Kalasìa è un termine dialettale proprio di Sant’Agata di Militello, non molto utilizzato ma molto caro allo scrittore Vincenzo Consolo. Lo scrive nella quarta di copertina il giornalista Concetto Prestifilippo che ha curato la pubblicazione del volume che ha intitolato Kalasìa – Parole contro il potere (edito a settembre da Mimesis nella collana Sguardi e visioni). Una raccolta di conversazioni che l’autore ha intrattenuto con il grande scrittore siciliano, alcune delle quali sono diventate interviste pubblicate in un arco temporale molto ampio, dal 1992 fino al 2011.
Le interviste inducono lo scrittore all’attualità del suo tempo nella quale viveva immerso come intellettuale e come giornalista (aveva lavorato con il giornale L’Ora) e forniscono un punto di vista diverso, «un’analisi lucida e spietata, di alcuni momenti della nostra storia repubblicana». In appendice al volume sono pubblicati alcuni saggi e articoli dedicato allo scrittore dopo la sua scomparsa.
È interessante la particolare angolazione, che è poi l’intuizione di Prestifilippo, che consente di osservare come in quel tempo per nulla lontano alcuni scrittori di fama nazionale e internazionale non smettevano di guardare il mondo reale e mettevano a disposizione la loro coscienza critica per leggere temi scottanti di attualità, di politica, mafia o immigrazione. Non distoglievano lo sguardo e si curavano del mondo che stavano vivendo, avevano una coraggiosa attenzione, non lesinavano sconti al potere e ai potenti, pagando di persona, come fu anche per Consolo. Era successo anche ad Antonio Tabucchi che apertamente si era schierato con il potere, «tirandolo per la giacca».
Prima di addentraci sull’accurato lavoro di Prestifilippo, va subito fatto notare che il volume contiene un dettagliato racconto fotografico, in bianco e nero, del fotografo ragusano Giuseppe Leone. Fotografie e ritratti, alcuni diventati iconici come quello di Consolo, Sciascia e Bufalino insieme sorridenti, che allargano la visuale della parola e raggiungono l’anima dei soggetti immortalati. I tanti lavori del fotografo siciliano hanno saputo raccontare sin dagli anni ‘50 i diversi volti della Sicilia cogliendone peculiarità e scabrosità con una cura unica ed originale.
Prestifilippo ha conosciuto bene Consolo, già nel 1993 e nel 2012 aveva scritto due libri-colloquio (La Sicilia senza metafora e Siracusa per Consolo) e in questo ultimo volume, pubblicato nel settembre di quest’anno, ha coperto un vuoto trattando un aspetto poco studiato dello scrittore di Sant’Agata di Militello e facendo emergere aspetti più scomodi, prima tra tutti la sua avversione verso il potere, il suo essere contro. «Ho voluto fare emergere questo aspetto – spiega Prestifilippo – perché se uno scrittore si allinea al potere diventa un cortigiano, untuoso, un inserviente. Invece uno scrittore ha anche il compito di staccarsi da chi vuole la supremazia, d’altra parte era questo anche l’ammonimento di Consolo».
Dalla provincia nel cuore della Sicilia, Piazza Armerina, Prestifilippo, che ha assecondato la nostalgia del ritorno dopo un’esperienza a Milano dedicata a inseguire la sua passione per l’arte, si muove con uno sguardo aperto e indagatore sulla letteratura siciliana, incrocia personaggi dimenticati e raccoglie testimonianze, interviste, con un occhio leale e critico.
Consolo amava la sua Sicilia ma aveva scelto di non viverla. Il suo essere siciliano non era “di scoglio” ma di chi aveva scambiato la sua terra per Milano dove ha trascorso poi gran parte della sua vita insieme all’amata moglie Caterina («a lei devo tutto. Mi ha conferito, fiducia, coraggio e serenità») e dove è morto (nel 2012).
Era nato nel 1933 a Sant’Agata di Militello e se aveva scelto di andare via era perché in Sicilia non si era mai sentito a casa. Nel 1975 lavorava alla Rai di Milano, poi per un certo periodo si era trasferito a Palermo chiamato dal giornale L’Ora e aveva presto acquisito il linguaggio essenziale e stringato del giornalismo che traspare nelle risposte alle interviste.
