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Con Ferruccio Busoni, musica, scuola e cosmopolitismo

S. Salvadori, Busoni, xilografia

S. Salvadori, Busoni, xilografia

di Franca Bellucci 

In questo tempo difficilissimo, tra sconvolgimenti gravi – che forse non escludono trattati, ma che intanto inquinano ogni codice di relazione – accende speranze il fatto che, a commento della bella prova complessiva sostenuta dalla squadra alle Olimpiadi di Parigi, si riapra l’argomento dell’integrazione. In particolare è l’ambiente “scuola” che si constata palestra di convivenza, e come tale da considerare e valorizzare. 

Pur se è da margini non operativi che osservo e seguo, convergo sul tema, subito desiderando il riesame della questione: tale da allargare l’ascolto dei gruppi sociali e delle culture attuali. Credo corretto assumere la prospettiva cosmopolitica, pur avvertendo che questo può trascinare un certo velleitarismo: vale comunque proporne l’orizzonte. La tensione che disegna, mi sembra, richiami la “magnanimità”, la prospettiva ampia e serena che troviamo in Dante, partecipe della cultura che si apriva all’Antico e ne recuperava aspetti: una apertura per cui l’intellettuale-poeta poté colloquiare, tra tensioni intorno di campo opposto e polemiche che possono riattualizzarsi, con il Saladino come con Bertran de Born.

Poi, quasi in deduzione, pensando ai mezzi espressivi umani, rilevo la musica come terreno linguistico di raggio adeguato al progetto cosmopolitico: e torno a rammaricarmi che non abbia spazio nel piano didattico. È una prospettiva, questa, che riaffiora tra chi segue l’educazione. La musica è penalizzata, per altro, dal distacco in cui viene mantenuta, rispetto alle altre arti, nel dibattito complessivo che riguarda la storia culturale: con approssimazioni e difetti che ammoniscono a tenere vivo l’aggiornamento. La musica ha una particolare valenza inclusiva: ne sono convinta e personalmente accantono da anni pagine sull’argomento, siano singoli progetti di scuole, siano analisi intestate a insegnanti di conservatori o comunque attivi in esperimenti singoli. La musica, se messa a fuoco, è subito un terreno culturale, nelle sue espressioni sia alte sia immediate, naturalmente vocato all’espressione cosmopolitica. Considerare questo dà risalto allo schematismo con cui l’istituzione scolastica tratta la produzione d’arte nel tempo, evidenziandone piuttosto le mode che l’ampiezza espressiva e l’intreccio nelle influenze.

La convinzione mi spinge a trovare sporadici recuperi di tracce poetiche in libreria, a testimonianza di come queste insistano su memorie musicali. Un tale assunto, per esempio, dimostra un recupero di Paolo Pintacuda relativo a Federico García Lorca (in: Federico García Lorca, Ninnenanne spagnole. “Aňada. Arrolo. Nana. Vou veri vou”, Como – Pavia, Ibis, 2021).

La marginalità perdurante che è riserbata all’ambito musicale, nel complesso della scuola, mortifica la capacità di intesa ad ogni livello, nelle relazioni fra i giovani, come nell’équipe dei formatori. Eppure è questa una causa che ha anche forti sostenitori: penso a uno degli autori d’ampia fama, continuità, poliedricità, come Alessandro Baricco, che in tutto il suo percorso, più che trentennale, persevera a esemplificare il contributo che la pratica musicale fornisce all’ambito culturale. Un diverso esempio, comunque convergente, noto e promettente, è, a Roma, l’«Orchestra di piazza Vittorio», complesso di marcato impegno multiculturale e sociale, che dal 2002, tempo della fondazione, si è affermato con ampio riconoscimento interno e internazionale. Esempi, che instradano sulla prospettiva che vedrei opportuna e feconda: ma che pure, malgrado gli apprezzamenti raccolti, restano sporadici. 

