il centro in periferia
di Alessandra Micoli
In un momento in cui, usciti timidamente di casa dopo uno stretto e pesante lockdown, si prova a descrivere che cosa ne sia dei territori del Nord Milano, torna utile tenere a mente alcuni loro elementi distintivi, storici e culturali, nei quali ci si è spesso imbattuti, nel lavoro di Ecomuseo, a Niguarda ma anche in altri quartieri dal passato in parte analogo, come Bovisa, Dergano, Affori.
Abbiamo cercato di raccogliere qualche racconto, da persone e realtà attive in vari ambiti, nei diversi quartieri nel Nord Milano. Il nostro sguardo, probabilmente per empatia – anche Ecomuseo Eumm è una realtà associativa – mette a fuoco non tanto i singoli quanto le realtà collettive, per capire quali siano le strategie di adattamento. In questo excursus tornano in mente le analisi dell’associazionismo, in particolare su quel tratto così distintivo: la spinta al dinamismo, all’adattamento, il sapersi evolvere, tanto da portare qualcuno a paragonare i movimenti sociali agli squali, nei quali il movimento continuo è sinonimo di possibilità di rimanere in vita.
Attraverso dialogo con le associazioni, cooperative o imprese sociali, si potrà notare la ricorrenza di alcune idee, alcuni concetti che, a mio avviso, possono ben ritenersi le chiavi di lettura di questo periodo storico, nella sua fase che ancora definirei di transizione tra la chiusura e la piena ripresa delle attività.
Prima di tutto, il bisogno di ritrovare dei punti di riferimento che costituiscano un ancoraggio identitario: tali punti, e questo è particolarmente interessante, spaziano da un desiderio quasi essenziale, non più procrastinabile, di natura; alla ricerca di relazioni e interazioni sociali; non ultimo il bisogno di tornare ad occasioni di incontro con la cultura e la riscoperta del proprio patrimonio culturale.
Un secondo concetto che ricorre, particolarmente interessante per noi che sempre ci occupiamo di guerra e di “rinascita”, alla sua conclusione, l’idea di resistenza: intesa come sforzo umano, individuale, ma anche collettivo, come ridare forza ad un territorio, attraverso il ritorno e la riattivazione di risorse umane ed economiche. Sempre con un parallelismo tratto dal mondo naturale, cui molte di queste realtà attingono, per lavoro, e cui molti cittadini del Nord Milano possono guardare agevolmente, nella loro vicinanza con un grande polmone verde come Parco Nord Milano, viene da pensare alla vita che, nonostante l’inverno e la (poca) neve, continua a pulsare sottoterra.
Infine, forse a monte di tutto, il bisogno di prendersi cura, di salvare ciò che c’è, nel tentativo di non farlo spazzare via dalla pandemia, a chiusura ancora attiva, e di recuperarlo, una volta tornati alla luce del sole. Un prendersi cura che è stata partecipazione attiva nel momento del bisogno, con la partecipazione alle collette alimentari, le Brigate, le Ceste Sospese, e che continua con un’urgenza che non è più emergenza ma un affettuoso e non meno profondo prendersi cura del sé, attraverso la cura di ciò che mi circonda, si tratti di fornire un buon servizio di e-commerce di prodotti biologici e a Km0, di preparare e portare in giro un buon gelato, di organizzare serate di cinema o musica, di potare e innaffiare il mandala di insalate.
Prendersi cura delle api per prendersi cura di sé stessi e degli altri
OrtoComune Niguarda è un’associazione nata nel 2015 in un’area facente parte dell’Ente Parco Nord, che ha ricevuto in gestione un terreno al fine di creare, con un progetto partecipato, un orto comunitario: un’esperienza completamente diversa dalla consueta assegnazione di piccoli orti in uso a pensionati o privati in generale, ed assomiglia a ciò che avviene da tempo in altre città europee e negli Stati Uniti.
Durante il lockdown, raccontano Arianna e Valeria, socie fondatrici e colonne dell’Associazione, la natura e le piante dell’Orto crescevano rigogliosamente, ma senza poter essere accudite, raccolte, curate. Così come crescevano le piante all’interno dell’Orto, cresceva la domanda sociale all’interno di un quartiere da sempre molto attento alle relazioni e alle necessità delle fasce più deboli. All’interno del quartiere di Niguarda, così come in altri quartieri milanesi, la necessità di aiutare chi aveva più bisogno era ben presente in molti dei suoi cittadini.
