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Come fiumi nel mare. Un’esperienza di artigianato identitario

Yemanjà™-2021, Artigianato-Identitario®-by-Rekrei®.

Yemanjà™-2021, Artigianato Identitario®-by-Rekrei®.

di Lisa Regina Nicoli

Fatima è in India, in piedi davanti allo specchio di un albergo dello Stato di Tamil Nadu e si osserva. I capelli lunghi le coprono la schiena come un mantello morbido mentre colori caldi del saree [1] che ha scelto illuminano la stanza.

Si gira lentamente, la cavigliera e i bracciali tintinnano lievemente mentre liscia il tessuto sui fianchi. Corruga le sopracciglia, in apparenza ogni cosa è finalmente dove dovrebbe, eppure la sensazione di disagio dice chiaramente che qualcosa che non va. Forse il Bind[2] rosso sulla fronte le permette di guardare più in profondità, di guardarsi dentro. Improvvisamente le manca il respiro. Deve spogliarsi per non soffocare in quella mattinata calda e umida di agosto.

Torno con la mente a molti anni prima di incontrare Fatima, a quando ero piccola. Ho avuto un’infanzia felice. Lo so perché i ricordi di me bambina evocano una sensazione di pienezza e di serenità nella bocca dello stomaco. Questa memoria positiva rappresenta il corredo della struttura emotiva che ha contribuito a sorreggere nel tempo la mia identità di adulta, certamente complessata ma mediamente stabile.

Ho vissuto quello che in pedagogia viene definito “attaccamento sicuro”, un legame emotivo tra il bambino e le sue figure di riferimento che gli consente di esplorare il mondo in autonomia, nell’illusione di cavarsela da solo sapendo però di poter contare sulla relazione educativa in caso di necessità. È una sorta di sintonizzazione emotiva, una mano immaginaria che accompagna il bambino a crescere e sviluppare la propria identità in modo autentico e indipendente, guidato ma non oppresso (Bowlby, 1989). È un processo sottile, quasi invisibile, infatti non ho ricordi narrativi della mia felicità, ma principalmente fotografici. Flashback di momenti di gioia e pienezza che mi fanno sorridere.

Di alcune esperienze significative se mi concentro posso sentirne ancora l’odore o il sapore: il calicanto in fiore nel giardino, il fieno tagliato, la minestra di latte. Di altre percepisco la sensazione che provavo quando le ho vissute, la morbidezza delle ali del pipistrello in una scatola di cartone, il calore dell’acqua del mare in un bagno al tramonto, la dolcezza di un albero di cachi in una casa in rovina.

Yemanjà™-2021,Artigianato Identitario®-by-Rekrei®

Yemanjà™-2021,Artigianato Identitario®-by-Rekrei®

Altri ricordi ancora sono legati a oggetti presenti nella mia crescita. Della casa in cui ho vissuto ho l’immagine chiara di una poltrona di modernariato in legno con due grandi cuscini, tipicamente anni ’50 su cui mia madre si sedeva per allattare prima me e, cinque anni dopo, mio fratello. Faceva parte di un salottino composto da due poltrone e un divano di cui gli altri pezzi sono andati dispersi, erano stati comprati dai miei nonni materni per avere qualcosa su cui sedersi quando si erano trasferiti nella loro nuova casa, da Padova a Como.

Mia madre l’aveva portata con sé per avere qualcosa su cui sedersi nella sua nuova casa a Bergamo una volta sposata, e così ho pensato di portarla con me per avere qualcosa su cui sedermi nella mia casa nuova di Bologna, e già che c’ero anche successivamente in quella di Modena. Una sedia che ha sempre fatto parte della mia vita, come se fosse un piccolo utero in cui riposare.

Un luogo, non solo un oggetto, che ha abbracciato mia nonna dopo un grande dolore e le ha dato l’energia mentale di ricominciare, lo spazio che ha accolto mia madre mentre studiava per il concorso della sua vita, il veliero che portava me e mio fratello in giro per il mondo. Conserva una parte di attaccamento sicuro che ha contribuito a rendermi una donna solida. Potente se ci si pensa.

Se da piccoli fossimo stati consapevoli dell’importanza dei ricordi e degli oggetti che ci circondano nella costruzione della nostra identità di adulti, forse saremmo stati più attenti a ciò che ci accadeva di significativo, ma, ça va sans dire, eccoci qui, bambini felici, cresciuti adulti abbastanza stabili, catapultati in una modernità liquida che sembra volerci affogare, nostalgici della spensieratezza di bambini ma vittime del fenomeno del disembedding [3], lo sradicamento, il male della contemporaneità occidentale (Giddens, 2001). 