Empoli, Casa natale di Ferruccio Busoni

Empoli, Casa natale di Ferruccio Busoni

Contribuisce certo ai quadri che vo connettendo la condivisione di riflessioni sulla musica, nella città in cui vivo, intorno alla celebrazione di Ferruccio Busoni (1866 – 1924), nel centenario della sua morte. Il perno delle manifestazioni è la Casa natale dell’artista, divenuta Museo, luogo di raccolta di documenti e di indicazioni utili per qualunque ricerca nel mondo. Il programma specifico delle manifestazioni programmate in questo anno commemorativo, è nutrito, di vario livello. È un fatto che l’amore per la musica si estende presso i giovani, nelle varie scuole pubbliche e private. Può dare luogo a sviluppi, se, rafforzato in consapevolezza e impegno, creerà situazioni oltre la moda socievole: dunque, anche attraversando condizioni di ricezione equilibrate e feconde. Il calendario di luglio, per tradizione arricchito di incontri musicali socievoli, quest’anno è stato contenitore di iniziative in nome di Busoni, in particolare concorsi, con relative esecuzioni affidate a una sezione della European Youth Orchestra. I limiti tecnici evidenti, sul sagrato della chiesa principale, non hanno turbato l’atmosfera gioiosa: così che, nella reazione mia personale, si è acceso il desiderio di ascoltare l’intero complesso giovanile nel luogo principale della festa busoniana, a Bolzano. Ora sono appena reduce dall’esperienza: e ne soppeso il significato, guardando oltre l’esecuzione cui ho preso parte. L’orchestra della EUYO, l’Orchestra giovanile europea, cui a Bolzano era affidata la serata che mi sono concessa, imponente, con i suoi ben oltre cento elementi, ha testimoniato della storia che ha alle spalle, focolaio di accoglienza e elaborazione. Il programma ha offerto sguardi diversi sull’opera in musica: nella prima parte protagonista è stata, al pianoforte, la giovane interprete Isata Kanneh-Mason, con composizioni attuali, Variazioni su ninna – nanna di Erhnst von Dohnáni e con Masquerade di Anna Clyne, mentre la seconda parte ha presentato la complessa, inquieta Sinfonia n. 1 di Mahler. A notte inoltrata, dopo la fine del programma, i siparietti musicali che i giovani orchestrali hanno improvvisato, salutandosi, hanno contagiato il pubblico di allegria e di gioiosa partecipazione. Alla direzione della EUYO esordiva il nuovo Direttore Ivàn Fischer, ungherese, subentrato al russo Vasily Petrenko: che si prepara a nuovi viaggi nel mondo.

Sulla personalità di Ivàn Fischer, ma in generale sul valore formativo della musica, un ampio articolo aveva intanto dato buona conferma, il trascorso 9 agosto. Sul quotidiano «Avvenire», il giornalista critico musicale Pierachille Dolfini aveva incontrato e intervistato il neo-direttore, (P. D. in «Avvenire» venerdì 9 agosto 2024, https://www.avvenire.it/agora/pagine/l-impegno-di-fischer-la-musica-per-la-pace), riportandone annotazioni di entusiasmo sull’Orchestra, e, in riferimento al predecessore, affermazioni sulla continuità dell’impegno civile, con parole significative: «La prima parola – riferiva il giornalista riguardo all’intervistato – è quella di cui oggi sente maggiormente l’urgenza. “Pace”. Detta in musica. Ugualmente carica di significato. Ed è conseguenza, ma anche premessa, delle altre due parole. “Comprensione e tolleranza”». Al termine, dice l’intervistatore, il Direttore Fischer ha ribadito le parole di speranza: «Oggi i musicisti aiutano le persone a comprendere e amare altre persone che vivono oltre i confini». Egli è convinto: «la musica può connettere le persone, avvicinarle. Può mantenere attivi, creativi e persino sani gli esseri umani. E può anche preservare il pianeta».