Nelle parole di Arianna tornano termini ancora molto presenti nei racconti, non solo degli anziani, di questa zona: parla di “resistenza”, un concetto chiave, per lei, sia durante che dopo la quarantena, da intendersi come ricerca attiva di risorse, sia economiche che umane. Ovvero: “che cosa si può fare?”, non solo per l’Orto, ma anche per il territorio, per le persone, le famiglie. Con l’appoggio del Comune di Milano, dell’associazione Niguarda Rinasce, del progetto QuBi (https://ricettaqubi.it/), nasce a Niguarda la Brigata Lia, per raccogliere prodotti alimentari da negozi e realtà presenti sul territorio da consegnare alle famiglie e persone più in difficoltà. Una scelta di un nome molto denso, in questa zona: Lia, ovvero Gina Galeotti Bianchi, staffetta partigiana, uccisa proprio nel quartiere il 25 aprile del 1945, da una raffica di mitra di un camion tedesco bloccato da partigiani niguardesi.
Ecco quindi un primo collegamento con la storia, rappresentato dai nomi scelti, che vogliono tenere alto un patrimonio di memorie locali e nazionali, proprio in un momento in cui, più o meno debitamente, si instaura di continuo un parallelo tra pandemia e guerra. È vero che per le persone meno giovani, le sirene “sono una cosa che ci ricorda qualcos’altro…”, che non si cita troppo, si lasciano i puntini di sospensione: il confronto con le sirene dei bombardamenti aerei in qualche modo viene fatto, spesso e di continuo. Ma oltre a questo parallelismo, è interessante proprio il desiderio di richiamarsi e tenere alto un patrimonio culturale fatto da concetti che fin dalle nostre prime incursioni niguardesi erano sembrati calzanti per descrivere il quartiere. Il suo passato cooperativo, le dense reti e relazioni sociali, consolidatesi e in parte mantenute nel tempo. Ancora oggi quindi fare riferimento all’idea di Resistenza vuol dire fare appello ad una storia che serve per fronteggiare il presente, per capire come, concretamente, aiutare le persone più fragili durante la quarantena e anche dopo.
In tutto questo reticolo di patrimonio e storia, l’Orto e la sua natura hanno rappresentato uno strumento prima, per il collegamento con l’esterno, dopo, durante le timide settimane di riapertura, ha continuato a tenere ferma e salda la sua funzione inclusiva in quartiere. Se durante la quarantena in un primo momento l’Orto (così come tutti gli orti privati) rischiava di non poter essere accudito, si è poi rivelata cruciale la presenza di un elemento animale, al suo interno, che richiedeva una presenza. «Le api – racconta Valeria – ci hanno salvato, hanno salvato l’Orto. Le api, presenti nelle arnie dell’Orto, sono animali, hanno bisogno di essere seguite. Abbiamo quindi avuto l’autorizzazione per 5 persone di uscire ed andare a lavorarci. Così, insieme alle api, ci siamo potuti occupare anche del mandala delle insalate e del resto…»
Così, grazie alle api, anche le persone anagraficamente in una fascia di rispetto da tutelare, come Valeria, pur non potendo uscire hanno potuto continuare a fare qualcosa per gli altri: ricevevano dai volontari dell’Orto dei prodotti freschi da confezionare e poi da consegnare alla Brigata Lia perché potesse distribuirli in quartiere. Sembra veramente quanto mai valida la scelta del tema del prossimo Festival della Biodiversità di Parco Nord, la salute delle piante: la loro salute e, viene da aggiungere, la nostra salute, attraverso di loro. Non solo come elemento naturale che ci tiene in vita, ma anche come elemento che consente la relazione tra le persone, di aiuto o di scambio umano, componente quanto mai essenziale per la nostra esistenza.
