Se Antonio De Viti De Marco provò a dare un senso economico al problema, altri intellettuali proposero l’interpretazione industrialista (è il caso di Francesco Saverio Nitti), altri ancora avanzarono letture sociologiche (Tommaso Fiore), e altri affrontarono la questione dal punto di vista politico e antropologico, come Gaetano Salvemini. L’occasione più ghiotta per il Meridione, però, fu senza dubbio la ricostruzione del secondo dopoguerra. In particolare, spinti dalla voglia di porre fine a un’annosa questione come quella del Sud Italia, lo Stato italiano tentò la carta progressista e socialista: la riforma agraria del 1950, l’istituzione della Cassa del Mezzogiorno e la fondazione della Svimez. Com’è noto, però, questi tentativi rimasero nel tempo come un onorevole e azzardoso tentativo, titanico nel senso alfieriano. 

Barcellona, Palacio real de Pedralbes, sede dell'Unione per il Mediterraneo

Barcellona, Palacio real de Pedralbes, sede dell’Unione per il Mediterraneo

Da dove ripartire? Una provocazione populista 

Ci si muova dalle consapevolezze che fanno male. In primis, il Meridione d’Italia è la periferia d’Europa, ancora di più se si pensa all’Unione Europea. Reggio Calabria come Catania, Lecce come Palermo, rimangono ai margini del centro nevralgico politico ed economico del Vecchio Continente. Distantissimi dai luoghi delle istituzioni (Bruxelles, Strasburgo, Lussemburgo) e dal centro economico europeo (Lombardia, Veneto, Piemonte, Catalogna, Svizzera, Baden-Wurttemberg, Baviera, Alta Austria, Stiria e molte altre regioni dell’Europa franco-occidentale e centrale). 

In secundis, il Meridione d’Italia è un territorio ostico e impervio, con poche pianure e un enorme catena montuosa che lo spacca in due, fatto di falesie che ne impediscono una regolare progettazione di ogni tipo di infrastruttura. É lapalissiano ma doveroso considerare la pianura padana. È più semplice ed economico costruire un’infrastruttura in un territorio pianeggiante come in Nord Italia o trapanare chilometri di montagna per costruire gallerie che collegano centri abitati di una decina scarsa di migliaia di abitanti? Oppure, è più semplice (per un impresario s’intende) imbastire una coltivazione nella piatta e levigata pianura padana o a ridosso dell’Appennino lucano o calabrese? Non fa eccezione la Sicilia, occupata nel suo entroterra da quattro ingombranti (dal punto di vista agricolo) catene montuose. 

Da cosa si può ripartire, dunque? Innanzitutto dalle origini, se il Meridione ha avuto un ruolo di prim’ordine per lunghi secoli nell’Occidente vuol dire che esistono le contingenze con le quali essere nuovamente protagonisti. E le origini sono il Mediterraneo. Il clima offre le condizioni favorevoli per lo sviluppo di risorse energetiche sostenibili e rinnovabili. La geo-storia insegna che è possibile catalizzare al Sud il centro politico di una vasta area comprendente Portogallo, Spagna, Grecia, Turchia, Cipro, Malta, Marocco, Algeria, Tunisia, Algeria, Libia ed Egitto. Certo, la direttrice del mondo è ormai da tempo rivolta verso i popoli del sud-est asiatico e verso le aree dell’indo-pacifico. Ma, ad esempio, se si rafforzasse il peso politico ed istituzionale dell’UPM [4] come cambierebbe il tenore geopolitico del Mediterraneo e del suo centro, ovvero il Sud Italia? Se l’Italia si volgesse verso il Sud del mondo, quanto distante sarebbe del Nord dell’Europa? L’emancipazione sarebbe compromettente o salvifica per le sorti del Mezzogiorno? 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] “Historia ad usum populi”. Il neoborbonismo e il nazionalismo meridionale., “Dialoghi Mediterranei”, n 48, marzo 2021.
[2] Per una sintesi completa sul Mediterraneo paleo-latino si veda Heurgon J., Il mediterraneo occidentale dalla preistoria a Roma arcaica, Bari, 1986.
[3] Ciò produsse un sistema di comunicazione tra costa e montagna tuttora visibile in Calabria, quelle che impropriamente vengono dette “Torrette saracene”.
[4] Unione intergovernativa di 43 Paesi tra Europa e Nordafrica nata del 2008.

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Andrea Bagalà si è laureato in Scienze Storiche all’Università di Messina dopo aver conseguito, nella stessa università, una laurea triennale in Lettere Moderne. Ha svolto un periodo di mobilità all’Universidad de Sevilla e ha lavorato, grazie a una borsa di studio fornita dalla Conferenza dei Rettori delle Università Italiana e dal Ministero per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, presso l’Istituto Italiano di Cultura di New York. Attualmente è un docente di Lettere.

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