Bolzano, Galleria Civica

Bolzano, Galleria Civica

La partecipazione personale al concerto di esordio di Ivàn Fischer come direttore dell’Orchestra giovanile europea ha senz’altro confermato in me la convinzione del ruolo emblematico di Bolzano, nell’attualità, nei fermenti culturali che oggi la città vive, rispetto a quella convivenza che è da sostenere e sviluppare: ho convenuto insomma con la riflessione tracciata da «Avvenire», nell’articolo citato. È da dire che pure non sono facile a persuadermi: bado a non essere ingenua e a mettermi in guardia, constatando come pure pesi e misure diversi, da mutevoli punti di vista, siano continuamente riproposti, tra pregiudizi e deliberate azioni divergenti. In definitiva, però, nonostante queste obiezioni basate sulle constatazioni, convengo: è da individuare come “la risorsa”, il fatto che si accetti di resistere ai luoghi comuni, in quanto questi definiscono e perpetuano frizioni e incomprensioni. E certo passa di qui la via per cogliere la ricchezza delle culture elaborate senza pretendere di fissarle, proiettandosi anzi oltre i luoghi comuni. Però, mentre pronuncio il termine “risorsa”, ne avverto l’approssimazione: può suonare in modo equivoco, quasi un invito allo sperpero. Occorre allora che corregga, precisando: più che individuare la risorsa come aiuto esterno, serve una “determinazione alla risorgenza”: certo interiore.

calliariNel correggere, mi accorgo di avvertire l’influenza di una lettura che ho appena fatto. L’autore è Giuseppe Calliari, ed è il critico musicale per il quale anche la ponderazione dei termini è utile a illuminare l’orizzonte di pensiero di Busoni, suo oggetto di studio, attraverso i suoi scritti (G. C., Ferruccio Busoni. Trascrivere in musica l’infinito, Trento, Il Margine, 2011, qui: 89 e 90). Anche questo libro riguarda Ferruccio Busoni, il soggetto su cui l’impegno convergente di molti in quest’anno potrebbe forse rafforzare presso il pubblico la comprensione, che tarda a fissarsi. Darò presto indicazioni più complessive sul contenuto del libro: per il momento, voglio sottolineare, con il suo esempio, quanto anche l’attenzione al lessico scelto fornisca al lettore notizie corrette. La cautela dell’autore, mirata a ricostruire presso il lettore i passaggi significativi dell’argomento trattato, mi è risultata appropriata quando, dopo la prima parte del libro, intitolata Faust in stazione, sono giunta alla seconda e ultima, cioè La città dei libri. Qui, il primo capitolo è Una «Giovane Classicità». È, l’espressione scelta, la traduzione dell’ultima delle riflessioni teoriche di Ferruccio Busoni, che, nella lingua tedesca che il protagonista ha usato in tale campo, suona come “Junge Klassizität”. Ora, la traduzione dell’espressione di solito è presentata come “Nuova classicità”. Il critico Calliari, però, quando giunge a tradurre in italiano “junge”, cioè l’originario termine tedesco, dopo aver soppesato la traduzione divulgata, che sceglie “nuovo”, fa obiezione. Anziché adeguarsi, conduce una disamina approfondita, con molteplici riprese nelle pagine, di esperienze e definizioni nell’autore, motivando infine l’innovazione di proporre, come detto sopra, “giovane”. Per il momento, mi limito a tale esempio.  Il metodo mi sembra così valido, da spingermi a imitarlo.

Su questa via, dunque, tornando al nodo che intendo segnalare, corrispondente da una parte al timore dello spreco, dall’altra all’auspicio della ripartenza, correggo “risorsa” come ho detto, con “determinazione alla risorgenza”, così da sottolineare la dinamica psicologica che si attende.

Ferruccio Busoni è una sfida, per gli storici. In qualche modo egli è la livella che indica se, facendo ricerche e trattati, abbiano selezionato in modo adeguato gli aspetti che fanno mentalità e aspettativa. A cento anni dalla sua morte, l’opera dell’autore riceve ancora lumeggiatura incerta, con opere disperse: lo dimostra, recentissima, l’opera giovanile Sigune, che si credeva smarrita, e che ora, ritrovata per le ricerche di Casa Busoni e dell’architetto Silvano Salvadori, restaurata per la cura dei professori di conservatorio Roberto Becheri e Marc André, viene pubblicata, tradotta in italiano da Monica Zefferi. Questo anno può andare al di là delle impasse, approfittando del calendario celebrativo – che si sta svolgendo in modo puntuale, come dimostrano i molti concerti in memoria, ma in particolare alcune rievocazioni “in linguaggio misto”, direi, come il documentario Contemplazione, su Rai 5 nel giorno commemorativo 27 luglio, firmato da Claudio Chianura, con il supporto di molti cultori. Il titolo ha il merito di offrire una chiave interpretativa suggestiva, e la compilazione è sintetica, insistendo sugli anni successivi alla guerra, che, mentre constata miseria intorno, richiede limitazioni al musicista, nella debolezza fisica crescente. È allora proprio la coerenza che permette di ritrovare momenti, o pagine, essenziali, accompagnate in sviluppo coerente, che spesso è correzione, attesa, moltiplicarsi della prospettiva. 