Come altri spazi, anche durante la lenta riapertura, l’Orto è stato un punto nodale: potersi rivedere, ritrovare ma in uno spazio aperto, quindi sicuro, e naturale, quindi piacevole, è stato molto importante, per le famiglie, che hanno ripreso a frequentarlo in maniera significativa. E in questa direzione continua a muoversi l’Associazione, per dare continuità ad un grande sforzo avviato dalla necessità stringente della pandemia, per continuare a veicolare, anche con nuove attività di crowdfunding civico, che Orto Comune non è sinonimo di ortaggi, ma è invece sinonimo di educazione alla coesione sociale e a prendersi cura di sé e del proprio territorio.
Un gelato rende sempre felici: sorrisi, relazioni, consegne a domicilio
Che cosa succede ad un luogo che si definisce come “gelateria sociale”, e che nasce come luogo di forte aggregazione, in un tempo di distanziamento fisico? Può succedere anche che, in piena pandemia, riesca a vincere il primo premio da parte della Fondazione Accenture per il bando Segnali d’Italia, proprio per creare e portare in giro il gelato, alimento che per sua natura, “rende felici”, come sintetizza Silvia, una delle anime di Artis.
Artis è una caffetteria-gelateria aperta a Niguarda nel 2017 dalla cooperativa Diapason, con l’obiettivo di far lavorare persone svantaggiate e fragili. In poco tempo Artis diventa a Niguarda un luogo di grande aggregazione, con forti relazioni con le realtà del territorio circostante, ma non solo (OrtoComuneNiguarda, ma anche la Quasilocanda, nel quartiere non vicinissimo di Villapizzone). Si presenta come gelateria con, come fiore all’occhiello, la forte valenza sociale del progetto, e la scelta di prodotti di grande qualità.
La pandemia mette in crisi la scommessa alla base del progetto: impossibile creare reinserimento lavorativo se il locale deve, per ovvi motivi, rimanere chiuso. La difficoltà, anche in questo caso, mette in moto nuove energie, aiutando a mettere ancora più a fuoco quale dovesse essere il focus dell’attività, ovvero il gelato. Ad inizio aprile riprende timidamente il lavoro, con le prima consegne a domicilio, raccontate da Silvia come momenti molto emozionanti e che proprio per questo infondevano molto coraggio: «il gelato è sempre qualche cosa che rende felici, quindi quando arrivavamo sebbene con la mascherina, vedevamo i sorrisi delle persone, sentivamo i bambini che urlavano ‘è arrivato il gelato’!!!!». Poter consegnare questo prodotto è stato quindi, oltre che uno strumento di riprese economica, anche l’occasione per riprendere le relazioni, di cui tanto si sentiva la mancanza ma che tanto facevano paura, nelle prime settimane di riapertura. Accogliere, pur nella distanza, è diventato il metodo e il cavallo di battaglia di Artis, nei propri spazi, ma poi anche in giro per la città, proprio grazie al finanziamento di IGPDecaux – Fondazione Accenture, che ha permesso di dare vita all’Apegelato. Racconta Pier, durante la premiazione del bando Segnali d’Italia, che «Il progetto sta funzionando bene, ma ci siamo accorti che le persone più svantaggiate, disabili fisici e psichici, non riuscivamo a farle lavorare tra le mira di un bar. Da qui l’idea di mettere a disposizione un mezzo per la consegna a domicilio, con accompagnatore, che dà loro la possibilità di entrare nelle case e negli uffici».
Timidamente, con prudenza, la forte aggregazione sociale riprende, tra le mura e fuori da Artis. Valeria, di OrtoComune Niguarda, lo sceglie come luogo per il primo appuntamento famigliare dopo la quarantena, un’occasione unica, dopo tanta distanza, per la quale sia il giorno (il compleanno della figlia) che il luogo (partner e amico di percorso di OCN) rivestono una valenza tutta particolare.
Riprendono i campi estivi per le famiglie, un’altra novità di questa estate post quarantena, in collaborazione con l’OrtoComune, Cooperativa Diapason e Libera. Un altro modo, anche questo, come l’ApeGelato, per farsi vedere, per segnalare la propria presenza, sul e per il territorio, dopo un periodo di forzata assenza. Esserci ancora, insomma, per un gelato, un sorriso, un momento di incontro.