Ho sempre immaginato il processo di costruzione identitario dell’individuo come un corso d’acqua dolce, che dalla sorgente, scendendo verso la valle si arricchisce dei nutrimenti che strappa alle rocce e al terreno con il suo eterno scorrere. Nel corso delle loro vite i fiumi sono soliti mischiarsi in altri fiumi e tuffarsi nei mari o nei laghi, dove si alimentano di altre energie, e a volte le foci sono lontanissime dalle fonti. Eppure, il luogo da cui sono nati e la terra che per prima li ha nutriti determineranno la qualità delle loro acque e di quelle in cui si mischieranno, in eterno.

Brocados™ 2021, Artigianato Identitario®-by-Rekrei®-

Brocados™ 2021, Artigianato Identitario®-by-Rekrei®-

Il problema della consapevolezza della propria origine, delle proprie radici come fondamentale passaggio di riconoscimento del “chi sono io” soprattutto nella relazione con l’altro e con il mondo è un tema centrale in sociologia come in psicologia perché traccia il punto di partenza da cui si snoda la complessità dell’individuo e la costruzione della sua identità e perché no, della sua stabilità emotivo-relazionale. In antropologia diamo una profonda importanza alla terra che ci nutre, il nostro contesto di riferimento e riteniamo che l’individuo venga influenzato e plasmato dall’ambiente in cui si sviluppa a prescindere dalle sue origini biologiche; tuttavia queste, le radici, giocano un ruolo così profondo e sottile nella costruzione di un futuro remoto che rischia di essere sottovalutato se non adeguatamente considerato.

Tornando alla pedagogia, cosa succede ad esempio se l’attaccamento sicuro viene minato da un contesto poco tutelante? O se l’identità risultasse difforme all’aspettativa che l’individuo ha costruito di sé? O se lo spazio abitato dovesse apparire sconosciuto o persino inospitale? Quali sarebbero le conseguenze per l’identità della persona?

Una volta cresciuta, gli anni dell’università a Bologna sono stati incredibili, vivevo in una casa fatiscente poco lontano dalla stazione dei treni, le pareti erano ricoperte di carta da parati verde e mi sembrava un castello. Avevamo recuperato le reti dei letti dai cassonetti dell’immondizia e la mia poltrona occupava decisamente troppo spazio.

Cardamono arredo, by Rekrei®

Cardamono arredo, by Rekrei®

Per me era una reggia e sapeva di libertà. Per mia madre era un buco sotto il cavalcavia della stazione probabilmente pieno di malattie e troppo vicino ad un centro sociale. Niente a che vedere con il convitto di suore in cui mi aveva lasciato pochi mesi prima. Attaccamento sicuro un corno!, deve aver pensato.

È stato proprio in quegli anni splendidi che ho conosciuto Fatima e il suo casco di ricci morbidi e fitti che di notte ungeva e intrecciava strettissimi nella speranza rimanessero stirati, lisci e domati. Era stata adottata a poco più di un anno e aveva raggiunto l’aeroporto di Bombay, oggi Mumbay dalla regione del Kerala nascosta in un sacco di juta, tra frutta e verdura con l’affidavit [4]  in tasca; Fatima, dal nome musulmano e dai capelli ricci, era indiana ma non lo sembrava e questo generava in lei un senso di grave frustrazione.

Così aveva iniziato un processo di profonda adesione ad un modello indiano che potesse avallare le sue origini e si facesse conferma della sua identità di fiume impetuoso così lontano da casa. Tra una lezione e l’altra mangiava esclusivamente indiano, tra gli esami opzionali sceglieva materie affini alle sue origini, studiava l’hindi, immaginava un matrimonio indiano e pianificava un futuro che la vedesse rispondere all’immagine a cui necessariamente sentiva di dover aderire per trovare legittimazione ad essere come si sentiva. 

«Ho vissuto un conflitto che contrapponeva due parti di me stessa: quella italiana e quella indiana. Quella indiana era ancorata all’idea di un’India che avevo solo nella mia mente e che era stata socialmente e culturalmente costruita e idealizzata attorno ad un immaginario che vedeva l’Oriente come luogo di bellezza e ricchezza. Quella italiana era diventata un rifiuto ed era quella con la quale facevo i conti tutti i giorni e che si affermava ogni volta che mi guardavo allo specchio.
Ho vissuto anni molto dolorosi, che sicuramente venivano anche esasperati dal periodo adolescenziale, ma che mantenevano un loro epicentro: quello del rifiuto di me stessa in tutte le mie sfaccettature identitarie in nome di una unica, perfetta e immobile identità! L’identità doveva essere una e definita, caratterizzata da specifici canoni che però entravano in collisione ogni volta che mi vedevo davanti a quello specchio o che desideravo fare qualcosa di diverso rispetto a quello che quel canone mi diceva di essere. Volevo (o dovevo) essere la ragazza indiana, con un nome indiano, con il capello liscio che voleva solo tornare a casa, nella sua India. Odiavo i miei capelli, il mio nome e il mio essere un misto indefinito senza nessuna identità» (Rekrei.eu). 