caterina-buhler-empoli1996La creatività di Busoni riguarda molti settori: quando gli storici seguono piste settoriali, o quando studiano solo un segmento del modo in cui è stato recepito, accade che restituiscano il personaggio in curvature false o lo abbandonino su un binario morto. Tanto più risulta inteso parzialmente o anche del tutto frainteso se dei suoi contatti si dà una nota riduttiva. Le difficoltà sono accresciute dalla dispersione delle fonti, nel secolo e mezzo che ci separa dalla sua nascita, un tempo denso e che per molti motivi sembra accelerarsi. Dispersioni, sottovalutazioni, certo anche incomprensioni vanno superate per seguire, di Busoni, sia il versante creativo, sia quello interpretativo: la sua fermezza nella coerenza non è semplificazione, ma verifica larga, vaglio delle possibili obiezioni. Anche, sapienza di attendere che il tempo scorra, perché da sapiente e filosofo, Busoni sa che “panta reî”.

Impostazione originale quanto il documentario trasmesso alla radio, ha il libro di Giuseppe Calliari, Ferruccio Busoni. Trascrivere in musica l’infinito, sopra citato per il ripensamento linguistico che porta l’autore a una proposta che corregge un titolo che sembrava inattaccabile. Ho già detto che è in due parti; aggiungo ora che ciascuna è costituita da tre capitoli, più il prologo e l’epilogo. Anche in questo caso si evita l’esposizione del “bios” come pagina di letteratura morale, assumendosi la responsabilità degli scorci, individuando paragrafi secondo parole-tema, che, in modo anche tipograficamente insolito, costituiscono meditazione e suggerimento di meditazione al lettore. Il richiamo a Faust nel titolo della prima parte fissa il tempo dell’esilio, che Busoni si autoinferse in coerenza con la sua interpretazione della convivenza umana nel dialogo che esclude la guerra: ma è anche collegamento con aspirazioni, incontri, luoghi disseminati nella vita. Gli incontri sono anche, con maschere, come Arlecchino, e tradizioni: cioè con la dinamica essenziale della storia culturale che Busoni avvertì e interpretò, tra “fortuna” di autori recepita, rispettata, riproposta nelle situazioni via via verificate, o nelle interpretazioni che calzano con reminiscenze, come nella Turandot ripresa da Carlo Gozzi.

La città dei libri, dunque – titolo della seconda parte propone l’ultimo periodo dell’autore, quello del ritorno al domicilio berlinese nella penombra della vecchiaia e della malattia – coincide con l’ambiente, la splendida biblioteca che recupera nel domicilio di Berlino, che diventa sede abituale per l’artista sempre più costretto all’immobilità, ma riguarda anche la problematica già affrontata, con la prospettiva, cioè, di  civiltà ideale per l’autore, se si considera, ponendosi nel suo punto di vista, che ogni opera creata è parimenti “testo” e che la ricezione è comunque rielaborazione. Talora le opere di Busoni sono incompiute: una trascuratezza? Non è detto: possiamo pensare a lentezza, a ripensamenti, a esperimenti. A me viene da pensare alla consapevolezza che oltre la foce c’è pure il mare, e che nulla si perde, di quanto ha spirito. È importante che entrambe le opere di cui si è ora parlato rilevino come sia importante conoscere la condizione della repubblica di Weimar: il connettivo in cui vivono in Germania i cittadini e lo stesso Busoni, nella disastrosa uscita dalla guerra.