Una quarantena, tanti nuovi progetti. La piccola bottega ZeroPerCento si fa più grande
Nel settembre 2017 nasce ZeroPerCento, un piccolo negozio con un grande sfida: proporre il biologico e il Km0 in un quartiere tutt’altro che giovane e trendy ma anzi, con case popolari, popolazione anziana e fragile. E non solo: si tratta di un’impresa sociale nata per l’inserimento nel mondo del lavoro di persone con disabilità.
Ai primi di marzo Teresa e Paola decidono di tenere aperto, essendo un servizio con beni di prima necessità e potendo offrire una valida alternativa alla Grande Distribuzione, intasata da code lunghissime. Ma, soprattutto, come si legge nelle loro parole sulla pagina Facebook del negozio, perché «lavorare in bottega significa entrare in relazione con tutti voi, confrontarsi settimanalmente su quello che accade, credere insieme in una comunità bella, inclusiva e attenta agli altri, specialmente a coloro che hanno più fragilità». Una presenza fisica che si vuole opporre all’assenza imposta dalla pandemia.
La bottega quindi non solo ha continuato la propria attività, ricevendo gli ordini e facendoli trovare pronti in giorni prefissati, evitando così le lunghe code e gli affollamenti ma, anzi, ampliandola, sia nella sua parte fisica, in presenza, sia in quella online. La bottega è quindi riuscita a mantenere anche durante la quarantena il proprio lavoro di presidio sul territorio, garantendo sia piccoli spazi di apertura alle relazioni, in un momento in cui tanto se ne sentiva il bisogno, sia un continuo lavoro sulla qualità dei consumi alimentari o per la casa.
Come i semi che si preparano a sbocciare dopo l’inverno, e così come Artis, anche ZeroPerCento durante la chiusura ha cercato di fare tesoro delle proprie risorse e della propria funzione sociale, partecipando a diversi bandi, tanto da arrivare ad ottenere un finanziamento per l’acquisto di un nuovo piccolo furgone, con cui fare le consegne a domicilio, battezzato proprio Quarantino! E non solo, grazie, alla vittoria del premio Welfare che impresa, della Fondazione Italiana Accenture, la bottega riesce a trovare un nuovo locale per aprire un secondo punto vendita, questa volta in un luogo decisamente diverso: la giovane, trendy e internazionale Chinatown milanese di Paolo Sarpi. Un luogo aperto alla città, in una zona centrale e raggiungibile, e con un ampio spazio dal quale organizzare e gestire il commercio online, incrementato durante la quarantena. Un commercio online che non dimentica che dietro il singolo utente c’è una persona: alle volte un anziano, senza carta di credito, o impossibilitato ad uscire a prelevare, e al quale quindi si decide di fare credito, così da continuare a dare valore alla relazione, il cemento alla base del progetto.
Un lago, lo spazio aperto, concerti e spettacoli: il chiosco Sun Strac
Non lontano da OrtoComuneNiguarda si apre un panorama molto particolare, per la città di Milano: un lago. Si tratta del lago di Niguarda, porta di Parco Nord vero la città di Milano. Su questo lago si affaccia una bellissima piazza, in cui tre anni fa è stato aperto un bar/chiosco, il Sun Strac.
Dopo la riapertura, per Sun Strac la natura che intorno ai propri tavolini prende il sopravvento, ha fatto sì che questo, già luogo molto amato dai frequentatori di Parco Nord Milano, soprattutto all’ora del tramonto, si rivelasse un luogo ancora più importante, perché consentiva il ritrovarsi in tutta sicurezza, visti gli ampi spazi e anche la capacità dei suoi gestori di affrontare le regole del distanziamento e dell’uso delle mascherine, in maniera scherzosamente molto seria. L’uso del milanese, già presente nel nome del chiosco, è stato poi ripreso anche nel fornire le indicazioni delle distanze: non semplici e asettici nastri, ma scritte come “sta sü de doss” (non starmi addosso), poi anche riprese dalla stampa locale. Il desiderio e la necessità di ritrovarsi, ancora una volta, di esserci, di far vedere che nonostante la chiusura il bar c’era ancora, hanno trovato in questa modalità ironicamente seria un buon veicolo per tenere comunque sempre alta l’attenzione.
