Stampa Articolo

Che fine hanno fatto le fiabe?

Da Povere creature

Da Povere creature

di Giuseppe Sorce 

Un po’ Pinocchio, un po’ Ex-machina. Grazie a L’Ève future, caposaldo del genere di Villiers de l’Isle-Adam del 1886, anche se potremmo risalire alla storia di Pigmalione e chissà quale altro prima. Infatti, il mito della donna artificiale, assemblata, ma in qualche maniera più vera di quelle vere, è assai antico e se ne può tracciare una genealogia senza soluzione di continuità fin dagli albori dei miti greci appunto [1]. La fantascienza letteraria e cinematografica del secondo Novecento ha poi dato visibilità planetaria all’idea dell’androide, del cyborg, degli innesti di una coscienza su un corpo, di una mente su un’altra, ricordi che si accavallano, identità che si ricostruiscono e così via.

Davvero, una lista sarebbe troppo lunga e tediosa. È un macro tema, che attraversa come detto le epoche ma anche i generi e proprio per questo, più che incontrare capolavori, ci si imbatte in opere che man mano aggiungono un’idea, una sfumatura, un’interpretazione sul tema che rimane trasversale e che si arricchisce di volta in volta (oggi, per esempio, l’IA è uno di questi strumenti narrativi chiave). Ci sono le opere che si concentrano sul percorso identitario, quelle che si interessano dell’incontro-scontro fra ricordi del corpo (o mente) precedente con la nuova coscienza eccetera. Insomma, non sarei andato a vedere Poor Things! al cinema se non fosse stato per il suo regista, Yorgos Lanthimos.

locandinaSe il regista greco con Il sacrificio del cervo sacro (2015) e The Lobster (2017), i due film in lingua inglese con i quali arriva a un pubblico più vasto (americano, soprattutto), ci aveva abituato a lavori che facevano del mistero e della tensione due vettori principali della sua narrativa, è con il successivo La Favorita (2018) che si arriva a una pellicola dalla trama più lineare, ben definita e chiara. E guarda caso proprio con quest’ultima arrivano Oscar e Golden Globe, come a segnalare l’approdo definitivo nel mondo del cinema commerciale, così detto hollywoodiano.

Poor Things!, riadattato in italiano in Povere Creature!, si innesta in questa nuova maniera (speriamo passeggera) del regista greco che, per quanto gli abbia portato una fama e un successo più pop ne ha disinnescato il carattere misterico, affascinante, seducente e la forza narrativa. Povere creature! non è una sceneggiatura originale, viene da un omonimo romanzo dell’autore scozzese Alasdair Gray, anche grafico e illustratore, molto legato quindi alla dimensione visuale, e questo traspare anche nella regia e nella fotografia del film. Al di là di quanto ci sia del romanzo, che non ho letto, nel film, già la scelta di tale opera è una dichiarazione delle intenzioni comunicative e narratologiche del regista greco. La rinuncia a un intreccio complesso e misterioso l’avevamo già vista, come detto, in La Favorita ove però la fotografia suppliva, in parte, tale rinuncia.

Anche in Povere creature! la fotografia e la regia risultano folgoranti: dalla scelta delle lenti usate nelle riprese (grandangoli spinti e fisheye) e l’uso sapiente della CGI. Questi due elementi servono a costruire, o forse sarebbe meglio dire “restituire”, una dimensione favolistica e fiabesca, seppur con le tinte tipiche del regista greco. La storia e la componente visiva mettono in piedi una sorta di Pinocchio steampunk, frankesteiniano.

locandina-1Il “viaggio dell’eroe” della protagonista Bella si definisce attorno la scoperta del piacere sessuale e su tutto ciò che la società ci ha costruito sopra e su cui si è costruita sopra: ruoli sociali, dinamiche di potere e di controllo, maschilismo, patriarcato, oggettificazione della donna, compravendita dei corpi, modelli di amore e di relazioni. Il film quindi si sviluppa su un’idea vincente della storia: cosa succederebbe se una coscienza nuova, appena nata, crescesse in un corpo già adulto, sensuale ed eroticamente non di certo insignificante. Il processo identitario di Bella, che in una società maschilista e patriarcale non può che essere anche un processo di emancipazione, si associa alla scoperta di sé, degli uomini, delle relazioni, delle dinamiche di potere, del bene e del male, e della società. Il cocktail del successo è pronto.

Tematiche attualissime, stile visivo sbalorditivo, ispirazione favolistica e fiabesca. Ed è quest’ultimo elemento che si innesta nella “sete di fantastico” che si è diffusa nell’ultimo decennio cinematografico e televisivo. La fantascienza, il fantasy e il fantastico sono i tre generi, spesso mischiati, che vanno per la maggiore in termini di successo e di pubblico. Pensiamo alle produzioni dell’ormai brand Star Wars, oppure il successo di ascolti di Games of Thrones, Villeneuve che rifà Dune, le infinite produzioni dell’universo Marvel e DC, e si potrebbe continuare. In poche parole, oggi chi vuole fare intrattenimento con la garanzia di non sbagliare attinge da quei tre generi lì, vedi Neflix che spende milioni di dollari per adattare Il problema dei tre corpi, The Witcher, o Amazon con Fallout e Gli anelli del potere. Ecco il successo di Povere creature! Tematiche attuali, cast superlativo, stile estetico, visuale e visivo di rara maestria, intreccio semplice, tono fantastico e fiabesco con quelle tinte gotiche che non vanno mai fuori moda. Ma Bella non è solo un calco di Pinocchio. Bella strizza l’occhio anche alla rinnovata ossessione per la figura, in un’altra, ennesima, declinazione, dell’“umano artificiale”, assemblata, bellissima e spietata, libera e forte, sensibile e curiosa, creata da uno strambo papà e pronta a esplorare il mondo e se stessa.