Le catene di Fatima si spezzano infine pochi anni più tardi, in quell’albergo, quando rimirandosi finalmente con il vestito tradizionale, non si riconosce. 

«Ho realizzato così di essere solo Fatima. Non avevo più bisogno di sentirmi Indiana in Italia o Italiana in India. Ero solo io, me stessa e sì, finalmente, ero tornata a casa: patria di me stessa. In quella terra dove abitava la mia vera e poliedrica identità in continua trasformazione, che mi rendeva quella che ero, finalmente libera dalle mura dentro le quali mi ero chiusa per proteggermi dalle mie paure, dai miei giudizi, e che invece avevano nutrito un razzismo endemico che mi aveva messo al rogo» (Rekrei.eu). 
Fatima Casalenuovo al lavoro, collezione by Rekrei®

Fatima Casalenuovo al lavoro, collezione by Rekrei®

Il viaggio che Fatima ha fatto attraverso il percorso di adozione e le sue molteplici identità l’ha portata a ragionare in modo approfondito sulla relazione tra spazio fisico e costruzione identitaria, e sulla necessità che spazio fisico, identità e benessere emotivo debbano trovare un equilibrio armonico in favore del benessere e della felicità della persona. Per stare bene con gli altri era importante che l’individuo riconoscesse se stesso e lo spazio abitato come protettivo, sicuro, accogliente. Era fondamentale che la casa e gli oggetti che la componevano non fossero solo arredi dello spazio ma anche arredi dell’anima, perché non facessero mai sentire l’abitante difforme, escluso, fuori posto, che producessero sensazione di benessere e di estasi. Il Rasa [5].

Nasce così il progetto Rekrei® – Artigianato Identitario®. Rekrei, che in esperanto significa “ricreare-creare di nuovo” è il progetto di artigianato di design con cui Fatima esercita la convinzione che gli oggetti che ci appartengono o che ci sono appartenuti, possano continuare a trasformarsi insieme a noi per raccontarci, come elementi vivi dell’identità a cui appartengono.

Se Rekrei Made è un vero e proprio laboratorio di artigianato in cui Fatima elabora, ricrea e restituisce vita ad oggetti, creando prodotti che poi rende disponibili come pezzi singoli o collezioni, Rekrei – Artigianato Identitario rappresenta un vero e proprio laboratorio esperienziale, cuore dell’attività artigianale e artistica di Fatima. Un progetto che vuole parlare di noi stessi a noi stessi attraverso gli oggetti che ci appartengono e che rappresentano lo specchio della nostra narrazione, con l’obbiettivo di abitare spazi in cui sentirsi realmente a casa, felici, dove felicità è l’intimo riconoscimento di essere esattamente dove si desidera stare.

Processo di lavoro, by Rekrei®.

Processo di lavoro, by Rekrei®.

Attraverso un progetto di Artigianato Identitario Fatima accoglie un ricordo, un’immagine che il cliente associa ad un aspetto della propria vita e lo sviluppa, con la guida e sul filo del racconto di chi lo ha vissuto. Artigianato Identitario significa quindi superare il concetto di artigianato in quanto pratica legata ad un territorio culturalmente definito e socialmente determinato, per connetterlo e definirlo ad una pratica legata al territorio del sé, al proprio spazio intimo. Lavorare ad un pezzo di Artigianato Identitario significa uscire da sé, farsi squadra, porsi in ascolto e relazione tra artista e cliente al fine di produrre un dialogo interpersonale con le varie tappe dell’identità che l’oggetto in questione ha attraversato insieme al proprietario, per conoscersi e riconoscersi e stabilire i confini delle nuove appartenenze.

Questo percorso può avvenire in presenza di un oggetto, com’è stato per la mia poltroncina – Rekrei your story, oppure in presenza del ricordo di un oggetto che Fatima ricrea – Rekrey a story, oppure addirittura nell’elaborazione di un intero spazio che rifletta il vissuto e l’identità di chi lo richiede – Rekrei your spac [6].