Accanto alla comunicazione, seria ma gioiosa, il lancio di una nuova programmazione, che già era stata messa in cantiere e poi procrastinata, ovviamente, ma che ha trovato nel binomio ampi spazi- natura rigogliosa e prorompente (dopo una primavera totalmente indisturbata dall’uomo) una forza del tutto inattesa, anche per i gestori. Racconta Massimiliano come nel primo concerto all’alba (una proposta molto amata dal pubblico milanese, che già aveva conosciuto nelle varie edizioni di Piano City), le 200 e più persone convenute per ascoltare la clarinettista alle 6 di mattina erano del tutto inattese, tanto da richiedere una rincorsa a trovare le sedie per accogliere tutti quanti. Gli spettacoli per bambini, le presentazioni dei libri, gli aperitivi con dj set hanno tenuto viva la piazza per tutto il mese di luglio e agosto, garantendo il ritrovo e la vicinanza in piena sicurezza. Molte le iniziative ancora in fase di preparazione, sempre sposando natura e socialità, due poli ugualmente fondamentali per ogni persona, di cui dopo i mesi di chiusura ognuno di noi, cittadino imbrigliato nel cemento, provava una sete quanto mai pressante.
T.Ospito: un progetto e uno spazio di ascolto del quartiere e delle persone più fragili
Ben prima dello scoppio della pandemia, ancora nel 2019, un gruppo di studenti magistrali del Politecnico di Milano, specializzati nella progettazione di servizi, decidono di concentrarsi sul quartiere di Niguarda, affascinati dalla sua storia e in particolare dalla relazione tra l’Ospedale e il quartiere, realtà diverse ma vicine, per capire se e come questa unione potesse essere un bene prezioso per chi, arrivando da lontano per assistere un familiare ospedalizzato, si trova spesso solo, in un posto nuovo e estraneo. T.Ospito, questo il nome del progetto, si basa su due importanti nuclei: l’ospedale e la rete di associazioni locali. L’interazione tra le due è resa possibile grazie all’interazione umana. Questa consente di accogliere nel quartiere il flusso di visitatori dell’ospedale, come parenti dei pazienti o caregivers, connettendoli a persone locali – gli Amici di Quartiere – e coinvolgendoli nelle diverse attività offerte dalle associazioni.
Si può ben capire come questo interessante modello, che affronta un tema assai sensibile seppure poco indagato, si sia completamente bloccato durante il lockdown. Il gruppo di lavoro di T.Ospito, in maniera simile alle altre realtà associative, si è fermato, ha analizzato le proprie competenze e risorse e si è quindi reinventato. Ha approfittato della fase di chiusura e poi delle prime settimane di riapertura e di possibilità di incontro in presenza per approfondire le relazioni con le associazioni e realtà locali, per capire come ce la stessero o non ce la stessero facendo, durante la pandemia, come stessero affrontando le necessità sociali e le fragilità del quartiere, come si stessero anche loro reinventando nel periodo di crisi.
Hanno realizzato interviste che hanno portato alla creazione di un prototipo di questionario “Che Niguardiano sei?”, da sottoporre alle persone del quartiere, per cercare di capirlo sempre di più e per portarne alla luce le risorse ivi presenti. Hanno ricevuto dalla pandemia uno spaccato molto variegato, da realtà completamente abbattute dal blocco, tra le quali l’interessantissimo progetto dello Spazio Culturale MYG, ora chiuso, o realtà a carattere solidale nate proprio durante la quarantena e il cui nome tanto ci racconta: “Niguarda Rinasce”, associazione attiva in quartiere insieme alla Brigata Lia, OrtoComune a difesa delle popolazioni più fragili, così come pronta ad attivare momenti di incontro e convivialità nella piazza Belloveso, una volta consentite le uscite nella Fase 2.
Un altro progetto, in definitiva, che mostra al contempo la necessità di reinventarsi recuperando la conoscenza di quanto presente sul territorio, capitale umano, sociale e culturale imprescindibile proprio per l’uscita dalla pandemia.