È da recepire, insomma, l’invito a allargare lo sguardo intorno Busoni: è infatti uomo che interloquisce con ambienti umani a più livelli. Tra le interlocuzioni è da porre anche la stima, l’autorevolezza di cui gode: è un aspetto che mi ha colpito quando, scorrendo on line pagine dei quotidiani italiani nella funesta estate 1924, ho verificato l’eco larga che viene data anche alla vicenda di Ferruccio Busoni, come ho detto in un precedente articolo. E se i quotidiani di area moderata gli rimproverano, come forma di aridità del sentimento, il non essere stato nazionalista, una testata impegnata come «Il Mondo», fondata tre anni prima da Giovanni Amendola, il 2 agosto 1924 associa l’allarme per la scomparsa, ormai da due mesi, di Giacomo Matteotti, al cordoglio per la recente morte di Ferruccio Busoni, ponendolo nella schiera dei “grandi”, con “Beethoven…Bach, Schumann, Brahms”, ovvero «compagni in cammino». Mi pongo dunque il problema degli argomenti, oltre che dei toni, del dibattito sulla guerra, pensando al tempo prima, durante e dopo; il problema della forza morale e della resistenza interne, che la voce governativa, ma spesso anche l’incuria degli storici, non soppesa adeguatamente.

Busoni a Cima Borghetto

Busoni a Cima Borghetto

C’è un’informazione paesaggistica incontrata non troppo tempo fa che mi ha turbato: dall’autunno 2021 sono state rese visitabili e messe a disposizione di escursioni delle particolari gallerie, nella Val Lagarina, denominate “i Busoni”. Il sito delle Forze Armate (https://www.forzearmate.org/ala-tn-riaprono-i-busoni-le-gallerie-della-prima-guerra-mondiale/), datando «Trento, 03 Settembre 2021», dice: «Sono il nuovo tesoro di Ala da riscoprire: i cosiddetti “Busoni”, ovvero le gallerie della Prima Guerra Mondiale scavati sotto cima Borghetto. Il tunnel principale, ora visitabile dopo dei lavori di restauro e messa in sicurezza, regala un panorama mozzafiato sulla Vallagarina». È una coincidenza toponomastica? Cerco qualche informazione nel repertorio di Giovan Battista Pellegrini (G.B. P., Toponomastica italiana, Milano, Hoepli-2008, 2024): a pag. 171, si dice che “busa, buso” nel Veneto vale “buca”, e esiste un “Busoni” in provincia di Verona. Sarà da intendersi così? Però qui il toponimo non preesisteva al 1916, e la provincia è Trento. Insomma, la suggestione è che il pacifismo, liberamente esposto da Ferruccio Busoni, e anche difeso in polemica aperta con il Corriere della Sera dopo la morte dell’amico Umberto Boccioni, fosse recepito più in profondo, tra i soldati italiani, di quanto non si dica.

Tanto più, turbata, mi impongo di fermarmi considerando la vicinanza di Trento a Bolzano. Meglio tornare a considerare i processi realmente in atto nella città sudtirolese. L’ambiente culturale di Bolzano esprime oggi una precisa azione volta a instaurare prassi formative rinnovate, secondo l’ottica cosmopolitica, così che Bolzano, Ferruccio Busoni e i giovani sono oggi argomenti, luoghi, soggetti senz’altro pertinenti. Intendo, pertinenti rispetto all’ottica che, senza stancarsi di correzioni e ripensamenti, si impegna a identificare, nel raggio dell’esperienza, vita e umanità. È infatti caratterizzante, per Bolzano, questo “anno busoniano 2024”, in quanto, nella memoria del centenario dalla morte, tutte le manifestazioni culturali celebrano il musicista, secondo l’originale formula che da settantacinque anni la città ha sperimentato, che ormai ha affermato con solidità, ospitando giovani musicisti e proponendo al mondo gli eccellenti: ed è la formula che, come ho detto, l’istituto della “Casa Natale Busoni” di Empoli sta esplorando in modo propositivo.

Parlando di Bolzano, mi riferisco al Premio pianistico Busoni, istituito nel 1949 – da Cesare Nordio, allora direttore del Conservatorio di musica, intitolato a Claudio Monteverdi, con pronta risposta anche di Arturo Benedetti Michelangeli –. Oggi, dal 2019, è supportato dalla Fondazione Busoni- Mahler, che ha associato i due musicisti legati dalla stima, dal comune afflato universalistico, dalla fede nella pratica rinnovata delle arti, in modo che può perdurare, per la città, l’oneroso concorso dei giovani pianisti. La ricerca, l’ampiezza, la tecnica sono le caratteristiche precipue richieste e valorizzate: in nome di Ferruccio Busoni, ma non rendendo tale compositore un repertorio, bensì ricordandone l’attitudine all’indagine, la consapevolezza culturale trasversale alle varie tradizioni espressive, la meditata sperimentazione tecnica. Ferruccio Busoni è stimolo a sentirsi umani e a mettersi personalmente in gioco entro l’umanità, evitando di costituirne il mito.