Materiali di lavoro, by Rekrei®.

Materiali di lavoro, by Rekrei®.

In un mondo soggetto al disembedding, è molto faticoso per noi fiumi sfociati in una grande marea liquida, rallentare il nostro corso per parlare di noi e delle nostre vite. È doloroso e a prima vista può apparire persino insensato, eppure, quando Fatima mi ha parlato del progetto ho subito sentito di doverle raccontare della mia poltroncina, e facendolo ho sentito una cascata di sentimenti che non avevo mai verbalizzato scendere fino ai miei piedi. Le ho raccontato del fallimento di mio nonno e dei soldi che mancavano, di mia nonna che da Signora dovette adattarsi a fare ogni lavoro, del trasloco, e del fatto che non avrebbero potuto permettersi altro che quelle poltroncine. Della foto di mia madre e di sua sorella sedute insieme sul cuscino a studiare, di come mi ricordasse quando mio figlio si siede insieme a suo padre per leggere un libro. Di quando mia madre allattava mio fratello e io mi addormentavo serena perché la sentivo presente nella stanza insieme a noi e il buio non mi faceva più paura. Delle notti infinite ad allattare prima Tiago e oggi Odara. E mentre raccontavo a lei sentivo di raccontare a me stessa la mia storia, come in un abbraccio di comprensione e riconoscenza.

Quante volte ci riconosciamo in oggetti di affezione che hanno rappresentato qualcosa nella nostra storia, senza tuttavia interrogarci sulla reale importanza del bagaglio emotivo che trasmettono? Quanto tempo dedichiamo alla valorizzazione della memoria e dei suoi significati?

Partecipare ad un progetto di Artigianato Identitario è un esercizio di emotività. È lasciarsi attraversare dalle emozioni, dal dolore, dalla gioia, da tutti passi che compongono le nostre storie. Accettare che siamo sempre noi, che siamo sempre stati noi, seppure oggi ci vediamo molto diversi.

Particolari iniziali, by Rekrei®.

Particolari iniziali, by Rekrei®.

Quanto a me, non mi ero accorta di quante radici ci fossero nella mia poltroncina. Tanto che quando gliel’ho affidata mi sono quasi sentita in colpa. Eppure oggi il progetto Yemanjà, realizzato sulla sedia, sento che ha svolto un ruolo molto importante nel contrasto al senso di sradicamento che la modernità liquida gioca sulla nostra pelle. Fatima ha saputo mettere il suo talento e la sua competenza a disposizione del cliente in un processo di ascolto e comprensione che si traduce nella realizzazione di un servizio che porta alla rinascita di un oggetto unico, che si riappropria di uno spazio autentico per abbracciare chi lo ha desiderato e dirgli, ciao, sei a casa.

Rasa. Il succo, l’essenza. Una sensazione che non può essere descritta a parole ma solo provata. Il sentire emotivo che nasce da un’esperienza di bellezza che genera un sentimento talmente intenso da avere il potere di elevare e liberare chi lo vive.

Come è accaduto con la mia poltroncina Yemanjà, che per me è la mia spiritualità, la madre di tutte le teste, Fatima ha accompagnato moltissimi altri oggetti alla rinascita, tutti sono tornati ai loro proprietari con un proprio documento di identità, come l’affidavit che ha accompagnato una piccola Fatima dal Kerala verso l’Europa, una Lettera parlata™ in cui l’oggetto stesso si ri-presenta e racconta la sua storia di trasformazione, di tutte le tappe, di gioia e di fatica che l’hanno reso ancora più importante, specchio sicuro dell’identità a cui è appartenuto, utero in cui riposare, accogliere, creare; oppure racconta la sua storia di trasformazione, il cambiamento che l’ha attraversato tanto da produrre una nuova storia da raccontare, in cui riconoscersi nuovamente ma allo stesso tempo in cui continuare a sentirsi a casa.

«Memoria è recupero di un’emozione, una sensazione, di un’esperienza provata, di un ricordo che si cela negli oggetti e negli spazi. Recuperare perciò un oggetto significa non solo recuperare un oggetto materiale, ma anche tutto quello che esso rappresenta per noi se si tratta di un ricordo, oppure trasformarlo affinché possa essere qualcosa che ci rappresenti. In definitiva memoria è recupero di qualcosa che abita dentro di noi e recupero è un salvataggio di qualcosa che andrebbe perso e sul quale possiamo intervenire per sentirlo più nostro» (Rekrei.eu). 
Viola, by Rekrei®.

Viola, by Rekrei®.