La casa è il cuore pulsante: la chiusura dello Spazio Culturale MYG
Nel 2015, in una piccola via di Niguarda vicino al Parco Nord ed alla scuola elementare Cesari (Duca degli Abruzzi), apre, nei locali di un’autofficina, un luogo poliedrico e versatile: lo Spazio Culturale MYG. Uno spazio, come racconta Yael, la sua fondatrice, «per riunire le mie tre passioni, l’arte, il cibo sano e il grande amore per le cose di casa. Uno spazio per i bambini e i loro genitori, dove trovare la bellezza sotto casa, partecipare ad un corso, mangiare cibo sano come quello cucinato a casa, dove sentirsi proprio a casa».
In questi cinque anni da Yael si sono avvicendate persone, corsi, presentazioni di libri, compleanni, laboratori, caffè, pranzi, incontri. Allo scoppio della pandemia Yael chiude ovviamente la sua saracinesca colorata e rimane chiusa, un giorno dopo l’altro, chiedendosi «come potrò mai tornare a fare le cose di prima in uno spazio che nasce sociale, come luogo di incontro?». Da qui, la scelta di chiudere definitivamente lo spazio: una scelta difficile e dolorosa, certamente, e ancora di più per gli abitanti del quartiere che su Facebook riempiono la sua bacheca di commenti affranti e addolorati. Ma, nel suo racconto, ancora una volta, come per altre realtà, la consapevolezza di dover modificare il proprio percorso, di fronte ad un momento di troppa incertezza e di insicurezza economica, per prendere una nuova strada.
Lo Spazio Culturale MYG si trasformerà in un e-commerce, dove ovviamente mancherà l’incontro, lo stare insieme, la socialità. Ma ci sarà un segno di continuità: la casa. In un periodo in cui la casa è stata quanto mai centrale, il nostro rifugio, spazio di reclusione, certo, ma anche una sorta di “zattera di pietra” e àncora di salvezza, Yael mette la casa al centro dei suoi pensieri. «Ho aperto questo posto come se fosse una casa, la gente doveva entrare e sentirsi a casa propria, anche ora, con il nuovo progetto, la casa sarà al centro perché sarà un sito che si occuperà di prodotti naturali per la casa».
Un altro elemento, pur nel passaggio alla dimensione digitale, rimane fermo: la relazione. Se già con lo Spazio aperto vi era una relazione tra MYG e ZeroPerCento (che riforniva il bar con alcuni dei suoi prodotti alimentari), anche con l’e-commerce ci saranno comunque dei punti vendita offline, tra i quali proprio il nuovo grande spazio che ZeroPerCento aprirà in zona Paolo Sarpi. Ecco che, pur in un percorso in parte negativo, si tratta di un’attività economica che chiude i suoi battenti a causa della pandemia, ritroviamo ancora una volta quella spinta e quella capacità di adattamento di persone e associazioni alle condizioni e costrizioni che il contesto sociale, e sanitario, determinano.
Dalle Ceste sospese al Cinema di Ringhiera: il giro di boa del Nuovo Armenia
Anche nel caso di Nuovo Armenia, associazione che si muove nelle ex stalle della bella Villa Hanau (sede del IX Municipio del Comune di Milano), a Dergano, come progetto culturale e interculturale condiviso, fortemente incentrato sulla co-costruzione e condivisione di spazi pubblici, il blocco totale imposto dalla pandemia ha rappresentato un’occasione per ragionare in un altro modo e individuare modi diversi per rispettare la propria missione. In assenza del lockdown i cancelli di Nuovo Armenia si sarebbero aperti ad aprile per le commemorazioni del genocidio Armeno e i festeggiamenti della Liberazione. Nel momento in cui appare chiaro che tutto era da rinviare a date incerte, soci e volontari si concentrano sull’emergenza per dare una mano nella consegna di pacchi alimentari con Milano Aiuta e AiutArci a Milano, cucinando con i vicini di casa di Rob de Matt per la Croce Rossa assicurando insieme a decine di volontari un pasto caldo per centinaia di persone bisognose in città.