È da ricordare che il legame con il musicista non è motivato da specifici ricordi biografici: la morte del pianista, come si è detto empolese di nascita, ma plurilingue e pluriculturale, avvenne, il 27 luglio 1924, al suo domicilio di Berlino. L’opera del musicista-critico, così come i suoi oggetti, si sono molto dispersi: istituzioni e privati hanno promosso raccolte e ricomposizioni, che non è detto siano concluse. Certo Bolzano ha dato un contributo particolare, culturale e morale, a preservarne la memoria, rilanciando il senso del suo lascito complessivo. È a questo che dovrebbe guardare ogni storico, di eventi o di mentalità, che voglia muoversi nel periodo dell’esistenza, e poi della ricezione di Busoni.

Ferruccio e Gerda Busoni

Ferruccio e Gerda Busoni

Il connubio Berlino – Busoni è sostanzialmente ideale: evidenzia, è vero, l’apprezzamento per le qualità culturali e tecniche di Busoni, per la sua capacità di attraversare le culture rinnovandole, interrogandosi sulle matrici dei linguaggi. Ma in particolare sono state le qualità morali di Busoni, la sua ferma, esplicita contrarietà al bellicismo, nella pratica costante del cosmopolitismo, che hanno fornito riflessioni di forte consonanza alla città. Nella festa attuale, la città evidenzia al visitatore aforismi tratti dalle opere, coerentemente distillate da Busoni, nell’orizzonte ideale della raccolta intitolata “Sguardo lieto”: l’espressione fu individuata come intonata con le complessive annotazioni teoriche di Busoni, e descrive, più che la postura spontanea, la conclusione volitiva del musicista-filosofo – nonché filantropo. La raccolta fu edita in lingua italiana nel 1977, a cura di Fedele D’Amico, coadiuvato da Laura Dallapiccola e Luigi Dallapiccola (per Milano, Il Saggiatore). L’espressione è tratta dal Faust: «Solo chi guarda avanti ha lo sguardo lieto», egli dice. Al di là del concorso, in quest’anno la città sud-tirolese ha fatto del nome di Busoni il suo ornamento nonché l’oggetto di iniziative culturali di vario tipo, riportandone, come aforismi, paragrafi degli scritti. Ecco una vetrofania suggestiva che mi appunto nella Galleria Civica: «Was überlebt alle Kriege, wenn nicht die Kunst?», ovvero: «Cosa sopravvive a tutte le guerre, se non l’arte?». Negli ambienti interni, inoltre, sono in mostra oggetti del musicista, capaci di evocarlo con la loro originalità: non solo quadri, spartiti, fotografie, come trovo nell’arredo della Casa natale di Busoni a Empoli, ma addirittura oggetti che lo ripropongono come fosse vicino. C’è per esempio un piano che, mentre, tramite un antico rullo, fornisce la registrazione di una prova originale del maestro, mostra anche l’appropriato movimento dei tasti. 

Mentre lamentiamo la frammentarietà del dialogo che i compositori e i critici hanno intrecciato intorno a Busoni, è da segnalare che vi sono anche musicisti profondi e innovatori che hanno sentito una consonanza ampia con lui. Nel terminare queste note, propongo una testimonianza davvero significativa, che riguarda Sorabij (1892 – 1988), riportata da Marc-André Roberge, musicologo a Laval nel Quebec. Avverto tuttavia che la sua sensibilità, riguardo agli spaesamenti, è personale:

«Sorabji deve aver sentito profonda affinità con Busoni. Il compositore italiano è sempre stato una vetta isolata nella musica del ventesimo secolo, personaggio rilevante che non solo era un grandissimo pianista e compositore ma anche trascrittore, editore, scrittore e insegnante e ancora, nonostante le sue ottime qualità non fu ammirato universalmente da tutti ma venerato da un ristretto gruppo. Busoni almeno era su una vetta visibile; Sorabji dall’altra parte si nascondeva dal mondo della musica. Tuttavia, i numerosi legami tra la sua musica e quella di Busoni [...], sono rimasti virtualmente sconosciuti, dal momento che pochissime persone hanno avuto finora accesso ai suoi lavori non pubblicati. Entrambi, Busoni e Sorabji furono fino a un certo punto degli stranieri nei paesi di attività: Busoni, italiano che vive in Germania; Sorabji, parsi che vive in Inghilterra, di carnagione scura e nome che suona indiano. Entrambi erano dei pianisti, compositori e scrittori in un’unica persona. Le loro letture coprivano una moltitudine di argomenti; infatti, uno deve solo scorrere gli scritti di Sorabji per imbattersi in innumerevoli riferimenti ai lavori di un’ampia varietà di autori in diversi campi di attività: economia, storia, letteratura, politica, psicologia, scienze sociali, ecc. Citando dal suo necrologio per Busoni, riprodotto prima, Sorabji può davvero essere, in un certo senso, “un Titano artistico e intellettuale come quegli uomini divini nel Rinascimento”. Questo, per essere sicuri, sarà sempre più evidente man mano che i suoi lavori diventano più disponibili e più largamente conosciuti. Come nel caso di Busoni, coloro che hanno avuto tempo di scoprire (o almeno di cercare) le ricchezze del giardino-essere di Sorabji: Le jardin parfumé. Poema per Piano Solo (1923;16 pp.), Il Giardino di Iran, da Variazioni sinfoniche per piano e orchestra (1935-37), G~ul~istü. Nocturne per Piano (1940: 28 pp.), che vuol dire “Il giardino della rosa” …» (Marc-André Roberge, Produrre prove per la beatificazione di un autore: l’apoteosi di Busoni secondo Sorabji, in «La recensione musicale 54, n. 2 (maggio 1993)»: 123-136 [Pubbl. maggio 1936]).
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024

 

Riferimenti bibliografici
Busoni, Ferruccio, Lo sguardo lieto. Tutti gli scritti sulla musica e sulle arti, a cura di Fedele D’Amico, Milano, Il Saggiatore, 1977
“Buso”, “Buson”, in Pellegrini, Giovan Battista, Toponomastica italiana, Milano, Hoepli-2008, 2024: 171
Calliari, Giuseppe, Ferruccio Busoni. Trascrivere in musica l’infinito, Trento, Il Margine, 2011
García Lorca, Federico, Ninnenanne spagnole. “Aňada. Arrolo. Nana. Vou veri vou”. Prefazione, note e traduzione di Paolo Pintacuda, Como – Pavia, Ibis, 2021
Roberge, Marc-André, Produrre prove per la beatificazione di un autore: l’apoteosi di Busoni secondo Sorabji, in «La recensione musicale 54, n. 2 (maggio 1993)»: 123-136 [Pubbl. maggio 1936]. 
Sitografia
Dolfini, Pierachille, L’impegno di Fischer. La musica per la pace, in «Avvenire» venerdì 9 agosto 2024, <https://www.avvenire.it/agora/pagine/l-impegno-di-fischer-la-musica-per-la-pace>
Busoni, Ferruccio, Sigune. Opera in due atti e un prologo. Trascrizione e revisione di Marc-André Roberge,  <https://www.raiplaysound.it/audio/2024/08/Qui-comincia-del-130824>
Chianura, Claudio, Contemplazione. Ferruccio Busoni <https://www.raiplay.it/video/2024/07/Contemplazione—Ferruccio-Busoni-30dbcee5-a592-4a17-8e68-d1e55358fb96.html>
<https://www.forzearmate.org/ala-tn-riaprono-i-busoni-le-gallerie-della-prima-guerra-mondiale/>, Trento, 3 settembre 2021         

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Franca Bellucci, laureata in Lettere e in Storia, è dottore di ricerca in Filologia. Fra le pubblicazioni di ambito storico, si segnalano Donne e ceti fra romanticismo toscano e italiano (Pisa, 2008); La Grecia plurale del Risorgimento (1821 – 1915) (Pisa, 2012), nonché i numerosi articoli editi su riviste specializzate. Ha anche pubblicato raccolte di poesia: Bildungsroman. Professione insegnante (2002); Sodalizi. Axion to astikon. Due opere (2007); Libertà conferma estrema (2011).

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