L’esperienza pandemica ha evidenziato molti degli aspetti di sradicamento e di disagio identitario che l’individuo vive oggi come singolo e come membro di una comunità più o meno disgregata, liquida. L’impossibilità di vivere in sicurezza gli spazi esterni, intesi sia come luoghi fisici sia come spazi sociali, ha creato una dicotomia dentro/fuori, dove esterno significava pericoloso, mentre domestico poteva ritenersi sicuro. Questa dualità è stata vissuta in modo estremamente differenziato a seconda dei significati che ognuno di noi era solito attribuire all’interno e all’esterno, inteso sia come ambiente contestuale, sia come ambiente individuale e relazionale. Emerge senza dubbio che un ambiente accogliente, in cui ci riconosciamo e a cui sentiamo di appartenere appare protettivo e viene vissuto in modo più sereno, rispetto ad uno spazio in cui non sentiamo di riconoscerci.

Your story, by Rekrei®.

Your story, by Rekrei®.

Le riflessioni che pone Fatima e le soluzioni creative con cui agisce sugli oggetti, sugli spazi e sulle persone, le trovo classiche e rivoluzionarie allo stesso tempo, come se fossero l’ago e il filo che si propongono di riassemblare i legami sfasciati e insicuri del disembeddig Giddensiano, partendo dalla singolarità della persona ma  riconoscendo ad ogni individuo una straordinaria ricchezza, un valore fondamentale in primis per se stesso ma di riflesso per l’intera collettività, come se ciascuno di noi fosse il singolo mattoncino di una costruzione sociale più ampia, che non si liquefa ma anzi si struttura, forte di ogni singolarità, nutrita dalla bellezza che ciascuno di noi porta nella sua memoria e trasforma in valorizzazione di uno spazio, che da domestico si fa sociale.

«La memoria non è ciò che ricordiamo, ma ciò che ci ricorda. La memoria è un presente che non finisce mai di passare», ha scritto il grande poeta messicano, Premio Nobel per la letteratura, Octavio Paz. 

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] Abito femminile tradizionale indiano
[2] Decorazione a goccia posta sulla fronte molto diffusa in vari paesi dell’Asia. Rappresenta la capacità di trattenere la saggezza ed è associato al tantrismo. Nella modernità viene utilizzato anche come semplice decorazione estetica.
[3] Il concetto di “disaggregazione” o “sradicamento” è stato coniato dal sociologo Anthony Giddens in relazione al mutare della società sempre più globalizzata, liquida secondo le definizioni del sociologo Zygmund Bauman dove l’identità individuale perde valore a discapito di un sistema volto principalmente a produrre. Le relazioni sociali perdono così il loro radicamento e rinascono e si risignificano nel quotidiano, in spazi sociali e temporali scarsamente definiti.
[4] Documento giuridico certificante l’affidamento di un soggetto, la sua provenienza e la destinazione. Nei percorsi adottivi sostituisce il documento di identità
[5] Rasa – succo, essenza. Nelle arti indiane è la sensazione emotiva derivante dall’osservare o percepire una qualsiasi arte che non possa essere descritto a parole, ma solo a livello di piacere percettivo.
[6] www.rekrei.eu 
Riferimenti bibliografici
Bachelard G., La poetica dello spazio, Ed. Dedalo, Bari, 2015.
Bauman Z., Modernità liquida, Laterza, Bari, 2011.
Boccali G., Torella R., Passioni d’Oriente. Eros ed emozioni in India e Tibet, Einaudi, Torino, 2007.
Bowlby J., Una base sicura. Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, Cortina Raffaello, Milano, 1989.
Calambur Sivaramamurti, Storia universale dell’arte. Sezione seconda – India, Ceylon, Nepal, Tibet, Ed. Utet, Torino, 1988. 
Coomaraswamy A. K., Il grande brivido. Saggi di simbolica e arte, Adelphi, Milano 1987. 
Giddens A., Identità e società moderna, Ipermedium, Santa Maria Capua Vetere, 2001. 
Sitografia
Pinna M.P., Sostenibilità e identità nella moda e nel design – tutelare un marchio che rappresenta (anche) un valore etico e identitario.www.mariapaolapinna.com Consultato in data 03/02/2022
www.rekrei.eu

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Lisa Regina Nicoli, antropologa e ricercatrice esperta di religioni afro-brasiliane e afro-caraibiche, si occupa dello studio delle culture e tradizioni di matrice africana, con focus specifico sulle religioni Vodoun. Da dieci anni si occupa di migrazioni internazionali, della tratta ai fini dello sfruttamento sessuale e dei sistemi di accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati.

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