povere-creature-oscarOra, cosa c’è che non va in Povere creature!? Perché è un film tanto bello quanto narrativamente debole e poco rilevante? Per quanto il comparto estetico faccia il massimo, e di più, il tono fiabesco dei paesaggi, delle città, della nave, del mare e del cielo tenebroso, rimane uno sfondo giacché quei paesaggi, quei luoghi e quegli spazi non ci dicono altro. L’intreccio è davvero troppo scontato e quasi mai si discosta dalla storia. Le tematiche trattate, che inizialmente ci vengono rappresentate con tutta la loro potenza rivoluzionaria, assumono man mano una sfumatura canonica, piatta, molto pop e poco approfondita e impegnata. La lotta fra bene e male che Bella vive si esaurisce sostanzialmente subito.

Che fine fa la ribellione contro la volontà segregatrice del padre? Che fine hanno fatto le emozioni, la scoperta del dolore, della povertà, della tragedia di alcune vite umana schiacciate dai più forti? Il percorso di Bella, la sua emancipazione, la sua lotta, potremmo dire, contro le ingiustizie, la sua ricerca identitaria, che fine fanno? Nessuna.

Il finale che ritrae una Bella che si sostituisce al padre, con attorno il proprio harem di strambe creature e persone alla sua dipendenza, suggella il viaggio dell’eroe raffigurato da tutto il film [2]. Ci si aspetterebbe una presa di coscienza, ci si aspetterebbe quindi che tutte le esperienze del viaggio abbiano inciso a livello identitario, umano, morale, culturale. Il film intero ci accompagna in una lunga e tortuosa, a tratti violenta, parabola di vita che si conclude però con l’adesione della protagonista a tutto ciò da cui era fuggita e per cui soffriva. Nessuna rivoluzione. Le ingiustizie e le oppressioni dimenticate poiché si torna nella villa aristocratica, nel giardino di casa, con l’inumanità e la freddezza di sempre. I due amanti ai suoi piedi, con le sue altre creature, create, plasmate, manipolate da lei, con la stessa arroganza elitaria del padre.

da Povere creature

da Povere creature

Il punto non è cosa è giusto o sbagliato, se il personaggio è buono o cattivo, anzi. La ricchezza delle favole è infatti la ricchezza dei propri personaggi, dove il lettore/spettatore accompagna il protagonista e con lui/lei impara a districare il bene dal male da un mondo dove coesistono. Quindi il viaggio si traduce proprio nell’imparare a costruirsi strumenti per saperli cogliere: il bene nel male e il male nel bene. Anche nelle fiabe spesso i protagonisti alla fine tornano a casa, ma lo fanno arricchiti, diversi a livello qualitativo: gli androidi arrivano ad attributi e prerogative umane, i bambini diventano adulti, gli ultimi diventano eroi e così via. E noi impariamo con loro. Il mondo di Povere creature! è invece già fatto, il bene sta lì e il male sta là [3]. Cosa impariamo con Povere creature! che già non sappiamo?

Povere creature! ci conferma però due cose: la sete di fiabe che abbiamo oggi. La crisi dell’immaginazione si riversa nella bulimia di produzioni fantastiche che lo sono però solo nello stile e non nella sostanza [4]. Temi quali il femminismo, la lotta al patriarcato e una certa forma di capitalismo sono temi troppo importanti, non sono solo slogan o mode da cavalcare. Sono attuali non per casualità ma in quanto sono inevitabili e tutte e tutti noi dobbiamo farci i conti, cercando però magari di rischiare un po’ di più. 

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024 
Note
[1] Si veda, per esempio: Notte R. 2005, You, robot. Antropologia della vita artificiale, Firenze, Vallecchi.
[2] Bella era partita per fuggire dall’amore/oppressione del padre; Bella durante la visita ad Alessandria si accorge delle ingiustizie e delle disparità del mondo; Bella a Parigi si sottrae dall’amore falso e malato di Duncan; Bella dalla fuga, dalla prostituzione, dall’adesione al socialismo e una forma di amore più autentica, torna a Londra, uccide il generale, e convola a nozze con l’ex-assistente del padre.
[3] I poveri, e la loro sofferenza, che Bella vede in Africa rimangono in Africa, l’ex-marito fa, fortunatamente, una brutta fine, il padre la accontenta, Duncan perde la testa definitivamente, la proprietaria del bordello cerca un po’ di manipolarla un po’ no ecc.
[4] Si veda: Meschiari M. 2020, Antropocene fantastico. Scrivere un altro mondo, Armillaria; Meschiari M. 2019, La grande estinzione. Immaginare ai tempi del collasso, Armillaria.
 _______________________________________________________________________________
Giuseppe Sorce, laureato in lettere moderne all’Università di Palermo, ha discusso una tesi in antropologia culturale (dir. M. Meschiari) dal titolo A new kind of “we”, un tentativo di analisi antropologica del rapporto uomo-tecnologia e le sue implicazioni nella percezione, nella comunicazione, nella narrazione del sé e nella costruzione dell’identità. Ha conseguito la laurea magistrale in Italianistica e scienze linguistiche presso l’Università di Bologna con una tesi su “Pensare il luogo e immaginare lo spazio. Terra, cibernetica e geografia”, relatore prof.  Franco Farinelli.

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>