Come nel caso di OrtoComuneNiguarda, la vocazione fortemente sociale, inclusiva ed aggregante del progetto viene messa in crisi dalla chiusura, ma trova comunque un canale di espressione, in modo da dare voce e attuazione al senso di prossimità e di esserci nel mondo, molto ben espresso da Gina Bruno, una delle fondatrici di Nuovo Armenia: «perché è di questo di cui c’è bisogno, di stare insieme facendo e risolvendo problemi. Risolvere problemi complessi insieme è quello che ci trasforma in una comunità». Ed è proprio in questo momento di assenza e sospensione forzata che le relazioni diventano più dense, così da uscire dal lockdown con una rete territoriale che, se già ben intessuta prima della quarantena, alla sua conclusione diventa ancora più forte. Le persone che hanno aiutato per la preparazione dei pasti o con la grafica e la comunicazione per il progetto delle Ceste Sospese, rimane forte anche una volta che ci si re-incontra di persona, facendo altro, magari dando una mano nelle serate di apertura del Cinema all’aperto, per garantire il rispetto delle regole del distanziamento sociale.
Ben racconta il senso dell’uscita dalla quarantena l’opuscolo/editoriale di Nuovo Armenia, che a mio avviso restituisce concretezza a quella metafora altrimenti roboante della “ripartenza”, o della “rinascita”, che anche le altre realtà qui descritte sembrano aver vissuto: «Solo due mesi fa la stagione sembrava perduta e gli esiti del duro lavoro svolto durante lo scorso inverno parevano destinati a non mostrarsi. Sembra incredibile essere arrivati invece al giro di boa, un mese ininterrotto di programmazione culturale, eventi, dialoghi, proiezioni, attività sociali, riunioni, cura del giardino e dello spazio, autocostruzione, progettazione per bandi e molto altro».
Ripartire vuol dire quindi anche rimettersi a costruire, pulire, per poi ospitare. Il tema dello spazio, per Nuovo Armenia come per altre realtà, è molto importante, soprattutto in questa fase in cui la possibilità di fornire uno spazio all’aperto rappresenta davvero la differenza, consentendo un avvicinamento in sicurezza. Il progetto “Costruire Nuovo Armenia”, la costruzione collettiva degli spazi, come spesso succede, consente di consolidare una comunità che lavora insieme per manutenere e rigenerare la cascina e il giardino, riqualificando spazi e costruendo relazioni, alcune delle quali nate anche durante la pandemia e destinate a protrarsi nel tempo.
Come tornare sottoterra nei rifugi antiaerei? Ecomuseo e i Bunker Breda
Chiudiamo questa breve riflessione sulla transizione tra quarantena e riapertura, tra i sentimenti del prima e del dopo, con un’incursione sottoterra, per raccontare anche che cosa ne sia dei Bunker della Breda, in un tempo in cui si parla e si contano giornalmente le sirene, in cui si parla di resistenza, di nemico, di trincea: tutte parole che usiamo spesso nelle nostre visite nei rifugi antiaerei presenti all’interno di Parco Nord Milano.
Quando accompagniamo i nostri visitatori all’interno dei rifugi, che hanno una struttura lunga e stretta, ad un certo punto li invitiamo a sedersi in uno dei bracci, su quelle stesse panche che 70 anni fa venivano usate dagli operai della Breda. E su quelle panche raccontiamo di sirene, di allarmi, di nemici, di bombe che cadevano dall’alto. E su quelle panche stiamo abbastanza stretti: quello che diciamo è che stiamo proprio come stavano un tempo le persone all’interno del rifugio, seduti vicini perché lo spazio è limitato, perché è freddo e umido e cerchiamo di scaldarci e, soprattutto, di farci coraggio.
Come fare tutto questo, ma distanti? Come far visitare un luogo della memoria in un modo che ne mantenga integra la carica emotiva pur nel rispetto di norme che al momento attuale sembra ancora fondamentale dover rispettare? È un interrogativo al quale ancora non abbiamo trovato una risposta, perché i Bunker tuttora sono chiusi. Nel frattempo ci si interroga sulle parole, su quanto abbiamo più e più volte raccontato, soprattutto ai visitatori più giovani, e sulla nostra consapevolezza di non aver mai vissuto periodi di guerra e di sacrificio, individuale e collettivo. Forse ora le cose sono un po’ cambiate, quando potremo finalmente tornare sottoterra, ci torneremo con qualche esperienza in più: sicuramente, a nostro avviso, assolutamente non avvicinabile a quanto vissuto dai nostri nonni o genitori. Ma se non altro la coscienza di che cosa possa voler dire dover sottostare a forti limitazioni e privazioni, per questioni di sicurezza sanitaria, e la paura, sentimento quanto mai scomparso in molte nuove generazioni.