«Aveva scelto la scrittura dell’intervento sui giornali per esercitare il suo ruolo di intellettuale gramscianamente non indifferente. Rileggendo gli articoli, vecchi di decenni, colpisce ancora la lucidità degli interventi – scrive il curatore nell’introduzione – Non esercitava diplomazie linguistiche, non operava concessioni, non salvaguardava potentati, non blandiva accademie. I suoi interventi potevano irritare, non essere condivisi ma erano sempre onesti, coraggiosi e puntuali».
Sulla strage di Capaci nell’intervista pubblicata il primo giugno 1992 dice: «Questo è un delitto politico, non ci sono dubbi. È al di sopra della mafia… gli ordini sono partiti dalle alte sfere. Falcone aveva sicuramente individuato la connessione tra potere politico e potere mafioso». E alla domanda posta nella stessa intervista se «c’è ancora spazio per sperare», risponde: «La speranza non bisogna mai perderla. Io credo nella forza della storia. Malgrado i momenti bui, la storia si schiarisce, viene la luce. Citando il poeta spagnolo Machado: desperados, esperams, todavìa».
A due settimane dal trionfo berlusconiano (il 29 maggio 2001) diceva: «Il nostro Paese non ha memoria… sono ferito dal dato elettorale siciliano… non comprendo la scelta. Un’isola che con il suo plebiscito incondizionato si è dimostrata ancora una volta servile».
È utile ricordare anche le conferenze che Consolo tenne a Madrid e Parigi in ricordo di Leonardo Sciascia (novembre 2009): «Il ricordo della sua opera è da contrapporre all’immagine folkloristica e impresentabile che stiamo attualmente offrendo agli osservatori stranieri. L’Italia della politica rozza e delegittimante».
In alcune interviste l’autobiografia diventa un racconto, teatro di incontri e di spunti utili ad analizzare molti aspetti di un’Italia Repubblicana, le contraddizioni tra le regioni del Nord e quelle del Sud, gli incontri con i grandi scrittori; con Elio Vittorini per esempio, che incontrò nel 1962 a Milano alla Mondadori dove doveva curare la revisione del primo romanzo. Vittorini lo accompagnò in albergo ma rivela «in macchina, siamo rimasti in silenzio per l’intero percorso, era molto timido e si aspettava che gli ponessi delle domande. Mi rimane il rammarico di non aver parlato con lui». Oppure la frequentazione con il poeta siciliano di Capo D’Orlando Lucio Piccolo con cui tante volte si era trattenuto a conversare sulla letteratura. Abbozzando un bilancio della sua vita confessa: «Devo concludere amaramente che sono stato vittima dei miti. Ma lo scrittore ha bisogno di crearsi dei miti, altrimenti non scriverebbe».
E sul brutto carattere che gli attribuivano: «Non credo di avere un brutto carattere. È solo che detesto i prepotenti. Non sopporto le sopraffazioni, le ipocrisie. Cerco con la scrittura di oppormi al potere. Non sono diplomatico, questo sì. Forse ho commesso qualche errore nel passato, ma quando ho qualche cosa da dire, la dico».
Le interviste non hanno un ordine cronologico ma in ogni pagina si avverte la franchezza del suo carattere, la visione sociale e politica (la critica alla sinistra pure); Consolo colse la drammaticità del fenomeno migratorio già in atto, fu «autentico interprete della lezione civile di Leonardo Sciascia» come scrive Salvatore Silvano Nigro, accademico e critico letterario.
In conclusione, la completezza del volume la danno le immagini e i ritratti di Giuseppe Leone che coglie negli sguardi, nelle pose, nelle espressioni e in ogni dettaglio ciò che le parole non dicono o non arrivano a dire. E sul sorriso sornione di Consolo c’è molta parte del suo essere “privato” e non svelato un uomo ironico e autoironico, solare, inaspettato.
Dialoghi Mediterranei, n. 65, gennaio 2024
_____________________________________________________________
Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto i romanzi Specchi (Nulla Die), Il ricordo che se ne ha (Margana) e La casa di Shara Band Ong. Tripoli (Margana 2021), memorie familiari ambientate in Libia.
______________________________________________________________