Sono tutti tasselli di riflessioni che piano piano si mettono insieme, per chi si deve occupare proprio di trasmissione di patrimoni di memorie del passato e, forse, ora anche un po’ di più del presente. È un processo anche di auto-conoscenza, che facciamo su noi stessi esperti del patrimonio culturale, mettendo in gioco le nostre competenze e i nostri vissuti. Ragioniamo molto su quella che sarà la didattica del patrimonio: come portare i ragazzi in questo luogo angusto ma dal potere immersivo possente, in un momento in cui ancora aleggia il fantasma di una didattica non in presenza? Produzione di nuovi video, materiali, interviste: tutte fonti visive e orali cui, grazie al sostegno di realtà private come Fondazione Comunitaria Nord Milano, possiamo ricorrere, nella speranza di garantire comunque quel passaggio del testimone della storia dal passato al presente.
Fuori dai Bunker, ancora una volta la natura, come risposta positiva e incoraggiante in un momento di crisi. I rifugi riapriranno le loro porte durante il prossimo Festival della Biodiversità, evento centrale per la vita di Parco Nord Milano. Ogni anno il festival ha un tema specifico: quest’anno, rispondendo alle indicazioni della FAO, sarà “La salute della piante”. Un tema che sembra quanto mai nodale in questo momento: la natura che è esplosa felice e in salute, senza la presenza dell’uomo, e la natura che ci precede e che ci sopravvive. Partendo dalla storia del Parco, dalla memoria legata alla guerra, proveremo a raccontare i territori anche attraverso le loro piante: il platano che anima le cartoline di inizio secolo della vecchia Affori, e che sopravvive ancora oggi, il bagolaro dei racconti e degli incontri presso la Cascina di Parco Nord, i gelsi che ancora occhieggiano nei dintorni di Niguarda e Bruzzano, a testimonianza di una coltura e cultura che ben si spinge oltre le nostre personali storie.
Dialoghi Mediterranei, n. 45, settembre 2020
Riferimenti bibliografici
AA.VV., Actions associatives, solidarités et territoires, Actes du Colloque, Saint-Etienne, 18-19 octobre 2001, Publications de l’Université de Saint-Etienne, 2001
Bourdieu P, La distinzione, critica sociale del gusto, Il Mulino, Bologna, 1979
Della Porta D., Diani M., I movimenti sociali, Nuova Italia Scientifica, Roma, 1997
Sitografia
Artis: https://artisgelateria.it/
Eumm: www.eumm-nord.it
Nuovo Armenia: https://www.nuovoarmenia.it/
Orto Comune Niguarda: http://www.ortocomuneniguarda.org/
Parco Nord Milano: https://parconord.milano.it/
Spazio Culturale MYG: https://www.myghomeline.com/
Sun Strac: https://sun-strac.business.site/
T.Ospito: https://tospito.wixsite.com/tospito
ZeroPerCento: https://zeropercento.org/
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Alessandra Micoli, antropologa, esperta di forme di partecipazione sociale e politica in ambito urbano; addottorata presso l’Università di Siena, con una tesi sull’antropologia della partecipazione collettiva nel quartiere Isola di Milano (2005). Una delle socie fondatrici prima dell’Associazione Tramemetropolitane e, quindi, di Ecomuseo Urbano Metropolitano Milano Nord, primo ecomuseo urbano riconosciuto da Regione Lombardia nel 2009, è attualmente, all’interno di Eumm, di cui è legale rappresentante, si occupa della progettazione e realizzazione dei percorsi di mappatura territoriale, di interviste e storie di vita, dell’organizzazione delle attività all’interno dei Bunker Breda. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico, applicandone la metodologia in particolare alla valorizzazione del patrimonio culturale, materiale e immateriale.
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